La decisione ha altresì stabilito che in caso di cessazione anticipata della procedura concordataria, anche se in fase “prenotativa”, quando manchi la redazione dell’inventario da parte del commissario giudiziale, i valori di attivo e passivo vanno tratti dalla documentazione acquisita alla procedura, utilizzando, ai fini del passivo, l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti (così come eventualmente verificato e rettificato ex art. 171 l.fall.) e, ai fini dell’attivo, l’ultimo bilancio (come eventualmente rettificato dallo stesso commissario) ovvero - per le imprese non soggette all’obbligo di redazione del bilancio - le dichiarazioni dei redditi e IRAP concernenti l’ultimo esercizio, oppure ancora, se ritenuta più aggiornata e adeguata, la situazione finanziaria dell’impresa risultante dalla documentazione oggetto di deposito mensile da parte dal debitore ex art. 161, comma 8, l.fall., o infine dal piano concordatario, se già depositato. Resta fermo che, in ogni caso di cessazione anticipata della procedura concordataria, la determinazione del compenso del commissario giudiziale si effettua “tenuto conto dell’opera prestata”, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.m. n. 30 del 2012, secondo un criterio di proporzionalità del compenso rispetto alla natura, qualità e quantità dell’opera prestata, che consente di ridurre lo stesso anche al di sotto delle percentuali minime previste dall’art. 1 e finanche al di sotto del compenso minimo previsto dall’art. 4, comma 1, dello stesso decreto.
3. – Il ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.M. 30/2012, dell’art. 4 l. 319/1980 e dell’art. 1 D.M. 30.5.2022, in relazione agli artt. 161 e 163 l.f.», per non avere il tribunale applicato, almeno in via analogica, la specifica disciplina di liquidazione del compenso prevista dall’art. 5 del d.m. 5/2012 per l’attività svolta dal commissario giudiziale nominato ai sensi dell’art. 163 legge fall., cui espressamente rinvia l’art. 161, comma 6, legge fall., attività che nel concordato “con riserva” è solo parzialmente diversa da quella ordinaria, senza essere comunque riconducibile nel generico alveo dell’attività svolta dall’ausiliario del giudice. I ricorrenti evidenziano in concreto la complessità dei compiti svolti «nell’ambito di una procedura qualificata dallo stesso tribunale come concordato preventivo di gruppo, di natura mista, per essere liquidatorio in capo alla Q. ed in continuità aziendale in capo alla conferitaria A. & c. s.r.l., nata per effetto del successivo conferimento dei rami cc.dd. strategici ed operativi della stessa Q.», nel corso della quale il tribunale ha più volte acquisito il parere dei commissari giudiziali, sull’autorizzazione al mantenimento di linee di credito autoliquidanti (art. 182- quinquies, comma 3, legge fall.), sulla modifica della soglia di operazioni eseguibili senza il consenso degli organi, su alcune transazioni (art. 167 legge fall.), sull’utilizzo della compensazione per il pagamento di debiti, sul pagamento di creditori anteriori strategici (art. 182-quinquies, comma 5, legge fall.), sul conferimento alla new.co A. & C. s.r.l. dei rami strategici e operativi di Q., sullo scioglimento o la sospensione del contratto di leasing (art. 169-bis legge fall.), sulla valutazione sia dei piani industriali della conferitaria che del piano industriale della new.co immobiliare.
3.1. – Il ricorso, ammissibile ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. – in quanto rivolto contro un decreto di liquidazione finale del compenso al commissario giudiziale, avente natura decisoria e carattere definitivo, perché incidente su diritti soggettivi e non soggetto ad ulteriore gravame per il combinato disposto degli artt. 182, comma 2, e 39, comma 1, legge fall. (tra le più recenti, v. Cass. n. 33364 del 2021, Cass. 26894 del 2020, Cass. n. 1394 del 2019, Cass. n. 16136 del 2011, Cass. n. 14581 del 2010) – merita accoglimento, nei termini che si vanno ad illustrare. 4
. – In sede di rinvio, il tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 5 del d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, né direttamente – poiché esso non prevede (né poteva prevedere) i criteri per la determinazione del compenso spettante ai commissari giudiziali nominati «nel concordato con riserva, figura introdotta dal D.L. 69/2013» – né per via analogica, «atteso che nel concordato con riserva non vi è redazione dell’inventario ex art. 72 L.F. e manca l’attività di liquidazione»; quindi, per colmare il supposto vuoto normativo, ha osservato che «i cosiddetti pre-commissari» possono essere nominati «per coadiuvare l’autorità giudiziaria nell’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo nella fase tra il deposito del ricorso con riserva e la pronuncia di ammissione resa ex art. 163 L.F.», e che gli stessi «svolgono generici compiti di vigilanza e di controllo, ma non compiono tutta l’attività prevista dagli artt. 171 e ss. L.F.», facendo perciò ricorso «alla disciplina generale in materia di liquidazione del compenso agli ausiliari del giudice» di cui al d.m. 30 maggio 2002, e segnatamente al criterio residuale delle “vacazioni” ex art. 4, l. n. 319 del 1980, cui rinvia l’art. 1, stante la non riferibilità alla fattispecie concreta dei criteri dettati dai successivi artt. 2, 3, 4 e 5 del d.m. cit., con riguardo alle perizie e consulenze in materia amministrativa, fiscale, contabile e alle valutazione di aziende e patrimoni.
4.1. – La riferita interpretazione non è condivisibile.
5. – Giova premettere che il ricorso all’analogia si risolve in un meccanismo integrativo dell’ordinamento, che consente al giudice di decidere anche in presenza di una lacuna normativa. L’art. 12, comma 2, delle disposizioni preliminari al codice civile prevede infatti che, quando una controversia non può essere decisa in base ad una specifica disposizione – da interpretarsi, ai sensi del comma 1, secondo i canoni ermeneutici letterale, sistematico, teleologico e storico – il giudice deve ricorrere innanzitutto all’analogia legis, al fine di estendere al caso non previsto la norma positiva dettata per casi simili o materie analoghe, e quindi, ove permanga il dubbio interpretativo, all’analogia iuris, facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Occorre però che la lacuna normativa sia correttamente individuata dal giudice, per evitare che la scelta arbitraria di riempire un preteso vuoto normativo ridondi nella compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Non basta, dunque, che una disposizione normativa non preveda espressamente una certa disciplina per colmare la pretesa lacuna normativa facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi (cfr. Cass. n. 29236 del 2019; Cass. n. 2656 del 2015). Per attivare il meccanismo di “auto-integrazione” dell’ordinamento, fondamento dell’analogia, occorre invece dapprima riscontrare scrupolosamente l’effettiva mancanza di una norma di legge atta a regolare direttamente la fattispecie concreta, e quindi verificare se siano rinvenibili nell’ordinamento una o più norme positive (c.d. analogia legis) ovvero uno o più principî giuridici (c.d. analogia iuris), nel cui perimetro qualificatorio quella fattispecie possa essere ricondotta, sulla base dell’accertamento di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della vicenda regolata ed alcuni elementi di quella non regolata (Cass. n. 11000 del 2022; cfr. Cass. Sez. U, n. 38596 del 2021).
6. – Nel caso in esame, afferente la liquidazione del compenso di un organo nominato nell’ambito di una procedura concordataria, il referente normativo più prossimo è l’art. 165, comma 2, legge fall., che applica espressamente al commissario giudiziale (tra l’altro) l'art. 39 legge fall. in tema di compenso spettante al curatore fallimentare (solo ora l’art. 92, comma 2, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, come modificato dal d.lgs. n. 83 del 2022, in vigore dal 15 luglio 2022, esplicita che al commissario giudiziale si applicano alcune norme, tra le quali l’art. 137 sul compenso al curatore, «in quanto compatibili»). E’ dunque ben possibile mutuare la disciplina sulla liquidazione del compenso del curatore, nei limiti di compatibilità, ai fini della determinazione del compenso di un simile organo della procedura concordataria (Cass. n. 6806 del 2021).
6.1. – Orbene, l’art. 39, comma 1, legge fall. rinvia, a sua volta, alle «norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia». Il decreto applicabile ratione temporis è il d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, recante il «Regolamento concernente l’adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo», il cui art. 5 disciplina, appunto, i compensi spettanti nelle varie tipologie di concordato preventivo.
6.2. – E’ ben vero che l’art. 5 cit. non contempla il concordato preventivo “con riserva”, istituto del resto introdotto nei commi 6 e ss. dell’art. 161 legge fall. solo in un secondo momento, con la l. 7 agosto 2012, n. 134 (di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83), nel cui ambito l’art. 82 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013 n. 98) ha poi aggiunto la possibilità di nomina anticipata del commissario giudiziale (appunto detto “pre-commissario”), con il decreto di fissazione del termine per il deposito della proposta e del piano di concordato. Tuttavia, al di là del ritardo ultradecennale del legislatore nell’aggiornamento di tale fonte di rango secondario, ciò non assume carattere dirimente né ostativo all’applicabilità dell’art. 5 del d.m. n. 30 del 2012, poiché il procedimento innescato dalla domanda con riserva (art. 161, comma 6, legge fall.) pertiene al medesimo istituto – il concordato preventivo – di quello azionato con il deposito diretto della proposta, del piano e della documentazione (art. 161, commi 1 e ss., legge fall.), rispetto al quale quello definito nella prassi “con riserva” (o “in bianco”) non è un procedimento distinto e autonomo, bensì, pacificamente, una sua fase, e cioè un segmento anticipatorio solo eventuale e pur sempre interno all’unico procedimento concordatario (v. Cass. n. 14713 del 2019, ove si osserva che «la stessa formulazione letterale dell'art. 161, sesto comma, secondo cui l'imprenditore può depositare "il ricorso contenente la domanda di concordato", riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, implica che l'imprenditore presenta, finanche ai sensi del citato comma, proprio ed esattamente il ricorso contenente la domanda di concordato preventivo, e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta, per esempio destinato a concludersi col (e finalizzato a ottenere semplicemente il) termine previsto dalla legge, a cui eventualmente far seguire un nuovo atto d'impulso»). E infatti, in caso di domanda “anticipata” di concordato, il commissario giudiziale eventualmente nominato ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fall. è, testualmente, proprio quello «di cui all’art. 163, secondo comma, n. 3», il quale, se il concordato preventivo risulta poi ammesso, viene di regola «confermato» (cfr. ora l’art. 47, comma 2, lett. b, CCII per cui il tribunale «nomina ovvero conferma il commissario giudiziale»).
6.3. – Da quanto sin qui esposto discende che, contrariamente a quanto opinato dal giudice a quo, deve escludersi che vi sia una lacuna normativa tale da indurre ad attingere ad altre fonti, esterne alla materia concorsuale, i criteri per la liquidazione del compenso al commissario giudiziale nominato nella fase del concordato preventivo “con riserva”, poiché questi non è né un semplice ausiliario del giudice, ai sensi dell’art. 68 cod. proc. civ., né un professionista destinatario di un incarico circoscritto di consulenza, come il c.t.u., bensì quella stessa figura di commissario giudiziale prevista in via generale dall’art. 163, comma 2, n. 3), legge fall., e dunque un organo della procedura di concordato preventivo, la cui (parziale) diversità di compiti dipende solo dalla diversità della fase in cui si trova ad operare nell’ambito dell’unica procedura concordataria.
6.4. – Sotto tale profilo, questa Corte ha già rilevato in passato che i commissari giudiziali, «pur agendo nell'interesse della giustizia e sotto la vigilanza del giudice delegato, non sono qualificabili come ausiliari del giudice, non essendo la loro attività` riconducibile a nessuna delle fattispecie di cui agli artt. 61 e ss. c.p.c.», potendo agli stessi attagliarsi, semmai, la definizione di “ausiliari della giustizia” (Corte cost., sent. n. 174 del 2006), che «esclude la possibilità`di estendere automaticamente ad essi la disciplina dettata per gli ausiliari del giudice, in particolar modo per quanto riguarda la determinazione dei compensi, che costituisce oggetto di un complesso normativo avente caratteri di autonomia e specialità, tali da impedire l'avvenuta abrogazione per effetto dell'entrata in vigore della nuova regolamentazione delle spese di giustizia introdotta dal d.P.R. n. 115 del 2002» (Cass. n. 8221 del 2011). Ed anche di recente ha avuto occasione di affermare che alla liquidazione del commissario giudiziale vanno applicati i principi di cui all’art. 39 legge fall., quale legge speciale che prevale su quella generale dettata dal d.P.R. n. 115 del 2002, in tema di ausiliari del giudice (Cass. n. 38334 del 2021), tratteggiando «la minore specialità valutativa dell’operato dell’ausiliario cui è invece chiamato il giudice ai sensi degli artt. 168 e 170, d.P.R. n. 115 del 2002», nonché la «natura di organo necessitato che accomuna, accanto al commissario giudiziale, le altre figure contemplate, per le procedure concorsuali, dalla legge fallimentare, a differenza della occasionalità e temporaneità contrassegnanti già la nomina di consulenti e altri ausiliari del giudice ex artt. 61 e 68 c.p.c.» (Cass. nn. 20762 e 20948 del 2021). 6.5.– Il P.G. sottolinea al riguardo che i decreti del Ministro della giustizia richiamati dall’art. 39, cui rinvia l’art. 165 legge fall., integrano una disciplina autonoma ed esaustiva del procedimento di liquidazione, che si differenzia da quella contemplata dal d.P.R. n. 115 del 2002 per la liquidazione dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice: i) per la mancata previsione di un termine per la presentazione dell'istanza; ii) per la determinazione del giudice competente, che l'art. 168 del d.P.R. cit. individua nel magistrato che procede; iii) per il rimedio accordato contro il provvedimento di liquidazione, che nel caso previsto dalla legge fallimentare è costituito dal ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., mentre ai sensi dell'art. 170 del d.P.R. 115/2002 consiste nell'opposizione dinanzi al presidente dell'ufficio giudiziario, il quale decide in qualità di giudice monocratico secondo il rito speciale previsto per la liquidazione degli onorari di avvocato; iv) per la diversità della sede in cui trovano disciplina i criteri per la liquidazione dei compensi (posto che il d.m. 30 maggio 2002, che detta le norme per la determinazione dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice, nulla dispone in ordine a quelli spettanti ai curatori fallimentari ed ai commissari giudiziali, disciplinati separatamente) nonostante il d.P.R. n. 115 del 2002 ospiti anche disposizioni relative alle procedure concorsuali, e segnatamente quelle di cui agli artt. 146 e 147, le quali però, attenendo esclusivamente alla prenotazione a debito, all'anticipazione ed al recupero delle spese in caso di mancanza di denaro nell'attivo o di revoca della dichiarazione di fallimento, non intaccano l'autonomia del sistema normativo che disciplina la liquidazione del compenso dovuto al curatore o al commissario giudiziale. Autonomia giustificata dalla particolare posizione di questi organi, i quali, pur agendo nell'interesse della giustizia e sotto la vigilanza del giudice delegato, non sono qualificabili come ausiliari del giudice, non essendo la loro attività riconducibile a nessuna delle fattispecie di cui agli artt. 61 e ss. cod. proc. civ.. e non potendosi considerarli neppure come esperti in una determinata arte o professione o come persone idonee (ai sensi dell'art. 68) da cui il giudice si faccia assistere, nei casi previsti dalla legge, nel compimento di atti che non è in grado di compiere da sé solo. Infatti, così come il curatore fallimentare, ancorché la sua nomina sia rimessa al tribunale, ha, per diretta previsione di legge, poteri propri ai fini dell'amministrazione del patrimonio del fallito, nonché poteri d'indagine e d'impulso ai fini del recupero e della liquidazione dell'attivo (in virtù dei quali si configura quale organo normale e necessario della procedura, cui fanno dunque difetto quei caratteri di occasionalità e temporaneità che sono propri degli incarichi conferiti agli ausiliari del giudice), allo stesso modo, nella procedura di concordato preventivo, il commissario giudiziale, pur non avendo l'amministrazione dei beni, che resta al debitore, è dotato di poteri propri per lo svolgimento di una serie codificata di funzioni di controllo e consulenza.
6.6. – Può dunque tranquillamente confermarsi che la fonte normativa secondaria cui attingere per la determinazione del compenso spettante al commissario giudiziale nominato nella fase del concordato preventivo “con riserva” sia il d.m. n. 30 del 2012. Ciò non pone problemi ove alla domanda anticipata di concordato segua regolarmente il deposito della proposta e del piano, poiché l’unicità dell’organo ridonda nell’unitarietà della liquidazione del compenso per le attività da esso concretamente svolte nelle diverse fasi in cui la procedura si sia articolata.
6.6. – Ma anche laddove la procedura si arresti prima di pervenire al decreto di apertura ex art. 163 legge fall., la regola da applicare per la liquidazione del compenso è sempre rinvenibile nell’art. 5 del d.m. cit., il cui quinto comma prevede infatti che, qualora il commissario o il liquidatore giudiziale cessino dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni, il compenso è liquidato – sulla base dei parametri fissati nei primi tre commi – «conformemente ai criteri previsti dall’art. 2, comma 1», il quale, a sua volta, impone di provvedere alla determinazione del compenso «tenuto conto dell’opera prestata». Si viene così a introdurre un criterio di proporzionalità del compenso, rispetto alla natura e alla quantità dell’attività prestata, che consente di ridurre lo stesso anche al di sotto delle percentuali minime “per scaglioni” previste dall’art. 1, richiamate dall’art. 5 (ex multis, Cass. n. 14581 del 2010 e Cass. n. 13336 del 2013), e finanche al di sotto del compenso minimo fisso cd. “di sussistenza” di euro 811,35 previsto dall’art. 4, comma 1, che infatti fa espressamente salvo proprio «il caso previsto dall’articolo 2, comma 1» (Cass. n. 26894 del 2020), fermo restando il rimborso forfettario delle spese generali, il rimborso delle spese vive e l’eventuale trattamento di missione, nei limiti fissati dal secondo comma dell’art. 4, d.m. cit.
L’applicazione del principio di proporzionalità comporta, come ovvie conseguenze, che il compenso del commissario il cui incarico si sia interrotto prima del compimento naturale della procedura non potrà mai essere pari a quello di chi l’abbia espletato sino alla sua ultimazione, e che la riduzione del suo compenso sarà tanto maggiore quanto prima la sua attività si sia interrotta e quanto minore sia stato l’impegno in essa profuso.
7. – In realtà, i problemi che pone l'applicazione dell’art. 5 del d.m. n. 30 del 2012 al concordato preventivo (non solo con riserva, ma anche, più in generale, alle varie forme in cui esso si può articolare) risiedono nei parametri contemplati dai primi due commi dell’art. 5, che non risultano pienamente congruenti – anche in comparazione con quelli di cui al terzo comma – con tutte le situazioni che si possono verificare.
7.1. – Sin dall’emanazione del d.m. n. 30 del 2012, la dottrina sollevò numerose critiche sui nuovi criteri elaborati per la determinazione del compenso spettante agli organi nominati nelle procedure concorsuali, evidenziandone plurime criticità, specie con riguardo alle procedure concordatarie, non senza salutare con favore sia l’eliminazione del cd. doppio compenso al commissario giudiziale, per le fasi ante e post omologa, introdotto dal precedente d.m. n. 570 del 1992 (ma ampiamente disapplicato in giurisprudenza) sia, ma in minor misura, la lacuna colmata con l’introduzione della disciplina del compenso al liquidatore giudiziale nominato ai sensi del novellato art. 182 legge fall., però con integrale assimilazione al compenso del curatore, nonostante la prevalente giurisprudenza dell’epoca gli riconoscesse la sola percentuale sull’attivo effettivamente realizzato, con esclusione di ogni incidenza del passivo, alla cui formazione era ritenuto estraneo (Cass. n. 9178 del 2008, Cass. n. 9864 del 2006, Cass. n. 16989 del 2004, Cass. n. 6924 del 1997).
7.2. – Sennonché, a distanza di ormai oltre dieci anni, delle segnalate criticità il legislatore di rango secondario non si è ancora fatto carico, né si è peritato di adeguare i criteri dettati dal d.m. n. 30 del 2012 alle sopravvenute innovazioni della legge fallimentare, tra le quali va menzionata – accanto all’istituto del concordato con riserva, di cui si è detto sopra – l’enucleazione della figura del concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis legge fall., introdotto dall’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83 (convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134) e successivamente integrato da ulteriori interventi legislativi.
8. – Alla prima criticità, relativa all’ipotesi di concordato preventivo “con riserva” dichiarato inammissibile o improcedibile (a fronte della segnalazione di condotte ex art. 173 legge fall. da parte del commissario giudiziale), nonché di arresto anticipato del concordato preventivo “pieno”, prima che il pre-commissario o il commissario giudiziale abbiano effettuato, o ultimato, la redazione dell’inventario – documento cui fanno riferimento tanto il primo quanto il secondo comma dell’art. 5, d.m. n. 30 del 2012 – si può rimediare facendo ricorso al criterio previsto dall’art. 12, secondo comma, delle preleggi.
