1. Rileva il Collegio che gli atti di rinuncia e d'accettazione, riferiti in narrativa, si appalesano conformi alla disciplina contenuta nell'art. 390 c.p.c. e nell'art. 391, ult. comma, c.p.c. 2. In particolare, pur non essendo richiesta nel caso della rinuncia al ricorso per cassazione l'accettazione delle altre parti, nel caso in esame l'accettazione è stata ritualmente espressa da Telecom Italia s.p.a., la quale per tal modo vi ha aderito.
3. Come risulta dagli atti prodotti, tanto riflette una precedente conciliazione intervenuta in sede sindacale tra le medesime parti, le quali concordano, altresì, sulla compensazione delle spese fra loro di questo giudizio.
4. Pertanto, giusta l'art. 391 c.p.c., dev'essere dichiarata l'estinzione del giudizio, ma limitatamente al rapporto processuale tra il ricorrente e la Telecom Italia s.p.a., con compensazione integrale fra le stesse delle spese processuali.
5. Tanto esenta la Corte dal dover riferire ed esaminare i motivi del ricorso per cassazione che riguardano detto rapporto processuale.
6. Dev'essere, invece, esaminato solo il quinto motivo del ricorso rispetto all'altra controricorrente FSP, come del resto richiesto dall'impugnante nella cennata sua memoria ex art. 380 bis c.p.c.
7. A riguardo, peraltro, va sottolineato che la riferita conciliazione in sede sindacale è intervenuta solo tra il ricorrente e Telecom Italia s.p.a.
8. Tanto premesso, con il quinto motivo, il ricorrente ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. denuncia: "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 2126 c.c. con riguardo al demansionamento subito durante la permanenza presso la cessionaria FSP s.p.a.".
8.1. Premette il ricorrente che egli: "ha chiesto il risarcimento del danno per il demansionamento subito dal mese di novembre 2004 durante la permanenza presso la FSP, seconda società cessionaria del rapporto di lavoro, nel periodo precedente alla sentenza del Tribunale di Roma del 2006 che ha dichiarato la nullità delle cessioni del rapporto di lavoro del ricorrente da Telecom Italia ad E.S. S.p.A. e successivamente a FSP.. Il Tribunale ha rigettato la domanda affermando che a seguito dell'accertamento giudiziale della nullità della cessione del contratto di lavoro del ricorrente ad E. S. S.p.A., e quindi a FSP S.p.A., la prestazione svolta dal Dott. M. presso la cessionaria FSP. si configurerebbe quale prestazione di fatto. La Corte d'Appello ha rigettato il motivo di appello avverso tale capo della sentenza di primo grado, dichiarando di condividere i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione e, secondo la Corte territoriale, esattamente richiamati dal Tribunale nel caso di specie". Secondo il ricorrente, però, né dall'art. 2126 c.c., né dal precedente di questa Corte, ossia, Cass. sez. lav. n. 8260/1995, richiamata dal primo giudice, era desumibile il principio, che anche la Corte territoriale aveva ribadito. In tal senso, richiama talune voci dottrinali e un precedente di questa Corte (Cass. sez. lav., 18.7.2016, n. 14637). 9. Ritiene il Collegio che tale motivo sia meritevole di accoglimento.
9.1. Per quanto interessa in questa sede, la Corte distrettuale aveva "premesso che il Tribunale ha fondato la sua decisione sulle seguenti ragioni: a) il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 13435 del 17/03/2006, oltre ad aver dichiarato la nullità della cessione del contratto di lavoro del ricorrente e dichiarato la persistente sussistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze di Telecom Italia spa, ha condannato quest'ultima al risarcimento dei danni da dequalificazione patiti da settembre a novembre 2003, nonché, in solido con E. S., all'ulteriore risarcimento dei danni patiti da dicembre 2003 a ottobre 2004, rigettando le domande limitatamente al periodo da gennaio 2001 ad agosto 2003; b) tale pronuncia è stata confermata dalla Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 2018 del 07/06/2011, a sua volta confermata da Cass. n. 8758 del 15/04/2014; c) atteso questo giudicato, sono in questa sede inammissibili tutte le domande relative all'asserito demansionamento riguardante il periodo dall'01/01/1999 ad ottobre 2004, nonché le domande relative alle differenze di trattamento retributivo per il suddetto periodo; d) il ricorrente è poi transitato alle dipendenze di FSPspa nel novembre 2004 ed ha lavorato in tale società fino al 07/04/2006, quando, in esito alla predetta sentenza del Tribunale di Roma, il rapporto di lavoro è cessato; e) a seguito dell'accertamento della nullità della cessione del contratto di lavoro del ricorrente a E. S. spa - e quindi da quest'ultima a MP Facilty - e della sussistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze di Telecom Italia spa, la prestazione di lavoro svolta dal ricorrente presso FSP si configura come prestazione di fatto; f) in tal caso, poiché il lavoratore non è obbligato a lavorare (né a continuare a lavorare) e può in ogni momento interrompere la prestazione lavorativa, non si applica l'art. 2103 c.c.: qualora sia assegnato a mansioni inferiori, vorrà dire che è cessato di fatto il precedente rapporto e ne è iniziato un altro con altre e diverse mansioni, rapporto ugualmente invalido e di mero fatto, come insegna la S.C. (Cass. n. 8260/1995); g) in applicazione di tali principi, le domande avanzate nei confronti di MP Facilty spa, oggi Manutencoop P.S.S. spa vanno rigettate, in quanto tutte basate sulla violazione degli obblighi datoriali discendenti dall'art. 2103 c.c." (così a pag. 5 dell'impugnata sentenza).
9.2. Nel respingere il relativo motivo d'appello del lavoratore (con il quale egli si doleva dell'errato rigetto delle domande risarcitorie contro FSP e della violazione dell'art. 2126 c.c.), la Corte di merito ha considerato: . 10. Le considerazioni svolte dai giudici di merito sono tuttavia giuridicamente errate in relazione al caso che ci occupa.
10.1. In tal senso, occorre considerare che questa Corte, abbastanza di recente, ha formulato il seguente principio di diritto: "In caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, il rapporto di lavoro permane con il cedente e si instaura, in via di fatto, un nuovo e diverso rapporto con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici e, in particolare, la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell'ambito della propria organizzazione imprenditoriale; ne consegue che la responsabilità per violazione dell'art. 2103 c.c. deve essere imputata a quest'ultimo e non anche al cedente (così Cass. civ., sez. lav., 7.8.2019, n. 21161). E il medesimo principio è stato ribadito più di recente in Cass. civ., sez. VI-L, 14.12.2021, n. 39896.
11. Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale indirizzo nel caso in esame.
11.1. Rispetto alla decisione, invero ormai remota, che aveva richiamato il primo giudice (Cass. n. 8260/1995), con piena condivisione della Corte d'appello) Cass. n. 21161/2019 ora cit. riguardava fattispecie concreta molto simile a quella che ci occupa in cui la Corte d'appello aveva condannato proprio Telecom Italia s.p.a. ed altra società, in solido, al risarcimento del danno professionale, subito da un lavoratore, per l'illegittimo esercizio dello ius varlandi in violazione dell'art. 2103 c.c. nel periodo in cui la prestazione di lavoro era stata resa da quello esclusivamente in favore della seconda società, dopo che, come nel caso che ci occupa, con sentenza ormai passata in cosa giudicata, era stata dichiarata l'inefficacia del contratto di cessione di ramo d'azienda intervenuto tra Telecom Italia, quale cedente, e l'altra società quale cessionaria. E in quel procedimento, sulla base del su riportato principio di diritto, trovò accoglimento il motivo di ricorso per cassazione che Telecom aveva proposto contro la decisione della corte d'appello che aveva confermato anche la sua condanna in via solidale.
12. Come si anticipava, il caso in esame è pressoché sovrapponibile a quello in cui è stato espresso l'indirizzo su visto (poi confermato), perché pure in questo era già coperta da giudicato la declaratoria di nullità della cessione del ramo d'azienda in virtù della quale l'attuale ricorrente era transitato alle dipendenze di FSP.
13. In parte qua, perciò, l'impugnata sentenza non è conforme al su illustrato principio di diritto e dev'essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale, la quale, in diversa composizione, dovrà riesaminare il caso uniformandosi a detto principio, oltre a regolare le spese di questo giudizio di legittimità in relazione al rapporto processuale ancora in essere tra il ricorrente e la FSP.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio limitatamente al rapporto processuale tra il ricorrente e la Telecom Italia s.p.a. e compensa integralmente le spese processuali tra le suddette parti. Accoglie il quinto motivo del ricorso nei confronti della controricorente FSP. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente e la FSP. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15.11.2022.