Giu Contenimento della spesa per i compensi agli avvocati delle pubbliche amministrazioni
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 21 maggio 2024 N. 4489
Massima
La normativa primaria di cui all’art. 9 d.l. n. 90 del 2014 ha la specifica finalità di contenimento della spesa pubblica in relazione all’ammontare dei compensi professionali (cd. “variabili”) corrisposti dalle pubbliche amministrazioni agli avvocati loro dipendenti in correlazione alle attività professionali rese nel difendere in giudizio le amministrazioni di riferimento. Il trattamento economico degli avvocati pubblici si compone di due diverse voci, l’una retributiva fissa, costituita dallo stipendio tabellare, l’altra - incisa appunto dal citato art. 9 - attinente ai compensi maturati in ragione dell’attività difensiva svolta in giudizio, di natura variabile perché dipendente dalla sorte del contenzioso. In tale prospettiva, sul diritto al compenso incidono, da un lato (anzitutto sul profilo della relativa misura), le norme regolamentari e contrattuali dall’altro, la previsione generale per cui “la relativa spesa non potrà superare quanto già stanziato per il medesimo titolo per l’anno 2013 dalle singole amministrazioni”. Quest’ultima previsione vale a porre una regola di ordine non esclusivamente temporale, e cioè inerente al quando del pagamento, bensì alla stessa “corresponsione”, quale possibilità di ricevere l’erogazione delle somme.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 21 maggio 2024 N. 4489

Pubblicato il 21/05/2024

N. 04489/2024REG.PROV.COLL.

N. 09340/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9340 del 2021, proposto da
Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Valeria Pellegrino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento, 11;

contro

-OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ordine degli Avvocati di Bari, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 00568/2021, resa tra le parti


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Capruzzi Biancalaura, Amoruso Luisa, Baldi Alessandra, Basile Rosaria, Cioffi Rosa, Farnelli Augusto, Labellarte Alessandro, Lanza Rossana, Lioce Mariangela e Lonero Baldassarra Chiara;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino e Pappalepore in delega degli Avv.ti Mastroviti e Derobertis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO

1. Con il ricorso di primo grado, -OMISSIS-, tutti dipendenti del Comune di Bari in servizio presso l’Avvocatura comunale, impugnavano la delibera di G.C. n. 855 del 30 dicembre 2014 recante modifiche dei regolamenti sui compensi professionali e sul funzionamento dell’avvocatura civica.

Censuravano, nella specie: il punto 1 del dispositivo della delibera, nella parte in cui, dopo aver stabilito che il “limite per le spese compensate” è costituito annualmente dallo stanziamento di bilancio che non può superare l’importo di € 240.000,00, dispone che “i compensi maturati che eccedono il tetto annuale non possono essere liquidati nell’annualità successiva”; il successivo punto 2, nella parte in cui modifica il “Regolamento sui compensi professionali ai legali della ripartizione Avvocatura” prevedendo, nel riparto della quota di compensi con recupero delle spese legali a carico della controparte, una commisurazione alle risultanze del Sistema permanente di Misurazione e Valutazione delle Performance (cd. “SMVP”).

Deducevano al riguardo, in sintesi: l’illegittimità dell’ancoraggio alla performance del diritto al compenso previsto dal suddetto punto 2, atteso che veniva in rilievo nella specie una componente della retribuzione principale, non già accessoria; l’illegittimità della suddetta previsione di cui al punto 1, in quanto violativa dell’art. 9, comma 6, d.l. n. 90 del 2014, con esclusione in tal modo del diritto al compenso dell’avvocato comunale per un’attività prestata.

2. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza del Comune di Bari e con intervento ad adiuvandum dell’ordine degli avvocati di Bari, affermata la propria giurisdizione, respingeva il ricorso, nei termini di seguito precisati.

Riteneva il giudice di primo grado che l’ancoraggio della ripartizione dei compensi alle risultanze del SMVP non fosse illegittimo, stante l’autonomia del relativo organismo di valutazione a tenore del pertinente Regolamento, e le adeguate garanzie del procedimento previsto, oltreché la oggettiva misurabilità e la legittimità degli indicatori di performance all’uopo predisposti dal Comune, considerati anche quelli specifici che ne declinano il contenuto; quanto alle doglianze inerenti al punto 1 del dispositivo impugnato, il Tar le respingeva accogliendo un’interpretazione della disposizione in forza della quale la stessa non dava luogo a esclusione radicale e definitiva della liquidazione dei compensi una volta superato lo stanziamento annuale di bilancio, bensì ne impediva la corresponsione nella sola annualità “successiva” a quella di maturazione del relativo credito.

3. Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Bari censurando con le doglianze di seguito esposte (cfr. infra, sub § 2 in diritto) il capo di sentenza inerente al rigetto delle doglianze relative al punto 1 del dispositivo impugnato, ove si prevede la preclusione alla liquidazione “nell’annualità successiva” della corresponsione dei compensi maturati che eccedano il tetto annuale di stanziamento di bilancio.

4. Resistono al gravame i ricorrenti in primo grado, chiedendone il rigetto; non s’è costituito in giudizio l’intimato ordine degli avvocati di Bari.

5. All’udienza pubblica del 9 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per carenza d’interesse sollevata dai resistenti in considerazione del fatto che il Comune di Bari sarebbe risultato vittorioso in primo grado, e dunque non vanterebbe alcun interesse concreto e attuale all’impugnazione.

1.1. L’eccezione non è condivisibile.

Dalla lettura combinata del dispositivo con la motivazione della sentenza, emerge come il rigetto dell’impugnazione risulti vincolato alla specifica interpretazione della disposizione impugnata accolta dal Tar, “la sola che consente una piena soddisfazione, con riferimento a questo specifico motivo di gravame, delle ragioni dei ricorrenti, potendosi pertanto - unicamente a dette condizioni (i.e., corretta esegesi del dato letterale della citata previsione nei sensi sopra indicati) - addivenire a una reiezione della censura in esame” (cfr. già in precedenza: “la statuizione contenuta nel punto 1, lett. c) del dispositivo della impugnata delibera […] non può essere intesa nel senso di escludere radicalmente e per sempre la liquidazione dei suddetti compensi, ma va interpretata nel senso letterale della esclusione della liquidazione nella sola annualità ‘successiva’ a quella di maturazione del relativo credito […]”).

Il che, a fronte della stessa indicazione della sentenza - che astringe la lettura del provvedimento, nei sensi suindicati, a una precisa interpretazione, avversata dal (e pregiudizievole per) il Comune - ben vale a fondare un interesse dell’amministrazione a muovere impugnazione al riguardo, anche in prospettiva conformativa.

2. Con unico motivo di gravame l’appellante si duole dell’errore commesso dal giudice di primo grado nell’interpretare la previsione impugnata, trascurando la ratio e la lettera della normativa primaria, che è quella di contenere la spesa per attenuare la pressione sulla finanza pubblica.

Il che non sarebbe ragionevolmente perseguibile attraverso una lettura, quale quella accolta dal Tar, volta semplicemente a differire ad annualità successive le erogazioni, così destinate ad incrementarsi progressivamente.

Di qui l’errore commesso dal giudice di primo grado nel ritenere che la previsione impugnata consenta la corresponsione delle somme nelle annualità successive alla prima seguente il periodo di maturazione.

Ciò darebbe luogo a un artificioso superamento del tetto previsto dalla normativa primaria, finendo per disattendere il senso della riforma legislativa di cui al decreto legge n. 90 del 2014, volta a ridurre i costi pubblici limitandoli all’interno delle risorse stanziate, come peraltro già riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 236 del 2017.

Alla luce di ciò, la lettura delle previsioni impugnate accolta dal Tar risulterebbe erronea e peraltro irragionevole, non comprendendosi per quale ragione dovrebbe ritenersi esclusa la corresponsione dei compensi nella sola annualità successiva a quella di maturazione.

2.1. Il motivo è condivisibile, nei termini e per le ragioni che seguono.

2.1.1. Occorre premettere che la delibera impugnata dispone, per quanto di rilievo, “che il limite per le spese compensate, nel rispetto della previsione di cui all’art. 9 co. 6 DL 90/2014 conv. in L. 114/2014: a. è costituito annualmente dall[o] stanziamento di bilancio il quale non può superare l’importo di € 240.000 […] c. I compensi maturati che eccedono il tetto annale non possono essere liquidati nell’annualità successiva; il compenso si considera maturato alla data di deposito della sentenza favorevole”.

La previsione si collega a quelle generali del Regolamento sui compensi professionali ai legali della ripartizione Avvocatura, in cui si prevede, all’art. 3, che “Sono destinate ai fini di cui all’art. 1 [i.e., “Agli avvocati […] in servizio presso la Ripartizione Avvocatura, sono corrisposti […] a titolo di incentivo, compensi professionali qualora i procedimenti legali si concludano con sentenza favorevole all’Ente […]”], nel caso di sentenze favorevoli per ogni singolo grado di giudizio nel senso di cui all’art. 2, le somme rivenienti da: […] b) la metà degli onorari e dei diritti, escluse le spese borsuali, nel caso sia pronunciata giudizialmente la compensazione delle spese”, e all’art. 5, comma 2, come modificato dalla delibera impugnata, a tenore del quale “Nell’ipotesi di compensazione totale o parziale delle spese, i compensi posti a carico del civico bilancio possono essere corrisposti annualmente nel limite di cui all’art. 9 co.6 DL 90/2014 conv. con L. 114/2014; a tal fine i compensi si considerano maturati alla data di deposito della sentenza favorevole […]”.

Al riguardo, la normativa primaria di cui all’art. 9, comma 6, d.l. n. 90 del 2014 prevede che «In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013», con previsione, al successivo comma 7, che «I compensi professionali di cui […] al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo».

2.1.2. Tanto premesso, i rilievi formulati dall’appellante sono condivisibili.

La normativa primaria di cui all’art. 9 d.l. n. 90 del 2014 ha la specifica finalità di contenimento della spesa pubblica in relazione all’ammontare dei compensi professionali (cd. “variabili”) corrisposti dalle pubbliche amministrazioni agli avvocati loro dipendenti in correlazione alle attività professionali rese nel difendere in giudizio le amministrazioni di riferimento (cfr. Corte cost., 10 novembre 2017, n. 236; di recente, Cons. Stato, V, 2 febbraio 2024, n. 1079).

Come noto, infatti, il trattamento economico degli avvocati pubblici si compone di due diverse voci, l’una retributiva fissa, costituita dallo stipendio tabellare, l’altra - incisa appunto dal citato art. 9 - attinente ai compensi maturati in ragione dell’attività difensiva svolta in giudizio, di natura variabile perché dipendente dalla sorte del contenzioso (cfr. Corte cost., n. 236 del 2017, cit.; 26 maggio 2022, n. 128, entrambe in relazione alla posizione degli avvocati e procuratori dello Stato; cfr. anche Cons. Stato, V, 7 luglio 2023, n. 6646).

In tale contesto, il citato art. 9, comma 6, subordina espressamente la corresponsione dei compensi professionali in caso compensazione delle spese, nell’ambito di sentenze favorevoli all’amministrazione, «alle norme regolamentari o contrattuali vigenti», e ai «limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013».

In tale prospettiva, sul diritto al compenso incidono, da un lato (anzitutto sul profilo della relativa misura), le norme regolamentari e contrattuali (Corte cost., n. 236 del 2017, cit.; cfr. anche Cons. Stato, III, 3 agosto 2018, n. 4814), dall’altro, la previsione generale per cui “la relativa spesa non potrà superare quanto già stanziato per il medesimo titolo per l’anno 2013 dalle singole amministrazioni” (Corte cost., n. 236 del 2017, cit.).

Quest’ultima previsione vale a porre una regola di ordine non esclusivamente temporale, e cioè inerente al quando del pagamento, bensì alla stessa “corresponsione”, quale possibilità di ricevere l’erogazione delle somme.

Oltre a emergere dal tenore letterale della previsione (che subordina la corresponsione appunto, così come «alle norme regolamentari o contrattuali vigenti», altresì ai «limiti dello stanziamento previsto») tale lettura è coerente anche con la ratio della disposizione, volta proprio al contenimento della spesa pubblica, non già al suo solo differimento; non ragionevole né coerente, al contrario, sarebbe un’interpretazione che volesse solo rinviare nel tempo la corresponsione, con l’effetto peraltro di determinare una crescita progressiva e potenzialmente esponenziale dell’esposizione debitoria dell’ente, di suo non allineata alla ratio del controllo e limitazione della spesa perseguita dalla legge.

Né conducono a diverse conclusioni le deduzioni con cui i resistenti valorizzano la circostanza per cui tale regime ha ad oggetto una componente del trattamento retributivo degli avvocati dipendenti, o ne inciderebbe sulla stabilità: a ben vedere, è la (legittima) finalità di limitazione della spesa, non irragionevolmente perseguita, a fondare le misure previste (cfr., ancora, Corte cost., n. 236 del 2017, spec. par. 9.5.1), in un contesto peraltro in cui la componente retributiva in rilievo è di suo “variabile” e di per sé esposta alle vicende giudiziali (cfr. ancora Corte cost., n. 236 del 2017, spec. par. 9.4.1, che richiama la naturale “aspettativa” che il dipendente vanta anteriormente alla definizione del giudizio; v. anche CGA, parere 10 febbraio 2020, n. 52; cfr. peraltro anche, Cons. Stato, n. 6646 del 2023, cit., in relazione all’ipotesi di spese a carico della controparte).

Alla luce di ciò, è condivisibile la giurisprudenza contabile laddove afferma che l’impedimento alla corresponsione dei suddetti compensi, in caso di superamento dei previsti limiti nell’anno di pertinenza, non consente neppure un differimento della loro corresponsione agli anni successivi (cfr. Corte conti, sez. contr. Puglia, 22 luglio 2021, n. 120, la quale si richiama anche alle pertinenti norme di contabilità pubblica, di cui al d.lgs. n. 118 del 2011; sez. contr. Molise, 22 settembre 2020, n. 71; sez. contr. Emilia Romagna, 18 dicembre 2023, n. 204).

In tale contesto, una lettura utile, orientata alla ratio e alla legittimità delle previsioni impugnate, conduce a ritenere che le stesse, nel prevedere che “I compensi maturati che eccedono il tetto annale non possono essere liquidati nell’annualità successiva”, escludano la possibilità di differire a (tutti gli) anni successivi la corresponsione dei compensi non erogabili nell’anno di pertinenza per il superamento dei limiti annuali.

Di qui l’accoglimento dell’appello, con riforma della sentenza di primo grado nei sensi suindicati, rilevanti anche in termini conformativi.

3. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata nei termini suindicati.

3.1. La peculiarità della fattispecie e la particolarità delle questioni trattate giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, riforma la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione;

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere, Estensore

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

 
   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Alberto Urso

 

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO