RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la
nullità del procedimento di primo grado, ai sensi dell'art. 360,
primo comma, n. 4 cod. proc. civ., censurando il decreto impugnato
nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di estinzione del
giudizio, in virtù della ritenuta inidoneità delle comunicazioni
effettuate ai sensi dell'art. 92 della legge fall. a far decorrere
il termine per la riassunzione. Premesso che nelle ipotesi
d'interruzione automatica, come quella prevista dall'art. 43 della
legge fall., il termine decorre non già dalla data dell'evento
interruttivo, ma da quella in cui la parte interessata ne ha avuto
conoscenza, sostiene che, in quanto inerenti alla verificazione del
passivo, che costituisce una fase del procedimento giudiziario-
concorsuale, le predette comunicazioni determinano una conoscenza
legale ed effettiva che si colloca all'interno dello stesso, e
della quale il creditore è partecipe sia direttamente che a mezzo
del suo procuratore.
1.1. Il motivo è infondato.
E' opportuno premettere che la conversione della procedura di
ammini- strazione straordinaria in fallimento, pur lasciando
immutati gli effetti riguar- danti il patrimonio dell'impresa e la
capacità del debitore, nonché i rapporti con i creditori, determina
il passaggio da una procedura amministrativa ad una giudiziaria, a
seguito del quale cessano, in particolare, le funzioni del
commissario straordinario, sostituito dal curatore nominato dal
tribunale ai sensi dell'art. 71, comma secondo, del d.lgs. n. 270
del 1999: tale cessazione, comportando la perdita della capacità
processuale da parte del commissario, giustifica l'interruzione dei
giudizi pendenti, in applicazione dell'art. 43, terzo comma, della
legge fall., imponendone pertanto la riassunzione, ai sensi dello
art. 303 cod. proc. civ., nel termine di cui all'art. 305.
Com'è noto, la questione riguardante la decorrenza del termine per
la riassunzione in caso d'interruzione del giudizio determinata
dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti ha costituito
oggetto di contrastanti orientamenti nella giurisprudenza di
legittimità, avendo alcune pronunce ri- tenuto che la decorrenza
del termine dovesse essere necessariamente subordinata alla
pronuncia dell'interruzione, in mancanza della quale non è confi-
gurabile quello stato di quiescenza del giudizio che costituisce il
presupposto della riassunzione (cfr. Cass., Sez. I, 11/04/2018, n.
9016; Cass., Sez. VI, 27/04/2018, n. 4519; 9/ 04/2018, n. 8640;
1/03/2017, n. 5288), ed avendo altre reputato sufficiente la
conoscenza dell'evento interruttivo, da porsi tut- tavia in
relazione con quella dello specifico giudizio in cui lo stesso era
destinato in concreto ad operare, e ciò tanto nel caso in cui a
riassumere il giudizio fosse il curatore del fallimento (cfr.
Cass., Sez. III, 28/12/2016, n. 27165; Cass., Sez. lav.,
13/03/2013, n. 6331; 7/03/2013, n. 5650), quanto nel caso in cui
fosse la controparte del fallito (cfr. Cass., Sez. III, 26/06/2020,
n. 12890; 30/11/2018, n. 31010; 15/ 03/2018, n. 6398); altre
pronunce ancora ritenevano invece superflua, in quest'ultimo caso,
la conoscenza dello speci- fico giudizio, osservando che, a
differenza del curatore del fallimento, la con- troparte del
fallito non può non essere al corrente della pendenza dello stesso
(cfr. Cass., Sez. II, 29/08/2018, n. 21325); uniformità d'indirizzo
si registra- va soltanto in ordine all'individuazione del
destinatario della comunicazione, concordemente identificato nel
difensore della parte, quale soggetto in grado di apprezzare gli
effetti giuridici dell'evento interruttivo e di rendersi conto
della necessità di riassumere tempestivamente il giudizio (cfr.
Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2658; Cass., Sez. III, 26/06/2020, n.
12890; 15/03/2018, n. 6398).
