Giu La dichiarazione di fallimento di una delle parti, intervenuta nel corso del giudizio, pur determinando l'interruzione automatica del processo non comporta anche l'immediata decorrenza del termine per la riassunzione o la prosecuzione del giudizio
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. IV - 1 - ORDINANZA 03 gennaio 2023 N. 45
Massima
La dichiarazione di fallimento di una delle parti, intervenuta nel corso del giudizio, pur determinando l'interruzione automatica del processo, ai sensi dell'art. 43, terzo comma, della legge fall., nonché l'improcedibilità della domanda, ai sensi degli artt. 52 e 93 della legge fall., qualora la stessa abbia ad oggetto l'accertamento di un credito, non comporta anche l'immediata decorrenza del termine per la riassunzione o la prosecuzione del giudizio, a tal fine occorrendo che la dichiarazione d'interruzione sia portata a conoscenza di ciascuna delle parti, con la conseguenza che, ove non possa ritenersi già conosciuta, ai sensi dell'art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., per effetto della pronuncia in udienza, la stessa dev'essere notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata anche dall'ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla anche d'ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l'avvenuta dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. Un., 7/05/2021, n. 12154)

Casus Decisus
FATTI DI CAUSA 1. L'H. S.p.a. propose opposizione allo stato passivo dell'amministrazione straordinaria della V. S.p.a., chiedendo in via principale l'ammissione al passivo in prededuzione, ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, di un credito di Euro 479.489,58, a titolo di corrispettivo per prestazioni di trattamento delle acque di scarico e di processo e degli sfiati clorurati dello stabilimento petrolchimico di Ravenna e di revamping dell'intero impianto, rese per la continuazione dell'esercizio dell'impresa in adempimento di convenzioni stipulate il 22 marzo 2004; in subordine, chiese l'ammissione al passivo in prededuzione di un credito di Euro 103.614,15, ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. n. 270 cit.. Si costituì la convenuta, ed eccepì la novità della domanda proposta ai sensi dell'art. 52 cit., contestando comunque la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della prededuzione. Il giudizio, dichiarato interrotto all'udienza del 30 ottobre 2013 a causa della conversione della procedura di amministrazione straordinaria in falli- mento, disposta con decreto dell'8 luglio 2013, fu riassunto dall'opponente con ricorso depositato il 29 gennaio 2014. Si costituì il curatore del fallimento, ed eccepì l'estinzione del giudizio. 1.1. Con decreto del 31 marzo 2015, il Tribunale di Venezia ha accolto l'opposizione, ammettendo al passivo in prededuzione, ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 270 del 1999, un credito di Euro 479.489,58. Premesso che l'art. 43, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come riformulato dall'art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nel prevedere l'interruzione automatica del giudizio in caso di fallimento, nulla dispone in ordine alla decorrenza del termine per la riassunzione, il Tribunale ha ritenuto applicabile l'art. 305 cod. proc. civ., da interpretarsi, conformemente agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nel senso che per le parti diverse da quella dichiarata fallita il termine decorre dalla conoscenza effettiva dell'evento interruttivo, e quindi dalla data in cui lo stesso è dichiarato in udienza dal procuratore della parte che ne sia stata colpita o notificato alla controparte. Ha quindi rigettato l'eccezione di estinzione del processo, ritenendo irrilevanti, ai fini della conoscenza dell'evento interruttivo, sia l'iscrizione della dichiarazione del falli- mento nel Registro delle Imprese che le comunicazioni effettuate dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 92 della legge fall., in quanto avvenute al di fuori del processo interrotto e non aventi la finalità di provocare la decorrenza del termine. Nel merito, precisato che non era in discussione la sussistenza del credito, già ammesso al passivo in via chirografaria per il maggiore importo di Euro 1.609.007,97, ma solo la prededucibilità del minore importo indicato dall'opponente, ha escluso che il richiamo all'art. 52 del d.lgs. n. 270 del 1999 com- portasse una mutatio libelli rispetto alla domanda proposta in sede di verificazione del passivo, evidenziando la comunanza del requisito funzionale prescritto dalla predetta disposizione e dall'art. 20 del medesimo decreto. Ciò posto, ha ritenuto sussistente il requisito della funzionalità delle prestazioni alla continuazione dell'esercizio dell'impresa, tanto per i crediti sorti successivamente alla dichiarazione dello stato d'insolvenza quanto per quelli sorti successivamente all'avvio dell'amministrazione straordinaria, rilevando che in data 16 settembre 2010 i commissari straordinari avevano dichiarato di voler subentrare sia nella convenzione per il trattamento delle acque di scarico che in quella per il trattamento degli sfiati clorurati, ed aggiungendo, in riferimento all'accordo di revamping, che in data 28 ottobre 2010 gli stessi avevano diffidato l'opponente dall'interrompere i relativi servizi, pur dichiarando di non voler subentrare nell'accordo. 3. Avverso il predetto decreto il curatore del fallimento ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L'H. ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memo- ria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. IV - 1 - ORDINANZA 03 gennaio 2023 N. 45 Cristiano Magda

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la nullità del procedimento di primo grado, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di estinzione del giudizio, in virtù della ritenuta inidoneità delle comunicazioni effettuate ai sensi dell'art. 92 della legge fall. a far decorrere il termine per la riassunzione. Premesso che nelle ipotesi d'interruzione automatica, come quella prevista dall'art. 43 della legge fall., il termine decorre non già dalla data dell'evento interruttivo, ma da quella in cui la parte interessata ne ha avuto conoscenza, sostiene che, in quanto inerenti alla verificazione del passivo, che costituisce una fase del procedimento giudiziario- concorsuale, le predette comunicazioni determinano una conoscenza legale ed effettiva che si colloca all'interno dello stesso, e della quale il creditore è partecipe sia direttamente che a mezzo del suo procuratore.


1.1. Il motivo è infondato.
E' opportuno premettere che la conversione della procedura di ammini- strazione straordinaria in fallimento, pur lasciando immutati gli effetti riguar- danti il patrimonio dell'impresa e la capacità del debitore, nonché i rapporti con i creditori, determina il passaggio da una procedura amministrativa ad una giudiziaria, a seguito del quale cessano, in particolare, le funzioni del commissario straordinario, sostituito dal curatore nominato dal tribunale ai sensi dell'art. 71, comma secondo, del d.lgs. n. 270 del 1999: tale cessazione, comportando la perdita della capacità processuale da parte del commissario, giustifica l'interruzione dei giudizi pendenti, in applicazione dell'art. 43, terzo comma, della legge fall., imponendone pertanto la riassunzione, ai sensi dello art. 303 cod. proc. civ., nel termine di cui all'art. 305.
Com'è noto, la questione riguardante la decorrenza del termine per la riassunzione in caso d'interruzione del giudizio determinata dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti ha costituito oggetto di contrastanti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, avendo alcune pronunce ri- tenuto che la decorrenza del termine dovesse essere necessariamente subordinata alla pronuncia dell'interruzione, in mancanza della quale non è confi- gurabile quello stato di quiescenza del giudizio che costituisce il presupposto della riassunzione (cfr. Cass., Sez. I, 11/04/2018, n. 9016; Cass., Sez. VI, 27/04/2018, n. 4519; 9/ 04/2018, n. 8640; 1/03/2017, n. 5288), ed avendo altre reputato sufficiente la conoscenza dell'evento interruttivo, da porsi tut- tavia in relazione con quella dello specifico giudizio in cui lo stesso era destinato in concreto ad operare, e ciò tanto nel caso in cui a riassumere il giudizio fosse il curatore del fallimento (cfr. Cass., Sez. III, 28/12/2016, n. 27165; Cass., Sez. lav., 13/03/2013, n. 6331; 7/03/2013, n. 5650), quanto nel caso in cui fosse la controparte del fallito (cfr. Cass., Sez. III, 26/06/2020, n. 12890; 30/11/2018, n. 31010; 15/ 03/2018, n. 6398); altre pronunce ancora ritenevano invece superflua, in quest'ultimo caso, la conoscenza dello speci- fico giudizio, osservando che, a differenza del curatore del fallimento, la con- troparte del fallito non può non essere al corrente della pendenza dello stesso (cfr. Cass., Sez. II, 29/08/2018, n. 21325); uniformità d'indirizzo si registra- va soltanto in ordine all'individuazione del destinatario della comunicazione, concordemente identificato nel difensore della parte, quale soggetto in grado di apprezzare gli effetti giuridici dell'evento interruttivo e di rendersi conto della necessità di riassumere tempestivamente il giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2658; Cass., Sez. III, 26/06/2020, n. 12890; 15/03/2018, n. 6398).
