1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della l. 31 luglio 2000, n. 212, dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell'art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e dell'art. 24 Cost.
La sentenza d'appello è sottoposta a critica nella parte in cui ha escluso la nullità degli atti impositivi per contraddittorietà della motivazione.
La ricorrente evidenzia al riguardo che gli atti impositivi, al pari di ogni provvedimento amministrativo, devono indicare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione e che, su tale base, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto la nullità degli atti dai quali non sia dato evincere, in termini di sufficiente determinatezza, la motivazione della pretesa impositiva, estendendo tale sanzione anche alle ipotesi di motivazione contraddittoria.
Rileva, pertanto, l'erroneità della sentenza impugnata laddove, nel richiamare la valutazione dei giudici di primo grado, non ha ritenuto la nullità degli avvisi di accertamento pur reputandoli affetti da «scarsa coerenza» e «scarsa rigorosità motivazionale».
2. Il secondo mezzo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (conv. in l. n. 44 del 2012), 83 e 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (d'innanzi: t.u.i.r.).
La ricorrente, muovendo dal rilievo in base al quale la sentenza d'appello ha ritenuto la non deducibilità dei costi in quanto relativi a prestazioni soggettivamente inesistenti, osserva che tale ultima circostanza è invece ininfluente ai fini della deducibilità; richiama, in tal senso, il principio di diritto già affermato da questa Corte e successivamente sancito dal legislatore con l'art. 8 del d.l. n. 16 del 2012 (applicabile ratione temporis anche ai fatti di causa), a mente del quale la non deducibilità dei costi connessi a fattispecie penalmente rilevanti opera nel solo caso, qui non sussistente, di spese per beni o prestazioni direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
3. Infine, con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1, commi 2 e 4, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, come novellato dall'art. 15, comma 1, lett. a), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, dolendosi del fatto che i giudici d'appello non abbiano operato una riduzione delle sanzioni irrogate nonostante la sopravvenienza di una normativa più favorevole.
4. Il primo motivo è fondato.
4.1. Per il profilo della vicenda interessato dalla censura, la sentenza impugnata si regge su una duplice argomentazione.
Per un verso, infatti, i giudici d'appello hanno affermato che nessuna norma di legge farebbe discendere la nullità di un atto impositivo dalla contraddittoria motivazione dello stesso; per altro verso, ed in ogni caso, essi hanno escluso che un tale vizio sussista nella specie, concordando con il rilievo della commissione di prime cure, secondo la quale gli avvisi impugnati erano caratterizzati da «scarsa rigorosità motivazionale», ma comunque non tali da poter essere ritenuti affetti da motivazione contraddittoria.
4.2. Entrambi gli argomenti non possono essere condivisi.
La motivazione dell'atto impositivo, al pari di quella di ogni provvedimento amministrativo, è funzionale alla salvaguardia delle garanzie di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che devono connotare l'azione dell'Amministrazione, da ricondurre, a loro volta, alle esigenze di razionalità e non arbitrarietà del potere discrezionale, riconosciute dall'art. 97, comma secondo, della Costituzione.
Per altro verso, e nell'ottica del destinatario dell'atto, la motivazione è anche strumentale alla comprensione del percorso decisionale dell'autorità, in vista della possibile impugnazione, in termini riconducibili ai diritti riconosciuti dagli artt. 24 e 103 Cost.
In quest'ultimo senso, la motivazione dell'atto impositivo assume una connotazione rilevante anche per il giudice dell'eventuale contenzioso sullo stesso, poiché costituisce il principale, se non l'unico, elemento utilizzabile ai fini del relativo sindacato.
Di conseguenza, se è ben possibile che un atto impositivo sia fondato su motivazioni concorrenti - utilizzate dall'Erario nell'ottica di una complessiva connotazione della condotta del contribuente posta a monte della pretesa - è tuttavia necessario che, in tal caso, il ricorso ad una pluralità di ragioni non frustri l'esigenza di rispettare il vincolo funzionale al quale è destinato l'obbligo di motivazione.
4.3. Questa Corte, in proposito, ha più volte evidenziato che l'avviso di accertamento non può essere supportato da motivazione contraddittoria, poiché in tal caso esso non consente al contribuente di avere certezza degli elementi fondanti le ragioni della pretesa; e ha specificato che tale vizio si configura anche laddove vengano indicate ragioni concorrenti ma contraddistinte da assoluta eterogeneità e, come tali, inidonee a fungere da complessivo presupposto della pretesa.
Così, ad esempio, è stata ritenuta l'invalidità dell'avviso fondato con richiamo, nei suoi presupposti, tanto al principio dell'abuso del diritto quanto all'interposizione fittizia di persona, trattandosi di istituti con ambiti di applicazione differenziati (Cass. n. 18767/2020), o di quello che non indicava puntualmente il tipo di accertamento svolto, operando un riferimento indistinto agli artt. 39, comma secondo, e 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n. 22003/2014).
In continuità con tali indicazioni, è stato così chiaramente affermato che «l'avviso di accertamento è affetto da nullità laddove sia fondato su motivi d'imposizione distinti ed inconciliabili, in quanto, rispondendo la motivazione alla duplice esigenza di rispettare i principi d'informazione e collaborazione, già fissati dall'art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e, specificamente in materia fiscale, dall'art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212, e di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa, non è legittimo l'intento dell'Amministrazione di formulare una motivazione contraddittoria con funzione di "riserva", sia perché la pretesa impositiva per essere conforme a legge può basarsi su elementi concorrenti, ma non su presupposti fattuali contrastanti, sia perché l'alternatività delle ragioni giustificatrici della pretesa, lasciando l'Amministrazione arbitra di scegliere, nel corso della procedura contenziosa, quella che più le convenga secondo le circostanze, espone la controparte ad un esercizio difensivo difficile o talora impossibile» (Cass. n. 6104/2020; Cass. n. 25197/2009).
4.4. Nel ritenere che gli avvisi oggetto di controversia, in quanto caratterizzati da «scarsa rigorosità motivazionale», non fossero affetti da alcuna invalidità, la sentenza impugnata si è discostata da tali principii.
I giudici d'appello, infatti, preso atto della scelta dell'Amministrazione di affidare l'atto impositivo a una pluralità di ragioni giustificatrici, fra loro eterogenee, avrebbero dovuto accertare, in concreto, se questa avesse reso obiettivamente incerta la comprensione degli elementi fondanti la pretesa, e ciò, in particolare, avuto riguardo alla possibilità della contribuente di esplicare pienamente il proprio diritto di difesa.
Tale accertamento risulta totalmente omesso; consegue un giudizio di fondatezza della censura.
5. Poiché il primo motivo inerisce a un profilo di legittimità intrinseca degli atti impugnati, la relativa fondatezza importa l'accoglimento del ricorso senza necessità di disamina delle restanti censure, che restano assorbite.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo, il quale, decidendo in diversa composizione, si conformerà all'indicato principio, provvedendo altresì sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Trento, anche per le spese.