RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e
falsa applicazione degli artt.204 e 208 del R.D. 1775/1933 e
dell’art.111 Cost., per avere il TSAP, nonostante l’art.204, comma
2, cit. non stabilisca alcun termine per la rettificazione,
impugnazione speciale prevista nella procedura delle acque, da
proporre dinanzi allo stesso Tribunale di primo grado, ritenuto di
dovere applicare il termine lungo semestrale di impugnazione,
termine generale previsto dal vigente codice di procedura civile
solo per l’appello e il ricorso per cassazione, né potendosi fare
richiamo alla norma residuale dell’art.208 R.D. 1775/1933, dettata
solo per regolare gli istituti che non trovano specifica
disciplina, come avviene per la rettificazione, non soggetta quindi
ad alcun termine finale di decadenza ma solo a quello ordinario di
prescrizione decennale; con il secondo motivo, si denuncia la
violazione e falsa applicazione dei limiti posti alla retroattività
di revirements giurisprudenziali e innovazioni, che
introducono, in via giurisprudenziale, decadenze processuali.
2. La prima censura è infondata.
Va precisato preliminarmente che la doglianza attiene
esclusivamente alla statuizione di inammissibilità della domanda di
rettificazione ex art. 204 R.D. 1775/1933, non anche alla
declaratoria, pure presente nella decisione del TSAP impugnata, di
inammissibilità della domanda di revocazione.
L’art.204 T.U. Acque Pubbliche, R.D. 1775/1933, stabilisce : « Art.
204. Per la rettificazione delle sentenze pronunciate dai Tribunali
delle acque pubbliche e dal Tribunale Superiore si osserva il
disposto dell'articolo 473 del Codice di procedura civile. La
rettificazione puo' essere domandata anche pei casi previsti ai
numeri 4, 5, 6 e 7 dell'articolo 517 del Codice di procedura
civile, oppure se sia stato violato l'articolo 357 del citato
Codice o siasi omesso uno dei requisiti indicati nei numeri 7, 8 e
9 dell'articolo 360 del Codice medesimo. Le correzioni, in caso di
dissenso, sono proposte con ricorso, a norma dell'articolo 151
».
L’art.473 del Codice di procedura civile del 1865 disciplinava la
correzione di errori, mentre l’art.517 nn. 4,5,6 e 7 concerneva i
motivi di impugnazione per extrapetizione, omissione di pronuncia
su una domanda o su un suo capo o per disposizioni contraddittorie
e l’art.357 riguardava la composizione del collegio giudicante,
stabilendo che non dovessero partecipare alla deliberazione i
giudici che non avevano assistito alla causa, con il numero di
votanti indicato dalla legge; infine, i nn. 7, 8 e 9 dell’art.360
del Codice del 1865 indicavano elementi essenziali nella sentenza,
quali dispostivo, data, sottoscrizione dei giudici.
L’art. 208 dello stesso T.U. così recita: « Per tutto cio' che non
sia regolato dalle disposizioni del presente titolo si osservano le
norme del Codice di procedura civile, dell'ordinamento e del
regolamento giudiziario, approvati coi Regi decreti 6 dicembre
1865, n. 2626, e 14 dicembre 1865, n. 2641, e delle successive
leggi modificatrici ed integratrici, in quanto siano applicabili
nonche', pei ricorsi previsti nell'articolo 143, le norme del
Titolo III, Capo II, del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054, delle
leggi sul Consiglio di Stato ».
La rettificazione dinanzi allo stesso giudice che ha emesso la
decisione (TRAP o TSAP) consiste, quindi, in un rimedio
finalizzato, oltre alla correzione di meri errori materiali, mezzo
implicante un apprezzamento oggettivo e sostanzialmente
incontestabile, anche all’eliminazione di particolari errores in
procedendo, quali l’extrapetizione o l’omissione di pronuncia su
una domanda o su di un suo capo o la presenza di disposizioni
contraddittorie (nn. 4,5,6 e 7 art.517 c.p.c. 1865), secondo un
modello di mezzo propriamente impugnatorio, implicante un giudizio
da parte dello stesso Giudice delle Acque sul suo corretto operato
nell’iter decisionale.
