RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. - Con il primo motivo, proposto ex art. 360, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., 1755 c.c. e 6 l. 39/89, per avere la Corte di appello ritenuto inammissibile, in quanto tardivamente proposta nella comparsa conclusionale in primo grado, l’eccezione di mancata prova dell’iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale.
1.2. - Il motivo è fondato. Struttura, finalità e singole disposizioni della l. 39/1989 (che ha modificato la l. 253/1958, concernente la disciplina della professione di mediatore) rivelano che l’obbligo legislativo di iscrizione del mediatore nei ruoli tenuti presso le camere di commercio discende da norma imperativa, non derogabile dalla volontà delle parti (così come argomentato anche dal P.M. nelle sue conclusioni). Il contratto di mediazione stipulato in assenza di tale requisito è affetto da nullità che, in quanto tale, sul piano processuale, è rilevabile d’ufficio da parte del giudice (così, Cass. 17478/2020 secondo cui l'eccezione di nullità del contratto di mediazione per difetto di iscrizione è eccezione in senso lato, quindi non soggetta al divieto di ius novorum in appello ex art. 345 c.p.c.). Conferma legislativa di tale imperatività si desume in particolare, oltre che dall’art. 8 l. 39/1989, che assoggetta a pesante sanzione amministrativa chi eserciti attività di mediazione senza essere iscritto nel relativo ruolo, dall'art. 6, co. 1 l. 39/1989, ove si dispone che abbiano «diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli». Sotto questi profili, nulla è mutato dopo il d.lgs. 59/2010, relativo ai servizi nel mercato interno. Nel sopprimere il ruolo dei mediatori, l'art. 73 d.lgs. cit. non ha infatti abrogato la l. 39/1989 ma si è limitato a disporre che: (a) i servizi di intermediazione commerciale e di affari siano soggetti a dichiarazione di inizio di attività, corredata da certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, da presentare alla camera di commercio; (b) i richiami al ruolo dei mediatori contenuti nella l. 39/1989 si intendano riferiti alle iscrizioni nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA). In questo senso, nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass. 3862/2015, 16147/2010. Sotto il profilo squisitamente processuale, ciò comporta che, rispetto al diritto alla provvigione, l’iscrizione del mediatore nei registri tenuti presso le camere di commercio è fatto costitutivo rilevabile d’ufficio e implica anche che, in punto di prova, trattandosi di norma imperativa, non possa operare il principio di non contestazione ex art. 115, co. 1, ultima parte c.p.c. Ciò è stato specificamente segnalato anche dal P.M. nelle sue conclusioni. Pertanto, da un lato, è onere del mediatore, ove proponga domanda di pagamento della provvigione, provare l’iscrizione presso la camera di commercio. Dall'altro lato - si ripete - il difetto di prova di tale requisito è fonte di nullità del contratto di mediazione, rilevabile d’ufficio anche in appello, pure in assenza di contestazione ad opera della controparte (beninteso: entro i limiti segnati dalla formazione progressiva del giudicato).
1.3. - Nel sancire viceversa l’operatività del principio di non contestazione, la sentenza impugnata invoca il precedente di Cass. 1568/2013. Il precedente di questa Corte muove dall’affermazione che l’eccezione di nullità del contratto di mediazione per mancata iscrizione del mediatore nei registri tenuti presso le camere di commercio è eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio dal giudice, in grado di appello non soggetta al divieto di ius novorum ex art. 345 c.p.c.. Senonché, quando si sposta sul piano dei profili probatori, Cass. 1568/2013 svolge un discorso che non si mostra pienamente coerente con tali premesse. Lo si riporta per chiarezza nel capoverso seguente. «Anche in materia di mediazione, relativamente al requisito dell'iscrizione al ruolo dei mediatori, si può affermare che opera il principio della non contestazione. Nella specie i ricorrenti hanno eccepito la mancanza del requisito […] solo nella comparsa conclusionale del giudizio di appello, non assolvendo all'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del processo come imposto dall'art. 167 c.p.c., in vista anche del sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l'onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell'art. 111 Cost. Di conseguenza l'atteggiamento difensivo protrattosi per due gradi di giudizio elimina il fatto dall'ambito degli accertamenti richiesti. […] In conclusione […] opera il principio della non contestazione, comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti» (così, Cass. 1568/2013, paragrafi n. 7 e 8).
1.4. - Il Collegio non condivide l’argomentazione di Cass. 1568/2013, riportata nell’ultimo capoverso del paragrafo precedente. Infatti, essa non è agevolmente conciliabile con Cass. SU 761/2002, che domina ancora oggi il tema del principio di non contestazione. Per quanto qui interessa, le Sezioni Unite hanno riferito l’ambito di operatività del principio di non contestazione ai «fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio, ovvero a circostanze dalla cui prova si può inferire l'esistenza di codesti fatti». Riferiscono cioè tale ambito ai fatti principali, la cui rilevanza giuridica (costitutiva, modificativa, impeditiva o estintiva del diritto dedotto in giudizio) sia rilevabile solo ad istanza di parte ovvero a fatti che, rispetto a codesti, siano qualificabili come secondari. Sebbene le Sezioni Unite si guardino dall’aggiungere che il principio di non contestazione operi esclusivamente con riferimento a tali fatti (potendo in effetti operare anche con riferimento a fatti rilevanti ipso iure, come ad esempio un modo di acquisto della proprietà oppure l’adempimento dell’obbligazione) è parimenti evidente, su altro versante, che la rigorosa impostazione di Cass. SU 761/2002 rechi con sé che la cognizione giudiziale di fatti qualificati da una norma imperativa – come quella di cui al caso di specie - non possa essere coperta dal principio di non contestazione.
1.5. - Delle due l’una: una norma è imperativa o non lo è. Se è imperativa, come sul piano sostanziale non è derogabile dalla volontà delle parti, così sul piano processuale i fatti cui la norma imperativa conferisce rilevanza giuridica non possono essere esclusi dal novero di quelli bisognosi di prova perché non sono stati contestati. E quand’anche - come sembra peraltro preferibile - si fondi il principio di non contestazione non già sul principio dispositivo come proiezione processuale dell’autonomia privata delle parti, bensì sul principio di efficienza (in termini di economia e risparmio di attività processuali), il rispetto di norme imperative non può essere sacrificato sull’altare dell’economia e dell’efficienza processuale. Non può darsi una «violazione efficiente» di norme imperative.
1.6. - Così non possono essere condivise nemmeno quelle pronunce successive che, prevalentemente sulla scia di Cass. 1568/2013, ma per lo più in modo tralatizio e superfluo rispetto al caso di specie di volta in volta sotteso, invocano l’operatività del principio di non contestazione sul punto relativo all’iscrizione del mediatore nei registri presso le camere di commercio. Sotto questo profilo esemplare è Cass. 20556/2021, ove si è (correttamente) esordito statuendo (in linea con Cass. 26292/2007) che l’onere della prova dell'iscrizione può ben essere assolto anche per presunzioni, in particolare – come accaduto in modo risolutivo in quel caso di specie - mediante allegazione del fatto secondario del numero d'iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione tenuto dalle camere di commercio. Tuttavia, la sentenza richiama poi - senza che esso sia rilevante in quel caso - il principio di non contestazione. Purtroppo, tale pronuncia – al pari di altre - si trova frequentemente massimata in modo incongruo su questo obiter dictum, piuttosto che sulla ratio decidendi che le è propria. Parimenti, Cass. 14971/2022 richiama l’operatività della non contestazione in un caso in cui ciò non era necessario, poiché il cliente aveva contestato il difetto di iscrizione nella comparsa di costituzione in appello, ma il giudice aveva omesso di pronunciarsi sulla contestazione. Inoltre, Cass. 12653/2020 richiama l’operatività della non contestazione in una fattispecie in cui l'iscrizione del mediatore nei ruoli camerali era stata depositata già in primo grado. Infine, nello stesso senso, cfr. Cass. 25319/2019.
