CONSIDERATO CHE
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 149 TUIR, nonché dell’art. 90 l. 27 dicembre 2002, n. 28[9], nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’associazione contribuente non fosse qualificabile quale ente non commerciale. Parte ricorrente deduce di avere dato prova dell’osservanza delle disposizioni normative, deducendo di essere stato impossibilitato a produrre la sola documentazione contabile oggetto di furto nel 2007; in particolare, ha dedotto di avere esibito i verbali delle assemblee e dei rendiconti successivi e ha osservato che le irregolarità indicate dall’Ufficio sarebbero di natura puramente formale. Osserva parte ricorrente come lo statuto dell’associazione fosse rispettoso della normativa fiscale e che non fossero state rilevate dall’Ufficio violazioni alle prescrizioni di cui all’art. 148 TUIR in relazione alle clausole statutarie. Sotto ulteriore profilo, parte ricorrente contesta la motivazione della sentenza ove ha ritenuto non provato che l’associazione procedesse alle assemblee in prima convocazione, trattandosi di vizio deducibile unicamente dai soci.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 149 TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’associazione contribuente avesse perso la qualifica di associazione sportiva. I ricorrenti osservano come le associazioni non perdono la qualifica di enti non commerciali ancorché svolgano effettivamente attività commerciale, né potrebbero perdere tale qualità in mancanza di idonea documentazione sociale o fiscale. Deducono, in particolare, i ricorrenti che l’esercizio di attività commerciale di per sé non possa comportare la perdita del carattere di associazione sportiva.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 73, secondo comma, TUIR, degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 56 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accertato il reddito di impresa e lo ha imputato ad alcuni degli associati. Deducono i ricorrenti che la perdita delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 148, 149 TUIR non può comportare un accertamento dei redditi in capo agli associati e che l’associazione non possa essere equiparata a una società di fatto.
2. Preliminarmente deve rilevarsi che non emerge dal ricorso quando la associazione contribuente (già ricorrente in grado di appello) sia cessata. In ogni caso, tale circostanza non ha rilievo, in quanto in caso di cessazione di una associazione non riconosciuta il giudizio prosegue - quanto alla associazione cessata - nei confronti di colui che è succeduto nella posizione che era dell'associazione medesima responsabile diretto ex art. 38 cod. civ. (Cass., Sez. V, 21 settembre 2021, n. 25451; Cass. Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070 – 6072), nella specie il ricorrente Mazzuzi Carlo.
3. Il primo motivo è infondato. Dispone l’art. 148, comma 8, lett. c) TUIR – quale condizione per considerare non commerciale le attività svolte (tra le altre) dalle associazioni sportive dilettantistiche - che le associazioni sportive dilettantistiche (come gli altri enti associativi) debbano assicurare, nelle clausole statutarie come nel reale svolgimento dell’attività associativa, l’effettività dei principi di democraticità e partecipazione nel rapporto associativo («garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età diritto di voto […] per la nomina degli organi direttivi dell'associazione»).
4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rispetto dei principi di democraticità e partecipazione va accertato in termini sostanziali e non formali, essendo detti principi a fondamento del riconoscimento della natura di ente non commerciale e delle relative agevolazioni fiscali (Cass., Sez. V, 24 ottobre 2014, n. 22644); l’accertamento di questi principi va condotto accertando l’attuazione in concreto delle previsioni statutarie obbligatorie che assicurino il rispetto di tali principi per gli affiliati all’interno dell’associazione (Cass., Sez. V, 18 maggio 2022, n. 16081; Cass., Sez. V, 26 ottobre 2021, n. 30008).
5. E’ stato, in particolare, ritenuto assente il principio di democraticità nel caso di scarsa partecipazione dei soci alla vita associativa e di concentrazione della capacità decisionale nella persona del presidente (Cass., Sez. VI, 13 novembre 2020, 25708), come anche in caso di mancata chiamata degli aventi diritto (gli associati) ad assumere le decisioni in sede di assemblea (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 31427), ovvero in caso di mancata dimostrazione da parte dell'associazione dell'effettivo e regolare svolgimento delle assemblee, di mancata indicazione delle generalità dei partecipanti alle assemblee stesse e di adozione di alcune decisioni associative al di fuori dell'ambito assembleare (Cass., Sez. V, 29 settembre 2021, n. 26365).
6. Nella specie, il giudice di appello, pur avendo rilevato carenze di carattere documentale, come censurato dai ricorrenti («mancano i verbali delle riunioni del consiglio direttivo»), ha fondato la propria decisione non su violazioni di carattere formale, ma sulla accertata mancanza di democraticità dell’associazione e di partecipazione alla vita associativa, avendo accertato che non vi fosse prova della pubblicizzazione delle assemblee tra gli associati e che fosse mancata l’indizione della prima convocazione delle assemblee, le quali si svolgevano sostanzialmente in unica convocazione. Inoltre, decisiva è apparsa al giudice di appello la mancanza di partecipazione indotta dalla mancata partecipazione alle assemblee degli associati, a eccezione di un gruppo ristretto degli stessi, peraltro «tutti facenti parte del direttivo». La mancanza di democraticità e di partecipazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è, pertanto stata dedotta da una serie di elementi convergenti, con giudizio di fatto non oggetto di specifica censura. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi.
7. Il secondo motivo è inammissibile. Dispone l'art. 149 TUIR che «indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta». La norma prevede che l'associazione - alternativamente rispetto alla valutazione della corretta applicazione delle disposizioni statutarie - possa perdere la qualifica di ente non commerciale ove si accerti l'esercizio in concreto di attività commerciale non prevalente. Quest'ipotesi si verifica laddove - ancorché in costanza del rispetto formale e sin anche sostanziale delle disposizioni statutarie - vi sia accertamento in fatto di svolgimento di attività commerciale da parte dell'associazione con prevalenza rispetto all'attività non commerciale, rientrante nell’attività istituzionale dell’ente collettivo (Cass., Sez. V, 15 novembre 2021, n. 34189).
8. Detta disposizione prefigura – come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte - un diverso percorso normativo idoneo a comportare la perdita della natura decommercializzata dell’ente collettivo, ossia l’accertamento dell’attività svolta in concreto dall’associazione, in alternativa al criterio della riqualificazione della struttura dell’ente collettivo (cfr. Cass. 26 settembre 2018, n. 22939; conf. Cass., Sez. V, 14 dicembre 2021, n. 39789; Cass., Sez. V, 26 settembre 2018, n. 22939).
9. Tuttavia, questo percorso argomentativo non è stato posto a base della decisione impugnata, essendosi il giudice di appello fermato «a monte» all’accertamento della natura non commerciale della struttura dell’ente associativo, in forza dell’assenza di democraticità e di partecipazione all’interno dell’associazione. L’estraneità della deduzione di parte ricorrente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata ne comporta l’inammissibilità.
10. Il terzo motivo è infondato. Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.). Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l'intenzionale esercizio in comune tra i soci di un'attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell'esercizio di un'attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l'esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto». La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio.
12. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 5.800,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, in data 9 novembre 2022