A- Ricorso principale proposto da S.G..
Primo motivo: violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell'art. 345 c.p.c., per carenza assoluta di motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
1.1. Sostiene il ricorrente principale che il Giudice di appello avrebbe omesso del tutto di fornire una adeguata e logica risposta alle questioni che costituivano oggetto del devoluto, ed in particolare non avrebbe fondato su alcuna valida motivazione il riconoscimento del persistente diritto di surrogazione ex art. 1916 c.c., commi 1 e 3, a favore di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., avendo omesso del tutto, la Corte d'appello, di prendere in considerazione gli argomenti svolti dal Tribunale per escludere, nel caso concreto, il diritto di surrogazione ex art. 1916 c.c., vantato dalla società assicurativa, e dunque l'applicazione del principio indennitario, in base alla interpretazione delle clausole contrattuali della polizza infortuni, e comunque alla valutazione del comportamento successivo tenuto dai contraenti, non avendo rappresentato il legale, mandatario di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., alcuna riserva in ordine alla successiva rivalsa nei confronti del vettore, e tale silenzio era da ritenere significativo e concludente della volontà di 'rinuncia all'esercizio del diritto di surroga'.
1.2. Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che la Corte d'appello ha ritenuto sussistente il diritto di surroga, in virtù di integrazione ex lege (art. 1374 c.c. e art. 1916 c.c., comma 1) delle disposizioni contrattuali (in tal senso va chiarita l'affermazione, che si rinviene nella motivazione, per cui il diritto di surroga 'sorge ex lege per effetto della stipula dello stesso contratto'), rilevando che a ciò non ostava il patto modificativo di cui all'Appendice n. dodici (con il quale le parti avevano convenuto di escludere ogni condizionamento della prestazione indennitaria della polizza infortuni alla eventuale responsabilità del contraente INAER nella causazione del sinistro, con salvezza della rivalsa in caso di dolo) e che la preesistente clausola di cui all'art. 10 CSC prevedeva espressamente l'esercizio della rivalsa della società assicurativa verso la contraente INAER, in caso di condotta dolosa di quest'ultima causativa del sinistro. Pure non avendo ritenuto di esaminare espressamente gli altri argomenti svolti dal Tribunale nella sentenza di prime cure (secondo cui il diritto di surroga insussisteva, in concreto, in quanto: 1- UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. non aveva neppure allegato i fatti costitutivi della responsabilità 'dolosa' imputabile ad INAER; 2- il diritto di surroga era stato comunque implicitamente rinunciato dal legale mandatario dell'impresa di assicurazione, in difetto di manifestazione espressa nel modulo-quietanza predisposto per il pagamento dell'indennizzo), la Corte territoriale ha rinvenuto, quindi, dalle clausole di polizza e dagli atti modificativi, la esistenza in capo ad UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. del diritto di surrogazione, ritenendo sufficiente a configurare la lesione di tale diritto la mera stipula dall'atto di transazione tra il danneggiato e l'Assicuratore spagnolo della responsabilità civile del vettore aereo INAER, con il quale il danneggiato, dichiarandosi integralmente soddisfatto, aveva liberato quest'ultimo da ogni ulteriore pretesa risarcitoria.
1.3 Orbene, indipendentemente dalla soluzione adottata nel merito della questione sottoposta al suo esame, la Corte d'appello ha emesso un provvedimento che risponde ai requisiti essenziali minimi di cui all'art. 111 Cost., comma 6, ed all'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, risultando coerente l'impianto logico volto a relazionare le premesse in fatto (ed in particolare alle allegazioni della stessa parte appellata, la quale - secondo quanto emerge dalla sentenza della Corte territoriale - aveva opposto che UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. non vantava alcun diritto in quanto: non aveva pagato l'indennizzo; aveva limitato la rivalsa al solo caso di dolo 'dell'assicurato', come analogamente rilevato anche dal Tribunale: sentenza di primo grado riportata a pag. 19 ricorso; INAER non poteva essere considerata terza responsabile ai sensi dell'art. 1916 c.c., 'in quanto non parte del contratto di assicurazione': cfr. sentenza appello, in motivazione, pag. 2) con lo sviluppo dell'apparato giuridico motivazionale della sentenza impugnata, secondo cui doveva ritenersi sussistente il diritto di surroga, in quanto previsto espressamente in contratto, e sussisteva altresì la lesione arrecata a tale diritto, essendo rimasta preclusa la stessa possibilità di surrogazione nel credito del danneggiato-indennizzato verso il terzo responsabile (ed il suo assicuratore della RC), avendo quest'ultimo definitivamente ed integralmente estinto il proprio debito risarcitorio, in seguito all'adempimento dell'accordo transattivo, con effetti liberatori, stipulato dal danneggiato con l'Assicuratore della RC di INAER.
Tanto è sufficiente ad escludere la dedotta carenza assoluta di motivazione, in relazione ad entrambi i profili 'materiale e logico' del suddetto requisito essenziale prescritto ai fini della validità del provvedimento giurisdizionale, potendo assumere rilievo le eventuali lacune in cui il Giudice di seconde cure fosse incorso nell'esame delle domande ed eccezioni proposte dalle parti, nella denuncia del diverso vizio di legittimità di 'omessa pronuncia' su specifico motivo di gravame, per violazione dell'art. 112 c.p.c., ovvero del distinto vizio di 'errore di fatto' (per omessa considerazione di fatti storici decisivi) previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Secondo motivo: omesso esame di fatti decisivi, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.1 Assume il ricorrente principale che il Giudice di appello non avrebbe tenuto in considerazione i seguenti fatti, tutti deponenti per la esclusione del diritto di surrogazione e per la cumulabilità dell'indennizzo con il risarcimento del danno:
- La 'Appendice n. dodici di polizza', stipulata il (OMISSIS) con effetto dal 25.1.2009, che riconosceva l'obbligo di indennizzo degli assicurati/beneficiari indipendentemente dalle vicende concernenti l'accertamento della responsabilità civile del vettore aereo contraente di polizza (come invece era stato regolato nell'art. 24 CGA, clausola da considerarsi tra le parti contraenti, a seguito della disposta modifica, 'come mai inserita...ed inoperante', oltre che 'inopponibile agli aventi diritto alle citate indennità'), e che evidenziava la volontà di INAER di sottrarsi 'alla ricostituzione ai suoi danni di un diritto di surroga'.
- La 'clausola 10 delle CSC' che ampliava la copertura assicurativa a vantaggio degli assicurati/beneficiari, circoscrivendo la rivalsa esercitabile da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. esclusivamente alla ipotesi di 'dolo' della contraente INAER, rimanendo derogata la ipotesi dell'infortunio ascrivibile a colpa grave del vettore.
- La mancanza nell''atto di quietanza', predisposto dalla Compagnia assicurativa, trasmesso allo S., di un espresso 'avviso' relativo al possibile esercizio del diritto di surroga o di un monito rivolto all'assicurato per evitare condotte pregiudizievoli a tale diritto
- La esistenza di un interesse negoziale di INAER a fornire all'ente aggiudicatore (USL) del servizio di trasporto elicotteristico polizze a favore dei dipendenti pubblici, cumulabili con altre polizze fino ad un massimo di Lire 10 miliardi per persona.
- La esistenza di un interesse commerciale di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. 'a venire incontro ad una sua potenziale grandissima cliente' (INAER).
2.2. Il motivo è inammissibile.
Deve premettersi che la nuova formulazione del testo normativo, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante 'Misure urgenti per la crescita del Paese'), che ha sostituito dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la norma si applica alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell'11 settembre 2012: D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 cit.), ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di 'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti', escludendo il sindacato sulla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione e condotto alla stregua di elementi extratestuali: l'ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, esclusivamente nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un 'fatto storico', principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere 'decisivo' in quanto idoneo ad immutare l'esito della decisione (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U., Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
Tanto premesso, nessuno degli elementi indicati - ed asseritamente non considerati dal Giudice di merito - assolve al requisito della fattualità e della decisività.
2.3 In via preliminare occorre evidenziare come la denuncia di omessa considerazione di elementi che implicano una valutazione ed interpretazione di disposizioni negoziali, diverge dal paradigma normativo del vizio di legittimità, non essendo dato equiparare il testo normativo al fatto storico, venendo nella specie in questione - come emerge dalla esposizione del motivo - non il mero accadimento storico della stipula e redazione delle clausole di polizza e dei successivi patti modificativi, sibbene gli effetti giuridici che derivano dalla applicazione delle predette disposizioni negoziali, dovendo pertanto accertarsi non un fatto, ma il diritto, ossia individuarsi la disciplina giuridica del rapporto controverso, rispetto alla quale possono prospettarsi soltanto errori di diritto da denunciare ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.4 In ogni caso gli indicati elementi, che non sarebbero stati considerati dal Giudice di appello, non risultano decisivi.
L'Appendice n. dodici di polizza si limita soltanto ad escludere il nesso di subordinazione, che era previsto dall'art. 24 CGC, del pagamento dell'indennizzo agli assicurati/beneficiari, al mancato esercizio, da parte di questi, di azioni risarcitorie nei confronti del vettore aereo INAER: l'atto modificativo pertanto non esclude, in assoluto, che il vettore possa incorrere in responsabilità civile verso l'assicurato per avere cagionato l'infortunio, ma dispone soltanto che l'accertamento della eventuale responsabilità civile del vettore aereo non deve più ritenersi condizione ostativa al pagamento dell'indennizzo agli infortunati/beneficiari.
La clausola 10 delle CSC con la quale, in deroga all'art. 1900 c.c., comma 1, si estende l'obbligo di pagamento dell'indennizzo in favore degli assicurati anche in caso di infortuni verificatisi per dolo o colpa grave del contraente INAER, non appare rivestire rilievo dirimente ai fini dell'assunto difensivo della inesistenza del diritto di surrogazione, atteso che, la stessa clausola, fa salvo il diritto della Compagnia assicurativa di agire in surroga nei confronti del contraente ove con la sua condotta dolosa abbia cagionato l'infortunio: ed infatti la Corte d'appello ha ritenuto sufficiente ad integrare il pregiudizio arrecato alla società assicurativa il fatto stesso della liberazione del terzo responsabile, che aveva 'in ogni caso' precluso in limine lo stesso esercizio del diritto di surroga.
Anche la 'quietanza' - relativa al pagamento dell'indennizzo effettuato da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. allo S. - manca del tutto di decisività, e non appare conducente alla tesi della parte ricorrente che vorrebbe desumere da tale atto gli effetti giuridici abdicativi del diritto di surrogazione, sul presupposto del silenzio serbato dalla Compagnia assicurativa in ordine all'eventuale esercizio della azione di rivalsa. Al riguardo è appena il caso di osservare come, al di fuori delle ipotesi espressamente regolate dalla legge (silenzio-rifiuto; silenzio-rigetto; silenzio-assenso), ed al di fuori del comportamento tenuto dalle parti nel corso del rapporto processuale (principio di non contestazione), nell'ambito dei rapporti tra privati, il silenzio, in sè e per sè, non costituisce mai manifestazione negoziale, potendo acquistare tale significato soltanto in relazione alle circostanze in cui viene osservato o che lo accompagnano, alla stregua del generale principio secondo cui il silenzio, nei rapporti negoziali, può assumere il significato di implicita comunicazione di situazioni rilevanti solo quando sia in tal senso percepibile da entrambe le parti, nel qual caso, peraltro, si verte in tema di comportamento tacito concludente o manifestazione negoziale tacita (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1442 del 15/05/1959; id. Sez. 1, Sentenza n. 1326 del 10/04/1975; id. Sez. 2, Sentenza n. 5743 del 30/10/1981; id. Sez. 2, Sentenza n. 3957 del 09/06/1983; id. Sez. 1, Sentenza n. 8497 del 18/10/1994; id. Sez. 2, Sentenza n. 5363 del 14/06/1997).
Nella specie non è dato rinvenire nella mera trasmissione del 'modulo-quietanza' (privo di ulteriori dichiarazioni aggiunte) alcun elemento indicativo idoneo a produrre nel destinatario una 'oggettiva aspettativa' di un comportamento significativo per rinuncia all'esercizio del diritto di surroga, atteso che, da un lato, con il pagamento dell'indennizzo da parte dell'Assicuratore il beneficiario si spoglia del proprio diritto di credito al risarcimento del danno, verso il responsabile civile, che viene trasmesso al Assicuratore, e, dall'altro, che il pagamento dell'indennizzo non esonera l'assicurato/beneficiario dall'astenersi dal compiere atti che possano pregiudicare il diritto di credito trasmesso all'Assicuratore, rendendo obiettivamente impossibile l'esercizio della surrogazione.
2.5 Diversa questione, che esula dalla trattazione del presente motivo di ricorso, è se la condotta 'negligente' tenuta dalla Compagnia assicurativa, nel non comunicare tempestivamente, sia al proprio beneficiario, sia all'autore del danno, la volontà di esercitare il diritto di surroga, possa integrare ex art. 1227 c.c., comma 1, condotta concorrente causalmente efficiente alla produzione del pregiudizio arrecato al predetto diritto.
2.6 Non costituiscono, poi, 'fatti storici' oggetto di verifica processuale nel corso dei gradi di merito, l'asserito interesse negoziale e commerciale delle parti contraenti la polizza ex art. 1891 c.c., ad ottenere risultati favorevoli con i propri, rispettivi, partners commerciali, trattandosi di mere illazioni deduttive, frutto di soggettive valutazioni del ricorrente, peraltro prive di rilevanza sull'accertamento della esistenza, nella specie, del diritto di surrogazione ex art. 1916 c.c., comma 1.
Terzo motivo: violazione dell'art. 1882 c.c. e art. 1916 c.c., comma 4 e dell'art. 1920 c.c., comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1 Sostiene il ricorrente principale che la Corte territoriale, affermando il diritto di surrogazione della società assicurativa, avrebbe erroneamente applicato al contratto di assicurazione 'contro gli infortuni (anche) mortali', la disciplina propria del contratto di assicurazione 'contro i danni', non tenendo conto che, nella bipartizione funzionale del tipo negoziale prevista dal codice civile - tra assicurazione con causa indennitaria di tipo risarcitorio ed assicurazione con causa previdenziale e di risparmio: art. 1882 c.c. -, l'art. 1916 c.c., comma 4, collocato sotto il Capo XX nella Sezione II, intitolata 'Dell'assicurazione contro i danni', limitava la estensione delle disposizioni di cui ai precedenti commi del medesimo articolo esclusivamente alle 'assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali'. Pertanto soltanto alle assicurazioni che coprivano tali rischi, e cioè, più esattamente, alle assicurazioni contro gli 'infortuni non mortali', poteva trovare applicazione il 'principio indennitario' (art. 1910 c.c., comma 3 e art. 1916 c.c., comma 1), e non anche alle assicurazioni 'contro gli infortuni mortali' che rimanevano assoggettate, invece, alla disciplina delle 'assicurazioni sulla vita' ed in particolare all'art. 1920 c.c., comma 3, norma che, distinguendo tra assicurato e terzo beneficiario, sottraeva quest'ultimo alla sfera di incidenza diretta delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'infortunio, attribuendogli per effetto della 'designazione' - effettuata o nella stipula della polizza a suo favore, ovvero nella dichiarazione successiva comunicata all'Assicuratore, o ancora nel testamento - un diritto di credito 'proprio' a ricevere la somma prevista in contratto al verificarsi dell'evento-infortunio mortale.
3.2 Il motivo è fondato.
La questione della collocazione sistematica, nell'ambito della dicotomia del tipo negoziale disciplinata dal Codice civile (e precipue dall'art. 1882 c.c., che distingue tra causa indennitaria, obbligandosi l'Assicuratore a 'rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro'; e causa di capitalizzazione o risparmio - id est di investimento finanziario -, obbligandosi l'Assicuratore 'a pagare un capitale od una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana'), dei contratti di assicurazione infortuni invalidanti o mortali, è risalente ed è stata oggetto di ampio dibattito, avendo fornito le contrapposte opinioni dottrinali argomenti a sostegno e decise critiche, rispettivamente, a favore od a sfavore dell'assimilazione di tale polizza a quelle relative al 'rischio-danni', ovvero a quelle relative al 'rischio-vita'.
La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale propensione - determinata soprattutto dalla considerazione della natura del 'bene vita' compromesso dall'evento-rischio infortunio - alla inclusione della fattispecie negoziale nel tipo dei contratti di 'assicurazione sulla vita', è venuta, successivamente, ad accentuare progressivamente l'elemento della funzione solidaristica, che emergeva dalla rilevazione della prassi, in quanto il capitale attribuito ai beneficiari-familiari, interveniva molto spesso a soccorrere alle loro esigenze e necessità di sostentamento, insorte a seguito dell'infortunio mortale del congiunto che costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia. La valorizzazione di tale aspetto 'riparatorio' del 'danno' subito dai superstiti-beneficiari, assolto in tali casi dalla prestazione dell'Assicuratore (seppure in modo soltanto indiretto: non trovando corrispondenza il capitale ed il criterio della sua determinazione al momento del pagamento, nella effettiva entità del 'danno' corrispondente al valore di mercato od ai valori tabellari, ai quali commisurare il danno di un bene perduto) ha portato vieppiù ad accostare la figura contrattuale in questione alla disciplina propria delle assicurazioni 'contro i danni', ovvero anche a procedere 'caso per caso' nella individuazione delle norme, relative alle due differenti tipologie negoziali di cui all'art. 1882 c.c., ritenute applicabili od invece escluse dalla regolamentazione dei rapporti assicurativi concernenti il 'rischio-infortuni'.
I contrasti sono insorti, in particolare, in ordine alla applicazione o meno a tali contratti del 'principio cd. indennitario', proprio della disciplina delle 'assicurazioni contro i danni' (e che trova chiara espressione - ma non solo: art. 1905 c.c., comma 1, art. 1909 c.c., comma 2 - nell'art. 1910 c.c., comma 3), secondo cui l'assicurato non può locupletare dall'adempimento della obbligazione indennitaria dell'Assicuratore - quando anche avesse pattuito un massimale più elevato - un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio, non potendo in ogni caso eccedere l'indennizzo pagato dall'Assicuratore il valore patrimoniale del bene perduto a seguito dell'evento dannoso. Principio indennitario che trova applicazione pure nel caso in cui plurimi obbligati siano tenuti, anche per titoli diversi, ad adempiere, nei confronti dello stesso soggetto danneggiato, alla obbligazione risarcitoria del medesimo danno: unico essendo, infatti, il danno da risarcire, le prestazioni per equivalente eseguite dai singoli obbligati non potranno eccedere cumulativamente il valore patrimoniale corrispondente alla perdita subita.
Questa Corte, chiamata a risolvere la questione della applicabilità alle polizze infortuni dell'art. 1910 c.c., nel comporre il contrasto giurisprudenziale, è quindi pervenuta ad affermare che i contratti di assicurazione infortuni 'invalidanti e mortali', rivelano la presenza di caratteristiche ambivalenti, in quanto riconducibili a quelle proprie di ciascuna delle categorie generali del 'ramo danni' e del 'ramo vita' (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 5119 del 10/04/2002: evidenzia la difficoltà di collocare sistematicamente la polizza infortuni in una delle due categorie previste dall'art. 1882 c.c., relative al 'danno ad esso (ndr. assicurato) prodotto da un sinistro' ed 'al verificarsi di un evento attinente alla vita umana', in quanto 'la definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poichè nella prima parte si riferisce all'assicurazione contro i danni e nella seconda all'assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all'assicurato ('ad esso prodotto'), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poichè la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona..'), ciò che non consente, pertanto, di individuare nella fattispecie negoziale in questione (polizza infortuni), un 'contratto cd. misto' regolato dalle norme del tipo prevalente, non soccorrendo a dirigere la scelta di prevalenza la mera identificazione del 'rischio' per mezzo della nozione di 'infortunio', inteso anche come 'disgrazia accidentale' e cioè, secondo una definizione ormai tralatizia e consolidata, come un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea della persona. La oggettiva inapplicabilità del criterio di prevalenza della disciplina del tipo negoziale, ha quindi imposto di ravvisare nella 'assicurazione contro gli infortuni' la compresenza di distinte cause negoziali contenute in un unico contratto, dovendosi al proposito distinguere, nell'ambito della medesima polizza, l'infortunio produttivo di 'menomazione invalidante' della persona, da ricondurre allo schema della polizza assicurativa 'contro i danni', da quello, invece, dal quale è derivato l''evento letale', da assoggettare alla disciplina tipica delle 'polizze vita' (stipulate per il 'caso vita' o per il 'caso morte'), in quanto anche nella assicurazione infortuni mortali 'viene in considerazione un rischio che è tipico dell'assicurazione sulla vita: il rischio assicurato, ancorchè collegato ad una specifica causa (l'infortunio), è infatti pur sempre costituito dalla morte, e cioè da un evento attinente alla vita umana, e non alla persona, come l'infortunio invalidante. Inoltre, beneficiario dell'indennizzo non è l'assicurato, sul quale incide l'evento morte, ma un terzo, come nell'assicurazione sulla vita...').
Il criterio discretivo fornito dalla sentenza delle Sezioni Unite si incentra, pertanto, sulla individuazione del diverso bene attinto dall'evento-rischio 'infortunio', dovendo tenersi distinto il 'bene-vita' dal 'bene-salute', nonchè dal differente interesse che conduce l'assicurato alla stipula della polizza, avuto riguardo anche alla direzione soggettiva della prestazione cui è tenuto l'assicuratore, non essendo invece possibile desumere dalla sola caratteristica del fenomeno lesivo-infortunio in sè considerato ('evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna') alcuna utile indicazione in ordine alla scelta della disciplina normativa codicistica del tipo negoziale da applicare all'assicurazione degli infortuni (anche) mortali.
3.3 Le conclusioni raggiunte dalla sentenza del 2002 delle Sezioni Unite, che distingue tra 'infortunio-morte' (lesione della vita) ed 'infortunio-invalidità biologica' (lesione della salute), non sono state, peraltro, disattese o poste in discussione dalla successiva disciplina dettata dal Codice delle Assicurazioni Private, approvato con D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, all'art. 2, distingue i rami assicurativi, riconducibili rispettivamente alle 'assicurazioni sulla vita' ed alle 'assicurazioni contro i danni'.
Per quanto qui interessa, vengono in considerazione le seguenti disposizioni del CPA:
art. 2, comma 1: classificazione per ramo dei rami vita - 'I. le assicurazioni sulla durata della vita umana' (tipologia negoziale nella quale sono da sempre pacificamente ricomprese entrambe le formule di aleatorietà nelle quali può essere assunto il medesimo rischio concernente la vita umana, potendo l'evento consistere tanto 'per il caso vita' quanto 'per il caso morte'); 'IV. l'assicurazione malattia e l'assicurazione contro il rischio di non autosufficienza, che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia, o a infortunio o a longevità'.
L'impresa che ha ottenuto l'autorizzazione all'esercizio del ramo I., se è stata autorizzata ad esercitare anche un altro ramo vita 'con assunzione di un rischio demografico', può, inoltre, con lo stesso contratto 'garantire in via complementare i rischi di danno alla persona, comprese l'incapacità al lavoro professionale, la morte in seguito ad infortunio, l'invalidità a seguito di infortunio o malattia' (art. 2, comma 2);
art. 2, comma 3: classificazione dei rischi (dove il rischio viene ad individuare un sotto-ramo di quello principale: art. 2, comma 4) nei rami danni - ' 1. Infortuni (compresi gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali): prestazioni forfetarie; indennità temporanee; forme miste; persone trasportate'; '2. Malattia: prestazioni forfetarie; indennità temporanee; forme miste'. I rischi 1. e 2. relativi al ramo danni, possono essere autorizzati cumulativamente ('Infortuni e malattia': art. 2, comma 4, lett. a).
Dall'esame della riportata classificazione dei rischi assicurativi operata dal CAP emerge confermata la originaria anfibologia della nozione di 'infortunio', da un lato, essendo stati ricondotti all'esercizio del 'ramo vita', anche i contratti assicurativi contro i rischi 'malattia e non autosufficienza' derivati da infortuni 'invalidanti gravi', qualora vengano regolati come contratti di lunga durata e non rescindibili anticipatamente; dall'altro, essendo stati unificati nella medesima 'polizza vita' (se pure 'in via complementare') anche i contratti assicurativi contro il rischio di 'morte ed invalidità' in seguito ad infortunio. Tuttavia lo stesso Codice ha chiaramente inteso recepire il discrimine, fondato sull'aspetto funzionale del contratto, tra le due differenti categorie di assicurazioni contro gli infortuni 'mortali' ed 'invalidanti', non riproponendo espressamente tra i rischi assicurati dalle polizze del 'ramo danni' anche il rischio di 'morte a seguito di infortunio'.
3.4 La distinzione tracciata tra il 'ramo assicurativo vita' ed il 'ramo assicurativo contro i danni', con riferimento alle 'polizze infortuni' rispettivamente per il caso di morte e per il caso di invalidità biologica, viene rinvenuta significativamente proprio nell'elemento della 'lunga durata e non rescindibilità' dei contratti (ed infatti solo ove ricorrano tali specifiche caratteristiche anche le 'gravi invalidità' vengono attratte nel 'ramo vita'), atteso che:
a) le caratteristiche di previsione di lunga durata alla esposizione del rischio-infortunio che può esitare nella 'morte' od anche nell''invalidità grave', cui deve correlarsi altresì la non rescindibilità unilaterale da parte dell'assicuratore, accomunano tali contratti alla funzione latamente previdenziale e solidaristica che assolve la prestazione in capitale o in rendita della 'polizza vita', in quanto dimensionata alla 'durata della vita' del soggetto assicurato (venendo in considerazione, ai fini della valutazione del premio il cd. 'rischio demografico');
b) diversamente gli infortuni 'invalidanti' (non gravi, od anche gravi qualora il rapporto assicurativo sia privo delle caratteristiche precedentemente indicate) vengono correttamente collocati all'interno del 'ramo danni', in quanto la prestazione assicurativa assolve esclusivamente alla funzione reintegrativa del danno, considerato in sè nei suoi effetti pregiudizievoli per la salute della persona, esulando in questo caso ogni correlazione tra l'ammontare dei premi versati, la entità della prestazione indennitaria e l'elemento cronologico che qualifica il rischio assunto dall'assicuratore e cioè la durata della vita del danneggiato (cui spettano, infatti, 'prestazioni forfetarie' od 'indennità temporanee' predeterminate dal contratto).
3.5 Occorre considerare, peraltro, che, ai fini della individuazione della disciplina normativa del codice civile applicabile alle due tipologie di contratti assicurativi contro gli infortuni (morte od invalidità), la predetta classificazione operata dal CAP riveste soltanto carattere marginale, atteso che nel sistema normativo del Codice delle Assicurazioni del 2005 la definizione dei rami assicurativi, non è rivolta a fornire criteri di qualificazione giuridica delle tipologie di contratti, ma a definire le differenti prescrizioni degli obblighi organizzativi, di esercizio e di vigilanza cui sono sottoposte le società assicurative che operano in ciascun ramo, nonchè a definire i diversi criteri attuariali e prudenziali che tali società devono applicare nella corretta gestione dei rischi, così da assicurare la prescritta garanzia di solvibilità (le riserve tecniche obbligatorie non sono più dovute per il 'ramo vita': art. 33, comma 3, che rinvia all'art. 30 bis, comma 3, lett. a, CAP - vedansi anche gli artt. 38 e 41 CAP -; mentre permangono per il 'ramo danni': artt. 36 ss. CAP). Nè, peraltro, è dato ricavare altre utili indicazioni, in ordine alla disciplina normativa applicabile, dalle norme speciali del CAP, collocate sotto il Titolo XII, concernenti i singoli contratti di assicurazione (rispetto alle quali la disciplina del codice civile è da considerare sussidiaria: art. 165 CAP), atteso che le uniche norme che interessano direttamente il piano dei rapporti contrattuali, riferite al 'ramo vita' (e più specificamente ai contratti di assicurazione sulla vita 'di cui ai rami I, II, III e IV dell'art. 2, comma 1'), attengono esclusivamente all'esercizio della revoca della proposta contrattuale ed all'esercizio del diritto di recesso del contraente (artt. 176, 177 CAP).
La soluzione giuridica apprestata dalle Sezioni Unite di questa Corte risulta dunque confermata anche dopo la introduzione del Codice delle Assicurazioni Private, ed alla stessa il Collegio intende aderire, non ravvisando nuove ragioni - nè avendone prospettate le parti - per discostarsi dalle conclusioni raggiunte in ordine all'affermazione della irriducibilità della causa del contratto assicurativo per il rischio di 'infortunio mortale' alla funzione indennitaria che accomuna, invece, la causa delle altre polizze contro gli infortuni invalidanti a quella propria dei contratti assicurativi 'contro i danni', con conseguente applicazione, alle due tipologie di polizze infortuni, delle distinte discipline normative che regolano l'assicurazione sulla vita e l'assicurazione contro i danni.
3.6 A questo punto va subito sgombrato il campo da ogni equivoco volto a ritenere che nella polizza stipulata da INAER vengano ad essere commisti elementi funzionali propri dell'assicurazione della responsabilità civile (anch'essa collocata nell'ambito del 'ramo danni': art. 1917 c.c.) con elementi funzionali propri dell'assicurazione per infortunio mortale (da ricondurre, come meglio si specificherà anche di seguito, nel 'ramo vita').
La questione, alla stregua delle clausole contrattuali riportate nelle difese svolte negli atti regolamentari ed esaminate nella sentenza della Corte d'appello, risulta definitivamente risolta dal patto modificativo stipulato dai contraenti (cd. 'Appendice n. dodici') con il quale viene disposta la eliminazione 'fin dall'origine' dell'art. 24 CGA che pareva ipotizzare una duplica natura alternativa che la prestazione dell'Assicuratore avrebbe potuto assumere, secondo che i 'beneficiari' avessero o meno agito anche nei confronti di INAER per far valere il diritto al risarcimento dei danni in conseguenza di eventuali responsabilità da illecito del vettore aereo. La modifica contrattuale predetta esclude ormai ogni rilevanza agli argomenti difensivi volti a ritenere coperto, con la medesima polizza assicurativa, anche il diverso rischio della 'responsabilità civile' di INAER (che, peraltro, sarebbe stata in ogni caso impredicabile quanto alla copertura del rischio anche in caso di condotta dolosa del vettore aereo: art. 1917 c.c., comma 1).
L'assunto difensivo della parte ricorrente volto ad escludere che la società INAER (vettore aereo) potesse in ogni caso assumere la qualità di 'terzo responsabile' del sinistro, da respingere se fondato su di una ipotetica oggettiva incompatibilità della figura di autore del danno e di contraente (con lo stesso soggetto danneggiato) la polizza assicurativa contro gli infortuni a favore di terzo, non essendo all'evidenza ostativo al riconoscimento della eventuale responsabilità civile la qualifica di contraente della polizza, si rivelerebbe invece fondata qualora si fosse inteso affermare che rimaneva estranea alla polizza assicurativa il rischio per la 'responsabilità civile' di INAER (ovvero ossia che la società non rivestiva nella specie la qualità di 'assicurato'), non assolvendo la prestazione in capitale o rendita erogata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ai beneficiari (nella specie all'erede dell'assicurato), alcuna funzione risarcitoria del danno.
3.7 Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
La indagine in ordine alla natura indennitaria o meno della prestazione attributiva del vantaggio economico al beneficiario della polizza stipulata da INAER, non può prescindere dall'esame della differente posizione che assumono i vari soggetti coinvolti (contraenti, portatore di rischio, e beneficiari della prestazione in capitale o rendita) che intervengono nel rapporto contrattuale sussumibile nella assicurazione contro il rischio infortunio mortale. Il 'rischio', inteso quale evento-mortale, si produce o nei confronti dello stesso contraente (art. 1919 c.c., comma 1) o del terzo che ha prestato assenso (nel caso di polizza stipulata per il caso di morte riferito ad un soggetto terzo, che rimane tuttavia estraneo alla conclusione del contratto art. 1919 c.c., comma 2): questi soggetti sono, quindi, gli esclusivi 'portatori di rischio', ma con la rilevante differenza per cui se nella polizza per il 'caso di morte' dello stesso contraente, beneficiario della prestazione in capitale o rendita non potrà che essere un terzo, sicchè a tale contratto, stipulato ai sensi dell'art. 1919 c.c., comma 1, dovrà applicarsi, sempre e comunque, anche la disciplina di cui all'art. 1920 c.c., venendo a configurarsi lo schema del contratto (necessariamente) a favore di terzo, con l'ulteriore corollario per cui il beneficiario - in deroga alla disciplina generale di cui all'art. 1411 c.c. - verrà ad acquistare un proprio diritto di credito nei confronti della società assicurativa, solo per effetto dell'atto unilaterale non ricettizio con il quale il contraente-assicurato lo 'designa' come tale (art. 1920 c.c., commi 2 e 3), viceversa, nella polizza per il 'caso di morte' del terzo, il contratto di assicurazione, stipulato ai sensi dell'art. 1919 c.c., comma 2, prevede la coincidenza tra contraente e beneficiario della prestazione assicurativa (non trovando quindi applicazione la disciplina del contratto a favore di terzo). Nella specifica ipotesi oggetto di causa, peraltro, la relazione tra i soggetti coinvolti nel rapporto contrattuale è più complessa, perchè il contraente (nel caso di specie il vettore aereo INAER) ha stipulato la polizza assicurativa cumulativa, per conto di chi spetta ex art. 1891 c.c., per il 'caso di morte' derivato da infortunio del personale navigante e delle persone trasportate sugli aeromobili eserciti dal vettore, che sono quindi i portatori del rischio e dunque i soggetti 'assicurati', indicando quali soggetti terzi 'beneficiari' gli eredi degli stessi, i quali pertanto vantano un diritto proprio in quanto 'designati' a ricevere la utilità della prestazione, avente ad oggetto l'attribuzione di una somma di denaro, cui è tenuto ad adempiere l'Assicuratore in caso di morte dell'assicurato.
3.7.1. Orbene il rapporto contrattuale così definito non ha, quindi, per oggetto la sollevazione del soggetto 'assicurato' dagli oneri economici derivanti da una propria responsabilità civile per i 'danni-conseguenza' (patrimoniali e non patrimoniali) dallo stesso cagionati a terzi, ma ha piuttosto per oggetto l'attribuzione di un capitale o di una rendita, predeterminati contrattualmente in relazione al bene della vita dell'assicurato, a favore di un altro soggetto individuato quale beneficiario: pertanto l'assicurato, o meglio nel caso di specie il contraente stipula (per conto di chi spetta) il contratto di assicurazione per il caso di infortunio mortale, in funzione di un interesse proprio dell'assicurato che intende attribuire (per i più diversi motivi, che possono consistere anche nel provvedere alla soddisfazione di una situazione di bisogno economico futura e del tutto eventuale riferibile al beneficiario, che non si identifica con il ristoro di un 'danno', e che potrebbe insorgere in dipendenza dell'evento-morte) un vantaggio patrimoniale al soggetto designato, al verificarsi dell'evento assunto a rischio oggetto della polizza. In tale schema negoziale il soggetto 'assicurato', che è quello nei cui confronti può verificarsi il rischio (infortunio mortale), non subisce alcun danno che gli deve essere ristorato e che intenda compensare conseguendo (in tutto od in
parte) il valore corrispondente dall'assicuratore; il decesso per infortunio dell'assicurato, in sè considerato, è soltanto la conditio sine qua non della attribuzione patrimoniale a favore del 'beneficiario' il quale deve essere considerato, sempre e comunque, soggetto-terzo rispetto ai soggetti tenuti all'adempimento delle obbligazioni contrattuali, e non ha subito e non deve reintegrare alcun pregiudizio 'a causa' della condotta dell'assicurato. Evidente è, peraltro, la differenza che sussiste tra il terzo beneficiario ed il terzo danneggiato: quest'ultimo vanta un proprio credito risarcitorio nei confronti dell'autore del danno, insorto dall'illecito, e non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile, in quanto rimane estraneo al contratto assicurativo: tuttavia entrambe le obbligazioni, quella dell'autore del danno e quella dell'assicuratore della responsabilità civile, sono egualmente dirette a compensare - direttamente la prima, indirettamente la seconda - il valore del danno subito dal terzo; il beneficiario, viceversa, acquista direttamente con l''atto di designazione' effettuato dall'assicurato, un proprio diritto di credito verso l'assicuratore, corrispondente al capitale od alla rendita predeterminata in contratto, non richiedendosi per la esigibilità della prestazione anche la necessaria preesistenza di un altro rapporto obbligatorio tra assicurato e beneficiario, atteso che, nella definizione del rischio oggetto di polizza, non viene in questione nè l'elemento della responsabilità civile imputabile all'assicurato, nè quello di un preesistente illecito determinativo di un pregiudizio alla situazione patrimoniale del terzo-beneficiario (inteso quale variazione in pejus risultante dalla comparazione tra i valori patrimoniali riferiti al prima ed al dopo dell'evento pregiudizievole).