Questa Corte ha già più volte affermato (Sez. Un., Sentenza n. 488
del 2019; Sez. Un., Sentenza n. 19448 del 2009) che, avverso
l'omessa pronuncia del Tribunale superiore delle acque pubbliche,
il rimedio esperibile non è il ricorso per cassazione, bensì lo
specifico rimedio del ricorso per rettificazione al medesimo
Tribunale superiore, come disposto dall'art. 204 del r. d. n. 1775
del 1933, recante un rinvio «recettizio» ai casi previsti dall'art.
517 del codice di rito del 1865 [ovvero alle seguenti ipotesi: «se
la sentenza "abbia pronunciato su cosa non domandata", "se abbia
aggiudicato più di quello che era domandato", "se abbia omesso di
pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda" e "se contenga
disposizioni contraddittorie"»]; tenendo presente che, inoltre,
l'art. 204 menzionato non distingue ed accomuna, anzi, il rimedio
della rettificazione sia con riferimento alle pronunce del TSAP che
riguardo a quelle del TRAP (Cass. Sez. Un. n. 157/2020).
In sostanza, la giurisprudenza di queste Sezioni Unite (cfr.
Cass. Sez. Un. n. 505/2011, n. 9662/2014 e n. 16969/2019 ) è
univoca nel ritenere che - ai sensi dell'art. 204 del R.D. 11
dicembre 1933, n. 1775 (c.d. T.U. delle acque), che opera un rinvio
«recettizio», o fisso o materiale, alle corrispondenti norme del
codice di procedura civile del 1865 - qualora si assuma che il
Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sia incorso nel vizio di
extrapetizione o di omessa pronuncia, l'impugnazione esperibile è
l'istanza di rettificazione al medesimo Tribunale Superiore e non
il ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione, di cui ai
successivi artt. 200-202 dello stesso T.U., esperibile, invece, in
caso di omesso esame di un motivo, non rientrando quest'ultima
ipotesi tra quelle per cui è prevista la rettificazione ai sensi
del citato art. 204.
Ora, la disciplina di cui all’art.204 del R.D. 1774/1933 non
contiene alcun termine di decadenza per la proposizione della
rettificazione allo stesso giudice di prima istanza nella procedura
delle acque pubbliche. Vi è un richiamo all’art.473 del codice del
1865, che disciplina appunto la correzione di errori, anche se si
tratta di un rimedio che non può essere equiparato esclusivamente
alla correzione di errore materiale, implicando anche, in talune
ipotesi, un giudizio ovvero una valutazione da parte del giudice su
corretto operato nell’iter decisionale.
Il Tribunale Superiore delle Acque ha ritenuto, pertanto, operante
l’art.208 del T.U.A., norma di chiusura e di portata generale, che
contiene un rinvio, da qualificarsi come formale o mobile, alle
norme del codice di procedura civile e quindi applicabile il
termine, semestrale, lungo di impugnazione di cui all’art.327
codice procedura civile attuale, nel dovuto bilanciamento tra
l’interesse della parte ad avvalersi del rimedio impugnatorio
specifico e l’interesse pubblico di ragionevole durata del processo
e certezza del diritto attraverso la formazione dell’autorità di
cosa giudicata da parte della statuizione giudiziale adottata dal
giudice competente. Nella specie, la domanda di
rettificazione, proposta nel 2019 avverso sentenza del TRAP del
2014, è stata dichiarata inammissibile per tardività.
In effetti, si è da tempo affermato il principio secondo cui, nel
procedimento avanti i Tribunali delle acque pubbliche, il rinvio al
codice di procedura civile compiuto dall'art. 208, t.u. n.
1775/1933, norma di chiusura, deve intendersi in senso formale,
avuto riguardo essenzialmente al tenore letterale della
disposizione ma anche al principio di ragionevolezza, sicché sono
da applicarsi le norme del vigente codice di procedura civile (e
non l'abrogato codice del 1865). Così Cass., Sez. Un., 29 ottobre
1981, n. 5693, che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello ove
ricorra l'applicabilità dell'art. 331, comma 2, c.p.c.. Questo
principio è stato poi ribadito, in particolare da; a) Cass., Sez.
Un., 12 giugno 2019, n. 15745, che ha deciso che l'atto
introduttivo del giudizio d'appello avanti al Tribunale Superiore
delle acque pubbliche, in difetto di una norma specifica, deve
essere conforme alle prescrizioni dettate dall'art. 342 c.p.c., nel
testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n.
134 del 2012 – conf. n. 31113/2017); b) Cass., Sez. Un., 21
settembre 2018, n. 22430, secondo cui al ricorso per cassazione
avverso le sentenze emesse in grado di appello dal Tribunale
Superiore delle acque pubbliche si applica la regola, emergente dal
combinato disposto dei commi 4 e 5 dell'articolo 348-ter c.p.c.,
secondo la quale la sentenza di appello che risulti fondata sulle
stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base
della sentenza di primo grado - c.d. «doppia conforme» - non è
censurabile con il mezzo di cui all'articolo 360, comma 1, n. 5,
c.p.c.; c) Cass., Sez.Un., 19 dicembre 2016, n. 26127, che, nello
specifico, ha affermato che la parte cui sia stato notificato il
ricorso per cassazione, ove intenda, a sua volta, proporre
controricorso o ricorso incidentale, deve farlo nei termini
stabiliti dagli artt. 370 e 371 del codice di rito attualmente
vigente; d) Cass. Sez. Un. n. 24903/2011 (conf. Cass. Sez. Un.
n.18357/2016), secondo cui, nel procedimento davanti al Tribunale
regionale delle acque pubbliche, il regolamento di competenza
d'ufficio non può essere richiesto oltre la prima udienza di
trattazione, essendo applicabile anche in tale giudizio l'art. 38
cod. proc. civ. (nella specie, il primo comma, secondo la
formulazione della disposizione - applicabile «ratione temporis» -
antecedente alla riforma recata dalla legge 18 giugno 2009, n. 69),
in virtù del rinvio residuale alla disciplina del codice di
procedura civile, operato dalla norma di salvaguardia dell'art. 208
del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, posto che l'art. 161 dello
stesso r.d. n. 1775/1933 regola specificamente soltanto l'ipotesi
del regolamento di competenza rimesso all'iniziativa delle parti;
e) Cass., Sez. Un., 8 aprile 2010, n. 8310, che, in particolare, ha
escluso la nullità della sentenza impugnata per difetto di
sottoscrizione da parte di tutti i giudici del collegio, ritenendo
sufficiente, ai sensi dell'art. 132 del vigente c.p.c., la
sottoscrizione del presidente e dell'estensore.
Con specifico riguardo ai giudizi di tipo impugnatorio ed in unico
grado di merito, previsti dall'art. 143 del r.d. n. 1775/1933,
l'art. 208 cit. richiama, sempre con rinvio formale o non
recettizio, non il codice di procedura civile, bensì le norme del
titolo III, capo II, del t.u. n. 1054 del 1924, delle leggi sul
Consiglio di Stato: come chiarito dalla giurisprudenza (Cass., Sez.
Un., 13 ottobre 2017, n. 24146), pertanto, nel caso in cui, in
pendenza del processo, sopravvenga un difetto di interesse delle
parti alla decisione, trova applicazione l'art. 35, comma 1, lett.
c) del vigente c.p.a., in base al quale il giudice dichiara, anche
d'ufficio, l'improcedibilità del ricorso e non la cessazione della
materia del contendere.
Invece, in ordine all’applicazione del comma 4 dell’art.202 ed al
termine entro cui deve essere proposto il ricorso per cassazione,
si è deciso che il ricorso alle sezioni unite della Corte di
cassazione avverso le sentenze del Tribunale Superiore delle acque
pubbliche, deve essere proposto entro 45 giorni dalla
notificazione del dispositivo, cioè entro il termine (novanta
giorni) fissato dall'art. 518 del codice di rito del 1865 (stante
l’espresso rinvio ai termini processuali previsti nel codice di
procedura civile del 1865, recettizio ed insensibile, quindi, alla
successiva entrata in vigore dell’attuale codice di procedura
civile, operato dall’art.202, comma 4, citato), ma dimezzato
(Cass., Sez. Un., 30 marzo 2018, n. 8048, che ha dichiarato
inammissibile il ricorso per cassazione, avviato per la notifica
nell’ ottobre 2016, contro una sentenza del Tribunale Superiore
delle acque pubbliche, in unico grado, il cui dispositivo era stato
notificato nel maggio 2016; Cass., Sez. Un., 9 luglio 2001, n.
