Giu Dubbi di compatibilità con i principi costituzionali circa una disciplina che sancisce uno scalino preferenziale a vantaggio dei primi cento classificati, cui viene destinata la quasi totalità della contribuzione (95%)
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - ORDINANZA 06 febbraio 2024 N. 1204
Massima
Sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, e 13, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, come convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191, in relazione agli artt. 3, 24, 77, 103, 111, commi 1 e 2, 113, e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; nonché, in subordine, per violazione degli artt. 2, 3, 21, 41 e dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione agli artt. 10 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - ORDINANZA 06 febbraio 2024 N. 1204

Pubblicato il 06/02/2024

N. 01204/2024 REG.PROV.COLL.

N. 07351/2023 REG.RIC.           

N. 07383/2023 REG.RIC.           

N. 07420/2023 REG.RIC.           

N. 07778/2023 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 7351 del 2023, proposto da


 

Espansione S.R.L, Editrice T.N.V. S.P.A, Retesette S.P.A, Rete 7 S.R.L, Rtv 38 S.p.A., Telelombardia S.R.L, Telecity S.R.L, Teleradio Diffusione Bassano S.R.L, Canale 9 S.R.L, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Tommaso Di Nitto, Massimo Luciani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Tommaso Di Nitto in Roma, via Antonio Gramsci, 24, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


 

contro

Pirenei S.r.l., Videolina S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Alpi (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Isabella Loiodice, Carlo Edoardo Cazzato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Grp Reti S.r.l., Associazione Tv Locali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Videolina S.p.A., non costituito in giudizio;



 

sul ricorso numero di registro generale 7383 del 2023, proposto da
Videolina S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Tommaso Di Nitto, Massimo Luciani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Tommaso Di Nitto in Roma, via Antonio Gramsci, 24;
Videolina Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Pirenei S.r.l., Espansione S.R.L, Editrice T.N.V. S.P.A, Retesette S.P.A, Rete 7 S.r.l., Rtv 38 S.P.A, Telelombardia S.R.L, Telecity S.R.L, Teleradio Diffusione Bassano S.R.L, Canale 9 S.R.L, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
A.L.P.I. (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Isabella Loiodice, Carlo Edoardo Cazzato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Minstero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Grp Reti S.R.L, Associazione Tv Locali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Espansione S.r.l., Editrice T.N.V. S.p.A., Retesette S.p.A., Rete 7 S.r.l., Rtv 38 S.p.A., Telelombardia S.r.l., Telecity S.r.l., Teleradio Diffusione Bassano S.r.l., Canale 9 S.r.l., non costituiti in giudizio;



 

sul ricorso numero di registro generale 7420 del 2023, proposto da
Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Pirenei S.r.l., Grp Reti S.r.l., Espansione S.r.l., Rete 7 S.r.l., Telelombardia S.r.l., Telecity S.r.l., Canale 9 S.r.l., Associazione Tv Locali, Editrice T.N.V. S.P.A, Retesette S.P.A, Rtv 38 S.r.l., Teleradiodiffussione Bassano S.r.l., Videolina S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Bielli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Videolina Spa, Editrice Tnv Spa, Retesette Spa, Rtv38 Spa, Teleradio Diffusione Bassano S.r.l., non costituiti in giudizio;
A.L.P.I. (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Isabella Loiodice, Carlo Edoardo Cazzato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



 

sul ricorso numero di registro generale 7778 del 2023, proposto da
A.L.P.I. (Associazione per la Libertà e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Isabella Loiodice, Carlo Edoardo Cazzato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Isabella Loiodice in Roma, via Ombrone n. 12 Pal. B;

contro

Pirenei S.r.l., non costituito in giudizio;

nei confronti

Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Grp Reti S.r.l., Associazione Tv Locali, Videolina S.p.A., Espansione S.r.l., non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7383 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Prima) n. 11242/2023, resa tra le parti, Per la declaratoria di nullità, l'annullamento o la disapplicazione:

previa declaratoria di incostituzionalità, nel caso di avvenuta legificazione, dell'art. 4 bis del decreto-legge 25 luglio 2018 n. 91, convertito con la legge 21 settembre 2018 n. 108, nonché dell'art. 1, comma 1034, della legge 27 dicembre 2017 n. 205,

a) del Decreto direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy Registro Ufficiale Int.0189185 del 21/12/2022, pubblicato sul sito dell'Amministrazione lo stesso giorno, con il quale il M.I.M.IT. ha approvato “la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l'anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l'elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017 n. 146, come riportati negli allegati A e B”, nonché la graduatoria medesima e i relativi allegati A e B ;

b) di ogni altro provvedimento o atto presupposto, coevo o consequenziale, comunque connesso, anche se non conosciuto, ivi compreso il Decreti direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy Registro Ufficiale Int.0167976 del 18/11/2022, pubblicato sul sito dell'Amministrazione lo stesso giorno,con la quale il M.I.M.IT. ha approvato “la graduatoria provvisoria delle domande ammesse al contributo per l'anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l'elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017 n. 146, come riportati negli allegati A e B”, nonché la graduatoria medesima e i relativi allegati A e B;

c) in via derivata, di ogni atto amministrativo dipendente, relativo alla procedura concessoria svolta per l'annualità 2022, dovesse essere adottato medio tempore.

Con riserva di domanda di integrale risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla Ricorrente in dipendenza dei provvedimenti, degli atti e/o dei comportamenti dell'Amministrazione resistente.

quanto al ricorso n. 7420 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Prima) n. 11242/2023, resa tra le parti, DEPOSITO APPELLO AVVERSO SENTENZA

quanto al ricorso n. 7778 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Prima) n. 11242/2023, resa tra le parti, per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, n. 11242 del 2023.

quanto al ricorso n. 7351 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Prima) n. 11242/2023, resa tra le parti, Per la declaratoria di nullità, l'annullamento o la disapplicazione:

previa declaratoria di incostituzionalità, nel caso di avvenuta legificazione, dell'art. 4 bis del decreto-legge 25 luglio 2018 n. 91, convertito con la legge 21 settembre 2018 n. 108, nonché dell'art. 1, comma 1034, della legge 27 dicembre 2017 n. 205,

a) del Decreto direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy Registro Ufficiale Int.0189185 del 21/12/2022, pubblicato sul sito dell'Amministrazione lo stesso giorno, con il quale il M.I.M.IT. ha approvato “la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l'anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l'elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017 n. 146, come riportati negli allegati A e B”, nonché la graduatoria medesima e i relativi allegati A e B ;

b) di ogni altro provvedimento o atto presupposto, coevo o consequenziale, comunque connesso, anche se non conosciuto, ivi compreso il Decreti direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy Registro Ufficiale Int.0167976 del 18/11/2022, pubblicato sul sito dell'Amministrazione lo stesso giorno,con la quale il M.I.M.IT. ha approvato “la graduatoria provvisoria delle domande ammesse al contributo per l'anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l'elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017 n. 146, come riportati negli allegati A e B”, nonché la graduatoria medesima e i relativi allegati A e B;

c) in via derivata, di ogni atto amministrativo dipendente, relativo alla procedura concessoria svolta per l'annualità 2022, dovesse essere adottato medio tempore.

Con riserva di domanda di integrale risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla Ricorrente in dipendenza dei provvedimenti, degli atti e/o dei comportamenti dell'Amministrazione resistente.


 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pirenei S.r.l. e di Ministero delle Imprese e del Made in Italy e di Grp Reti S.r.l. e di Associazione Tv Locali e di Alpi (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv e di Videolina S.P.A e di Pirenei S.r.l. e di Minstero delle Imprese e del Made in Italy e di Grp Reti S.R.L e di Associazione Tv Locali e di Espansione S.R.L e di Editrice T.N.V. S.P.A e di Retesette S.P.A e di Rete 7 S.r.l. e di Rtv 38 S.P.A e di Telelombardia S.R.L e di Telecity S.R.L e di Teleradio Diffusione Bassano S.R.L e di Canale 9 S.R.L e di A.L.P.I. (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv e di Pirenei S.r.l. e di Grp Reti S.r.l. e di Espansione S.r.l. e di Rete 7 S.r.l. e di Telelombardia S.r.l. e di Telecity S.r.l. e di Canale 9 S.r.l. e di Associazione Tv Locali e di Editrice T.N.V. S.P.A e di Retesette S.P.A e di Rtv 38 S.r.l. e di Teleradiodiffussione Bassano S.r.l. e di A.L.P.I. (Associazione per la Liberta` e il Pluralismo dell'Informazione) Radio Tv e di Videolina S.P.A e di Ministero delle Imprese e del Made in Italy;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Tommaso Di Nitto, Massimo Luciani, Marco Bielli,Isabella Loiodice,Carlo Edoardo Cazzato e dello Stato Maria Luisa Spina Tommaso Di Nitto, Massimo Luciani, Marco Bielli,Isabella Loiodice,Carlo Edoardo Cazzato e dello Stato Maria Luisa Spina Marco Bielli, Isabella Loiodice, Carlo Edoardo Cazzato e dello Stato Maria Luisa Spina Isabella Loiodice, Edoardo Cazzato e dello Stato Maria Luisa Spina;


 

A. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.

1. Con il primo degli appelli in esame le società appellanti impugnavano la sentenza n. 11242 del 2022 del Tar Lazio, recante accoglimento dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla Pirenei S.r.l. al fine di ottenere l’annullamento del Decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy, 0189185 del 21 dicembre 2022, con cui il Direttore Generale della Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali, Divisione IV – emittenza radiotelevisiva, Contributi, ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l’elenco degli importi dei contributi spettanti ai beneficiari, ai sensi dell’art. 5, commi 3 e 4, del D.P.R. 23 agosto 2017, n. 146.

2. In particolare, all’esito del relativo giudizio il Tar riteneva che le disposizioni di cui all’art. 4-bis del decreto legge n. 91 del 2018, convertito con legge n. 108 del 2018 non rechino operatività, fuori dall’ (e, quindi, successivamente all’) annualità 2019; ferma l’operatività del regolamento e la relativa illegittimità in parte qua, riconosciuta dal Consiglio di Stato con sentenza n. 7880 del 2022, in accoglimento del ricorso, si imponeva all’Amministrazione “la rideterminazione, in favore dei concorrenti già graduati, dei contributi dovuti per l’anno 2022, con destinazione del 100% dello stanziamento annuale in favore della totalità di essi e conseguente liquidazione del contributo, a ciascuno di essi spettante, in proporzione del rispettivo punteggio per come riportato nella graduatoria approvata (conseguentemente, senza applicazione dello scalino preferenziale, già annullato con forza di giudicato con sentenza del Consiglio di Stato, n. 7880 del 2022) e tenendo esclusivamente conto dei punteggi assegnati in sede amministrativa, in applicazione dei criteri selettivi di cui allo stesso D.P.R.”.

3. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, le società odierne appellanti, contestando l’esito del giudizio di prime cure, formulava i seguenti motivi di appello:

- violazione degli artt. 4-bis, comma 1, del d.l. 25 luglio 2018, n. 91, inserito in sede di conversione dall’art. 1, comma 1, della l. 21 settembre 2018, n. 108, e 12 delle disposizioni preliminari al Codice civile, intervenuto conferimento della forza di legge alle norme del Regolamento;

- analoghi vizi in termini di errata interpretazione dell’efficacia del giudicato della sentenza Consiglio di Stato n. 7880 del 2022, che va limitata agli anni 2016 e 2017;

- in subordine analoghi vizi in merito alla legittimità dell’art. 6 del regolamento, in tema di scalino preferenziale, per la piena conformità della norma al principio del pluralismo informativo.

Il Ministero appellato si costituiva in giudizio chiedendo l’accoglimento dell’appello.

La società appellata, originaria ricorrente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame. 4. Con ordinanza n. 4048 del 2023 veniva disposta la riunione con i successivi due appelli, ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le altre emittenti inserite nella graduatoria per l’erogazione dei contributi relativi all’anno 2022 - autorizzandola con la modalità della notificazione per pubblici proclami sul sito web istituzionale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy - ed accolta la domanda cautelare proposta ai soli fini di una sollecita definizione del merito.

Effettuata la suddetta integrazione, alla pubblica udienza del 18 gennaio 2024 la causa passava in decisione.

5. Con il secondo appello di cui in epigrafe la società Videolina S.p.a. impugnava la stessa sentenza n. 11242 del 2022 del Tar Lazio, sopra richiamata.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, la parte appellante formulava i medesimi motivi di appello di cui al primo gravame, sopra riassunto.

Analogamente al primo appello, si costituivano il Ministero appellato, che chiedeva l’accoglimento, e la società originaria ricorrente che chiedeva il rigetto dell’appello.

6. Con l’ordinanza predetta la causa veniva riunita e quindi alla pubblica udienza del 18 gennaio 2024 passava in decisione.

7. Con il terzo appello di cui in epigrafe, il Ministero delle imprese e del made in Italy impugnava la medesima sentenza n. 11242 del 2022 del Tar Lazio, deducendo i seguenti motivi di appello:

- violazione e falsa applicazione dell’art.4 bis del DL n.81/2018 conv. con L.n.108/2018, in quanto la soluzione fornita dal TAR non può essere condivisa perché contrasta in modo evidente con l’interpretazione, letterale e logica, della norma, da cui emerge invero l’univoca volontà del Legislatore di legificare interamente la fonte regolamentare.

Analogamente, si costituiva in giudizio l’originaria ricorrente chiedendo il rigetto dell’appello.

Con l’ordinanza predetta anche la terza causa veniva riunita e quindi alla pubblica udienza del 18 gennaio 2024 passava in decisione.

8. Con il quarto appello di cui in epigrafe l’associazione per la libertà ed il pluralismo dell’informazione radio tv impugnava la stessa sentenza 11242 del 2022 del Tar Lazio, deducendo analoghi motivi di appello:

- error in procedendo et in iudicando, violazione degli artt. 4-bis, comma 1, del d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv. dall’art. 1, comma 1, della l. 21 settembre 2018, n. 108, 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, mancata attribuzione della “forza di legge” alle norme del regolamento: illogicità manifesta, travisamento dei fatti, violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione (Artt. 3 e 97 Cost.) e del principio dell’effetto utile della normazione, intervenuta legificazione per l’anno 2019, errata interpretazione dell’efficacia del giudicato della sentenza Consiglio di Stato n. 7880 del 2022, in subordine riesame dell’orientamento già espresso.

Si costituiva in giudizio il Ministero intimato che concludeva per l’accoglimento dell’appello.

9. Con ordinanza n. 4301 del 2023 veniva fissata l’udienza pubblica di discussione del merito.

10. In vista di tale udienza le parti costituite hanno depositato memorie conclusionali, memorie di replica e note d’udienza, insistendo nelle rispettive argomentazioni difensive.

Le parti appellanti hanno, inoltre, preso posizione sulla previsione di cui all’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 18 ottobre 2023, n. 145, inserito in sede di conversione dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191, intervenuta, quindi, nelle more del giudizio. Tale disposizione ha previsto quanto segue: “l’articolo 4-bis del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, nella parte in cui riporta integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, si interpreta nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore”. Le Società appellanti e il Ministero hanno, quindi, dedotto che, in forza di tale disposizione, non potesse revocarsi alcun dubbio sull’intervenuta “legificazione” del D.P.R. n. 146/2017.

11. All’udienza pubblica del 18 gennaio 2024 tutte le parti hanno insistito nelle conclusioni rassegnate e hanno, altresì, discusso le varie questioni involte nella controversia, e, in particolare, le questioni connesse alla portata e agli effetti della previsione di cui all’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 18 ottobre 2023, n. 145, inserito in sede di conversione dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191. Le Società appellate – vittoriose nei vari giudizi di primo grado – hanno prospettato diverse questioni di legittimità costituzionale relative a tali previsioni. Le Società appellanti e il Ministero hanno, invece, escluso la sussistenza di possibili profili di contrarietà della nuova previsione alle regole costituzionali. Dopo la discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

B. RIUNIONE DEI GIUDIZI EX ART. 96, COMMA 1, C.P.A.

12. Preliminarmente deve essere confermata la riunione dei giudizi in epigrafe, trattandosi di ricorsi in appello avverso la medesima sentenza, con conseguente operatività della disposizione di cui all’art. 96, comma 1, c.p.a. Va altresì obbligatoriamente riunito anche il quarto appello di cui in epigrafe, in quanto parimenti proposto avverso la medesima sentenza; in disparte la questione di ammissibilità dell’appello, proposto dall’associazione interveniente ad opponendum in primo grado, da affrontare all’esito della sospensione derivante dall’incidente costituzionale. Tale inciso assume rilievo anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 73 comma 3 cod.proc.amm.

C. RILEVANZA E NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELLE PREVISIONI DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL D.L. N. 91/2918, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, DALLA L. 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E DI CUI ALL’ART. 13 DEL D.L. N. 145/2023, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2023, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145.

13. Il Collegio dubita della legittimità costituzionale delle previsioni di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108, e di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in fase di conversione del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, in relazione ai parametri di legittimità costituzionale che saranno di seguito, analiticamente, indicati nell’esame delle questioni che vengono sottoposte alla Corte Costituzionale.

D. SULLA RILEVANZA DELLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE.

14. In primo luogo il Collegio ritiene di indicare le ragioni di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che saranno di seguito esposte.

15. Osserva il Collegio come codesta Corte Costituzionale abbia evidenziato come la rilevanza debba avere i requisiti dell’attualità (Corte Costituzionale, 10 giugno 2016, n. 134), della non implausibilità alla stregua della motivazione offerta dal rimettente (Corte Costituzionale, 2 aprile 2014, n. 67), e abbia, altresì, affermato l’insensibilità della rilevanza alle vicende del rapporto o del processo a quo (art. 18 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; Corte costituzionale, 10 giugno 2016, n. 133).

15.1. In relazione ai presupposti di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale (avuto riguardo alla completezza della ricostruzione, da parte del giudice a quo, del quadro normativo di riferimento) codesta Corte ha affermato:

i) “la circostanza che il rimettente non abbia ricostruito in modo completo il quadro normativo, né abbia esaminato i profili indicati di applicabilità della disciplina intervenuta, anche solo per negarne rilievo o consistenza, compromette irrimediabilmente l'iter logico-argomentativo posto a fondamento delle censure sollevate. Ciò che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, ne preclude lo scrutinio, incidendo sull'ammissibilità delle questioni” (Corte Costituzionale, 19 giugno 2019, n. 150);

ii) “è compito del giudice a quo identificare univocamente la norma da applicare alla fattispecie concreta. Omettendo di farlo, e formulando questioni alternative su due diverse leggi succedutesi nel tempo, l’ordinanza finisce per formulare questioni dichiaratamente ancipiti e, per questo, inammissibili” (Corte costituzionale, 26 gennaio 2018, n. 9; v., anche, Corte costituzionale, 17 febbraio 2016, n. 33; Id., 3 marzo 2015, n. 27, che ha dichiarato inammissibile “per incompleta ricostruzione, e conseguente mancata ponderazione, del quadro normativo di riferimento”, con conseguenti “gravi lacune dell’ordinanza di rimessione” tali da minare “l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza”, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 78 del 1983, nella parte in cui riconosce alle forze armate e di polizia, ma non anche ai vigili del fuoco, l'attribuzione dell'indennità d'imbarco; Corte costituzionale, 11 giugno 2014, n. 165, che ha dichiarato inammissibile, per insufficiente motivazione ed incompleta ricostruzione del quadro normativo, la questione di legittimità costituzionale di alcune norme della legislazione regionale toscana che, secondo il rimettente, determinavano l’ampliamento delle attività assoggettate ad autorizzazione anziché a mera segnalazione di inizio attività; qui la Corte ha rilevato che quest’ultima asserzione non risultava sorretta da un’adeguata ricostruzione del quadro normativo, osservando che “un’adeguata e puntuale ricostruzione del complessivo contesto normativo statale sul quale le norme censurate avrebbero illegittimamente inciso sarebbe stata tanto più necessaria se si considera che le disposizioni in oggetto risultano, invece, limitarsi a sostituire il Suap al comune, quale soggetto destinatario delle istanze per l’esercizio di grandi e medie strutture di vendita e di centri commerciali”).

16. Declinando i principi sopra esposti al caso di specie il Collegio osserva quanto segue.

16.1. La previsione di cui all’art. 4-bis del decreto legge n. 91/2018 dispone: «1. All'articolo 4, comma 2, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, recante il regolamento, da intendersi qui integralmente riportato, concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, in attuazione degli obiettivi di pubblico interesse di cui all'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per l'assegnazione delle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 160, lettera b), della citata legge n. 208 del 2015, e successive modificazioni, destinate alle emittenti radiofoniche e televisive locali, al fine di estendere il regime transitorio anche all'anno 2019, dopo le parole: "alla data di presentazione della domanda" sono aggiunte le seguenti: ", mentre per le domande inerenti all'anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell'esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all'atto della presentazione della domanda”».

16.2. Questa previsione modifica, quindi, il D.P.R. n. 146/2017, recante il “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”, e, in particolare, la previsione di cui all’art. 4, comma 2, la cui formulazione attuale è, quindi, la seguente: “Sono ammesse ad usufruire dei contributi le emittenti radiofoniche di cui alle lettere b) e c) dell'articolo 3 che abbiano un numero minimo di 2 dipendenti, in regola con il versamento dei contributi previdenziali sulla base di apposite attestazioni rilasciate dagli enti previdenziali interessati nei trenta giorni antecedenti alla data di presentazione della domanda, occupati con contratti a tempo indeterminato e a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2-bis, lettera a), del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, con almeno un giornalista. Sono inclusi nel calcolo di cui al presente comma i lavoratori part-time e quelli con contratto di apprendistato. Per i dipendenti in cassa integrazione, con contratto di solidarietà e per quelli a tempo parziale si deve tener conto della percentuale dell'impegno contrattuale in termini di ore effettivamente lavorate. Per il presente requisito si prende in considerazione il numero medio dei dipendenti occupati nei due esercizi precedenti, fermo restando che tale requisito deve essere posseduto alla data di presentazione della domanda, mentre per le domande inerenti all'anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell'esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all'atto della presentazione della domanda. In via transitoria, per le domande relative agli anni dal 2016 al 2018 si prende in considerazione il numero dei dipendenti occupati alla data di presentazione della domanda”.

16.3. Questo Regolamento è stato adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e disciplina i criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse dell'esercizio finanziario 2016 presenti sull'apposito capitolo di bilancio del Ministero dello sviluppo economico e, per gli anni successivi, della quota delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, di cui all'articolo 1, comma 160, lettera b), della predetta legge n. 208 del 2015, assegnata al Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali. La previsione di cui all’art. 1, comma 163, della L. n. 208/2015, aveva, infatti, previsto: “Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, da assegnare in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali per la realizzazione di obiettivi di pubblico interesse, quali la promozione del pluralismo dell'informazione, il sostegno dell'occupazione nel settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l'incentivazione dell'uso di tecnologie innovative”.

16.4. Secondo la tesi delle Società appellanti e del Ministero, la disposizione di cui all’art. 4-bis del decreto legge n. 91/2018, nell’inciso con il quale ha affermato che il D.P.R. n. 146/2017 era “intendersi qui integralmente riportato”, avrebbe “legificato” tutte le previsioni di tale Regolamento, e, quindi, anche la regola di cui all’art. 6, comma 2, relativa al c.d. “scalino preferenziale”. Testualmente tale disposizione prevede: “Nell'ambito dell'istruttoria per la predisposizione delle graduatorie di cui all'articolo 5, nella parte relativa alle emittenti televisive commerciali, sulla base del punteggio totale che ciascuna emittente consegue dalla somma dei punteggi relativi alle aree indicate nella tabella 1 e dalle maggiorazioni di punteggio di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo, il Ministero forma una graduatoria. Alle prime cento emittenti è destinato il 95 per cento delle risorse disponibili. Alle emittenti che si collocano dal centunesimo posto in poi è destinato il 5 per cento delle medesime risorse. Per queste ultime, si procede al riparto delle somme secondo il punteggio individuale conseguito per ciascuna delle tre aree indicate nella tabella 1, fermo restando che l'emittente collocatasi al centunesimo posto non puo' ottenere un contributo complessivo di importo più elevato di quella che si colloca al centesimo. Eventuali residui sono riassegnati alle prime cento emittenti in graduatoria, in misura proporzionale ai punteggi individuali relativamente alle tre aree indicate nella tabella 1. Alle emittenti radiofoniche commerciali il Ministero attribuisce le risorse in misura proporzionale al punteggio individuale conseguito per ciascuna delle tre aree indicate nella tabella 1”. In sostanza, questa disposizione impone di destinare alle emittenti collocate nei primi cento posti della graduatoria il 95 % delle risorse disponibili; il restante 5 % viene, invece, destinato alle altre emittenti.

16.5. Inoltre, secondo le Società appellanti e il Ministero questa tesi (disattesa dal Giudice di primo grado) sarebbe stata sancita con la legge di interpretazione autentica – intervenuta nelle more del presente giudizio – contenuta all’interna dell’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in fase di conversione del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145. Questa disposizione ha, testualmente, previsto: «1. Al fine di assicurare continuità alle misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese attuati ai sensi dell'articolo 2 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2023. Agli oneri di cui al primo periodo si provvede ai sensi dell'articolo 23. 1-bis. Per lo stesso fine, l'articolo 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, nella parte in cui riporta integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, si interpreta nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore». In sostanza, secondo la tesi delle appellanti la disposizione avrebbe interpretato autenticamente la disposizione di cui all’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, prevedendo che il rinvio ivi effettuato al D.P.R. n. 146/2017, doveva ritenersi volto ad “attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore” (corsivo del Collegio).

16.6. Ora, sia assegnando natura di disposizione di interpretazione autentica alla regola sopra indicata, sia assegnando alla stessa valenza innovativa ma con portata retroattiva (necessariamente discendente dalla formula “a decorrere dalla […] entrata in vigore” dell'articolo 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91), la regola trova, comunque, applicazione nei giudizi in corso che, come esposto nella sezione “A” della presente ordinanza, riguardano la legittimità dei provvedimenti con i quali si è provveduto a ripartire le risorse disponibili per l’anno 2022, dando attuazione dei criteri di cui al D.P.R. n. 146/2017, e, tra gli altri, al criterio di cui all’art. 6, comma 2, di tale Regolamento (integralmente riportato al foglio 3 del Decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy n. 0189185 del 21 dicembre 2022, con cui il Direttore Generale della Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali, Divisione IV – emittenza radiotelevisiva, Contributi, aveva approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2022 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l’elenco degli importi dei contributi spettanti ai beneficiari, ai sensi dell’art. 5, commi 3 e 4, del D.P.R. 23 agosto 2017, n. 146, e, quindi, del principale provvedimento impugnato in primo grado).

16.7. Il D.P.R. n. 146/2017 ha costituito, quindi, la fonte normativa secondaria sulla base della quale sono stati emanati i successivi provvedimenti impugnati in primo grado, ed è stato esso stesso impugnato dalla parte, ove considerato come fonte regolatrice della stessa annualità 2022.

16.7. Circostanza che non è ora revocabile in dubbio alla luce della disposizione di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in fase di conversione del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, che, come già anticipato, sia ove qualificata come norme di interpretazione autentica – che chiarisce il dubbio sulla legificazione già disposta in precedenza ; tesi che il Collegio ritiene preferibile - che ove qualificata come norma con portata innovativa ( che tale legificazione dispone a partire dalla sua entrata in vigore antecedente al giudizio ma con efficacia retroattiva ), incide sui possibili esiti del giudizio in corso. Infatti, l’applicazione della previsione al caso di specie comporterebbe l’accoglimento dei ricorsi in appello, stante l’intervenuta “legificazione” della disciplina regolamentare ( predicabile allo stesso modo sia che postuli la natura interpretativa sia che si postuli la natura innovativa ma con effetto retroattivo della disposizione ). In sostanza, questa regola preclude al Collegio di annullare gli atti impugnati per illegittimità della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 146/2017, e, conseguente, invalidità derivata degli ulteriori atti impugnati che sono direttamente attuativi, sul punto in questione, della disciplina regolamentare. La regola in esame esclude, quindi, il sindacato del Giudice amministrativo sulle regole del D.P.R. n. 146/2017, trattandosi di norme “legificate”, e, pertanto, sottoposte al medesimo regime delle altre norme primarie e, come tali, sindacabili solo da codesta Corte Costituzionale, come, correttamente, affermato nelle note d’udienza depositate dalla Società appellanti.

16.8. Per converso, ove codesta Corte dichiarasse l’illegittimità delle previsioni su cui si incentra il dubium de legitimitate del Collegio, troverebbe “riespansione” il sindacato del Giudice amministrativo sulle previsioni regolamentari e sugli atti amministrativi impugnati, potendo, quindi, il Collegio respingere i ricorsi in appello (che, come esposto nella sezione “A” si fondano sulla sola questione relativa alla intervenuta legificazione del D.P.R. n. 146/2017), confermando l’annullamento degli atti applicativi disposto dalla sentenza di primo grado.

16.9. In ragione di quanto rappresentato, si ritiene integrato il requisito della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che si sottopongono al giudizio di codesta Corte e che sono di seguito esposte.

E. SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONE.

E.1. PRIMA QUESTIONE: SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE RELATIVA ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL DECRETO LEGGE 25 LUGLIO 2018, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI IN LEGGE 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 13, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2013, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145, IN RELAZIONE ALL’ART. 77 COST.

17. Il Collegio reputa non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità - prospettate dalle appellate ed oggetto di contraddittorio tra le parti anche nel corso dell’udienza pubblica - aventi ad oggetto la previsione di cui all’art. 4-bis del Decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, , e la previsione di cui all’art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2013, n. 191, in fase di conversione del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, in relazione all’art. 77 Cost.

18. Sebbene già tracciato nella sezione relativa alla rilevanza della questione, giova, comunque – per miglior comprensione – riprodurre le due disposizioni sottoposte allo scrutinio di codesta Corte.

18.1. La previsione di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, dispone come segue: «1. All'articolo 4, comma 2, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, recante il regolamento, da intendersi qui integralmente riportato, concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, in attuazione degli obiettivi di pubblico interesse di cui all'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per l'assegnazione delle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 160, lettera b), della citata legge n. 208 del 2015, e successive modificazioni, destinate alle emittenti radiofoniche e televisive locali, al fine di estendere il regime transitorio anche all'anno 2019, dopo le parole: "alla data di presentazione della domanda" sono aggiunte le seguenti: ", mentre per le domande inerenti all'anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell'esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all'atto della presentazione della domanda».

18.2. La disposizione di cui all’art. 13, del d.l. n. 145/2023, prevede: “«1. Al fine di assicurare continuità alle misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese attuati ai sensi dell'articolo 2 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2023. Agli oneri di cui al primo periodo si provvede ai sensi dell'articolo 23. 1-bis. Per lo stesso fine, l'articolo 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, nella parte in cui riporta integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, si interpreta nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore».

19. Sia l’art. 4-bis del decreto legge n. 91/2018, che il comma 1-bis dell’art. 13 del decreto legge n. 145/2023 sono stati inseriti in sede di conversione e non facevano parte del testo originario dei rispettivi decreti legge.

20. Ritiene il Collegio che non sia manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità relativo al difetto di “omogeneità” delle due disposizioni, introdotte in sede di conversione, rispetto ai contenuti originari dei rispettivi decreti legge in cui sono state inserite.

21. Sul punto, si osserva come, da tempo, la giurisprudenza di codesta Corte costituzionale abbia ricavato, in via ermeneutica, dall’art. 77 Cost. un requisito di “omogeneità” della legge di conversione rispetto al relativo decreto legge, poiché “l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto legge, o alle finalità di quest’ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua” (Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 2014, n. 32). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la legge di conversione del decreto legge riveste i caratteri di una fonte “funzionalizzata e specializzata”, volta alla stabilizzazione del decreto legge nell’ordinamento, ragion per cui non può “aprirsi” ad oggetti eterogenei, rispetto a quelli presenti nel decreto, ma può solo contenere disposizioni coerenti con quelle originarie dal punto di vista materiale o finalistico (Corte Costituzionale, 26 gennaio 2023, n. 6; Id., 6 giugno 2023, n. 113; Id., 9 dicembre 2022, n. 245; Id., 5 novembre 2021, n. 210; Id., 29 ottobre 2019, n. 226). La legge di conversione, in altre parole, è rivolta unicamente a stabilizzare gli effetti del decreto legge, con la conseguenza che essa è limitatamente emendabile (Corte Costituzionale, 6 giugno 2023, n. 113).

21.1. La ratio di tale indirizzo interpretativo è quella di “evitare che il relativo iter procedimentale semplificato, previsto dai regolamenti parlamentari [per la conversione in legge del decreto legge; nota del Collegio], possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano il decreto legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare” (Corte Costituzionale, 9 dicembre 2022, n. 245; Id., 5 novembre 2021, n. 210; Id., 29 ottobre 2019, n. 226; Id., 9 luglio 2015, n. 145; Id., 25 febbraio 2014, n. 32).

21.2. La partecipazione parlamentare prevista nel procedimento di conversione del decreto legge in legge, difatti, è senz’altro più limitata rispetto a quanto avviene nell’ambito del procedimento legislativo ordinario e, pertanto, emerge “[l’]esigenza di preservare l’ordinaria funzionalità del procedimento legislativo di cui all’art. 72, primo comma, Cost., che permette una partecipazione parlamentare ben più efficace di quella consentita dall’iter, peculiare e contratto, della legge di conversione” (così Corte Costituzionale, 9 dicembre 2022, n. 245; cfr., inoltre, ex multis: Corte Costituzionale, 18 gennaio 2022, n. 8; Id., 30 aprile 2008, n. 128; Id., 23 maggio 2007, n. 171).

21.2. Codesta Corte costituzionale ha, al riguardo, evidenziato come il procedimento parlamentare di conversione del decreto legge abbia carattere “peculiare”, caratterizzandosi per “tempi particolarmente rapidi” e “speciali modalità di procedura”, al fine di consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di sessanta giorni e, pertanto, l’inserimento nella legge di conversione di norme non omogenee rispetto al testo originario del decreto legge rappresenta un “uso improprio da parte del Parlamento” della procedura prevista per tale tipico scopo (Corte Costituzionale, 16 febbraio 2012, n. 22).

21.3. Ciò, peraltro, si pone in armonia con l’ulteriore giurisprudenza di codesta Corte costituzionale in ordine all’uso improprio e c.d. strumentale del decreto legge, volta ad impedire deviazioni dal sistema costituzionale delle fonti normative e dalla centralità che è propria della sola legge ordinaria (ex multis: Corte Costituzionale, 23 maggio 2007, n. 171; Id., 27 gennaio 1995, n. 29; Id., 18 gennaio 2022, n. 8).