8.1. – Questa Corte ha già svolto in passato un’operazione ermeneutica simile con riguardo al compenso spettante ai commissari giudiziali per l'attività svolta nella cd. “fase di osservazione” della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi di cui al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (con riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 47 del d.lgs. cit. ad opera dell'art. 50, comma 1, lett. d), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), affermando che esso «deve essere corrisposto facendo ricorso analogico a quanto stabilito in materia di fallimento solo per il parametro del valore dell'attivo della procedura, opportunamente modulandolo tra i valori minimi e massimi, atteso che la figura del commissario giudiziale, oltre a tali eventuali (anche se probabili) attività liquidatorie, svolge principalmente quella relativa alla fase di osservazione della procedura, che, altrimenti, rimarrebbe del tutto priva di remunerazione» (Cass. n. 9407 del 2015; Cass. n. 15703 del 2016).
8.2. – Ebbene, nel caso del concordato preventivo in cui non sia ancora disponibile l’inventario, alla sua mancanza si può sopperire attingendo alla documentazione di natura analoga già acquisita al materiale della procedura, segnatamente (oltre a quella in tesi presentata ai sensi dell’art. 161, comma 2, legge fall.), per il concordato “con riserva” – sul versante del passivo – all’«l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti» depositato ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fall. (salve le verifiche e rettifiche operate dal commissario giudiziale ai sensi dell’art. 171 legge fall.) e – sul versante dell’attivo – alle risultanze dell’ultimo bilancio (eventualmente rettificate dallo stesso commissario in caso di sua inattendibilità), nonché, per le imprese non soggette all’obbligo di redazione del bilancio, alle dichiarazioni dei redditi e IRAP concernenti l’ultimo esercizio (cfr. art. 44, comma 1, lett. a) CCII), oppure, se più aggiornata e pertinente, alla situazione finanziaria dell’impresa depositata mensilmente dal debitore e sottoposta a verifica del commissario giudiziale (art. 161, comma 8, legge fall.), o, infine, al piano concordatario,se già depositato dal debitore.
9. – Più complessa è la soluzione della seconda criticità qui in rilievo, che ha riguardo alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale nelle ipotesi in cui la procedura si arresti anticipatamente (per revoca, esito negativo della votazione dei creditori, diniego di omologa, o anche risoluzione o annullamento del concordato) prima della realizzazione dell’attivo – e magari proprio grazie ad una solerte attività di verifica e controllo svolta scrupolosamente dallo stesso commissario giudiziale – dal momento che, per alcune forme di concordato, l’art. 5, d.m. n. 30 del 2012 assume il parametro dell’attivo realizzato in luogo di quello dell’attivo inventariato.
9.1. – Ed infatti l’art. 5 d.m. cit., nel richiamare le percentuali dettate dall’art. 1 per il compenso al curatore, fissa un unico parametro per quanto attiene al passivo (e cioè «l’ammontare del passivo risultante dall’inventario») mentre opera una distinzione per quello relativo all’attivo. In particolare, il primo comma fa riferimento all’attivo realizzato per ogni concordato preventivo «in cui siano previste forme di liquidazione dei beni», e perciò non solo il concordato con cessione dei beni, ma anche quello che contempli una continuità aziendale accompagnata da anche marginali forme di liquidazione di beni (cd. concordato “misto”) e finanche il concordato cd. in continuità indiretta, dove la cessione dell’azienda ha indubbiamente connotati liquidatori. Il secondo comma, invece, prevede che «nelle procedure di concordato preventivo diverse da quelle di cui al comma 1» – costituite non solo dal concordato in continuità aziendale, ma anche da un concordato “con garanzia” o “con assuntore”) – si faccia riferimento all’attivo inventariato.
9.2. – Ritiene questo collegio che esista un aspetto di irragionevolezza nell’art. 5 del d.m. 30/2012, laddove esso fissa, ai commi 1 e 2, due diversi criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale, peraltro accomunando alcune tipologie di concordato preventivo anche assai diverse tra loro.
9.3. – Quella differenziazione poteva forse avere un senso quando, nel precedente d.m. n. 570 del 1992, si distingueva tra fase ante e post omologa, prevedendosi che per l’opera prestata prima dell’omologazione il compenso del commissario giudiziale fosse calcolato in maniera identica, a prescindere dal tipo di concordato, mentre per l’attività prestata dopo l’omologazione si dovesse distinguere fra concordato liquidatorio e concordato in continuità. Come è noto, la disapplicazione di quel criterio da parte della giurisprudenza di merito è stata avallata da questa Corte in ragione dell’irragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost., del conseguente raddoppio del compenso del commissario giudiziale rispetto a quello del curatore fallimentare (v. Cass. Sez. U, n. 4670 e n. 5887 del 1997; Cass. sez. 1, n. 7147 del 1997, n. 10745 del 1998, n. 13886 del 1999, n. 13922 del 1999, n. 3691 del 2000, n. 693 del 2001; cfr., da ultimo, Cass. sez. 1, n. 26897 del 2020). Dopo oltre tre lustri, quella soluzione di “diritto vivente” è stata recepita dal legislatore nel d.m. n. 30 del 2012, il cui art. 5 prevede ora un unico compenso spettante al commissario giudiziale «anche per l'opera prestata successivamente all'omologazione».
9.4.– Di fatto, questo giusto accorpamento ha finito però per “sbilanciare” il precedente assetto dei parametri (ove poteva avere un senso distinguere tra attivo inventariato e attivo realizzato, tenuto conto della tipologia dei compiti espletati nelle fasi ante e post omologa delle diverse procedure), dando la stura ad un’ulteriore e opposta irragionevolezza per disparità di trattamento, particolarmente accentuata in riferimento all’attività svolta nella fase ante omologa. Difatti, basta che il concordato preventivo contempli una qualsiasi forma di liquidazione (come avviene nel concordato cd. misto) per far scattare il riferimento all’attivo realizzato, che potrebbe però essere poco o nulla per ragioni oggettive, non riconducibili all’impegno profuso dal commissario giudiziale. Per contro, basta che non vi sia attività di liquidazione (ad esempio nel concordato con assuntore, che per il commissario giudiziale può ben essere meno oneroso di quello liquidatorio) per far scattare il riferimento all’attivo inventariato, di regola più alto.
9.5. – In realtà, l’attività del commissario giudiziale è per larghi tratti identica nelle varie tipologie di procedure, specie nella fase ante omologa, essendo questi parimenti tenuto a svolgere funzioni di controllo e consulenza, anche nella fase di preconcordato (art. 161, commi 7 e 8 legge fall.), in particolare laddove, senza pretesa di esaustività, vigila sull'amministrazione del patrimonio e sull'esercizio dell'impresa (art. 167 legge fall.), procede alla verifica dell'elenco dei debitori e dei creditori e comunica a questi ultimi le proposte del debitore (art. 171 legge fall.), redige l'inventario del patrimonio e relaziona in ordine alle cause del dissesto, alla condotta del debitore ed al contenuto della proposta di concordato (art. 172 legge fall.), riferisce al tribunale circa l’esistenza di cause di revoca del concordato (art. 173 legge fall.), partecipa attivamente all’adunanza dei creditori (art. 175 legge fall.), intercetta l’eventuale mutamento delle condizioni di fattibilità del piano concordatario (art. 179 legge fall.), esprime parere motivato sull'omologazione del concordato (art. 180 legge fall.), ne sorveglia l'esecuzione (art. 185 legge fall.) e propone eventuale istanza di annullamento (art. 186 legge fall.). Può inoltre essere sentito dal tribunale in merito al compimento di atti di straordinaria amministrazione (art. 167 legge fall.), alle “offerte concorrenti” (art. 163-bis legge fall.), alla sospensione o allo scioglimento dei contratti pendenti (art. 169-bis legge fall.) e alle autorizzazioni di finanziamenti interinali o urgenti (art. 182- quinquies, commi 1-4 legge fall.).
9.6. – E’ pur vero che il concordato con continuità aziendale (similmente, ma in minor misura, al concordato “con riserva”) richiede costanti e impegnative analisi di tipo economicoaziendalistico, anche prospettiche (ad esempio sulla capacità dell’impresa in going concern di realizzare un margine operativo lordo, cd. MOL o EBTIDA), per verificare che la prosecuzione dell’attività sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori e comunque non risulti mai manifestamente dannosa per gli stessi. E del pari è vero che, dopo la tipizzazione dell’istituto (ora ancora più marcata nel nuovo CCII), sono state enucleate nuove ipotesi di pareri di competenza del commissario giudiziale, in vista della partecipazione dell’impresa in concordato a procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 186-bis, comma 4, legge fall.), o del pagamento dei creditori anteriori cd. strategici (art. 182-quinquies, comma 5, legge fall.). E’ infine un dato di fatto che, a distanza di un decennio, di tali peculiarità (così come delle criticità evidenziate in dottrina e giurisprudenza) il Ministro della giustizia non ha inteso farsi carico.
9.7. – In ogni caso, occorre tener conto: che la complessità della procedura concordataria varia piuttosto in relazione al caso concreto che non alla forma prescelta; che molti dei suddetti pareri sono solo eventuali; che vi è una corposa base imprescindibile di attività comune a tutte le tipologie di concordato; che il valore dell’attivo inventariato, preso come base di calcolo del compenso spettante al commissario giudiziale, è sicuramente superiore nel concordato in continuità aziendale rispetto al concordato liquidatorio, sicché, anche applicando la medesima percentuale, il risultato sarebbe comunque (e giustamente) diverso; ma soprattutto che il discrimine tra primo e secondo comma dell’art. 5, d.m. 30/2012 non risiede affatto nella distinzione tra concordato in continuità aziendale ed altre forme di concordato (bensì, come visto, sulla presenza o meno di una qualsivoglia forma di liquidazione di beni). Ebbene, tutto ciò considerato, deve ritenersi che, specie dopo l’unificazione delle due fasi ante e post omologa ai fini della determinazione del compenso, le eventuali attività ulteriori del commissario giudiziale del concordato in continuità ben possano essere apprezzate nell’ambito della forbice tra la percentuale minima e massima prevista dall’art. 1 d.m. cit., cui l’art. 5 rinvia – nel rispetto del criterio «dell'opera prestata» ex art. 2, comma 1, d.m. cit., richiamato dal successivo art. 5, comma 5, che come detto consente di scendere anche al di sotto del cd. “minimo assoluto” – e che sia più giusto e ragionevole applicare detta percentuale, per tutti i concordati, sul valore dell’attivo inventariato, senza attingere ad un criterio del tutto diverso e certamente esorbitante dalle funzioni del commissario giudiziale, quale è quello dell’attivo realizzato, che rientra invece nell’orbita delle funzioni del liquidatore giudiziale, poiché anche nella fase post omologa i compiti del commissario giudiziale sono pur sempre di sorveglianza, e non già di liquidazione.
