Giu in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non deve essere considerata come voce di costo la commissione di estinzione anticipata del finanziamento
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 14 febbraio 2023 N. 4597
Massima
In tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non deve essere considerata come voce di costo la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi. (Cass. n. 7352/2022; conf. 23866/2022)

Casus Decisus
Il Tribunale di Milano ha rigettato le domande proposte dalla omissis s.r.l. contro la Banca omissis s.p.a. (ora incorporata da omissis s.p.a.) finalizzate ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di mutuo fondiario stipulato il 6.4.2005 (portato alla sua naturale estinzione nel 2011 in seguito al tempestivo pagamento di tutte le rate previste nel piano di ammortamento) nonché la restituzione delle somme indebitamente pagate in relazione a tale contratto. In particolare, con riferimento alla doglianza del mutuatario secondo cui nel contratto era stato indicato un Indice Sintetico di Costo (o TAEG) errato, il Tribunale milanese ha affermato che, avuto riguardo all’epoca di stipula del mutuo (2005), non poteva essere invocata l’applicazione dell’attuale art. 125 bis TUB – che prevede l’ipotesi di costi inclusi in modo non corretto nel TAEG quale vizio comportante la nullità della relativa clausola e l’applicazione del tasso sostitutivo - essendo tale norma stata introdotta solo con decorrenza dal 19.9.2010. In proposito, nel testo vigente all’epoca di stipula del mutuo, l’art. 124 TUB ricollegava l’applicazione del Tasso Annuo Effettivo Globale sostitutivo solo alle ipotesi di assenza della relativa indicazione o di nullità per indeterminatezza o indeterminabilità. Ne consegue che l’erronea indicazione del TAEG da parte della banca mutuante integrava solo un inadempimento contrattuale potenzialmente suscettibile di giustificare una pretesa risarcitoria del mutuatario ove quest’ultimo avesse dimostrato che, qualora avesse saputo il dato corretto sin dall’origine, avrebbe stipulato altro contratto complessivamente più conveniente. Nel caso di specie, la parte attrice non aveva provato tale pregiudizio. Con riferimento alla doglianza di pattuizione di interessi usurari, il Tribunale di Milano ha escluso la possibilità invocata dal mutuatario di sommare, ai fini della verifica dell’usura, il tasso convenzionale pattuito per gli interessi corrispettivi con il tasso di mora e, in ogni caso, ha ritenuto l’impossibilità di raffrontare gli interessi di mora con il tasso soglia, atteso che una tale rilevazione non avrebbe un’attendibilità scientifica per difetto di omogeneità dei valori in comparazione. Inoltre, il Tribunale di Milano ha ritenuto che ai fini dell’accertamento della fattispecie usuraria non si deve tenere conto della penale pattuita in caso estinzione anticipata del rapporto, non trattandosi di un onere collegato all’erogazione del credito ma alla risoluzione del rapporto. Infine, il giudice di primo grado ha ritenuto la validità della clausola di salvaguardia inserita in contratto. Con ordinanza ex art. 348 bis e ter cod. proc. civ., la Corte d’Appello di Milano, ritenendo che l’appello non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto, lo ha dichiarato inammissibile. Avverso la sentenza di primo grado (essendo questa, a norma dell’art. 348 ter comma 3° cod. proc. civ., il provvedimento impugnabile in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello) ha proposto ricorso per cassazione la omissis, affidandolo a sei motivi. Omissi s.p.a. ha resistito in giudizio con controricorso. La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 14 febbraio 2023 N. 4597 Giacinto Bisogni

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 644 comma 1° cod. pen., 1421 cod. civ., L. 108/1996b e 121 TUB. Lamenta la ricorrente che ai fini del computo del TAEG occorre tenere conto di ogni onere, spesa, commissione, interesse collegato alla erogazione del credito, a qualsiasi titolo convenuto. Ne consegue che tra i costi da considerare ai fini della verifica della usurarietà del finanziamento rientra anche la penale pattuita in ipotesi di estinzione del mutuo.

2. Il motivo è infondato.

Questa Corte (vedi Cass. n. 7352/2022; conf. 23866/2022) ha recentemente enunciato il principio di diritto – cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui, in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non deve essere considerata come voce di costo la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 L 108/96, nonché la violazione dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. per manifesta ed irriducibile contraddittorietà. Sostiene il ricorrente che, ai fini della verifica della usurarietà del finanziamento, tra i costi, commissioni, oneri, spese di cui si deve tenere conto rientrano anche quelli derivanti dalla pattuizione del tasso di mora. Lamenta, altresì, che il Tribunale di Milano è incorso in un’irriducibile contraddittorietà nell’affermare, da un lato, che il tasso moratorio deve essere contenuto nei limiti del tasso soglia antiusura, e, dall’altro, che è impossibile verificare l’usurarietà del tasso moratorio in assenza del tasso soglia cui parametrarlo.

4. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Questa Corte (vedi Cass. n. 1818/2021) ha recentemente enunciato il principio di diritto secondo cui “In tema di mutuo, la parte mutuataria non ha interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori, allorché manchino i presupposti della mora per avere l'obbligato adempiuto al pagamento di tutti i ratei, di modo che possa escludersi che possano trovare applicazione detti interessi”. La predetta sentenza non ha fatto altro che esplicitare un principio già evincibile dalla recentissima sentenza delle Sezioni Unite n. 19597/2020 (vedi punto VI, pag. 29 e 30). In particolare, se è pur vero che le Sezioni Unite hanno ritenuto che, ove il mutuatario domandi la nullità della clausola sugli interessi moratori “in corso di svolgimento del rapporto”, lo stesso ha un interesse ad agire (rispondendo tale interesse ad un’esigenza di certezza del diritto in ordine alla validità ed efficacia di una clausola che gli potrebbe essere applicata), tuttavia, è stato anche precisato che, in tale ipotesi, se il finanziato ottenga sentenza di nullità della clausola, ciò non vuol dire che, da quel momento, egli potrà non adempiere e pretendere che nessun interesse gli sia applicato e comunque, ove sia realizzato l’inadempimento “rileva unicamente il tasso che di fatto sia stato richiesto ed applicato al debitore inadempiente; cade l’interesse ad agire per l’accertamento della eventuale illegittimità del tasso astratto non applicato….”. Il ragionamento con cui le Sezioni Unite hanno ritenuto che, nel contratto di mutuo ancora in corso di svolgimento, ciò che rileva in concreto, in caso di inadempimento, non è il tasso di mora pattuito (e non applicato), ma quello effettivamente applicato, deve, a maggior ragione, trovare applicazione nell’ipotesi, quale quella di specie, in cui il rapporto si sia ormai estinto e non si sia verificato l’inadempimento: costituendo l’inadempimento il presupposto per l’applicazione degli interessi moratori, ove vi sia certezza che l’inadempimento non si verificherà mai per essere sempre state onorate tempestivamente le rate di mutuo fino all’estinzione del rapporto (avvenuta nel caso di specie nel lontano 2011), il mutuatario non avrà nessun interesse a far accertare l’usurarietà di un tasso che gli non potrà mai essere applicato. Tali considerazioni hanno natura assorbente rispetto a tutte le doglianze svolte dal ricorrente nel secondo motivo.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 117 TUB e della delibera CICR 4.3.03. Il ricorrente lamenta che il giudice di primo grado, nonostante la discrasia tra l’indicatore di costo ISC pubblicizzato, pari al 3,731 %, e quello effettivamente applicato dalla Banca, pari al 3,978 %, non ha ritenuto di sanzionare la condotta dello stesso istituto di errata indicazione di tale voce con la comminatoria di nullità ai sensi dell’art. 117 comma 6 TUB.

6. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che l’indicatore sintetico di costo (ISC) è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla deliberazione del CICR del 4.3.2003, che ha demandato alla Banca d’Italia il compito di individuare “le operazioni e i servizi per i quali … gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia“. Tale indice rappresenta un valore medio espresso in termini percentuali che svolge una funzione informativa, finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi, di rendere il cliente edotto dell’effettiva onerosità dell’operazione. Proprio perché svolge una mera funzione di pubblicità e trasparenza, l’ISC non costituisce un tasso di interesse, un prezzo o una condizione economica direttamente applicabile al contratto; non rientra nelle nozioni di “tassi, prezzi e condizioni” cui esclusivamente fa riferimento l’art. 117 comma 6 TUB”. D’altra parte, la sanzione della nullità per la mancata o non corretta indicazione dell’ISC/TAEG è prevista esclusivamente per il caso del credito al consumo, nell’ambito della cui disciplina l’art. 125 bis comma 6 TUB (peraltro entrato in vigore effettivamente solo nel 2010 e quindi successivamente alla stipula del contratto di mutuo di cui è causa) prevede che “Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell’articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall’articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto“. Ne consegue che, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, l’unico rimedio di cui può avvalersi il mutuatario, al quale siano state applicate condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate dalla banca, è di natura risarcitoria (sempre che il mutuatario sia in condizione di provare di aver subito un pregiudizio nonché il nesso di causalità tra condotta scorretta della banca e danno). Ciò in quanto l’erronea indicazione dell’ISC, integrando la violazione di una regola di condotta della banca (dovere di informazione trasparente delle condizioni del contratto di mutuo applicate alla clientela), non incide sulla validità del contratto (vedi S.U. n. 26724/2007) e può quindi dar luogo soltanto a responsabilità precontrattuale o contrattuale.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 cod. civ., per avere ritenuto valida la c.d. clausola di salvaguardia prevista dal contratto di mutuo all’art. 8 delle “norme generali”. Ad avviso del ricorrente, una tale clausola è nulla in quanto tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari previsto dall’art. 1815, comma 2 cod. civ. à

8. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 26286/2019; Conf. 41284/2021) ha già più volte enunciato il principio di diritto secondo cui la clausola di salvaguardia, che ha la finalità di assicurare che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell'usura c.d. "oggettiva", “non presenta profili di contrarietà a norme imperative, essendo, al contrario, volta ad assicurare l'effettiva applicazione del precetto d'ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari, né ha carattere elusivo, poiché il principio d'ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto”.

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 61 e 132, comma 2 n. 4 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’Appello ammesso la consulenza tecnica d’ufficio.

10. Il motivo è assorbito in conseguenza della declaratoria di inammissibilità e/o infondatezza dei precedenti motivi.

11.Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente che sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello l’hanno condannata al pagamento delle spese giudiziali pur in presenza di evidenti oscillazioni giurisprudenziali che hanno creato oggettiva incertezza nell’interpretazione ed applicazione della normativa antiusura.

12. Il motivo è inammissibile. Va osservato che è principio consolidato di questa Corte di legittimità che il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (vedi Cass. n. 19613 del 04/08/2017). Nel caso di specie, la società ricorrente è risultata incontestabilmente soccombente su tutte le questioni sottoposte all’esame dei giudici di merito, con la conseguenza che la statuizione di condanna dell’istituto al pagamento delle spese di lite non è sindacabile in sede di legittimità. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 13.12.2022