Giu Questione di legittimità: clausola 5 “Misure di prevenzione degli abusi” dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio n. 1999/70/CE
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 27 aprile 2023 N. 11037
Massima
La Sezione Lavoro ha chiesto, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, alla Corte di Giustizia di pronunziarsi, in via pregiudiziale, sulle seguenti questioni di interpretazione del diritto dell’Unione:

a) se la clausola 5 “Misure di prevenzione degli abusi” dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio n. 1999/70/CE, debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella italiana di cui agli artt. 2, comma 1, della l. n. 1023 del 1969 e 1 del d.m. 20 dicembre 1971, che autorizza, ai sensi dell’art. 7 del d.m. 20 dicembre 1971, il conferimento a personale civile estraneo all’Amministrazione dello Stato di incarichi di insegnamento nelle materie non militari presso le scuole, gli istituti e gli enti della Marina e dell’Aeronautica militare “per la durata massima di un anno scolastico”, senza prevedere: l’indicazione di ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo di detto incarico, come espressamente previsto all’art. 4 del sopraindicato d.m.; la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero massimo dei rinnovi; le misure risarcitorie per tali docenti per i danni eventualmente subiti in caso di reiterazione nella stipula di detti contratti insegnamento, peraltro impossibile la loro stabilizzazione in mancanza di un ruolo in dette scuole;

b) se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della citata clausola 5, punto 1, le esigenze di organizzazione del sistema degli istituti, scuole ed enti della Marina e dell’Aeronautica militare, sicché la normativa italiana innanzi richiamata - che per il conferimento di incarichi di docenza a personale estraneo a detti istituti, scuole ed enti militari, non stabilisce condizioni per ricorrere al lavoro a termine in coerenza con la Direttiva 1999/70/CE e l’allegato Accordo quadro e non prevede il diritto al risarcimento del danno - è compatibile con il diritto dell’Unione europea.

Casus Decisus
A. – L’ oggetto del procedimento e i fatti rilevanti. 1. Il lavoratore agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti del Ministero della difesa. Esponeva di avere svolto attività di insegnamento delle materie non militari: dell’elettronica e delle telecomunicazioni, presso Reparto Tecnico Operativo dell’Aeronautica Militare, in forza di convenzioni (a far data dal 1987), rinnovate di anno in anno, e dal 2004 di semestre in semestre, fino al 2007. Chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità dei termini apposti ai suddetti contratti di lavoro che erano intercorsi con il Ministero della difesa e il ristoro del danno. 2. Il Tribunale accoglieva la domanda: affermava che tra le parti erano intercorsi nella sostanza rapporti di lavoro subordinato e, ritenendo l’illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), pubblicato sulla G.U. n. 235 del 9 ottobre 2001, per la mancanza della specificazione in essi delle ragioni tecnico organizzative, sostitutive o produttive che avrebbero dovuto legittimare l’apposizione dei termini, secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 368 del 2001. Il Tribunale condannava il Ministero della difesa al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), pubblicato sulla G.U. n. 106 del 2001, che quantificava in 15 mensilità di retribuzione. 3. La sentenza del Tribunale veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Roma dal Ministero della difesa, che sosteneva che tra le parti era ntercorso un rapporto di lavoro autonomo in ragione delle convenzioni stipulate tra il lavoratore ed esso Ministero, e non un rapporto di lavoro subordinato. Alla fattispecie non era applicabile – proseguiva il Ministero appellante - il decreto legislativo n. 368 del 2001, che aveva dato attuazione alla direttiva 1999/70/CE, in quanto l’insegnamento nelle materie non militari presso le Scuole militari era disciplinato dalla legge 15 dicembre 1969, n. 1023 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica), pubblicata sulla G.U. n. 6 del 1970, e dal Decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro per il tesoro e il Ministro per la pubblica istruzione, adottato in data 20 dicembre 1971 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica), pubblicato sulla G.U. n. 322 del 1973, che consentivano di affidare l’insegnamento a docenti esterni con incarichi annuali. Il Ministero contestava il risarcimento del danno. 4. La Corte d’Appello ha accolto in parte l’appello proposto dal Ministero della difesa. 4.1. Il giudice di secondo grado, infatti, ha confermato la sentenza del Tribunale in ordine alla sussistenza di rapporti di lavoro subordinato tra il docente e il Ministero della difesa, atteso che, in mancanza di una espressa indicazione della qualificazione del rapporto, nelle convenzioni che erano state allegate, le pattuizioni intercorse tra le parti – che prevedevano l’attribuzione al docente della 13^ mensilità, delle ferie retribuite, del TFR e degli assegni del nucleo familiare e del versamento dei contributi previdenziali – deponevano per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. 4.2. La Corte d’Appello ha riformato la sentenza del Tribunale, accogliendo il relativo motivo di appello proposto dall’Amministrazione, affermando l’inapplicabilità del decreto legislativo n. 368 del 2001 in quanto la fattispecie era disciplinata dalla normativa speciale dettata dalla legge n. 1023 del 1969, su cui non aveva inciso detto decreto legislativo. La Corte d’Appello ha affermato, in proposito, che la disciplina speciale della legge n. 1023 del 1969 trovava fondamento nella particolare natura delle Scuole della Marina e dell’Aeronautica militare e nelle specifiche competenze dei docenti esterni concretamente impiegati, atteso che occorrevano conoscenze spesso mutevoli e diversificate e sottoposte a continui aggiornamenti per i mutamenti di tecnologie e dotazioni militari adottate nello specifico campo. A ciò conseguiva l’infondatezza della pretesa risarcitoria del lavoratore. 5. Il docente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza emessa tra le parti dalla Corte d’Appello di Roma, con i quali ha esposto le seguenti argomentazioni. Poiché si era in presenza di rapporti di lavoro subordinato, che si erano succeduti per diversi anni, non poteva trovare applicazione la legge n. 1023 del 1969, che disciplinava convenzioni aventi ad oggetto collaborazioni autonome della durata massima di un anno. I rapporti di lavoro intercorsi tra il docente e il Ministero della difesa erano di natura subordinata, come emergeva dalla volontà negoziale delle parti, e dunque agli stessi andavano applicati il d.lgs. n. 368 del 2001 e l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001. Peraltro, le convenzioni non contenevano alcun riferimento alla legge n. 1023 del 1969. Infine il docente ha dedotto che la legge n. 1023 del 1969 non esclude l’applicazione del decreto legislativo n. 368 del 2001. 6. Il Ministero ha resistito con controricorso con cui ha chiesto il rigetto del ricorso ed ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale per la cassazione della sentenza di appello, articolato in un solo motivo, con cui ha contestato che tra le parti siano intercorsi rapporti di lavoro subordinati a termine. Il lavoratore ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.  Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi, conclusioni che ha poi confermato nella udienza pubblica

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 27 aprile 2023 N. 11037 A. Manna

B. – Disposizioni rilevanti

B.1. – Diritto nazionale

7. I contratti per cui è causa si sono succeduti dal 1987 al 2007, nella vigenza della legge n. 1023 del 1969, che all’art. 2, comma 1, prevede: “1. All’insegnamento delle materie non militari presso le scuole, gli istituti e gli enti elencati nel primo comma dell’articolo 1 si può provvedere, mediante convenzioni annuali, con personale incaricato tratto dagli insegnanti di ruolo o non di ruolo abilitati di istituti e scuole statali, previo nulla osta del Ministero della pubblica istruzione, nonché dai magistrati ordinari, amministrativi e militari e dagli impiegati civili dell’amministrazione dello Stato in attività di servizio, ovvero con personale incaricato estraneo all’amministrazione dello Stato. Gli insegnanti di ruolo, impegnati nell’insegnamento di cui all’articolo 1 per tutto l’orario scolastico, possono essere impiegati anche nella posizione di comando”. Il comma 2 della suddetta legge ha rimesso ad un successivo Decreto Ministeriale di stabilire i criteri e le modalità per la scelta dei docenti e per la determinazione dei compensi. La legge n. 1023 del 1969, successivamente ai fatti di causa, ha costituito oggetto di abrogazione espressa da parte dell’art. 2268, comma 1, n. 629, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), pubblicato nella G.U. n. 106 del 2010. Il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, all’art. 1531 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti delle Forze armate), comma 1, comunque, contiene disposizione per certi versi analoga a quella abrogata, laddove prevede ancora, sia pure in via residuale, la possibilità di conferire incarichi di insegnamento delle materie non militari mediante convenzioni annuali stipulate con personale estraneo all’Amministrazione dello Stato, specificamente incaricato.

8. Il D.M. 20 dicembre 1971, adottato in attuazione della legge n. 1023 del 1971, all’art.1 prevede: “All’insegnamento delle materie non militari presso le scuole, gli istituti ed enti della Marina e Aeronautica, di cui alla legge citata nelle premesse, si può provvedere, mediante convenzioni annuali, con personale incaricato tratto dagli insegnanti di ruolo o non di ruolo abilitati di istituti e scuole statali, previo nulla osta del Ministero della pubblica istruzione, nonché da magistrati ordinari, amministrativi e militari e dagli impiegati civili dell’amministrazione dello Stato in attività di servizio, ovvero con personale incaricato estraneo all’amministrazione dello Stato. Gli insegnanti di ruolo, impegnati nell’insegnamento di cui alla predetta legge per tutto l’orario scolastico, possono essere impiegati anche nella posizione di comando”. All’art. 4: “La retribuzione prevista dall’art. 3 del presente decreto è ridotta di un terzo per il secondo incarico conferito ad un insegnante estraneo”. All’art. 6, il medesimo D.M. sancisce che: “Al personale incaricato estraneo all’amministrazione dello Stato, cui viene conferito un incarico per l’intero anno scolastico, e limitatamente al periodo dell’effettiva prestazione, spettano, gli assegni accessori e il trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza previsti per gli insegnanti incaricati degli istituti e delle scuole dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione”. All’art. 7. il D.M. sancisce: “Gli incarichi di insegnamento sono disposti per la durata massima di un anno scolastico”. Anche il D.M. 20 dicembre 1971 è stato abrogato, come stabilito dall’art. 2269, comma 1, n. 204, del d.lgs. n. 66 del 2010.

9. L’articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, nel testo che viene in rilievo ratione temporis, ha posto la prescrizione generale, in particolare in attuazione della clausola 3 dell’Accordo quadro, secondo cui è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. L’art. 4 del medesimo decreto legislativo, nel regolare la “Disciplina della proroga”, stabiliva, al comma 1, che “Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. Il comma 2, a sua volta prevedeva che: “L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro”. Il successivo art. 5, a sua volta, stabilisce, al comma 4 che “Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”.

10. L’art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevedeva che “Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa (…)”. Il comma 1-bis, ha previsto: “Le amministrazioni possono attivare i contratti di cui al comma 1 solo per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea (…)”.

Infine, il comma 2, stabilisce che “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

11. Dunque, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, si può ricorrere al rapporto di lavoro a termine solo per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali. Occorre considerare che, poiché nel pubblico impiego un rapporto di lavoro a tempo determinato in violazione di legge non è suscettibile di conversione in rapporto a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall’art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto non è stato modificato dal d.lgs. n. 368 del 2001, ne consegue che, in caso di violazione di norme poste a tutela dei diritti del lavoratore, in capo a quest’ultimo, essendo preclusa la conversione del rapporto, sussiste solo il diritto al risarcimento dei danni subiti.

B.2. – La giurisprudenza interna.

12. Sulla qualificazione dei rapporti di lavoro tra docente e Ministero della difesa posti in essere ai sensi della legge n. 1023 del 1969, questa Corte (Sezione Lavoro, ordinanza n. 12361 del 23 giugno 2020), ha avuto modo di affermare che «già secondo il Consiglio di Stato (sez. IV, 23 gennaio 1992, n. 96) i docenti incaricati sulla base di convenzione annuale ai sensi della legge n. 1023 del 1969 sono da ritenere pubblici impiegati, stante l’assoluta similitudine rispetto agli incarichi propri dei professori della scuola pubblica, pacificamente di natura subordinata, nonché l’osservanza di un orario settimanale, la previsione dell’applicazione del trattamento di previdenza e quiescenza degli insegnanti statali e la soggezione, nel concreto del caso in quella sede esaminato, a direttive della P.A.; tale impostazione va qui condivisa, per i riscontri che essa ha nel tenore della legge n. 1023 del 1969 e del relativo provvedimento attuativo, tra cui appunto la prestazione dell’attività sulla base di un orario, l’inserimento pieno nell’organizzazione lavorativa altrui, la remunerazione secondo le regole proprie del lavoro dipendente (v. assegni c.d. accessori e indennità di quiescenza) e la soggezione al medesimo regime di assistenza e previdenza dei docenti della scuola pubblica; del resto, questa Corte ha anch’essa delineato una definizione di pubblico impiego che va al di là della comune evenienza del rapporto privatizzato di cui al d. lgs. 165 del 2001, per abbracciare fattispecie eventualmente munite di connotazioni spurie e dunque almeno in parte destinatarie discipline speciali». Quindi, come già statuito dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, il rapporto di lavoro che si instaura, sulla base di convenzioni annuali, con il personale estraneo all’Amministrazione pubblica, per la docenza presso le scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica militare, di cui alla legge n. 1023 del 1969, ha natura di rapporto di lavoro subordinato con la Pubblica Amministrazione, regolato dalle norme speciali per esso previste.

13. Quanto all’illegittima reiterazione dei contratti a termine, la Corte a Sezioni Unite civili (Cass., Sezioni Unite civili, sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016) ha affermato che, nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n. 183, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966, n. 604. La citata giurisprudenza delle Sezioni Unite civili della Cassazione è stata ritenuta compatibile con il diritto euro unitario dalla sentenza CGUE 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro.

14. Va inoltre considerato che (Cass., Sezione Lavoro, ordinanza n. 23373 del 26 luglio 2022) l’immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito costituito dall’abusiva reiterazione dei contratti a termine, a condizione che essa avvenga nei ruoli dell’Ente che ha commesso l’abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale.

B.3. –Diritto dell’Unione.

15. La clausola 3 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, prevede che “Ai fini del presente accordo, il termine «lavoratore a tempo determinato» indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”. Dunque, poiché il contratto a tempo indeterminato è la ordinaria fattispecie di rapporto di lavoro, il ricorso al contratto a termine deve essere giustificato da “condizioni oggettive”. Ciò che però maggiormente rileva, nella presente controversia, è la clausola 5 dell’Accordo quadro.

16. La clausola 5 “Misure di prevenzione degli abusi” dell’Accordo quadro, prevede: “1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”. In base a tale clausola, allo scopo di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, tranne che non vi siano ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo di tali contratti, sono tenuti ad introdurre una o più misure attuative della prevenzione degli abusi, fissando la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi o il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. Ma possono anche introdurre altre prescrizioni parimenti orientate alla prevenzione degli abusi purché siano qualificabili come “norme equivalenti”. Altresì - aggiunge la medesima clausola - è possibile una differenziazione che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, così coonestando la compatibilità comunitaria di discipline differenziate quale quella, nell’ordinamento italiano, dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (Cass., Sezioni Unite civili, n. 5072 del 2016). Nella legislazione italiana interveniva il d.lgs. n. 368 del 2001.

B.4. – La giurisprudenza della CGUE

17. La CGUE ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’allegato Accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono essere interpretati nel senso che essi si applicano anche ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (sentenze 8 settembre 2011, causa C-177/10, Rosado Santana, punto 2; 4 luglio 2006, C 212/04, Adeneler e a., punti 54 - 56; 7 settembre 2006, C 180/04, Vassallo, punto 32). Ed infatti, la definizione della nozione di «lavoratori a tempo determinato» ai sensi dell’Accordo quadro, contenuta nella clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro. Uno degli obiettivi perseguiti dall’Accordo quadro è quello di limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (CGUE, sentenza 26 novembre 2014, Mascolo e a., cause riunite C- 22/13, da C - 61/13 a C- 63/13 e C -418/13 (punto 72). Con la medesima sentenza Mascolo e a. (punto 118), con riguardo alla disciplina dei contratti a termine delle scuole statali si è affermato che “Sebbene certamente, uno Stato membro possa legittimamente, nell’attuazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, prendere in considerazione esigenze di un settore specifico come quello dell’insegnamento […] tale facoltà non può essere intesa nel senso di consentirgli di esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”. Con la sentenza CGUE 25 ottobre 2018, causa C -331/17, Sciotto, rispetto alla qualificazione giuridica delle fondazioni lirico-sinfoniche, si è ribadito che secondo una giurisprudenza costante, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro sono applicabili anche ai contratti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e enti del settore pubblico. Si può inoltre ricordare come nella sentenza della CGUE, 15 aprile 2008, causa C- 268/06, Impact, punto 70, si legge «la clausola 5, punto 1, dell’Accordo quadro, imponendo agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure elencate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti (…), assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di tali abusi, pur lasciando ad essi la scelta dei mezzi per conseguirlo». Analoghe considerazioni si rinvengono nella sentenza CGUE, 23 aprile 2009, C-378/C-380/07, Angelidaki: «rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purché tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori. Peraltro, non è possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtù della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro» (par. 196). Al punto 49 della sentenza CGUE del 7 settembre 2006, C-53/04, MarrosuSardino - che richiama il punto 105 della sentenza Adeneler - si afferma che affinché una normativa nazionale, come quella dell’ordinamento italiano controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione. 

La CGUE, con la sentenza 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro, pronunciata sul rinvio pregiudiziale promosso in relazione al rimedio risarcitorio di cui alla sentenza delle Sezioni Unite civili n. 5072 del 2016, sopra citata, ha affermato che «la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare». C. – Posizione delle parti.

18. Il docente, che ha proposto il ricorso per cassazione principale, pone la questione se la tutela dei lavoratori che hanno concluso convenzioni annuali con il Ministero della difesa per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica militare, in mancanza di una causale che legittimi l’assunzione temporanea del lavoratore protratta per più anni, risponda ai requisiti del diritto dell’Unione europea.

19. L’Amministrazione, che ha resistito al ricorso e ha proposto ricorso incidentale, obietta che non venendo in rilievo rapporti di lavoro subordinato trova applicazione la disciplina speciale di cui alla legge n. 1023 del 1969, sulla quale non ha inciso il d.lgs. n. 368 del 2001. 

20. Pur avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie sentenze sull’argomento dei contratti a termine con l’Amministrazione pubblica, appare necessario chiedere alla medesima Corte in via pregiudiziale l’interpretazione della clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE, in rapporto alla questione sottoposta a questa Corte in sede di ricorso per cassazione, poiché sussiste un dubbio circa la puntuale interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente compatibilità della normativa nazionale speciale, sopra illustrata, che viene in rilievo in relazione ad istituti, scuole ed enti militari. La questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel giudizio di cassazione, perché - come affermato dalla giurisprudenza di legittimità - i rapporti di lavoro in questione, in ragione della disciplina normativa degli stessi contenuta nella legislazione speciale sopra richiamata, costituiscono rapporti di lavoro subordinato. Pertanto, l’interpretazione richiesta a detta Corte appare necessaria a definire l’esatto significato della normativa comunitaria al fine del giudizio di legittimità in corso. E. – Le questioni sottoposte alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in via pregiudiziale. Il Collegio formula alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, i seguenti quesiti: – Se la clausola 5 “Misure di prevenzione degli abusi” dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella italiana di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 1023 del 1969, e dell’art. 1 del D.M. 20 dicembre 1971, che prevede il conferimento di incarichi annuali (ai sensi dell’art. 7 del D.M. 20 dicembre 1971 “per la durata massima di un anno scolastico”) di insegnamento nelle materie non militari presso le scuole, gli istituti e gli enti della Marina e dell’Aeronautica militare, a personale civile estraneo all’Amministrazione dello Stato, senza prevedere l’indicazione di ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo degli stessi (espressamente previsto all’art. 4 del medesimo D.M., nel prevedere una diminuzione della retribuzione per il secondo incarico), la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero massimo dei rinnovi, e senza prevedere la possibilità, per tali docenti di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo, in mancanza peraltro di un ruolo dei docenti di tali scuole, a cui accedere. – se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema degli Istituti, scuole ed enti della Marina e dell’Aeronautica militare, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella italiana sopra richiamata, che per il conferimento di incarichi di docenza a personale estraneo a detti istituti, scuole ed enti militari, non stabilisce condizioni per ricorrere al lavoro a termine in coerenza con la Direttiva 1999/70/CE e l’allegato Accordo quadro, e non prevede il diritto al risarcimento del danno.

21. La Corte di cassazione rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale indicata sopra al paragrafo E delle “Ragioni della decisione” e sospende il processo nelle more della pronuncia della CGUE. 22. Ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” della CGUE (2019/C 380/01), par. 21, dispone l’anonimizzazione dell’ordinanza di rimessione in caso di diffusione. Dispone la trasmissione alla Cancelleria della CGUE di copia dell’originale della presente ordinanza, di copia del fascicolo di causa, e di copia della presente ordinanza con i dati delle persone fisiche anonimizzati, con le modalità previste dal par. 22, dal par. 23 e dal par. 24 della Raccomandazione 2019/C 380/01.

P.Q.M.

La Corte visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’art. 295, cod. proc. civ., chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto comunitario indicata al paragrafo E delle Ragioni della decisione. Ordina la sospensione del processo e dispone che copia dell’originale della presente ordinanza, nonché copia del fascicolo di causa siano trasmessi alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea. Riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine a spese e compensi professionali del presente giudizio. Va disposta in caso di diffusione, l’anonimizzazione nei sensi di cui in motivazione, e la trasmissione alla CGUE anche di copia della presente ordinanza anonimizzata.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2023.