9.8. – Il che porta ad evidenziare, per completezza d’indagine, come il disposto dell’art. 5 d.m. 30/2012 abbia creato un’ulteriore irragionevolezza là dove, ai commi 1 e 3, equipara i criteri di determinazione del compenso tra il commissario giudiziale di un concordato preventivo liquidatorio e il liquidatore del medesimo concordato, nonostante le loro attività siano oggettivamente diverse (v. Cass. n. 7973 del 2016, per cui «è ragionevole che il tribunale riconosca al commissario giudiziale somme maggiori rispetto a quelle attribuite al liquidatore, posto che l'attività espletata dal primo prende avvio già dal decreto di ammissione alla procedura ex art. 163 legge fall. e si protrae anche dopo l'omologa del concordato, dovendo egli sorvegliarne l'adempimento ex art. 185 legge fall., mentre il ruolo del liquidatore è necessariamente ristretto alla sola fase esecutiva del concordato, successiva rispetto all'omologa della proposta»; cfr. Cass. n. 6806 del 2021, per cui commissario giudiziale e liquidatore giudiziale sono organi che «svolgono attività di differente natura e consistenza nell'ambito della procedura per un lasso di tempo non coincidente»). A ben vedere, infatti, solo per il liquidatore ha senso fare riferimento all’attivo realizzato, rientrando tale attività nei suoi compiti, mentre il commissario giudiziale non ha il compito di realizzare l’attivo, bensì solo di sorvegliare la fase esecutiva del concordato. Da ultimo, e sempre per completezza, si evidenzia che il richiamo dell’art. 5, comma 3, d.m. cit. ai criteri stabiliti dall’art. 1 per il compenso del curatore fallimentare, avuto riguardo non solo al comma 1 (che fa riferimento all’ammontare dell’attivo realizzato dalla liquidazione), ma anche al comma 2 (che riguarda l’ammontare del passivo risultante dall’inventario), integra un’ulteriore irragionevolezza del d.m. 30/2012, come detto segnalata in dottrina già all’indomani della sua emanazione, poiché, a differenza del curatore, il liquidatore non procede affatto alla verifica dei crediti, che rientrano nella sua sfera di attività ai più limitati fini, di stampo prettamente operativo, della ripartizione dell’attivo.
10. – Alla luce di quanto precede, ritiene questo collegio che, per porre rimedio agli aspetti di irragionevolezza e disparità di trattamento rinvenuti nell’art. 5 del d.m. 30/2012, nella parte in cui fissa, nei primi due commi, due diversi criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale, a seconda della tipologia di concordato preventivo, sia necessario disapplicare le disposizioni in questione – perché´inficiate da eccesso di potere e violazione di legge per contrasto col principio di ragionevolezza e di uguaglianza – seguendo, in loro vece, il criterio unitario sopra indicato, con i correttivi evidenziati. Si tratta, per vero, di un’operazione ermeneutica che risulta essere stata già seguita, nell’ultimo decennio, da vari giudici di merito, ma sulla quale questa Corte non ha ancora avuto modo di pronunciarsi.
10.1. – Invero la Corte costituzionale, con ordinanza n. 484 del 1993, ha già chiarito che l'art. 39 legge fall., prevedendo che il compenso al curatore fallimentare e (per il tramite dell’art. 165 legge fall.) al commissario giudiziale preposto al concordato preventivo sia liquidato secondo le norme stabilite con decreto ministeriale, opera un rinvio formale (e non già materiale) alla fonte regolamentare, e quindi non modifica la natura di quest'ultima, né conferisce forza di legge alle sue disposizioni. Perciò, la disciplina di tali compensi – in quanto contenuta in un atto sprovvisto di forza di legge – è insuscettibile di formare oggetto di questione di costituzionalità innanzi alla Consulta, mentre l'eventuale contrasto di detta disciplina con l'art. 3 Cost. può essere accertato incidentalmente dal giudice ordinario, al fine della disapplicazione della norma regolamentare.
10.2. – Proprio con riguardo all’analoga disapplicazione del precedente d.m. n. 570 del 1992 sulla liquidazione del compenso al commissario giudiziale per violazione dell'art. 3 Cost., di cui sopra si è dato conto, le sezioni unite di questa Corte hanno osservato che «il sindacato del giudice ordinario sull'atto amministrativo, ai soli fini della sua disapplicazione al caso concreto, non è limitato alla mera violazione di legge, ma si estende anche all'accertamento del vizio di eccesso di potere, non comportando tale controllo l'esame delle ragioni di opportunità e di merito (rientranti nei poteri della P.A., incensurabili da parte dell'A.G.O.), bensì l'accertamento circa il rispetto di quei criteri generali ed astratti che debbono presiedere all'esercizio dei poteri peculiari della P.A. Pertanto, l'atto amministrativo può essere legittimamente disapplicato dal giudice ordinario per dedotta violazione dell'art. 3 Cost., che, costituendo un principio generale di diritto condizionante l'intero ordinamento nella sua obiettiva struttura ed esprimendo un generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo, individua proprio l'eccesso di potere dell'organo amministrativo, il quale, se non si uniforma a tale principio, finisce per eccedere i limiti della propria competenza (Cass., Sez. U, n. 4670 del 1997; conf. Cass., n. 26897 del 2020).
10.3. – Ritiene allora questo collegio, in ragione dei profili di irragionevolezza sopra evidenziati, che l’art. 5 d.m. 30/2012 debba essere disapplicato laddove, nel primo e secondo comma, differenzia i criteri di liquidazione, con conseguente esclusione di ogni riferimento all’attivo realizzato e applicazione in tutti i casi del criterio dell’attivo inventariato. La presumibile maggiore onerosità di un concordato in continuità (“puro” o “misto”), dovuta al lavoro aggiuntivo che il commissario giudiziale di una simile procedura deve svolgere per controllare le modalità di esercizio dell’attività di impresa ed evitare il rischio che la stessa diventi dannosa per i creditori, potrà essere apprezzata all’interno del range esistente fra i minimi e i massimi di tariffa, tenendo conto della natura dell’attività svolta nel concreto e della possibilità di scendere anche al di sotto di detti minimi, così come del minimo assoluto, in caso di cessazione anticipata della procedura.
10.4. – Ne resta corroborata la necessità di ancorare la liquidazione del compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo all’apprezzamento circa la concreta ed effettiva natura, qualità e quantità dell’opera prestata, e con essa anche l’orientamento consolidato di questa Corte per cui il tribunale investito della relativa richiesta è tenuto a strutturare il provvedimento di liquidazione in termini specifici e puntuali (cfr. ex multis, Cass. n. 3871 del 2020, Cass. n. 26894 del 2020, Cass. n. 6806 del 2021) onde dar conto, con la dovuta precisione, anche delle ragioni che hanno condotto all’individuazione del compenso all’interno dei margini previsti dalla legge, ovvero di scendere al di sotto sia dei minimi relativi, che del minimo assoluto.
10.5. – La divisata disapplicazione dell’atto regolamentare in questione esclude la necessità di confrontarsi con i precedenti di questa Corte, evocati dal P.G., nei quali si è deciso sulla scorta dell’inequivocabile tenore letterale dell’art. 5 del d.m. 30/2012 (v. Cass. n. 4711 del 2021, Cass. n. 21221 del 2021 e Cass. n. 33364 del 2021). 11. – In conclusione, vengono fissati i seguenti principi di diritto: “In tema di concordato preventivo, i criteri stabiliti con il decreto del Ministro della giustizia cui rinvia l’art. 39, comma 1, legge fall., richiamato dall’art. 165 legge fall. e applicabile ratione temporis (attualmente, il d.m. 25 gennaio 2012, n. 30) si applicano anche alla determinazione del compenso spettante al commissario giudiziale nominato ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fall.” “Ai fini della determinazione del compenso unico spettante al commissario giudiziale per l’attività svolta nelle due fasi ante e post omologa, così come nella eventuale fase preconcordataria, va disapplicato, per irragionevolezza e disparità di trattamento, l’art. 5, commi 1 e 2, del d.m. n. 30 del 2012, là dove distingue tra attivo realizzato e inventariato a seconda di due gruppi eterogenei di tipologie di concordato, dovendosi invece fare riferimento,in tutti i casi,all’attivo inventariato”. “In caso di cessazione anticipata della procedura concordataria, anche nella fase pre-concordataria, in assenza di redazione dell’inventario da parte del commissario giudiziale, i valori di attivo e passivo vanno tratti dalla documentazione acquisita alla procedura, e in particolare, ai fini del passivo, dall’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti» (come eventualmente verificato e rettificato dal commissario giudiziale ai sensi dell’art. 171 legge fall.) e, ai fini dell’attivo, dall’ultimo bilancio (come eventualmente rettificato dallo stesso commissario) – nonché, per le imprese non soggette all’obbligo di redazione del bilancio, dalla dichiarazione dei redditi e dichiarazione IRAP concernenti l’ultimo esercizio – oppure, se più aggiornata e adeguata, dalla situazione finanziaria dell’impresa depositata mensilmente dal debitore e sottoposta a verifica del commissario giudiziale (art. 161, comma 8, legge fall.), o infine dal piano concordatario, se già depositato dal debitore.” “In tutti i casi di cessazione anticipata dell’incarico, prima che la procedura concordataria giunga a compimento, la determinazione del compenso al commissario giudiziale si effettua «tenuto conto dell’opera prestata», ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.m. n. 30 del 2012 (richiamato dall’art. 5, comma 5, d.m. cit.), secondo un criterio di proporzionalità del compenso rispetto alla natura, qualità e quantità dell’opera prestata, che consente di ridurre lo stesso anche al di sotto delle percentuali minime previste dall’art. 1, d.m. cit. (richiamate dallo stesso art. 5) e finanche al di sotto del compenso minimo previsto dall’art. 4, comma 1, d.m. cit.”.
12. – Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio al Tribunale di Benevento, in diversa composizione, il quale dovrà decidere la causa attenendosi ai principi sopra fissati, oltre a provvedere sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Benevento, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del14/03/2023.