Le perplessità derivanti da tali divergenze di opinione hanno
determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, le
quali hanno risolto il contrasto di giurisprudenza mediante
l'enunciazione del principio di diritto se-condo cui la
dichiarazione di fallimento di una delle parti, intervenuta nel
corso del giudizio, pur determinando l'interruzione automatica del
processo, ai sensi dell'art. 43, terzo comma, della legge fall.,
nonché l'improcedibilità della domanda, ai sensi degli artt. 52 e
93 della legge fall., qualora la stessa abbia ad oggetto
l'accertamento di un credito, non comporta anche l'immediata
decorrenza del termine per la riassunzione o la prosecuzione del
giudi- zio, a tal fine occorrendo che la dichiarazione
d'interruzione sia portata a co- noscenza di ciascuna delle parti,
con la conseguenza che, ove non possa ritenersi già conosciuta, ai
sensi dell'art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., per effetto
della pronuncia in udienza, la stessa dev'essere notificata alle
parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata
anche dall'ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice
pronunciarla anche d'ufficio, allorché gli risulti, in qualunque
modo, l'avvenuta dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. Un.,
7/05/2021, n. 12154). A sostegno di tale affermazione, si è
rilevata innanzitutto la diversità tra la posizione del curatore e
quella della parte non colpita dall'evento interruttivo,
osservandosi che, mentre quest'ultima è già a conoscenza della
pendenza del giudizio su cui l'evento è destinato ad inci- dere, ed
ha pertanto bisogno soltanto di avere notizia dell'intervenuta
dichiarazione di fallimento della controparte, il primo può anche
ignorare quali siano i giudizi pendenti in cui è parte il fallito.
E' stata inoltre evidenziata la difficoltà di tipizzare le forme di
comunicazione idonee a determinare la conoscenza legale dell'evento
interruttivo, in ragione non solo della varietà delle stesse,
ritenute non circoscrivibili ai soli atti previsti dall'art. 300
cod. proc. civ., ma anche della qualità di terzo rivestita dal
curatore rispetto ai giudizi in cui è parte il fallito e
dell'estinzione del mandato da quest'ultimo conferito al difen-
sore, nonché della possibile identificazione del destinatario nella
parte, anziché nel difensore. Si è infine dubitato
dell'assimilabilità dell'effetto interruttivo automatico della
dichiarazione di fallimento a quello delle altre fattispecie
previste dal codice di procedura civile, in considerazione del
carattere speciale della disciplina dettata dall'art. 43, terzo
comma, della legge fall. e delle fi- nalità acceleratorie
perseguite mediante l'introduzione della stessa, e si è pertanto
concluso che la soluzione più idonea a soddisfare le esigenze di
af- fidabilità, prevedibilità ed uniformità interpretativa connesse
alla realizza- zione dell'uguaglianza dei cittadini e della
giustizia del processo è proprio quella che, pur confermando
l'automatica operatività dell'interruzione e la sottrazione della
relativa pronuncia all'iniziativa di parte, subordina la decor-
renza del termine per la riassunzione alla dichiarazione giudiziale
dell'interru- zione, in assenza della quale non è configurabile
alcun onere di riassunzione a carico delle parti (cfr. al riguardo
anche Cass., Sez. I, 28/03/2022, n. 9853).
Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in
cui, ri- levato che il processo era stato dichiarato interrotto
all'udienza del 30 ottobre 2013, a seguito della conversione
dell'amministrazione straordinaria in falli- mento, ha escluso
l'intervenuta estinzione del giudizio, ritenendo tempestiva la
riassunzione, in quanto effettuata con ricorso depositato il 29
gennaio 2014, e quindi nell'osservanza del termine trimestrale di
cui all'art. 305 cod. proc. civ., la cui decorrenza è stata
correttamente ancorata alla data della dichiarazione resa in
udienza, anziché a quella delle comunicazioni inviate dal curatore
ai creditori ai sensi dell'art. 92 della legge fall., ritenute
inidonee ad assicurare la conoscenza legale dell'evento
interruttivo, al di fuori del procedimento al quale si
riferiscono.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o la
falsa applicazione degli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270 del 1999,
censurando il de- creto impugnato nella parte in cui, ai fini del
riconoscimento della prededu- zione, ha ritenuto che i crediti
azionati fossero sorti successivamente alla dichiarazione dello
stato d'insolvenza. Premesso infatti che nei rapporti con-
trattuali il credito sorge al momento dell'esecuzione della
prestazione pat- tuita, rileva che il Tribunale ha fatto
erroneamente riferimento alle date di scadenza dei pagamenti
indicate nelle fatture emesse dall'opponente, anziché a quelle in
cui erano state effettuate le prestazioni o a quelle di emissione
delle fatture.
2.1. Il motivo è inammissibile.
L'ammissione al passivo in prededuzione dei crediti fatti valere
dalla società opponente trova conforto nell'orientamento della
giurisprudenza di legittimità in tema di amministrazione
straordinaria, secondo cui la prosecu- zione ex lege dei contratti
in corso alla data di apertura della procedura, prevista dall'art.
50, comma secondo, del d.lgs. n. 270 del 1999, come interpretato
dall'art. 1-bis del d.l. 28 agosto 2008, n. 134, convertito con
modifica- zioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, comporta da un
lato che i predetti contratti continuano ad avere esecuzione fino a
quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi, e
dall'altro che i crediti maturati dal contraente in bonis
successivamente all'apertura della procedura devono essere am-
messi al passivo in prededuzione, essendo le relative prestazioni
finalizzate alla continuazione dell'attività d'impresa, ai sensi
degli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270 del 1999 (cfr. Cass., Sez. I,
5/08/2019, n. 20898; 9/11/2018, n. 28797). Premesso che i crediti
fatti valere dalla società opponente erano sorti in parte
successivamente alla dichiarazione dello stato d'insolvenza,
interve- nuta il 18 giugno 2009, in parte successivamente all'avvio
dell'amministra- zione straordinaria, disposto con decreto del 7
agosto 2009, il decreto impugnato ha infatti ritenuto che ai primi
fosse applicabile l'art. 20 del d.lgs. n. 270 cit. ed ai secondi
l'art. 52, osservando che il requisito della funzionalità
all'esercizio dell'impresa risultava integrato in entrambi i casi,
in quanto, pur
avendo i commissari straordinari dichiarato di voler subentrare in
una sola delle convenzioni stipulate con la società opponente,
avevano diffidato que- st'ultima dall'interrompere il servizio
previsto dall'altra, in quanto essenziale per la conservazione
dell'integrità aziendale.
Il ricorrente non contesta la funzionalità delle prestazioni alla
continua- zione dell'esercizio dell'impresa, ma si limita a
censurare l'accertamento relativo alla posteriorità dei crediti
rispetto alla dichiarazione dello stato d'insol- venza, sostenendo
che a tal fine il Tribunale avrebbe dovuto fare riferimento non già
alle date fissate per i pagamenti, così come risultanti dalle
fatture prodotte, ma a quelle di effettuazione delle prestazioni,
rese nei mesi di aprile, maggio e giugno 2009, o quanto meno a
quelle di emissione delle fatture, anch'esse per lo più anteriori
al 18 giugno 2009. L’accertamento sul quale si appunta la critica
del ricorrente non è tuttavia censurabile per violazione di legge,
ma esclusivamente per vizio di motivazione, la cui deduzione
avrebbe dovuto essere accompagnata dalla precisa indicazione dei
fatti de- cisivi omessi, oggetto di discussione fra le parti, dai
quali risultava che i crediti erano sorti in data anteriore alla
scadenza dei pagamenti indicati nelle fatture ed all’apertura della
procedura concorsuale: in assenza di tale indicazione, il motivo si
risolve nella mera sollecitazione di una diversa valutazione delle
risultanze istruttorie, non consentita a questa Corte, alla quale
non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia,
ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle
argomentazioni svolte nel provvedimento impu- gnato, nonché la
coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le re-
lative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per
cassazione, a seguito della riformulazione dell'art. 360, primo
comma, n. 5 cod. proc. civ. da parte dell'art. 54, comma primo,
lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con
modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez.
I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass.,
Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).
3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna
del ri- corrente al pagamento delle spese processuali, che si
liquidano come dal di- spositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore
della contro- ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati
in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7/10/2022