CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’articolo 101, secondo comma, c.p.c. La censura ha ad oggetto l’introduzione a sorpresa di una nuova causa petendi rappresentata dalla mancata prova circa la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dall’articolo 2732 c.c. al fine di ottenere la revoca della confessione stragiudiziale, rappresentata nella specie dalla quietanza liberatoria contenuta nel rogito di compravendita del 7 aprile 2006. La società istante, invece, non aveva mai chiesto la revoca della quietanza liberatoria ex articolo 2732 c.c., ma al contrario si era avvalsa del contenuto di tale quietanza invocandolo a fondamento della propria domanda quale atto da interpretarsi, unitamente agli altri elementi probatori, nel senso che la immobiliare di A.A. non aveva mai ricevuto in pagamento l’IVA relativa al prezzo dell’immobile che aveva venduto alle resistenti con il rogito del 7 aprile 2006. Il Tribunale di Perugia, dunque, avrebbe dovuto riservare la decisione assegnando alle parti a pena di nullità un termine non inferiore a 20 giorni e non superiore a 40 per il deposito in cancelleria di una memoria contenente osservazioni sulla medesima questione. Di conseguenza, la sentenza della Corte d’Appello nel rigettare l’atto di appello, con conferma della sentenza di primo grado, avrebbe violato l’articolo 101, secondo comma, c.p.c. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza perché emessa in forma extrapetita o ultrapetita in violazione dell’articolo 112 c.p.c. La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo della violazione dell’articolo 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La Corte di merito avrebbe rigettato l’appello dell’immobiliare sul presupposto della mancanza di prova dell’errore che aveva determinato la confessione senza avvedersi che la ricorrente non aveva mai chiesto l’invalidazione della quietanza liberatoria mediante revoca della stessa e, al contrario, si era avvalsa del contenuto di tale quietanza, invocandolo a fondamento della propria domanda.
2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati. La censura di violazione dell’art. 101, secondo comma, e 112 c.p.c. è del tutto infondata sotto molteplici profili. In primo luogo, nel corso del giudizio non è stata prospettata, né dal giudice, né dalla originaria convenuta, alcuna diversa causa petendi, infatti, secondo la stessa prospettazione della ricorrente, alla richiesta della società istante di avvalersi della quietanza liberatoria - quale atto da interpretarsi, unitamente agli altri elementi probatori, nel senso che la immobiliare di A. A. non aveva mai ricevuto in pagamento l’IVA - è corrisposta l’eccezione di pagamento provata dalla medesima quietanza formulata dalla controparte con l’opposizione al decreto ingiuntivo. Risulta evidente, pertanto, che l’interpretazione della suddetta quietanza, al fine di stabilire il suo effettivo contenuto e la sua efficacia, come d’altra parte richiesto dalla stessa ricorrente, ha rappresentato l’oggetto principale del giudizio mentre il fatto che la ricorrente non ha chiesto l’invalidazione della quietanza, ai sensi dell’art. 2732 c.c., a ben vedere, è la ragione del rigetto della sua domanda di pagamento. Ne consegue che non vi è stata alcuna violazione dell’art. 101, secondo comma, o dell’art. 112 c.p.c.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’articolo 281 sexies c.p.c. Sostiene la ricorrente che la motivazione della sentenza di primo grado e il suo dispositivo non sono stati letti all’udienza del 23 luglio 2015 dal giudice di primo grado come si evidenzierebbe anche dal verbale di udienza che non menziona tale lettura. Il giudice di secondo grado nel rigettare il motivo di impugnazione, secondo la ricorrente, ha erroneamente affermato che nella sentenza si dava atto della pubblicazione della decisione mediante lettura in udienza del dispositivo. Tale circostanza non emergerebbe in quanto il giudice ha affermato di aver deciso come da separato provvedimento rispetto alla stessa sentenza. In realtà, sia la motivazione della sentenza che il suo dispositivo non sarebbero stati letti all’udienza del 23 luglio 2015 come risulterebbe dal verbale di udienza che non menziona tale lettura.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Al di là di ogni altra considerazione sulla censura in esame. deve preliminarmente rilevarsi la sua inammissibilità perché la stessa non si confronta con la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata. Infatti, la Corte d'Appello ha evidenziato che anche qualora fosse mancata la lettura del dispositivo in udienza, circostanza nella specie non dimostrata risultando agli atti il contrario, l’omessa lettura del dispositivo in udienza non avrebbe prodotto alcuna nullità ma solo la dilazione del termine per impugnare. Deve, pertanto, farsi applicazione del seguente principio di diritto: Ove la sentenza sia sorretta, come nella specie, da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l'annullamento della sentenza (ex plurimis Sez. 1, Ord. n. 18119 del 2020, Sez. 6- 5, Ord. n. 9752 del 2017). Nello stesso senso anche Sez. 3, Ord. n. 15399 del 2018 secondo cui: Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l'art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all'interno di quest'ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione o falsa applicazione degli artt. 2730, 2732, 2735 c.c. e degli artt. da 1362 al 1371 c.c. La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha interpretato il contenuto della quietanza sulla base della sola fattura n. 2 del 7 aprile 2006, estromettendo dall’indagine ermeneutica e dai criteri di interpretazione della dichiarazione di quietanza tutte le prove testimoniali raccolte nel giudizio di primo grado. La mancata prova della revoca della quietanza avrebbe costituito il presupposto per considerare non dimostrabile e non dimostrato il mancato pagamento dell’IVA da parte dell’appellante attraverso le prove testimoniali considerate dalla Corte come inutiliter data. L’erroneità di tale ragionamento consisterebbe nel fatto che la natura di confessione stragiudiziale della quietanza non impedisce di dimostrare in altro modo il mancato pagamento, ossia non attraverso l’invalidazione della quietanza bensì attraverso l’interpretazione della dichiarazione di quietanza e della ricostruzione del fatto storico rappresentato dal suo contenuto mediante l’acquisizione e la valutazione in tal senso delle dichiarazioni testimoniali assunte in corso di causa. In altri termini le prove erano dirette ad interpretare la quietanza e non ad invalidarla.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La censura ha ad oggetto la parte della sentenza di appello in cui la Corte, nel valutare la dichiarazione di quietanza contenuta nell’atto notarile del 7 aprile 2006, si è basata esclusivamente sulla fattura numero 2 del 2006 senza tener conto delle prove testimoniali raccolte nel giudizio di primo grado, aventi ad oggetto la circostanza del pagamento dell’IVA e le dichiarazioni rese dall’opponente in sede di interrogatorio formale, ancorché si trattasse di elementi decisivi ai fini della prova del mancato versamento dell’IVA.
5.1 Il quarto e il quinto motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili. La ricorrente richiede una rivalutazione in fatto della vicenda al fine di dimostrare che la quietanza non si riferisse al pagamento dell’IVA. La Corte d'Appello, invece, ha ritenuto che la dichiarazione resa davanti al Notaio, in ossequio ai comuni dati di ermeneutica giuridica, deve essere considerata come letteralmente riferita sia al versamento del prezzo dell’immobile, sia all’IVA ad esso relativa, come dimostrato dall’attestazione dell’avvenuto pagamento apposta sulla fattura. Quanto all’interpretazione della quietanza, quale atto a contenuto negoziale, deve ribadirsi che: L'interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, come accennato, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall'art. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.). Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016). Pertanto, al fine di riscontrare l'esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com'è accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017). Ne consegue l'inammissibilità dei motivi di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o l’omesso esame di fatti decisivi, si risolvono, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009), così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). La Corte d'Appello ha fatto ricorso al criterio letterale mentre la difesa del ricorrente è tutta incentrata sulla prova dell’effettivo mancato pagamento dell’IVA. In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell'ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al negozio non dev'essere l'unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. 16254 del 2012; conf., più di recente, Cass. 27136 del 2017). Ne consegue la fondatezza della decisione nella parte in cui si afferma che la prova del mancato pagamento non è sufficiente per porre nel nulla l’effetto negoziale derivante dalla quietanza che, invece, richiede anche la prova dell’errore in cui è caduto il dichiarante al momento del rilascio della quietanza medesima. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: L'indicazione del venditore, contenuta nell'atto notarile di compravendita, che il "pagamento del prezzo complessivo è avvenuto contestualmente alla firma del presente atto" non è coperto da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., ma ha natura confessoria, con la conseguenza che il quietanzante non è ammesso alla prova contraria per testi o per presunzioni, salvo che dimostri, in applicazione analogica dell'art. 2732 c.c., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza o salvo che se ne deduca la simulazione; quest'ultima nel rapporto tra le parti deve essere provata mediante contro dichiarazione scritta. (Sez. 2, Ordinanza n. 20520 del 29/09/2020, Rv. 659196 - 01).
6. Il ricorso è rigettato.
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 8. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2300 più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge; ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente Corte di Cassazione - copia non ufficiale Ric. 2018 n. 4987 sez. S2 - ud.21/10/2022 12 di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto