Giu Principi in tema di ricorso per cassazione
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. VI - ORDINANZA 03 ottobre 2022 N. 20775
Massima
a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile";
b) il nuovo testo introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
c) l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie;
d) la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso
(Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici)

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla Fondazione in epigrafe nei confronti di M. A. C., per avere “la lavoratrice, nello svolgimento delle sue funzioni, indebitamente trattenuto, negli anni 2015 e 2106 parte dei canoni versati dai conduttori di immobili di proprietà della Fondazione per una somma complessiva pari ad euro 28.882,00”; 2. la Corte territoriale, in sintesi e per quanto ancora qui rileva, ha escluso che fosse stata raggiunta la prova della “appropriazione da parte di C. delle somme oggetto di causa”, non solo per il periodo antecedente al luglio del 2015, come già ritenuto dal Tribunale, ma anche per il periodo successivo; 3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Fondazione con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimata; 4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale; la ricorrente ha depositato memoria

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. VI - ORDINANZA 03 ottobre 2022 N. 20775 Esposito Lucia

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione artt. 2014, 1218, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”; si deduce che “il thema decidendum del giudizio di secondo grado ineriva pertanto soltanto all’inadempimento - comprovato e financo confessato da controparte della lavoratrice e al conseguente onere probatorio sulla medesima incombente ex art. 1218 c.c.”; si sostiene che la controparte non avrebbe offerto la prova liberatoria “idonea a superare la presunzione di colpevolezza di cui all’art. 1218 c.c.”; coni il secondo mezzo si denuncia: “violazione e/o falsa applicazione art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.”; si lamenta che il Giudice a quo avrebbe “posto a fondamento della propria motivazione un fatto (l’assenza di contratti di locazione) palesemente smentito dai documenti prodotti agli atti del giudizio” e che avrebbe “pretermesso l’esame di fatti pacifici e/o non contestati nel giudizio di secondo grado, ovvero documentali che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia”;

2. i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, presentano pregiudiziali e concorrenti profili di inammissibilità; come ricordato nello storico della lite, la Corte territoriale, scrutinando il materiale istruttorio acquisito, ha escluso che fosse stata raggiunta la prova della “appropriazione da parte di C. delle somme oggetto di causa”, così definendo la materia del contendere devoluta al suo giudizio; non può essere messo in dubbio che il verificare se, nella concretezza della vicenda storica, si sia realizzata o meno un’appropriazione di denaro da parte di una lavoratrice costituisca pienamente una quaestio facti, il cui accertamento è devoluto al giudice del merito, così come al giudice del merito compete l’interpretazione degli atti processuali, nel caso l’individuazione dei confini della questione devoluta al giudice d’appello;

tali accertamenti di merito non possono essere criticati innanzi a questa Corte di legittimità - sollecitando un sindacato che esorbita dai suoi poteri - mediante censure che denunciano violazioni o false applicazioni di norme di diritto; invero, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre per l'esclusivo rilievo che, in relazione al fatto così come accertato dal giudice del merito, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte, non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma; sicché il processo di sussunzione, nell'ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata, mentre nella specie, gli errores in iudicando addebitati alla Corte territoriale, nella sostanza, propongono una diversa ricostruzione dei fatti, com’è conclamato dagli ampi riferimenti svolti in ricorso alle risultanze istruttorie;

in particolare, risulta inappropriato il riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., atteso che, come ribadito dalle Sezioni unite civili (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre); la pronuncia rammenta, poi, che la violazione dell'art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi individuati da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;

parimenti incongrua la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., atteso che la norma è censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove oggetto di censura – come nella specie - sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), opponendo una diversa valutazione; 

infine, inammissibile anche la censura ex art. 360, n. 5, c.p.c., che non tiene in adeguato conto l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 già citate) che hanno espresso su tale norma i seguenti princìpi di diritto (princìpi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici):

a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile";

b) il nuovo testo introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

c) l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie;

d) la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso; la censura formulata nel secondo motivo di ricorso risulta ampiamente irrispettosa di tali enunciati; non enuclea, fra l’altro, fatti storici realmente omessi nella sentenza impugnata, facendo piuttosto riferimento a valutazioni dei materiali probatori, e, comunque, ritenuti “decisivi” non nel senso inteso da questa Corte, secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015), ma nel senso patrocinato dalla parte soccombente;

3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato, nel suo complesso, inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza; occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese