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Giu LIQUIDAZIONE DEI DANNI NON PATRIMONIALI DA ILLECITO EXTRACONTRATTUALE.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 26 marzo 2021 N. 8622
Massima
In virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo non può chiedere la liquidazione sia del danno da perdita del rapporto parentale sia del danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell'esistenza.
Casus Decisus
RILEVATO
che:
in relazione al decesso di C.M., avvenuto a seguito di incidente stradale, P.R. e C.S. -rispettivamente, madre convivente e sorella della vittima - agirono per il risarcimento dei danni nei confronti di L.L.L., di A.A. e della compagnia Ina-Assitalia s.p.a. (poi Generali Italia s.p.a.), nelle rispettive qualità di conducente, proprietario ed assicuratrice r.c.a. del veicolo che aveva investito il ciclomotore condotto dal C.;
il Tribunale di Roma, dato atto del già avvenuto versamento di 290.000,00 Euro alla P. e di 50.0000,00 Euro alla C., condannò i convenuti, in solido, al pagamento della residua somma di 17.734,66 in favore della prima e di 69.160,60 Euro in favore della seconda, il tutto oltre accessori e rifusione delle spese di lite;
provvedendo sul gravame proposto dalla P. e dalla C., la Corte di Appello ha riformato parzialmente la sentenza, riconoscendo alla P. il risarcimento del danno patrimoniale (quantificato in 52.939,15 Euro, oltre interessi legali dalla data della sentenza) che era stato negato dal primo giudice;
avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione la P. e la C., affidandosi a tre motivi; ha resistito, con controricorso la Generali Italia s.p.a.; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 26 marzo 2021 N. 8622
CONSIDERATO
che:
il primo motivo denuncia 'violazione e
falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. e degli artt. 2,29 e 30
Cost. ed omesso esame di fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5)
in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale e della
relativa personalizzazione': le ricorrenti assumono che la sentenza
impugnata, così come quella precedente del Tribunale, non contiene
'una effettiva personalizzazione del danno, con cui il giudicante
abbia fatto emergere e valorizzato, dandone espressamente conto in
motivazione coerentemente alle risultanze probatorie obiettivamente
emerse (...), le specifiche circostanze di fatto, peculiari alla
concreta fattispecie, che comportano necessariamente il superamento
delle conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla
liquidazione forfettizzata del danno assicurata dalla tabella di
riferimento';
la censura di omesso esame di fatti
decisivi è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., comma 5 poichè, in
ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale, la sentenza
impugnata è conforme a quella di primo grado e le ricorrenti non
hanno ottemperato all'onere di dimostrare che le ragioni poste a
fondamento delle due decisioni siano tra loro diverse (cfr. Cass.
n. 26774/2016);
il motivo è - per il resto - infondato:
infatti, rigettando l'analogo motivo di appello, la Corte
territoriale ha dato atto del fatto che il primo giudice aveva
correttamente tenuto conto di plurimi elementi, quali l'età della
vittima, il grado di parentela con le attrici, la qualità della
relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la
persona scomparsa, 'facendo riferimento a tutte le condizioni
soggettive che hanno caratterizzato l'evento letale', così
pervenendo al riconoscimento di importi risarcitori complessivi che
dovevano ritenersi congrui; in tal modo il giudice di appello ha
mostrato di avere -a sua volta- considerato le peculiarità del caso
e valutato, rispetto ad esse, la congruità degli importi liquidati;
con la conseguenza che la censura svolta dalle ricorrenti non
coglie nel segno e mira piuttosto a sollecitare un diverso
apprezzamento di merito (sulla base degli elementi indicati alle
pagg. 15 e 16 del ricorso) che è inammissibile in sede di
legittimità;
col secondo motivo, le ricorrenti deducono
'violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. e degli artt.
2,29 e 30 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione
all'illegittima esclusione del danno esistenziale' e censurano la
sentenza per non aver liquidato, oltre al danno correlato al dolore
per la perdita del congiunto, anche quello 'esistenziale'
conseguente all''alterazione' e allo 'sconvolgimento di vita'
subito dalle ricorrenti;
il motivo è infondato: il danno conseguente
alla morte di un congiunto (o 'danno parentale') consiste, di per
sè, nella perdita della relazione col familiare e si sostanzia -al
tempo stesso e congiuntamente- nella sofferenza interiore e
nell'alterazione del precedente assetto esistenziale del congiunto
superstite; entrambi gli aspetti, che sono intimamente connessi,
benchè suscettibili, nelle singole ipotesi, di una valutazione
separata (come ripetutamente affermato da questa Corte: Cass.
901/2018; Cass. 7513/2018; Cass. 2788/2019; Cass. 28989/2019, ed
ancora, più di recente, da Cass. 8887/2020), sono considerati dalle
tabelle in uso per la liquidazione del danno parentale, cosicchè il
riconoscimento di un importo per danno esistenziale ulteriore
rispetto a quello liquidato per il danno da alterazione del
precedente assetto relazionale della vita si risolverebbe in
un'inammissibile duplicazione risarcitoria;
deve pertanto darsi continuità ai principi
affermati -al riguardo- da questa Corte, secondo cui, 'in virtù del
principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del
danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto
di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo
possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto
parentale che il danno esistenziale, poichè il primo già comprende
lo sconvolgimento dell'esistenza, che ne costituisce una componente
intrinseca' (Cass. n. 30997/2018, conforme a Cass. n. 25351/2015),
atteso che, 'in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in
assenza di lesione alla salute, ogni 'vulnus' arrecato ad altro
valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato,
all'esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi
automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della
sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o
modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente
esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga
conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i
profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche' (Cass. n.
23469/2018);
nel caso di specie, la Corte territoriale
mostra di avere correttamente considerato entrambe le componenti
del danno da perdita del rapporto parentale, e di avere altrettanto
correttamente proceduto alla relativa liquidazione, con motivazione
del tutto scevra da vizi logico-giuridici e per ciò solo
incensurabile in sede di legittimità;
il terzo motivo (concernente la posizione
della sola P.) denuncia la violazione e la falsa applicazione
dell'art. 111 Cost. e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., nonchè
l'omesso esame di un fatto decisivo 'costituito dalla giovane età
della vittima e dalla circostanza che il reddito di questa sarebbe
verosimilmente cresciuto negli anni a venire, in relazione alla
liquidazione del danno patrimoniale in favore della ricorrente';
richiamati i criteri individuati da Cass. n. 6619/2018, si assume
che, liquidando alla P. il risarcimento del danno patrimoniale
conseguente al venir meno del contributo economico del figlio, la
Corte ha commesso tre errori, ossia ha trascurato di considerare
che il reddito della vittima sarebbe verosimilmente aumentato negli
anni a venire, ha omesso di rivalutare il reddito goduto dalla
vittima dall'epoca della morte ((OMISSIS)) alla data della
decisione (2018) e ha 'inopinatamente ed ingiustificatamente
presunto che il defunto contribuisse ai bisogni della famiglia,
corrispondendo una quota pari a 1/4 del proprio reddito, quota che
risulta ictu oculi errata, mentre appare più verosimile la quota di
1/3 del reddito';
il motivo è inammissibile, in
quanto:
la censura concernente la quota del reddito
che il C. avrebbe presumibilmente destinato ai bisogni del nucleo
familiare (stimata dalla Corte in 1/4 e proposta dalla ricorrente
in 1/3 del reddito netto complessivo) è inammissibile in quanto
involge un tipico apprezzamento di fatto rimesso al giudice di
merito;
per il resto, il motivo è inammissibile in
quanto non si confronta specificamente con la ratio della decisione
e non evidenzia in modo adeguato la sussistenza di un concreto
interesse alla censura;
invero:
non tiene conto del fatto che gli interessi
sono stati riconosciuti, fin dalla data del decesso, su un capitale
di 48.000,00 Euro che, tuttavia, costituisce - nella logica della
sentenza - la cifra finale risultante dalla sommatoria dei
contributi mancati per i dieci anni successivi; con il che si è
determinato (nonostante l'applicazione del meccanismo della
devalutazione alla data dell'illecito e della progressiva
rivalutazione anno per anno) il riconoscimento di un importo per
interessi sicuramente superiore a quello che sarebbe risultato
dalla loro applicazione sui contribuiti venuti a mancare di anno in
anno;
inoltre, non fornisce elementi che valgano
a individuare la presumibile misura dell'incremento di reddito di
cui la vittima avrebbe potuto godere negli
anni;
infine, omette di indicare se, ed in quale
misura, l'applicazione dei coefficienti di capitalizzazione delle
rendite vitalizie individuati dalla richiamata Cass. n. 6619/2018
avrebbe condotto alla liquidazione di un importo superiore a quello
complessivamente determinato per effetto del sopra illustrato
calcolo degli interessi; in tal modo rendendo del tutto ipotetica
la sussistenza di un concreto interesse della P. alla
censura;
in conclusione, il ricorso dev'essere - nel
suo complesso - rigettato;
alla luce della peculiarità delle questioni
sottese al terzo motivo, sussistono gravi ragioni per la
compensazione delle spese di lite, ai sensi dell'art. 92 c.p.c.,
comma 2, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L.
n. 69 del 2009 (applicabile ratione temporis, trattandosi di causa
introdotta nell'anno 2010);
sussistono le condizioni per l'applicazione
del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1
quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le
spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art.
13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1
bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 novembre
2020.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo
2021
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