Le perplessità derivanti da tali divergenze di opinione hanno determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, le quali hanno risolto il contrasto di giurisprudenza mediante l'enunciazione del principio di diritto se-condo cui la dichiarazione di fallimento di una delle parti, intervenuta nel corso del giudizio, pur determinando l'interruzione automatica del processo, ai sensi dell'art. 43, terzo comma, della legge fall., nonché l'improcedibilità della domanda, ai sensi degli artt. 52 e 93 della legge fall., qualora la stessa abbia ad oggetto l'accertamento di un credito, non comporta anche l'immediata decorrenza del termine per la riassunzione o la prosecuzione del giudi- zio, a tal fine occorrendo che la dichiarazione d'interruzione sia portata a co- noscenza di ciascuna delle parti, con la conseguenza che, ove non possa ritenersi già conosciuta, ai sensi dell'art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., per effetto della pronuncia in udienza, la stessa dev'essere notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata anche dall'ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla anche d'ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l'avvenuta dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. Un., 7/05/2021, n. 12154). A sostegno di tale affermazione, si è rilevata innanzitutto la diversità tra la posizione del curatore e quella della parte non colpita dall'evento interruttivo, osservandosi che, mentre quest'ultima è già a conoscenza della pendenza del giudizio su cui l'evento è destinato ad inci- dere, ed ha pertanto bisogno soltanto di avere notizia dell'intervenuta dichiarazione di fallimento della controparte, il primo può anche ignorare quali siano i giudizi pendenti in cui è parte il fallito. E' stata inoltre evidenziata la difficoltà di tipizzare le forme di comunicazione idonee a determinare la conoscenza legale dell'evento interruttivo, in ragione non solo della varietà delle stesse, ritenute non circoscrivibili ai soli atti previsti dall'art. 300 cod. proc. civ., ma anche della qualità di terzo rivestita dal curatore rispetto ai giudizi in cui è parte il fallito e dell'estinzione del mandato da quest'ultimo conferito al difen- sore, nonché della possibile identificazione del destinatario nella parte, anziché nel difensore. Si è infine dubitato dell'assimilabilità dell'effetto interruttivo automatico della dichiarazione di fallimento a quello delle altre fattispecie previste dal codice di procedura civile, in considerazione del carattere speciale della disciplina dettata dall'art. 43, terzo comma, della legge fall. e delle fi- nalità acceleratorie perseguite mediante l'introduzione della stessa, e si è pertanto concluso che la soluzione più idonea a soddisfare le esigenze di af- fidabilità, prevedibilità ed uniformità interpretativa connesse alla realizza- zione dell'uguaglianza dei cittadini e della giustizia del processo è proprio quella che, pur confermando l'automatica operatività dell'interruzione e la sottrazione della relativa pronuncia all'iniziativa di parte, subordina la decor- renza del termine per la riassunzione alla dichiarazione giudiziale dell'interru- zione, in assenza della quale non è configurabile alcun onere di riassunzione a carico delle parti (cfr. al riguardo anche Cass., Sez. I, 28/03/2022, n. 9853).
Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui, ri- levato che il processo era stato dichiarato interrotto all'udienza del 30 ottobre 2013, a seguito della conversione dell'amministrazione straordinaria in falli- mento, ha escluso l'intervenuta estinzione del giudizio, ritenendo tempestiva la riassunzione, in quanto effettuata con ricorso depositato il 29 gennaio 2014, e quindi nell'osservanza del termine trimestrale di cui all'art. 305 cod. proc. civ., la cui decorrenza è stata correttamente ancorata alla data della dichiarazione resa in udienza, anziché a quella delle comunicazioni inviate dal curatore ai creditori ai sensi dell'art. 92 della legge fall., ritenute inidonee ad assicurare la conoscenza legale dell'evento interruttivo, al di fuori del procedimento al quale si riferiscono.


2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270 del 1999, censurando il de- creto impugnato nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della prededu- zione, ha ritenuto che i crediti azionati fossero sorti successivamente alla dichiarazione dello stato d'insolvenza. Premesso infatti che nei rapporti con- trattuali il credito sorge al momento dell'esecuzione della prestazione pat- tuita, rileva che il Tribunale ha fatto erroneamente riferimento alle date di scadenza dei pagamenti indicate nelle fatture emesse dall'opponente, anziché a quelle in cui erano state effettuate le prestazioni o a quelle di emissione delle fatture.

2.1. Il motivo è inammissibile.
L'ammissione al passivo in prededuzione dei crediti fatti valere dalla società opponente trova conforto nell'orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di amministrazione straordinaria, secondo cui la prosecu- zione ex lege dei contratti in corso alla data di apertura della procedura, prevista dall'art. 50, comma secondo, del d.lgs. n. 270 del 1999, come interpretato dall'art. 1-bis del d.l. 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modifica- zioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, comporta da un lato che i predetti contratti continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi, e dall'altro che i crediti maturati dal contraente in bonis successivamente all'apertura della procedura devono essere am- messi al passivo in prededuzione, essendo le relative prestazioni finalizzate alla continuazione dell'attività d'impresa, ai sensi degli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270 del 1999 (cfr. Cass., Sez. I, 5/08/2019, n. 20898; 9/11/2018, n. 28797). Premesso che i crediti fatti valere dalla società opponente erano sorti in parte successivamente alla dichiarazione dello stato d'insolvenza, interve- nuta il 18 giugno 2009, in parte successivamente all'avvio dell'amministra- zione straordinaria, disposto con decreto del 7 agosto 2009, il decreto impugnato ha infatti ritenuto che ai primi fosse applicabile l'art. 20 del d.lgs. n. 270 cit. ed ai secondi l'art. 52, osservando che il requisito della funzionalità all'esercizio dell'impresa risultava integrato in entrambi i casi, in quanto, pur
avendo i commissari straordinari dichiarato di voler subentrare in una sola delle convenzioni stipulate con la società opponente, avevano diffidato que- st'ultima dall'interrompere il servizio previsto dall'altra, in quanto essenziale per la conservazione dell'integrità aziendale.
Il ricorrente non contesta la funzionalità delle prestazioni alla continua- zione dell'esercizio dell'impresa, ma si limita a censurare l'accertamento relativo alla posteriorità dei crediti rispetto alla dichiarazione dello stato d'insol- venza, sostenendo che a tal fine il Tribunale avrebbe dovuto fare riferimento non già alle date fissate per i pagamenti, così come risultanti dalle fatture prodotte, ma a quelle di effettuazione delle prestazioni, rese nei mesi di aprile, maggio e giugno 2009, o quanto meno a quelle di emissione delle fatture, anch'esse per lo più anteriori al 18 giugno 2009. L’accertamento sul quale si appunta la critica del ricorrente non è tuttavia censurabile per violazione di legge, ma esclusivamente per vizio di motivazione, la cui deduzione avrebbe dovuto essere accompagnata dalla precisa indicazione dei fatti de- cisivi omessi, oggetto di discussione fra le parti, dai quali risultava che i crediti erano sorti in data anteriore alla scadenza dei pagamenti indicati nelle fatture ed all’apertura della procedura concorsuale: in assenza di tale indicazione, il motivo si risolve nella mera sollecitazione di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impu- gnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le re- lative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. da parte dell'art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).


3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ri- corrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal di- spositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro- ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7/10/2022