1.7. - Viceversa, per l’impostazione che discende da Cass. SU 761/2002, qui accolta, v., in modo molto chiaro, Cass. 3862/2015, cit.: «Da un lato […] è onere dell'attore, ove proponga domanda per il pagamento della provvigione […], dimostrare di essere iscritto nel ruolo degli agenti di affari in mediazione; dall'altro, […] rientra tra i doveri del giudice, prima di accogliere una domanda, verificare anche ex officio e in assenza di qualsiasi contestazione della controparte, la ricorrenza della ricordata condizione, assente la quale la domanda attrice non può che essere rigettata». Identicamente, in questo senso, cfr. Cass. 14076/2002, Cass. 20749/2004, Cass. 5953/2005, Cass. 11539/2013. Più recentemente, ancora in questo senso, cfr. Cass. 10911/2021, che ha confermato una decisione della corte d’appello che aveva rilevato il difetto di iscrizione pur in assenza di contestazione della controparte sul punto. Fermo resta in capo al giudice di merito, si badi, l’apprezzamento sulla idoneità della prova offerta a dimostrare l’iscrizione, idoneità alla quale a volte afferisce, in caso di documentazione parziale, incerta o ambigua, il rilievo dato alla mancanza di specifici rilievi sul punto.
1.8. - In conclusione, il primo motivo è accolto. In altri termini, poiché non opera il principio di non contestazione con riferimento all’iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale, l’eccezione di difetto di prova di tale requisito, pur proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, anche solo quale sollecitazione a verificare d’ufficio la sussistenza del requisito, va esaminata.
2. - Con il secondo motivo, proposto ex art. 360, n. 4 c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 345, co. 3 c.p.c e 2697 c.c., per avere la Corte di appello posto a fondamento della propria decisione la visura camerale prodotta dall’appellante per la prima volta con l’atto di appello. Il motivo è da dichiarare inammissibile, poiché non bersaglia la ratio decidendi. Come si desume dall’esame del primo motivo, la Corte d’appello ha (seppure erroneamente) posto a fondamento della propria pronuncia, sulla questione della iscrizione del mediatore nei registri camerali, la non contestazione da parte del cliente protrattasi in primo grado fino al deposito della comparsa conclusionale, non già la visura camerale depositata in appello. Peraltro, la questione dell’applicabilità dell’art. 345, co. 3 c.p.c., con riferimento alla visura camerale prodotta in appello da F. è destinata ad acquisire rilevanza a seguito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso. A tale proposito, il giudice di merito dovrà considerare se non vi siano i presupposti per concedere la rimessione in termini in appello nella produzione di tale documentazione, perché il giudice di primo grado ha omesso di rilevare d’ufficio ex art. 183, co. 4 c.p.c. la questione relativa all’iscrizione del mediatore nei ruoli della camera di commercio e ciò avrebbe sollecitato l’attore a produrre la relativa documentazione tempestivamente rispetto al maturare delle preclusioni collegate alla chiusura della fase introduttiva del processo. In conclusione, il secondo motivo è inammissibile.
3. - Con il terzo motivo, proposto ex art. 360, n. 3 c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 1326, 1335, 1392, 1393 c.c. per avere la Corte di appello ritenuto perfezionato l’accordo fra le parti pur in mancanza della forma scritta dell’accettazione della proposta d’acquisto. Il terzo motivo è infondato. Secondo gli accertamenti compiuti dalla Corte di appello, il mediatore ha comunicato al proponente entro la scadenza, prima oralmente e poi per telegramma, l’accettazione della proposta di acquisto da parte del venditore. La Corte ritiene perfezionato il contratto, (o meglio, per quanto qui interessa, concluso l’affare), invocando Cass. 25923/2014, secondo cui il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte (art. 1326, co. 1 c.c.), senza che sia necessario che il documento recante l’accettazione sia trasmesso al proponente.
Parte ricorrente si duole innanzitutto che gli artt. 1326 e 1335 c.c. non siano stati messi in relazione con gli artt. 1392 (forma della procura) e 1393 (giustificazione dei poteri del rappresentato), ma il rilievo non coglie nel segno, poiché l’intermediario ha operato come nuncius, non come rappresentante. L’attribuzione a un soggetto della qualità di nuncius può desumersi anche da un comportamento concludente, fermo rimanendo che la volontà che il nuncius è incaricato di trasmettere oralmente rivesta già una forma scritta (al momento della trasmissione) per essere valida, laddove tale requisito – come in questo caso – sia previsto dalla legge. Questo è il senso dello «sveltimento» che Cass. 25923/2014 ha adottato nello sganciare le modalità della «conoscenza» ex art. 1326, co. 1 c.c. dalla necessaria trasmissione del documento scritto recante l’accettazione. Parte ricorrente nega la congruità del rinvio a tale precedente, attraverso un distinguishing che fa segno alla circostanza che nel caso sotteso a Cass. 25923/2014: «Le parti avevano espressamente previsto nella proposta irrevocabile di acquisto che l’accettazione della stessa avrebbe potuto essere trasmessa dall’intermediario». Si tratta tuttavia di una circostanza accidentale rispetto al contenuto della decisione, ove si ponga mente alla seguente, ampia, ratio decidendi di Cass. 25923/2014: «Appare decisiva in proposito la formulazione dell'art. 1326, co. 1 c.c., in base al quale se il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha ‘conoscenza’ dell'accettazione dell'altra parte e tale conoscenza si può realizzare anche senza la sua [id est: dell’accettazione] trasmissione al proponente. Se il legislatore avesse ritenuto indispensabile tale ultima circostanza, la previsione della ‘conoscenza’, di cui all'art. 1326, co. 1 c.c. sarebbe superflua, in quanto inutile ripetizione dell'art. 1335 c.c. Ciò porta a ritenere che l'art. 1326, co. 1 c.c. deroga in parte all'art. 1335 c.c., nel senso che, fermo restando che l'accettazione, ove diretta al proponente si reputa conosciuta nel momento cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia, il contratto si deve ritenere ugualmente concluso quando, pur non essendo stata l'accettazione indirizzata al proponente, questi ne abbia comunque avuto conoscenza». Pertanto, Cass. 25923/2014 ben si presta a proteggere la ratio decidendi della sentenza impugnata, che resiste quindi alle censure della parte ricorrente. Né, infine, aiuta l’ultimo passaggio del motivo, ove la parte ricorrente scrive: «All’opposto, nel caso che ci occupa, l’ultimo giorno utile per l’accettazione il F. (sprovvisto di procura) si presentava dall’A. per comunicare verbalmente l’avvenuta accettazione verbale del Pellegrini». In disparte l’irrilevante cenno al difetto di procura, tale affermazione non coincide con la ricostruzione dei fatti compiuta nella sentenza impugnata (cfr. p. 3, primo capoverso, di cui si è riassunto il contenuto al secondo capoverso di questo paragrafo). In conclusione, il terzo motivo è rigettato.
4. – Con il quarto motivo, proposto ex art. 360, n. 4 c.p.c., si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 1353 e 1358 c.c. per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sul mancato avveramento della condizione sospensiva prevista nella proposta di acquisto. Il motivo è fondato. La proposta di acquisto, dopo aver indicato il prezzo, prevede che esso sia pagato in parte attraverso l’accollo del mutuo ipotecario della Banca Unicredit, la quale però negò l’accollo all’A., precisando che in ogni caso le condizioni sarebbero state più gravose rispetto a quelle in essere. A causa del diniego, A. allega di non essere stato in condizione di corrispondere il prezzo. Egli ritiene che l’accollo previsto nella proposta presupponga l’avverarsi di una condizione sospensiva, data dall’adesione della banca, come indicato dalla citazione dell’art. 1358 c.c. («Il prezzo offerto […] s’intende corrisposto a corpo e non a misura, con riferimento all’art. 1358 c.c. e sarà corrisposto come segue. 1) accollo mutuo ipotecario della Banca Unicredit […]»). Egli allega inoltre che tale interpretazione non è stata contestata da F.. Nel controricorso, questi replica invece che si tratti di una mera modalità di pagamento e che, in ogni caso, la mancata adesione della banca dipenda da scarsa credibilità bancaria di A.. Da un accesso alla comparsa di costituzione e risposta in appello di A. (p. 14-16) si desume che è fondata ex art. 112 c.p.c. la censura di omessa pronuncia sull’interpretazione dei profili della proposta di acquisto testé riassunti e controversi. Nella sentenza impugnata non vi è alcuna traccia di risposta sul punto, che quindi è da affidare al giudice di rinvio. In questo senso, il quarto motivo è accolto.