9321; Cass., Sez. Un., 3 aprile 1998, n. 3471; Cass., Sez. Un., 11
ottobre 1988, n. 5483, ove è ulteriormente osservato che tale
riduzione del termine, rispetto a quanto previsto in via ordinaria
per il ricorso per cassazione, manifestamente non pone la citata
norma in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., trovando
giustificazione nella materia devoluta alla cognizione di detto
Tribunale e non implicando menomazione del diritto di difesa). Con
la sentenza n. 7607/2010 (conf. Cass. Sez. Un. 15144/2011), le
Sezioni Unite, con mutamento di una consolidata interpretazione del
giudice della nomofiliachia di una norma processuale (cd.
«overruling»), alla luce della disciplina contenuta nell'art. 8
della parte prima della tariffa di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n.
131, e nell'art. 2 della tabella allegata al medesimo decreto e
della insussistenza dell'obbligo di registrazione per tutte le
sentenze civili e dell’obbligo, anche per quelle per le quali esso
è previsto, del cancelliere di rilasciarne copia prima della
registrazione, se ciò sia necessario ai fini della prosecuzione del
giudizio, hanno poi operato una nuova esegesi dell’art.202, comma
4, affermando che il termine breve di quarantacinque giorni per
proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal
Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado decorre
«dalla notifica della copia integrale del dispositivo, senza dover
attendere la registrazione della sentenza stessa» (come
richiesto, invece, dal pregresso diritto vivente formatosi sulla
predetta norma); questa Corte, facendo applicazione
dell’overruling, ha successivamente ritenuto comunque ammissibile
il ricorso proposto - entro il termine lungo di cui all'art. 327
cod. proc. civ. e secondo le indicazioni della precedente lettura
giurisprudenziale dell'art. 202 citato - allorquando la predetta
notifica sia intervenuta prima del mutamento di giurisprudenza e la
scadenza dell'indicato termine sia avvenuta appena tre giorni dopo
la pubblicazione della citata sentenza n. 7607 del 2010, non
potendo reputarsi tale pronuncia oggettivamente conoscibile in
tempo utile per l'impugnativa nel termine breve (Cass. SS.UU.
24413/2011; Cass. SS.UU. 10453/2015, con la quale si è ritenuto
ammissibile il ricorso proposto - entro il termine lungo di cui
all'art. 327 cod. proc. civ. e secondo le indicazioni del
precedente orientamento giurisprudenziale - allorquando la notifica
sia intervenuta prima del suddetto mutamento di giurisprudenza).
Con la sentenza n. 9313/2022, le Sezioni Unite hanno poi chiarito
che la previsione del termine breve di quarantacinque giorni per
l'impugnazione per cassazione delle sentenze del Tribunale
Superiore delle acque pubbliche in unico grado, di cui all'art.
202, in relazione all'art. 183, del r.d. n. 1775 del 1933 (Testo
unico sulle acque), di natura officiosa in quanto decorrente dalla
notificazione del dispositivo a cura della cancelleria, «è conforme
ai principi di cui all'art. 6, par. 1, CEDU, e dell'ordinamento
unionale (art. 47 CDFUE), manifestando l'interesse dello Stato a
non lasciare indefinitivamente pendenti le cause e ad assicurare,
piuttosto, la sollecita formazione del giudicato e, con esso, la
certezza dei rapporti giuridici, in un ambito in cui, essendovi
materia di acque pubbliche, vengono in rilievo interessi pubblici e
collettivi».
E’ poi utile rilevare che questa Corte a Sezioni Unite aveva già
affermato (Cass. Sez.Un. 12084/2006), con riguardo al termine per
proporre il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite
avverso sentenza del TSAP in unico grado, che, in mancanza di
notifica integrale del dispositivo della sentenza, «il ricorso alle
Sezioni Unite è proponibile nel termine di un anno dalla
pubblicazione della sentenza, trovando applicazione, anche nella
indicata ipotesi, la disciplina generale di cui all'art. 327 cod.
proc. civ.», ritenendosi inoperante il rinvio recettizio
all’art.518 del codice di procedura del 1865.
Si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto: «Nel
procedimento per rettificazione delle sentenze pronunciate dai
Tribunali regionali delle acque pubbliche e dal Tribunale
Superiore, ai sensi dell’art.204 del r.d. n. 1775/1933 (Testo unico
sulle acque), nei casi previsti ai numeri 4, 5, 6 e 7 dell'articolo
517 del Codice di procedura civile del 1865, in cui si contestino,
secondo un modello di mezzo propriamente impugnatorio,
l’extrapetizione o l’omissione di pronuncia su una domanda o su di
un suo capo o la presenza di disposizioni contraddittorie, si deve
ritenere operante, in mancanza di una norma che espressamente
disciplini il termine di decadenza per la proposizione del rimedio
specifico della rettificazione allo stesso giudice che ha emesso la
decisione, l’art.208 del r.d. n. 1775 del 1933, norma di chiusura e
di portata generale, contenente un rinvio, formale o mobile, alle
norme del codice di procedura civile, e quindi applicabile il
termine, semestrale, lungo di impugnazione di cui all’art.327
codice procedura civile attuale, nel dovuto bilanciamento tra
l’interesse della parte ad avvalersi del rimedio impugnatorio
specifico e l’interesse pubblico di ragionevole durata del processo
e certezza del diritto attraverso la formazione dell’autorità di
cosa giudicata da parte della statuizione giudiziale adottata dal
giudice competente».
3. La seconda censura è parimenti infondata.
Invero, nella specie, il rilievo officioso dell’inammissibilità
della domanda di rettificazione involgeva questione di puro diritto
e di natura processuale (operatività della norma di chiusura di cui
all’art.208 R.D. 1775/1933 in mancanza di espressa disciplina del
termine per proporre la rettificazione ex art.204, carattere
formale e non recettizio del rinvio alle norme del codice di
procedura civile espresso dall’art.208, applicazione del termine
lungo di impugnazione di cui all’art.327 c.p.c.), che non doveva
essere previamente sottoposta al contraddittorio delle parti.
Questa Corte (Cass.9591/2011) ha già chiarito che «In tema di
violazione del principio del contraddittorio, l'omessa indicazione
alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto ovvero
mista di fatto e diritto rilevata d'ufficio, sulla quale si fondi
la decisione, comporta la nullità della sentenza per violazione del
diritto di difesa solo quando la parte che se ne dolga prospetti in
concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il
contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato
tempestivamente attivato; viceversa, ove la questione di diritto
sia di natura esclusivamente processuale ed attenga al corretto
mezzo di impugnazione a disposizione della parte - punto che il
giudice superiore dovrà preliminarmente e d'ufficio esaminare, a
prescindere dall'"iter" processuale seguito anteriormente - tale
nullità non è configurabile, perché anche la prospettazione
preventiva del tema alle parti non avrebbe potuto involgere profili
difensivi non trattati» (in termini anche: Cass. 3432/2016; Cass.
24312/2017, conf. Cass. 12978/2020, in tema di rilievo d'ufficio da
parte del giudice d'appello dell'improcedibilità del gravame per
tardiva costituzione dell’appellante; Cass. 15037/2018; Cass.
6218/2019, conf. a Cass. 19372/2015).
Da ultimo, si è affermato che: a) « La tardività dell'impugnazione
può essere rilevata d'ufficio senza necessità di stimolare il
contraddittorio, perché il divieto di porre a fondamento della
decisione una questione non sottoposta al previo contraddittorio
delle parti non si applica alle questioni di rito relative ai
requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui
violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza
che tale esito processuale integri una violazione dell'art. 6,
§ 1, della CEDU, il quale - nell'interpretazione data dalla Corte
Europea - ammette che il contraddittorio non venga previamente
suscitato su questioni di rito che la parte, con una minima
diligenza, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi»
(Cass. 7356/2022); b) « Il rilievo d'ufficio dell'inammissibilità
del ricorso per cassazione, perché proposto dallo stesso
procuratore di due o più parti in conflitto di interessi, non deve
essere preceduto dalla previa instaurazione del contraddittorio
sulla questione ai sensi degli artt. 101 e 384, comma 3, c.p.c.
trattandosi di questione di mero diritto, la cui prospettazione
preventiva alle parti non può involgere profili difensivi non
trattati» (Cass. 17456/2022).
In definitiva, il rilievo d'ufficio di questioni di mero diritto
non mette mai il giudice nella condizione di emanare una sentenza
in violazione del diritto di difesa delle parti (cosiddette «della
terza via» o «a sorpresa»), posto che sulle questioni di diritto le
parti sono ex ante facultate - sulla base della anche solo astratta
o ipotetica applicabilità di norme esistenti nell'ordinamento a
fatti che, invece, restano quelli dedotti dalle parti - al più
ampio esercizio del contraddittorio; né, rispetto a questioni
relative alla sussunzione di una fattispecie sotto l'una o l'altra
norma, o a una norma interpretata in un senso o nell'altro, è
possibile che sia dato alle parti modificare domande ed eccezioni,
allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie. Nell'ambito
delle questioni di diritto, le quali per loro natura non debbono
essere sottoposte al previo contraddittorio, la giurisprudenza di
questa Corte fa rientrare le questioni processuali (Cass. n. 9591
del 30/04/2011 e n. 3432 del 22/02/2016; contra, n. 2340 del
31/01/2017); ciò che del resto è coerente con l'ampio spettro di
controllo che l'ordinamento prevede per gli errores in procedendo,
per i quali non solo è possibile il ricorso per cassazione (ex art.
360 primo comma n. 4 cod. proc. civ.), ma addirittura questa Corte
di legittimità diviene giudice del fatto processuale, avendo
accesso alla documentazione di lite.
Né si verte di tema di applicazione del principio dell’overruling e
di tutela dell'affidamento incolpevole della parte, che aveva
proposto il mezzo di impugnazione in base alla regola processuale
espressa dal pregresso e consolidato orientamento giurisprudenziale
successivamente mutato, ove «l’overruling» si connoti del carattere
dell'imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino
sul consolidato orientamento pregresso), così da giustificare una
scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte
risultante ex post non conforme alla corretta regola del processo)
e l'effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare,
in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i
quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111
Cost.), volto a tutelare l'effettività dei mezzi di azione e difesa
anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda,
essenzialmente, alla decisione di merito (Cass. SS.UU.
15144/2011).
Invero, tale principio attiene al mutamento della propria
precedente interpretazione della norma processuale solo da parte
del giudice della nomofilachia (c.d. «overruling»), il quale porti
a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una
decadenza od una preclusione prima escluse e questa Corte, a
Sezioni Unite (Cass. n. 4135/2019) ha da ultimo chiarito che
«l'affidamento qualificato in un consolidato indirizzo
interpretativo di norme processuali, come tale meritevole di tutela
con il "prospective overruling", è riconoscibile solo in presenza
di stabili approdi interpretativi della S.C., eventualmente a
Sezioni Unite, i quali soltanto assumono il valore di ”ommunis
opinio” tra gli operatori del diritto, se connotati dai caratteri
di costanza e ripetizione, mentre la giurisprudenza di merito non
può valere a giustificare il detto affidamento qualificato, atteso
che alcune pronunce adottate in sede di merito non sono idonee ad
integrare un “diritto vivente"». In motivazione, si è
richiamato quanto già affermato dalla Corte Costituzionale, secondo
cui «alcune pronunzie adottate in sede di merito non sono idonee ad
integrare un diritto vivente» (Corte cost. n. 78 del 2012) e,
quindi, a giustificare un affidamento qualificato, in quanto tale
meritevole di tutela con il rimedio dell'overruling, che è
riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi
del giudice di legittimità, eventualmente a Sezioni Unite (Corte
cost. n. 147 del 2008), i quali soltanto assumono il valore di
communis opinio tra gli operatori del diritto, se connotati dai
«caratteri della costanza e ripetizione» (Corte cost. n. 242 del
2008)».
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le
spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese processuali del presente giudizio di
legittimità, liquidate in complessivi € 7.000,00, a titolo di
compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario
delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di
legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto
della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da
parte della parte ricorrente dell’importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma
del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, a Roma, nella camera di consiglio del 13 dicembre
2022