Ma se è allora l''assicurato' l'unico soggetto che 'subisce' l'evento-rischio (infortunio mortale), è fuor di luogo discutere di una prestazione avente natura 'indennitaria', con funzione reintegrativa di un danno, posto che il terzo beneficiario non deve essere compensato delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli subite a causa del decesso (atteso che la morte in quanto evento naturale inevitabile, non può mai integrare in sè un fatto violativo di un diritto fonte di responsabilità risarcitoria, risultando del tutto impraticabile la ipotesi di una equiparazione dell'exitus per infortunio ad un danno ingiusto), assolvendo piuttosto la prestazione eseguita dall'assicuratore, in adempimento della polizza contro gli infortuni mortali, ad una funzione di tipo assistenziale-solidaristica rivolta a favore dei soggetti beneficiari, non per compensare una perdita ma in funzione incrementativa delle loro disponibilità economiche, da utilizzare liberamente senza escludere l'ausilio per soddisfare eventuali maggiori bisogni che potrebbero sopravvenire in seguito alla verificazione dell'evento-rischio. Trattasi dunque non di un ristoro ma di un vantaggio di natura patrimoniale (beneficio economico), contrattualmente predeterminato ed oggetto di una obbligazione, rispetto all'adempimento della quale l'evento-morte, ossia la previsione sulla durata della vita dell'assicurato, assume semplicemente il connotato di termine di riferimento condizionante la esigibilità della prestazione.
3.7.2 Non può essere negato che, con la stipula del contratto di assicurazione dal rischio di 'infortuni mortali', il soggetto assicurato (quello la cui durata della vita viene in rilievo) intenda perseguire un interesse altruistico od indirettamente anche liberale, volendo assicurare al terzo beneficiario una attribuzione economica (in capitale od in rendita) che possa sopperire alle esigenze e necessità quotidiane ed in genere di vita del superstite, perchè in ipotesi divenuto bisognoso in conseguenza del venire meno dell'apporto economico continuativo che il 'de cuius' gli forniva (come ad esempio nel caso in cui al deceduto sopravvivano i propri familiari non autosufficienti). Ma questa possibile funzione indennitaria (in quanto compensativa della perdita di un apporto economico continuativo), svolta dal capitale costituito con il pagamento dei premi della polizza 'infortuni mortali', viene a configurarsi nello schema contrattuale come un mero motivo del negozio - riferibile ad una solo delle parti contraenti - rimanendo invece estraneo alla causa negoziale, che consiste nell'assunzione da parte dell'Assicuratore del rischio connesso al differimento temporale (relazionato alla durata della vita dell'assicurato) del pagamento di un capitale (o di una rendita) ad un terzo, al verificarsi dell'evento-morte dell'assicurato, dietro il corrispettivo costituito dal pagamento di un premio: causa negoziale che può, quindi, ritenersi interamente assorbita dalla funzione di costituzione di un capitale - variabile nell'importo in dipendenza del tasso interesse o del coefficiente di incremento pattuito - la cui attribuzione al beneficiario è certa, ma viene differita nel tempo in quanto ricollegata al rischio-morte, ossia alla durata effettiva della vita dell'assicurato. Ed è proprio la considerazione che, nella causa del contratto, assume un evento attinente alla durata della vita umana ed aleatorio quanto al tempo del suo accadimento (fine vita), cui è condizionata la esigibilità della prestazione, che viene infatti a contraddistinguere il contratto di assicurazione contro gli 'infortuni mortali', dal 'contratto di capitalizzazione', previsto dall'art. 179 CAP, normativamente definito come 'il contratto mediante il quale l'impresa di assicurazione si impegna, senza convenzione relativa alla durata della vita umana, a pagare somme determinate al decorso di un termine prestabilito in corrispettivo di premi, unici o periodici, che sono effettuati in denaro o mediante altre attività'.
3.7.3 Se, per la ragioni anzidette, la causa indennitaria rimane allora estranea allo schema negoziale dell'assicurazione contro gli infortuni mortali, risulta in conseguenza inapplicabile a tale polizza lo statuto normativo dell'assicurazione 'contro i danni' contraddistinto dal 'principio indennitario' che, richiedendo di dimensionare la prestazione assicurativa entro e non oltre la 'entità della perdita' effettivamente subita dal danneggiato nella sua sfera patrimoniale (non potendo questi locupletare dall'accadimento del rischio un importo per equivalente maggiore dell'effettivo pregiudizio patrimoniale subito), implica che il 'rischio', oggetto di assicurazione, sia riguardato esclusivamente in relazione alla esigenza di riparazione delle 'conseguenze dannose' derivate dall'evento, esigendo la necessaria corrispondenza tra il valore-equivalente del bene, al momento in cui si è verificato l'evento-rischio che ne ha determinato la perdita, e la prestazione 'compensativa' dovuta dall'Assicuratore (nei limiti del massimale, legale o convenzionale, stabilito).