5. – Con il quinto motivo, proposto ex art. 360, n. 4 c.p.c., si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 1755 c.c. e 6 l. 39/1989 per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sull’impiego del criterio equitativo per la quantificazione della provvigione, in mancanza di accordo delle parti e di allegazione e prova di usi. Il motivo è fondato. La parte ricorrente si duole di essere stata condannata al pagamento della provvigione nella misura del 3% del prezzo di acquisto come richiesto da F., senza che la Corte di appello si sia pronunciata sulla contrapposta richiesta da parte sua di quantificare la provvigione in via equitativa, in mancanza di accordo delle parti e di usi. La parte controricorrente obietta di aver prodotto nel giudizio di primo grado uno stralcio della raccolta degli usi della provincia di Chieti, tenuta dalla locale Camera di commercio. A. replica che tale stralcio nulla specifica in materia di mediazione nella compravendita di immobili ad uso abitativo. Da un accesso alla comparsa di costituzione e risposta in appello di A. (p. 16-17) si desume che è fondata ex art. 112 c.p.c. la censura di omessa pronuncia sull’impiego del criterio equitativo per la quantificazione della provvigione. Nella sentenza impugnata non vi è alcuna traccia di risposta sul punto, che quindi è da affidare al giudice di rinvio. In questo senso, il quinto motivo è accolto.
6. - Con il sesto motivo, proposto ex art. 360, n. 5 c.p.c., si deduce omesso esame di un fatto decisivo e controverso, e cioè le mutate condizioni di vendita dell’immobile, in relazione agli artt. 244, 245, 345 c.p.c., 1329, 1362 c.c. La parte ricorrente osserva che è stato oggetto di dibattito, in entrambi i gradi, l’incidenza da assegnare all’allegazione di mutate condizioni di vendita dell’immobile (con particolare riferimento alla richiesta di un corrispettivo di 650.000 euro da parte di Pellegrini) sull’efficacia della proposta di acquisto. Da un accesso alla comparsa di costituzione e risposta in appello di A. (p. 12-14), si desume che tale censura è fondata. Nella sentenza impugnata non si rinviene alcuna traccia di statuizione sull’incidenza da assegnare all’allegazione relativa alle mutate condizioni di vendita sull’efficacia della proposta di acquisto. Anche tale profilo è da affidare al giudice di rinvio. In questo senso, il sesto motivo è accolto.
7. – In relazione all’accoglimento del primo motivo di ricorso, il Collegio enuncia i seguenti principi di diritto: «Discendendo l’obbligo di iscrizione del mediatore nei ruoli tenuti presso le camere di commercio da norma imperativa, rispetto a tale requisito non opera il principio di non contestazione. Il contratto di mediazione stipulato in assenza di tale requisito è affetto da nullità rilevabile d’ufficio da parte del giudice e quindi non soggetta al divieto di ius novorum in appello».
8. – In conclusione, il ricorso è accolto nei motivi indicati in dispositivo e nei sensi indicati in motivazione; la sentenza impugnata è cassata con rinvio, in relazione ai motivi accolti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione; dichiara inammissibile il secondo motivo; rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello dell’Aquila in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25/5/2022.