Considerato che:
1. il Collegio deve prendere atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere, in conformità al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, qualora «nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo inquadrabile la situazione in una delle tipologie di decisione indicate dagli artt. 382, comma 3, 383 e 384 cod. proc. civ. e non potendosi configurare un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta dello stesso» (Cass., Sez. Un., 11 aprile 2018, n. 8980);
2. con la richiamata decisione si è precisato che quando le parti di una controversia danno atto di avere raggiunto la sua composizione con un accordo negoziale, «i cui termini esse possono individuare ed identificare ma anche non individuare ed identificare, limitandosi ad asserire concordemente che esso vi è stato ed ha definito la lite», la congiunta prospettazione della definizione della lite pendente rende non più necessario l’intervento della decisione del giudice investito della controversia, essendo venuto meno il bisogno di tutela giurisdizionale in ragione dell’intervenuto accordo;
3. ricorrono nella fattispecie le condizioni per la pronuncia di intervenuta cessazione della materia del contendere in quanto al deposito del verbale di conciliazione ha fatto seguito la richiesta congiunta delle parti; tale dichiarazione implica necessariamente, proprio perché la Corte accerta che la controversia è ormai oggetto solo di regolazione convenzionale, la constatazione dell’automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti regolando con l’accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia; a ben vedere, il fenomeno che si verifica non è una ‘cassazione’ della sentenza impugnata, bensì l’accertamento che la sua efficacia è venuta meno per effetto dell’accordo negoziale delle parti, perché con esso le parti ne hanno disposto; è di tanto che la Corte di Cassazione deve dare atto, sicché non può essere accolta la richiesta, svolta dalle parti nella loro istanza, di “cassazione senza rinvio” della sentenza; 4. quanto alle spese di lite, può disporsene la compensazione conformemente al regolamento stabilito dalle parti nella lettera C) dell’allegato atto di transazione; 5. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla legge 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della insussistenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, perché il meccanismo sanzionatorio è applicabile solo qualora il giudizio di cassazione si concluda con l’integrale conferma dell’efficacia della statuizione impugnata, cioè con il rigetto dell’impugnazione nel merito ovvero con la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso, evenienza, questa, che non si realizza a fronte di una pronuncia di cessazione della materia del contendere che comporta il venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata in forza di intervenuto accordo negoziale fra le parti (Cass. S.U. n. 8980/2018, cit.).
P.Q.M.
La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere e compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 3 novembre 2022.