3.7.4 La distinzione tra la funzione causale indennitaria propria delle assicurazione relative al ramo danni, e quella latamente previdenziale od assistenziale-solidaristica riconoscibile, invece, nella assicurazione vita 'per il caso di morte' cui deve essere ricondotta l'assicurazione contro gli 'infortuni mortali', rilevante ai fini della diversa disciplina normativa applicabile alle due tipologie negoziali, ha trovato piena conferma nella elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che, chiamata a dover rispondere in ordine alla compatibilità del principio della 'compensatio lucri cum damno' in materia di responsabilità civile, ha escluso di poter ravvisare nella erogazione della prestazione di pagamento (in rendita o capitale) dell'assicuratore sociale (nella specie INPS), proprio in considerazione della irriducibilità dell'elemento causale, una duplicazione di poste aventi entrambe 'funzione risarcitoria' e dunque sovrapponibili in quanto entrambe alla liquidazione per equivalente delle conseguenze del medesimo evento dannoso. Il vantaggio economico attribuito ai beneficiari della assicurazione sulla vita per il 'caso di infortunio-mortale' non può essere, infatti, considerato una utilità derivante dall'illecito e dunque non può incidere sulla esatta liquidazione del 'quantum' risarcibile, in applicazione del criterio della 'differenztheorie', che individua il danno in relazione alla variazione 'in pejus' della situazione patrimoniale del danneggiato accertata 'ante' e 'post eventum' lesivo, tenuto conto anche degli eventuali 'vantaggi collaterali' che siano pervenuti al danneggiato in dipendenza del medesimo evento lesivo, secondo un criterio di adeguatezza causale. Ed infatti debbono ritenersi indifferenti, ai fini dell'accertamento della predetta variazione della sfera patrimoniale del danneggiato, gli eventuali benefici economici (indennizzi, pensioni, compensi, utilità) allo stesso attribuiti a diverso titolo legale o contrattuale, ancorchè correlati all'accadimento dell'evento lesivo, qualora tali benefici siano pervenuti al danneggiato in modo del tutto indipendente dalla serie causale originata dall'illecito (come nel caso dell'acquisto della eredità, per la morte del familiare ucciso, essendo ricollegato dalla legge tale acquisto ad un evento ineludibile, in ordine al quale risulta del tutto indifferente la causa, naturale o meno, del decesso: la morte, in tal caso, è riguardata infatti dalla legge come mero fatto condizionante la fattispecie successoria, e non in quanto evento lesivo di un diritto e produttivo di danno; ad analoga conclusione deve pervenirsi anche nel caso degli altri vantaggi economici acquisiti in dipendenza di atti riferibili all'esercizio della autonomia privata del de cuius, quale per l'appunto la stipula del contratto di assicurazione sulla vita per il caso di morte, o per il caso di infortunio mortale, in cui la prestazione attributiva dell'importo in capitale od in rendita, che trova titolo nella polizza assicurativa, risulta del tutto scollegata dalla funzione indennitaria del danno subito 'jure proprio' dal superstite, in conseguenza dell'illecito che abbia cagionato la morte dell'assicurato). Ai fini dell'accertamento del nesso di derivazione eziologica diretta della prestazione assicurativa dalla serie causale cui ha dato luogo la condotta illecita dannosa del terzo, questa Corte, nella necessità di procedere ad una verifica caso per caso, ha ravvisato un elemento indiziario, significativo di una concorrente funzione risarcitoria del beneficio erogato dall'assicuratore, nella previsione legale di specifiche forme di surrogazione o rivalsa dell'assicuratore nei confronti dell'autore del danno. In tali casi, infatti, colui che agisce in surroga o rivalsa fa valere nei confronti del terzo autore dell'illecito lo 'stesso diritto di credito' originariamente spettante al danneggiato, che rimane pertanto soddisfatto per l'importo corrispondente a quello versatogli dall'assicuratore. La ragione del meccanismo surrogatorio va rinvenuta nel fatto che, a seguito del pagamento dell'indennizzo assicurativo, non può darsi la insorgenza di una nuova identica obbligazione gravante sull'autore del danno nei confronti del soggetto surrogatosi, accanto alla obbligazione risarcitoria dovuta al danneggiato, proprio perchè il pagamento effettuato dal terzo assolve anch'esso direttamente alla medesima 'funzione compensativa' dell'unico danno, pur se effettuato in luogo, ma non in sostituzione, della obbligazione risarcitoria che permane gravare sul danneggiante. Il meccanismo della surroga, pertanto, può essere il sintomo di una corrispondente funzione indennitaria del beneficio o della provvidenza erogati dal terzo (assicuratore) e della obbligazione risarcitoria gravante sul danneggiante: ma 'stabilire quando accompagnare la previsione del beneficio con l'introduzione di tale meccanismo di surrogazione o di rivalsa, il quale consente al terzo di recuperare le risorse impiegate per erogare una provvidenza che non rinviene il proprio titolo nella responsabilità risarcitoria, è una scelta che spetta al legislatore. Ad esso soltanto compete, in via definitiva, trasformare quel duplice, ma separato, rapporto bilaterale in una relazione trilaterale, così apprestando le condizioni per il dispiegamento dell'operazione di scomputo'. Pertanto, se in difetto di una previsione legale espressa del meccanismo della surroga non può esservi luogo ad operazioni di diffalco sull'ammontare del valore del danno risarcibile, negli altri casi dovrà procedersi a verificare caso per caso quale sia l'effettivo scopo che giustifica la erogazione da parte del soggetto terzo del beneficio collaterale ricevuto dal danneggiato. Alcuna automatica presunzione in ordine alla ipotetica sovrapponibilità della prestazione risarcitoria e di quella erogata dall'assicuratore, in quanto entrambe dirette a soddisfare il medesimo interesse leso del danneggiato, può allora essere fondata disposizione pattizia dell'art. 10 CSC - che prevede la rivalsa nei confronti della società INAER, contraente della polizza infortuni mortali in favore di terzo -, atteso che tale disposizione (quando anche non dovesse ritenersi travolta, 'ratione materiae', dalla eliminazione della clausola di cui all'art. 24 CGC, disposta con il successivo patto modificativo contenuto nell''Appendice n. dodici') non è sufficiente 'ex se' a palesare la 'funzione indennitaria' da assegnare anche alla attribuzione della somma capitale ai beneficiari effettuata dall'assicuratore del 'ramo vita', difettando in polizza qualsiasi collegamento tra l'adempimento della prestazione dovuta dall'assicuratore e la effettiva esistenza del 'danno conseguenza' (nelle diverse voci in cui può articolarsi il danno non patrimoniale ed il danno patrimoniale) subito dai beneficiari per la perdita del rapporto familiare, dovendo l'assicuratore eseguire la prestazione dedotta in polizza, anche in ipotesi di totale assenza di conseguenze dannose per i beneficiari. Ed è proprio la autonomia della funzione di risparmio volta ad uno scopo latamente previdenziale, che caratterizza il tipo negoziale delle assicurazioni del 'ramo vita', ad escludere la previsione di meccanismi legali di recupero a carico del soggetto danneggiante e quindi la logica della 'compensatio lucri cum damno', in quanto si prescinde del tutto dalla illiceità del fatto, venendo in rilievo l'evento lesivo in sè per sè - in quanto 'rischio' al verificarsi del quale la prestazione assicurativa diviene attuale ed esigibile - e non anche per il suo collegamento alla imputazione di responsabilità, ossia quale fonte della obbligazione risarcitoria.
Pertanto, deve essere condiviso il principio affermato da questa Corte secondo cui 'nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante' (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, in motivazione, paragr. 3.7, - seguita dalle conformi sentenze nn. 1265-1267 pubblicate tutte nella stessa data - che ha escluso la detraibilità, dal risarcimento del danno patrimoniale, del valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15870 del 13/06/2019, id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26647 del 18/10/2019 che, ai fini del diffalco, richiedono anche la coincidenza delle voci di danno risarcite).
3.8 Da tali premesse consegue la risoluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio: se infatti l'assicuratore del 'ramo vita' con l'adempiere alla obbligazione derivante dalla polizza, attribuendo la somma prevista - in forma di capitale o rendita - al beneficiario, non soddisfa alcun credito risarcitorio vantato da quest'ultimo neì confronti del terzo responsabile del danno, prescindendo la prestazione dell'assicuratore dalla esistenza e dalla entità del pregiudizio subito dal beneficiario derivante dall'atto illecito, viene meno la stessa possibilità di attuazione del meccanismo surrogatorio, non essendo l'assicuratore chiamato ad adempiere 'a causa' dell'illecito, ma 'a causa' dell'evento della morte dell'assicurato, e cioè della verificazione del rischio oggetto della polizza.
Ed infatti: a) l'assicurazione contro gli infortuni mortali, deve ricondursi al tipo negoziale della assicurazione sulla vita, in relazione alla quale non trovano applicazione le norme che disciplinano l'assicurazione 'contro i danni' (in cui invece debbono ricomprendersi le polizze infortuni non mortali), tra cui l'art. 1916 c.c.; b) la polizza in esame risulta essere stata stipulata dal contraente INAER sulla vita degli assicurati, venendo soddisfatto l'interessi di questi ad attribuire, in caso di decesso derivato da infortunio, un capitale ai soggetti designati come beneficiari; c) la funzione causale evidenziata dalla polizza prescinde da ogni collegamento tra la prestazione dovuta dall'assicuratore al verificarsi dell'evento-rischio, ed un preesistente fatto illecito produttivo di un danno risarcibile cagionato ai soggetti beneficiari, risultando inapplicabile, pertanto, il 'principio cd. indennitario' che informa la disciplina delle assicurazioni del ramo danni (artt. 1905,1910,1914 e 1916 c.c.) e di cui è espressione il principio della cd. 'compensatio lucri cum damno'; d) la assenza di una funzione cd. indennitaria, non ravvisabile nella prestazione erogata al beneficiario dalla società UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., e dunque la mancanza di sovrapponibilità, totale o parziale, di detta prestazione con la diversa prestazione risarcitoria dovuta al danneggiato da INAER, esclude nella specie, in difetto di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1916 c.c., non estendibili al di fuori dei rapporti assicurativi concernenti il 'ramo danni', che con l'adempimento dell'obbligazione prevista in polizza a favore del beneficiario si sia realizzato un meccanismo di tipo surrogatorio, non essendo subentrata la società assicurativa nel credito del danneggiato avente titolo nell'illecito che continua a gravare per l'intero sull'autore del danno indipendentemente dalle vicende connesse alla attuazione del rapporto assicurativo derivante da polizza contro gli infortuni mortali, regolata dalla disciplina normativa delle assicurazioni del 'ramo vita'; e) attesa la totale autonomia del rapporto assicurativo tra UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ed il beneficiario, rispetto al rapporto concernente la responsabilità civile tra gli eredi del de cuius ed INAER, ne segue che la stipula dell'atto di transazione tra i danneggiati e l'autore del danno non ha integrato alcuna lesione del diritto di surrogazione, non potendo derivare dall'atto transattivo con effetti liberatori del debitore alcuna responsabilità del beneficiario ai sensi dell'art. 1916 c.c., comma 3.
3.9 Il motivo di ricorso in esame è dunque fondato, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, non occorrendo procedere all'esame degli altri motivi quarto e quinto del ricorso, che debbono essere dichiarati assorbiti.
B- Ricorso incidentale proposto da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a..
Primo motivo: omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Compagnia assicurativa reitera le argomentazioni svolte nel motivo di gravame dedotto con l'atto di appello secondo cui la pretesa azionata dal beneficiario S. in via monitoria atteneva a diritto da ritenere estinto per decorso del termine di prescrizione annuale, in quanto diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello la lettera raccomandata datata 20 agosto 2012 trasmessa a mezzo fax presso l'indirizzo dell'avv. Ghelardi non poteva ritenersi validamente interruttiva della prescrizione, risultando in essa indicata come esclusiva destinataria la Compagnia assicurativa, e non anche il legale cui era stata inviata, ed inoltre non contenendo essa alcuna intimazione o richiesta di pagamento.
4.1 Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha statuito che il fax avente ad oggetto la lettera raccomandata conteneva 'una diffida stragiudiziale' ed era stata inviata presso lo studio del legale che, nel corso delle trattative stragiudiziali e dei contatti intercorsi, si era sempre presentato ed aveva agito quale mandatario della Compagnia assicurativa, così da apparire come soggetto dotato dei poteri rappresentativi ed inducendo nel danneggiato il legittimo affidamento nel ritenerlo tale.
4.2 Orbene la Corte ha esaminato tale documento rilevandone la corrispondenza ai requisiti, oggettivi e soggettivi, propri dell'atto di costituzione in mora ex art. 1219 c.c., comma 1.
Escluso che la inesatta rilevazione del contenuto del documento ed ancor più la valutazione della conformità dello stesso ad uno schema legale produttivo di effetti giuridici, possa integrare un 'fatto storico' primario o secondario, ricadendo invece nell'attività di ponderazione del materiale istruttorio e nella formazione del convincimento del Giudice di merito che non può trovare revisione nel giudizio di legittimità, ne segue che, difettando lo stesso presupposto cui il paradigma normativo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ricollega la deducibilità del vizio di legittimità, la censura va dichiarata inammissibile.
4.3 In ogni caso il motivo non osserva il requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, essendo omessa la compiuta trascrizione delle parti rilevanti della copia del fax che constano di riscontrare le allegazioni difensive.
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell'art. 1334 c.c., art. 2943 c.c., u.c., art. 1219 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Assume la ricorrente incidentale che, qualora la Corte d'appello avesse ritenuto valida la intimazione in mora di un atto diretto alla società, ma indirizzato all'avv. Ghelardi che non figurava quale 'destinatario', sarebbe caduta in errore di diritto per violazione delle norme indicate in rubrica.
5.1 Il motivo è inammissibile per inosservanza dei requisiti richiesti, a pena di ammissibilità, dall'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 56, ed è comunque anche infondato.
Deve ritenersi, infatti, che l'atto di intimazione diretto a costituire in mora il debitore (il rappresentato) possa essere utilmente comunicato tanto al rappresentante, quanto al rappresentato, essendo del tutto irrilevante, nel primo caso, che tale atto risulti formalmente destinato al solo debitore, se non sussistano incertezze circa la qualità ed i poteri rappresentativi del soggetto (rappresentante) cui l'atto è stato fatto pervenire, atteso che l'inefficacia della costituzione in mora si ha soltanto se l'atto è indirizzato a soggetto il quale non ha la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi relativi al rapporto, e nella specie non vi questione, attesa l'accertata condotta stragiudiziale tenuta dal legale nelle trattative, circa la spendita del nome e l'esercizio dei poteri rappresentativi della società assicurativa da parte del legale cui il fax era stato trasmesso (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13600 del 21/06/2011, in relazione alla efficacia dell'atto di intimazione rivolto personalmente all'amministratore della società debitrice). La lettera raccomandata con cui si provveda a costituire in mora una società in persona del suo legale rappresentante è idonea ad interrompere la prescrizione, ancorchè inviata al domicilio di quest'ultimo anzichè alla sede della società, dovendosi ritenere che la società destinataria sia venuta a conoscenza dell'atto tramite la persona del suo rappresentante (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3786 del 23/02/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 12264 del 25/05/2007).
6. In conclusione il ricorso principale deve essere accolto, quanto al terzo motivo, infondato il primo motivo, inammissibile il secondo, assorbiti il quarto e quinto motivo. La sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, deve essere cassata, senza rinvio, non occorrendo procedere ad ulteriori esami in fatto, potendo la Corte decidere la causa nel merito, con il rigetto dell'appello principale proposto da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. e la conferma della sentenza di primo grado.
6.1 Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
6.2 La società resistente va condannata alla rifusione delle spese dell'intero giudizio che vengono liquidate in dispositivo.
accoglie il terzo motivo di ricorso principale; dichiara inammissibile il primo motivo, infondato il secondo ed assorbiti il quarto e quinto motivo di ricorso principale; dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, senza rinvio e decidendo la causa nel merito rigetta l'appello principale proposto da UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a. avverso la sentenza n. 207/2016 del Tribunale di Belluno.
Condanna la parte controricorrente e ricorrente incidentale al pagamento in favore della parte ricorrente principale, delle spese dell'intero giudizio che liquida: a) in relazione al giudizio di legittimità, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00; b) in relazione al primo grado in Euro 19.870,00 per compensi ed Euro 870,00 per esborsi; c) in relazione al grado di appello in Euro 22.770,00 per compensi ed Euro 777,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021