Giu (il tecnico autore di un progetto non conforme non ha diritto al compenso per inadempienza, anche se il progetto risulta approvato dal committente consapevole
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 16 marzo 2023 N. 8058
Massima
Ora, in tema di contratto d'opera per la redazione di un progetto edilizio, pur costituendo esso, sino a quando non sia materialmente realizzato, una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell'opera, il progettista deve certamente assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente (Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8014; Cass. Sez. 3, 09/07/2019, n. 18342).

Secondo i principi costantemente elaborati da questa Corte, l'architetto, l'ingegnere o il geometra, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, è debitore di un risultato, essendo il professionista tenuto alla prestazione di un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico, con la conseguenza che l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto affidatogli, dà luogo ad un inadempimento dell'incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, 12/02/2021, n. 3686; Cass. Sez. 2, 18/01/2017, n. 1214; Cass. Sez. 2,19/07/2016, n. 14759; Cass. Cass. Sez. 2, 06/04/2010, n. 8197; Cass. Sez. 1, 02/02/2007, n.
2257; Cass. sez. 1, 29/11/2004, n. 22487; Cass. Sez. 2, 05/08/2002, n. 11728).

Casus Decisus
(omissis) hanno proposto ricorso, articolato in dieci motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1728/2017, pubblicata il 28 agosto 2017. Al ricorso principale resistono con controricorso (omissis) e la (omissis) Ass.ni Spa, la quale ultima ha anche proposto ricorso incidentale articolato in quattro motivi. (omissis) ha notificato controricorso per resistere altresì al ricorso incidentale. La causa ebbe inizio con citazione notificata il 22 gennaio 2010 (omissis), la prima usufruttuaria e i restanti nudi proprietari del complesso immobiliare sito in località (omissis) nel comune di (omissis), i quali esposero che nel luglio 2000 (omissis) aveva conferito agli architetti (omissis) e (omissis) l'incarico di studiare, redigere ed eseguire un progetto di ristrutturazione dell'intero compendio per adibirlo ad abitazione della propria famiglia, prevedendo un collegamento coperto tra i due rustici esistenti sul fondo. Gli architetti (omissis) e (omissis) erano, dunque, nominati progettisti e direttori dei lavori, mentre come appaltatrice fu scelta la (omissis) di (omissis). (omissis) comunicò il 12 giugno 2003 l'ultimazione dei lavori, ma (omissis), rientrata in Italia dalla sua residenza di (omissis), verificò che le opere non erano state completate (non era stato realizzato il corridoio di collegamento coperto tra i due fabbricati), non erano state eseguite con la necessaria perizia e presentavano anche abusi edilizi, i quali comportarono la necessità di presentare domanda di condono, con correlato onere finanziario. Gli attori convennero pertanto gli architetti (omissis) e (omissis) dinanzi al Tribunale di Verona, domandando la risoluzione dei contratti di prestazione d'opera intellettuale, con conseguente restituzione dei compensi già versati, nonché la risoluzione del contratto di appalto con la (omissis) e la condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni. Nel costituirsi, (omissis) propose altresì domanda riconvenzionale per il pagamento delle proprie prestazioni e chiamò in causa la (omissis) Ass.ni (ora (omissis) ass.ni Spa), per essere da quella manlevato in ipotesi di accoglimento della domanda attorea. La compagnia assicurativa si costituì eccependo l'inoperatività della polizza dedotta a fondamento della chiamata in garanzia. In corso di causa intervenne una transazione tra gli attori, (omissis) e il convenuto (omissis). Assunte prove orali ed espletata una CTU, con sentenza del 1° settembre 2014 il Tribunale di Verona rigettò le domande degli attori nei confronti di (omissis), sull'assunto che questi aveva svolto soltanto l'incarico di progettista e non gli era addebitabile alcuna responsabilità per la inesecuzione dei lavori e per gli abusi edilizi. La sentenza di primo grado respinse anche per carenza di legittimazione attiva la riconvenzionale per il pagamento dei compensi svolta da (omissis), avendo questi operato nell'ambito dell'attività prestata in favore della (omissis). (omissis) fu poi condannato con la sentenza di primo grado a rifondere alla (Omissis) Ass.ni le spese di lite. Proposti gravami in via principale da (omissis) e in via incidentale dall'architetto (omissis), la Corte d'appello di Venezia ha accolto in parte tali impugnazioni, condannando il (omissis) "al pagamento in favore dei consorti (omissis) - (omissis)" della somma di Euro 62.362,79, nonché (omissis) al pagamento in favore di (omissis) della somma di Euro 87.423,41, oltre accessori ed interessi dalla domanda, ed infine la (omissis) Ass.ni a temere indenne il (omissis) per quanto lo stesso doveva pagare in forza della prima statuizione, "salvo lo scoperto di cui all'art. 19 delle condizioni generali di polizza". La Corte di Venezia ha affermato in motivazione che: 1) alla stregua della CTU, non c'era stato inadempimento del (omissis) nella progettazione, quanto in particolare alla mancata realizzazione del collegamento tra i due edifici, non essendo tale intervento consentito dalla vigente normativa; 2) la committente era a conoscenza del progetto approvato, delle opere in corso e degli abusi edilizi; 3) era invece dimostrato il mancato controllo assiduo dei lavori da parte del (omissis), avendo l'impresa appaltatrice realizzato opere difformi dai progetti approvati, ferma la concorrente responsabilità della committente e di (omissis), stimandosi nella misura del 30% quella riferibile al medesimo (omissis); 4) il (omissis) non poteva profittare della transazione conclusa fra i consorti (omissis) - (omissis) e l'architetto (omissis), anche quale rappresentate della (omissis), in quanto relativa alla sola quota di responsabilità dei contraenti; 5) il danno conseguente agli abusi edilizi da sanare ed ai difetti delle opere, dei quali il (omissis) era tenuto a rispondere sempre per la quota del 30%, doveva comunque compensarsi con il vantaggio derivante dalla maggiore volumetria assicurata, per un totale di Euro 62.362,79; 6) in assenza di grave inadempimento dell'architetto (omissis), il contratto d'opera professionale non doveva essere risolto; 7) il contratto di prestazione professionale era stato stipulato dall'architetto (omissis) in proprio, e non quale dipendente della (omissis), ed il relativo compenso doveva determinarsi in Euro 87.423,41; 8) operava la polizza assicurativa stipulata dalla (omissis), che vedeva tuttavia quale assicurato il (omissis), trattandosi di richiesta risarcitoria avvenuta il 30 novembre 2004 ed avendo la garanzia efficacia dal 17 ottobre 2003 al 17 aprile 2005, salvo lo scoperto del 10% in forza dell'art. 19 delle condizioni contrattuali. I ricorsi sono stati decisi in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8). Tutte le parti hanno presentato memorie.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 16 marzo 2023 N. 8058

Va premesso che il ricorso principale di (omissis) si sviluppa in ottantotto pagine, mentre il relativo controricorso di (omissis) si sviluppa in settantaquattro pagine, e a ciò si uniscono il controricorso e ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa, a sua volta resistito da controricorso notificato da (omissis). La particolare ampiezza degli atti di parte - pur non trasgredendo alcuna prescrizione formale di ammissibilità - collide con l'esigenza di chiarezza e sinteticità dettata dall'obiettivo di un processo celere, non essendo neppure proporzionale alla complessità giuridica o all'importanza economica delle fattispecie affrontate, secondo quanto stabilito anche nel Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria del l 17 dicembre 2015 (si veda pure Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sentenza 28 ottobre 2021 - Ricorso n. 55064/11 e altri 2 - Succi e altri contro Italia). Nella redazione della presente sentenza si farà perciò sintetico rinvio per relazione ai motivi ed agli argomenti contenuti negli atti di parte. 1.Il primo motivo del ricorso di (omissis) (pagina 17 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2236 e 2730 c.c., ovvero dei principi in materia di responsabilità professionale, ed ancora della Cost., artt. 111 comma 6 e dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per aver sostenuto la Corte d'appello che la redazione di un progetto di massima, quale quello predisposto dall'architetto (omissis), sebbene non conforme alla normativa urbanisticaedilizia, non integra inadempimento contrattuale. Si afferma che sia irriducibilmente contraddittoria la motivazione secondo cui il (omissis) non era inadempiente perché aveva avvertito che il progetto contrastava con tale normativa. Il secondo primo motivo del ricorso di (omissis) (pagina 24 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione della Cost., artt. 111 comma 6, 115, 132, comma 2, n. 4, e 244 c.p.c.. La Corte d'appello, sulla base di indizi, che non erano gravi, precisi e concordanti, ha concluso che la (omissis) aveva consentito gli abusi edilizi. Il terzo motivo del ricorso principale (pagina 42 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1665 c.c. e della Cost., artt. 111 comma 6, 115, 132, comma 2, n. 4 c.p.c.. La Corte d'appello, con una motivazione omessa e/o apparente, ha considerato irrilevante la mancata accettazione degli abusi edilizi da parte di (omissis) in sede di verifica finale dell'opera compiuta. Il quarto motivo del ricorso di (omissis) (pagina 45 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 c.p., 1218, 1223, 1227, 2232, 2236 c.c., D.P.R. n. 380 del 2001, 64, comma 5. Sarebbero stati violati i principi in materia di responsabilità del direttore dei lavori, in quanto i ricorrenti avevano incaricato l'architetto (omissis) di dirigere i lavori edilizi, curando che fossero conformi ai titoli edilizi, sicché il professionista aveva l'obbligo di impedire gli abusi edilizi e gli stessi non possono essere imputati alla (omissis). Il quinto motivo del ricorso di (omissis) (pagina 52 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1455 c.c., del D.P.R. n. 380 del 2001, 44 e 64, Cost., 111 comma 6, 115, 112 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., nonché omesso esame circa fatti decisivi. Si assume che l'inadempimento dell'architetto (omissis) riguardava obbligazioni primarie ed essenziali e integrava un illecito (abusi edilizi) perseguito dal legislatore con sanzioni penali. L'ottavo motivo del ricorso di (omissis) (pagina 74 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1460 e 2225 c.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo. Si contesta che la Corte d'appello abbia omesso di pronunciarsi sull'eccezione di inadempimento sollevata dagli attori; non abbia considerato che l'architetto (omissis) non aveva adempiuto le obbligazioni di redigere il capitolato d'appalto, con il computo metrico estimativo delle opere, e di curare la contabilità dei lavori; abbia sbagliato nell'escludere l'inesatto adempimento dell'obbligazione di redigere il progetto di massima; abbia accertato il diritto dl (omissis) all'intero compenso di Euro 87.423,41, a prescindere dalle prestazioni eseguite. Il nono motivo del ricorso di (omissis) (pagina 78 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1292, 1296 c.c. e della Cost., artt. 111 comma 6, 115, 116, 132, comma 2, n. 4 c.p.c.. I giudici di appello avrebbero violato i principi in materia di obbligazioni solidali e/o divisibili, condannando i committenti a pagare a (omissis) l'intero compenso pattuito anche con (omissis), reputando irrilevante che i ricorrenti avessero già versato un acconto a quest'ultimo, senza tuttavia spiegare le ragioni dell'irrilevanza ne l'attribuzione all'architetto (omissis) del 100% del compenso, pur avendo affermato che non era l'unico direttore dei lavori e che aveva avuto un ruolo minoritario (30%) nell'esecuzione del contratto. Il decimo motivo del ricorso di (omissis) (pagina 80 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 167, 183 e 345 c.p.c., per avere la Corte d'appello riconosciuto all'architetto (omissis) un compenso anche per prestazioni non ricomprese nella sua domanda. 1.1. Il primo, il quinto e l'ottavo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, perché connessi, e si rivelano fondati nei limiti della motivazione che segue. Il loro accoglimento determina altresì l'assorbimento del secondo, del terzo, del quarto, del nono e del decimo motivo di ricorso, i quali vertono su questioni che, per l'effetto dell'accoglimento delle precedenti censure, rimangono prive di immediata rilevanza decisoria e potranno essere valutate in sede di rinvio alla luce del complessivo riesame della causa da svolgere alla stregua dei principi che saranno enunciati e dei rilievi che saranno svolti. 1.2. Non sussiste la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., reiteratamente invocata nel ricorso principale. La sentenza della Corte d'appello di Venezia contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione; d'altro canto, la assoluta mancanza della motivazione viene smentita dalla contestuale denuncia, da parte dei medesimi ricorrenti principali, della violazione di numerose norme di diritto, violazione che suppone non un difetto di attività del giudice di secondo grado, quanto che lo stesso abbia preso in esame le questione oggetto di doglianza e le abbia, tuttavia, risolte in modo giuridicamente non corretto. 1.3. Neppure ha fondamento la ripetuta denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. Unite, 30/09/2020, n. 20867). Così come la violazione dell'art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime. 1.4. Il primo, il quinto e l'ottavo motivo del ricorso principale sono comunque volti, nella sostanza, a censurare l'erroneo esonero dell'architetto (omissis) dalla responsabilità per l'attività di progettazione. 1.5. La Corte d'appello di Venezia è pervenuta alla conclusione che l'architetto (omissis) non dovesse rispondere di inadempimento per l'attività di progettazione dell'intervento edilizio, in quanto egli aveva fatto presente alla committenza che il collegamento al piano terra tra i due edifici, seppur contemplato tra le ipotesi progettuali presentate, non era consentito dalla vigente normativa (si richiamano al riguardo la CTU e la lettera del 9 ottobre 2000, che preannunciava variazioni del progetto di massima in ottemperanza a richieste "degli Enti Autorizzanti"). Viene aggiunto in motivazione che (omissis), anche grazie al rapporto che la legava a (omissis), era a conoscenza sia del progetto che era stato approvato dall'amministrazione comunale sia degli abusi edilizi. Non di meno, (omissis) veniva condannata al pagamento del compenso in favore dell'architetto (omissis), come convenzionalmente determinato, per l'importo di Euro 87.423,41. 1.6. Ora, in tema di contratto d'opera per la redazione di un progetto edilizio, pur costituendo esso, sino a quando non sia materialmente realizzato, una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell'opera, il progettista deve certamente assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente (Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8014; Cass. Sez. 3, 09/07/2019, n. 18342). Secondo i principi costantemente elaborati da questa Corte, l'architetto, l'ingegnere o il geometra, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, è debitore di un risultato, essendo il professionista tenuto alla prestazione di un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico, con la conseguenza che l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto affidatogli, dà luogo ad un inadempimento dell'incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, 12/02/2021, n. 3686; Cass. Sez. 2, 18/01/2017, n. 1214; Cass. Sez. 2, 19/07/2016, n. 14759; Cass. Cass. Sez. 2, 06/04/2010, n. 8197; Cass. Sez. 1, 02/02/2007, n. 2257; Cass. sez. 1, 29/11/2004, n. 22487; Cass. Sez. 2, 05/08/2002, n. 11728). Rientra, perciò, nella prestazione dovuta dal tecnico incaricato della redazione di un progetto edilizio l'obbligo di assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica. Il committente ha, invero, diritto di pretendere dal professionista un lavoro eseguito a regola d'arte e conforme ai patti, sicché l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica e/o giuridica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di autotutelarsi, rifiutandogli il compenso (ovvero, ove lo stesso compenso sia stato già elargito, di chiedere la risoluzione a norma dell'art. 1453 c.c. e le discendenti restituzioni). Questa Corte ha anche precisato che il contratto di prestazione d'opera intellettuale, in base al quale sia stato progettato un edificio in tutto o in parte non conforme alla vigente disciplina edilizia, non è di per sé nullo per contrasto con le norme imperative e con l'ordine pubblico, e neanche per impossibilità dell'oggetto, essendo la prestazione cui è contrattualmente vincolato il progettista eseguibile anche dal punto di vista giuridico, in quanto la disciplina degli illeciti urbanistici preclude non le attività concettuali, come la progettazione, quanto le attività costruttive e di lottizzazione che vi diano poi esecuzione (Cass. Sez. 2, 26/09/2019, n. 24086; Cass. Sez. 2, 22/06/1996, n. 5790; Cass. Sez. 2, 29/10/1994, n. 8941). 1.7. A differenza di quanto affermato dalla Corte d'appello di Venezia, deve allora concludersi nel senso ritraibile dal principio che si enuncia: sussiste la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra, il quale, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, non assicuri la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, in quanto l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di rifiutare di corrispondergli il compenso, ovvero di chiedere la risoluzione del contratto. Né la responsabilità del professionista viene meno e può riconoscersi il suo diritto ad ottenere il corrispettivo ove la progettazione di una costruzione o di una ristrutturazione in contrasto con la normativa urbanistica sia oggetto di un accordo tra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando tale verifica al medesimo professionista, in forza della sua specifica competenza tecnica, e senza che perciò possa rilevare, ai fini dell'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 2226, comma 1, c.c., la firma apposta dal committente sul progetto redatto. 2. Il sesto motivo del ricorso principale (pagina 57 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1223, 1224, 2043, 2056, 2729 c.c., ovvero dei principi in materia di liquidazione del risarcimento del danno, nonché della Cost., artt. 111 comma 6, 112, 115, 116 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c.. In particolare, la Corte d'appello di Venezia avrebbe: 1) liquidato il danno senza aggiungere la rivalutazione monetaria e gli interessi; 2) non liquidato il costo dell'IVA pagata dagli attori ai soggetti incaricati di eliminare i vizi dell'opera; 3) omesso di esaminare il fatto decisivo che, secondo il CTU, il lucro derivante dagli abusi edilizi, per effetto della maggiore volumetria acquisita, non era di Euro 81.682,75, ma di Euro 41.915,50; 4) non spiegato perché parte dei costi sostenuti dagli attori, a titolo di compensi professionali per le pratiche di condono edilizio, non erano imputabili all'architetto (omissis) e in ragione di quale criterio di calcolo li avrebbe ridotti a Euro 15.000,00; 5) non chiarito perché aveva ritenuto che l'architetto (omissis) non era più direttore dei lavori dal 30 novembre 2004 e che l'immobile ristrutturato non era stato abitato dagli attori, né quale rilievo assumessero, al fine di escludere il risarcimento del danno per mancato godimento dell'immobile ristrutturato, le circostanze che l'architetto (omissis) non fosse più direttore dei lavori e che l'immobile ristrutturato fosse stato messo in vendita durante il processo. 2.1. Questo motivo è inammissibile agli effetti dell'art. 366, comma 1, n. 4 n. 6 c.p.c.. La Corte d'appello ha liquidato il danno in Euro 62.362,79, oltre interessi legali dalla domanda, "per equivalente" del valore dei costi sostenuti dai danneggiati in conseguenza dell'inadempimento, sulla base dei calcoli svolti nella CTU, e non si evince dalla sentenza, né dalle considerazioni svolte alle pagine 62 e 63 del ricorso principale, che tale valore non sia stato espresso in termini monetari che tenessero conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione. Le pagine da 63 a 71 del ricorso principale sono poi dirette a censurare il "secondo errore", il "terzo errore", il "quarto errore" e il "quinto errore" che avrebbero commesso i giudici d'appello nel calcolare i danni mediante continui rinvii ad atti o a documenti (citati nelle note a piè di pagine), nonché molteplici riferimenti a circostanze di fatto che si assumono erroneamente considerate nella sentenza impugnata, senza specificare, agli effetti dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., "come" e "quando" tali fatti storici fossero stati oggetto di discussione processuale tra le parti nei pregressi gradi di merito, né quali istanze fossero state svolte dai ricorrenti nei propri scritti difensivi illustrando gli scopi della relativa esibizione documentale. In ogni caso, la responsabilità risarcitoria correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale esige certamente un rapporto causale immediato e diretto fra tale inadempimento e danno. Questa limitazione - imposta dall'art. 1223 c.c. - è fondata sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata, ovvero che comunque rientri nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all'apprezzamento dell'uomo di ordinaria diligenza. È tuttavia compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti, così come, avvalendosi al riguardo dei suoi poteri di libero apprezzamento delle prove, nonché determinare la effettiva consistenza della perdita subita (danno emergente) e del mancato guadagno (lucro cessante), al netto dell'eventuale incremento patrimoniale acquisito dal danneggiato medesimo quale conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto produttivo del danno, e tali valutazioni sono insindacabili in sede di legittimità se non nei limiti di cui all'art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c.. 3. Il settimo motivo del ricorso principale (pagina 71 e ss.) denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 19, del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 29 e 64 e dei "principi in materia di giudicato (artt. 324, 329, 345, 346 c.p.c., 2909 c.c.". Si sostiene che la Corte di Venezia, "violando le norme in materia di direzione dei lavori e il giudicato del Tribunale", avrebbe ritenuto che anche (omissis) fosse stato direttore dei lavori, così riducendo la quota di responsabilità dell'architetto (omissis), sebbene il Tribunale avesse accertato, con statuizione non impugnata, che il solo (omissis) era stato direttore dei lavori. La censura richiama quanto affermato dal CTU e nella sentenza di primo grado: il (omissis) era stato il "tecnico-progettista, incaricato altresì della direzione-lavori"; (omissis) era stato, invece, il "materiale esecutore-costruttore dell'opera edile". La Corte d'appello avrebbe violato tale giudicato, attribuendo a (omissis) la misura del 40% della corresponsabilità in quanto "oltre che costruttore, era anche uno dei due direttori dei lavori", così erroneamente determinando nella misura del 30% la corresponsabilità del (omissis), benché, quale unico direttore dei lavori, la sua quota dovesse essere maggiore. 3.1. In ordine a tale motivo, deve dapprima osservarsi che l'accertamento che il (omissis) fosse stato l'unico tecnico incaricato della direzione dei lavori non configura una "parte della sentenza", agli effetti dell'art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, sicché l'appello proposto in ordine alla sussistenza ed ai imiti della responsabilità del professionista apriva il riesame del giudice del gravame sull'intera questione (cfr. Cass. Sez. 2, 28/09/2012, n. 16583; Cass. Sez. L, 04/02/2016, n. 2217). 3.2. Il settimo motivo del ricorso principale è comunque palesemente infondato per errata individuazione della censura e dei presupposti normativi su cui poggia. Tra l'appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente di un'opera edile, intercorre un vincolo di responsabilità solidale, che si radica nel principio di cui all'art. 2055 c.c. (ex multis, Cass. Sez. 2, 03/09/2020, n. 18289; Cass. Sez. 2, 06/12/2017, n. 29218; Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3651). È dunque nei soli rapporti interni tra l'appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, ai fini dell'azione di regresso ex art. 2055, comma 2, c.c., che deve procedersi alla ripartizione che tenga conto delle rispettive quote di responsabilità (si veda Cass. Sez. 2, 27/09/2017, n. 22672, ove peraltro, come nel caso in esame, era intervenuta tra il creditore ed uno dei condebitori solidali una transazione avente ad oggetto la sola quota del debito di quest'ultimo, sui cui esiti si vedano anche Cass. Sez. 1, 17/11/2016, n. 23418; Cass. Sez. 1, 07/10/2015, n. 20107; Cass. Sez. Unite, 30/12/2011, n. 30174). Nella specie, la Corte d'appello ha altresì operato, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., una diminuzione del risarcimento per concorso di colpa della danneggiata alla causazione del danno, il che non escludeva, per la residua frazione, la configurabilità dell'obbligo solidale dei corresponsabili verso la medesima danneggiata. I ricorrenti principali, tuttavia, non propongono specifica censura per violazione del vincolo di solidarietà passiva ex art. 2055, comma 1, c.c. in relazione all'intero importo risarcitorio dovuto dall'appaltatore (omissis) o (omissis), dal progettista e dal direttore dei lavori architetto (omissis) (ovvero alla quota - parte di danno non assorbita dalla transazione), ma invocano in sede di legittimità una rideterminazione della divisione tra i corresponsabili dell'obbligazione risarcitoria, in proporzione alla gravità delle colpe e all'entità delle conseguenze dannose, la quale spetta in ogni caso all'apprezzamento di fatto dei giudici del merito. 4. Il primo motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa deduce la contraddittorietà ed erroneità della "motivazione circa il fatto decisivo della controversia ai sensi degli artt. 99 e 112 c.p.c., e degli artt. 1892 e ss. c.c., relativo alla operatività, nel caso di specie, della polizza n. 692.534553.25 sottoscritta dalla (omissis) Srl ". La censura si rivolge avverso il percorso argomentativo con cui la Corte d'appello è pervenuta all'accoglimento della domanda di manleva, ritenendo che la polizza assicurativa stipulata dalla (omissis) vedeva quale assicurato il (omissis). La ricorrente incidentale richiama la clausola di polizza secondo cui "la copertura opera esclusivamente per le attività svolte nell'ambito dello studio associato con esclusione quindi di eventuali attività svolte a titolo personale dai singoli professionisti". La Corte d'appello ha peraltro considerato pacifico che (omissis) avesse svolto la propria attività professionale nella vicenda in esame in proprio e non quale dipendente (omissis) Srl . Il secondo motivo del ricorso incidentale censura l'erronea interpretazione del contenuto della polizza n. 692.534553.25 in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c. e 1892 e ss. c.c., nonché della Costituzione 111, comma 6. Anche questo motivo contesta l'operatività della indicata polizza in favore di (omissis). Il terzo motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa deduce la "erronea valutazione della prova anche documentale circa il fatto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 2697-2702 e ss. c.c.", in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 111, alla Cost., comma 6, relativo alla "operatività della polizza n. 692.534553.25 per la tardiva denuncia del sinistro". Il quarto motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa allega la omessa motivazione ed erronea valutazione di fatto decisivo della controversia ai sensi degli artt. 1892 ss. c.c. in relazione alla Costituzione, art. 111, comma 6, "relativo alla esclusione della operatività della polizza assicurativa n. (Omissis) per la consapevole violazione di norme contrattuali". 4.1. Il primo motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa è fondato, nei sensi di seguito indicati, ed il suo accoglimento, afferendo ad una carenza di motivazione su profilo pregiudiziale in rapporto all'ordine logico delle questioni prospettate, comporta l'assorbimento dei restanti tre motivi del medesimo ricorso incidentale. 4.2. Va premesso che, nel vigore del testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza", atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. È invece denunciabile in cassazione l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e si si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass. Sez. Unite, 07/04/2014, n. 8053). 4.3. La Corte d'appello di Venezia, dopo aver chiarito a pagina 21 della sentenza che il contratto di prestazione professionale era stato stipulato dall'architetto (omissis) in proprio, e non quale dipendente della (omissis), con riguardo alla operatività della polizza assicurativa (omissis) ha affermato a pagina 23 di sentenza che "sebbene stipulata dalla (omissis) Srl soggetto assicurato era l'arch. (omissis), come si desume dall'allegato ST". In sostanza, la Corte d'appello avrebbe ravvisato una ipotesi di assicurazione per conto altrui, nella quale i diritti derivanti dal rapporto assicurativo spettano al beneficiario del contratto ai sensi dell'art. 1891, comma 2, c.c., sicché l'assicurato, pur non essendo parte contrattuale, ha azione diretta nei confronti della società assicuratrice. Manca del tutto, però, la motivazione, e cioè la esplicitazione delle ragioni della decisione, sul rilievo da attribuire alla clausola di polizza indicata nel primo motivo del ricorso incidentale, in base alla quale "la copertura opera esclusivamente per le attività svolte nell'ambito dello studio associato con esclusione quindi di eventuali attività svolte a titolo personale dai singoli professionisti". Tutte le complesse questioni attinenti alla ricostruzione delle vicenda in relazione alle polizze intercorse tra l'architetto (omissis) e la (omissis) Ass.ni Spa , che sono esposte sia nel controricorso notificato dal primo per resistere al ricorso incidentale della seconda, sia nella rispettiva memoria ex art. 378 c.p.c. (facendosi riferimento ad una "clausola di ultrattività" che coprirebbe anche le attività svolte personalmente dal professionista negli anni 2001 - 2003, allorché neppure era stata ancora costituita la (omissis) Srl), saranno esaminate nel giudizio di rinvio nei limiti di cui all'art. 394 c.p.c.. 5. Conseguono: l'accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del primo, del quinto e dell'ottavo motivo del ricorso di (omissis); l'inammissibilità del sesto motivo ed il rigetto del settimo motivo del medesimo ricorso; l'assorbimento del secondo, del terzo, del quarto, del nono e del decimo motivo del ricorso principale; l'accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del primo motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa ; l'assorbimento del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale; la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia diversa composizione, la quale riesaminerà la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi ai richiamati principi, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il quinto e l'ottavo motivo del ricorso di (omissis), dichiara inammissibile il sesto motivo, rigetta il settimo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale della (omissis) Ass.ni Spa e dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 27 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023