21.4. La coerenza delle disposizioni aggiunte in sede di conversione, rispetto alla disciplina originaria del decreto legge, viene valutata sia dal punto di vista oggettivo-materiale, sia dal punto di vista funzionale-finalistico (ex plurimis: Corte Costituzionale, 5 marzo 2021, n. 30; Id., 4 dicembre 2019, n. 247; Id., 29 ottobre 2019, n. 226; Id., 16 luglio 2019, n. 181; Id., 24 settembre 2020, n. 204; Id., 15 maggio 2020, n. 93).

21.5. Nel caso in cui vengano in rilievo decreti legge a contenuto plurimo, cioè con contenuti eterogenei ab origine, codesta Corte costituzionale ha ritenuto che occorra considerare specificamente anche il c.d. profilo teleologico, cioè porre attenzione all’osservanza di quella definita come ratio dominante, che ispira l’intervento normativo d’urgenza (ex multis: Corte Costituzionale, 18 gennaio 2022, n. 8; Id., 5 marzo 2021, n. 30; Id., 13 luglio 2020, n. 149; Id., 23 giugno 2020, n. 115; Id., 4 dicembre 2019, n. 247).

21.6. Da ultimo, la sentenza di codesta Corte costituzionale dell’11 dicembre 2023, n. 215, ha compendiato i plurimi fattori da tenere in considerazione nello scrutinio di legittimità delle norme inserite in sede di conversione di decreti legge a contenuto plurimo, ossia:

i) la coerenza della norma, rispetto al titolo del decreto e al suo preambolo (Corte Costituzionale, 31 luglio 2020, n. 186; Id., 23 dicembre 2019, n. 288; Id., 4 marzo 2019, n. 33; Id., 27 giugno 2018, n. 137);

ii) l’omogeneità contenutistica o funzionale della norma, rispetto al complessivo quadro normativo del decreto legge (Corte Costituzionale, 31 luglio 2020, n. 186; Id., 13 luglio 2020, n. 149; Id., 18 aprile 2019, n. 97; Id., 27 giugno 2018, n. 137);

iii) lo svolgimento dei lavori preparatori (Corte Costituzionale, 23 dicembre 2019, n. 288; Id., 15 maggio 2018, n. 99; Id., 18 gennaio 2018, n. 5);

iv) il carattere ordinamentale o di riforma della norma (Corte Costituzionale, 4 marzo 2019, n. 33; Id., 15 maggio 2018, n. 99; Id., 19 luglio 2013, n. 220; Id., 16 febbraio 2012, n. 22).

22. Così sinteticamente descritto lo stato della giurisprudenza costituzionale, possono esaminarsi le due norme rispetto alle quali il Collegio solleva le questioni di legittimità costituzionale.

23. L’art. 4-bis del Decreto legge 25 luglio 2018, n. 91 è stato inserito, in sede di conversione, dall'art. 1, comma 1, della Legge 21 settembre 2018, n. 108. Il decreto legge n. 91/2018, pubblicato sulla GU Serie Generale n. 171 del 25 luglio 2018, è intitolato “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”. Conformemente alla natura dei decreti legge c.d. milleproroghe, le varie disposizioni del testo originario del decreto legge, composto di quattordici articoli, sono accomunate dalla finalità di prorogare termini di prossima scadenza in molteplici ed eterogenei settori dell’ordinamento. Tale finalità risulta esplicitata anche dal preambolo del decreto legge ove si legge quanto segue: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga e definizione di termini di prossima scadenza al fine di garantire la continuità, l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa e l’operatività di fondi a fini di sostegno agli investimenti, nonché di provvedere alla proroga di termini per il completamento delle operazioni di trasformazioni societarie e di conclusione degli accordi di gruppo previste dalla normativa in materia di banche popolari e di banche di credito cooperativo”.

23.1. L’art. 4-bis, inserito in sede di conversione, ha un oggetto ed una finalità non omogenei con quelli del testo originario del decreto legge. Oltre ad intervenire sul testo del citato regolamento di cui al D.P.R. n. 146/2017, modificandone l’art. 4, comma 2, l’art. 4-bis cit. contiene l’inciso per cui il regolamento medesimo è “da intendersi qui integralmente riportato”.

23.2. Con la successiva disposizione di cui all’articolo 13, comma 1-bis, del decreto legge n. 145/2023, anch’essa inserita in sede di conversione in legge, avente dichiaratamente funzione di interpretazione autentica (o, comunque, chiara portata retroattiva, come affermato della sezione di questa ordinanza relativa alla rilevanza della questione; cfr.: retro, sezione “D”), il legislatore ha chiarito che l’art. 4-bis “nella parte in cui riporta integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, si interpreta nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, ha inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore”.

23.3. Ebbene, considerando quest’ultimo quale corretto significato da attribuire all’art. 4-bis nella parte rilevante ai fini del presente giudizio, non appare manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale del medesimo sotto il profilo della non omogeneità della norma con il testo originario del decreto legge.

23.4. La previsione volta a conferire alle disposizioni del D.P.R. n. 146/2017 valore e forza di legge appare non in linea con il contenuto e con le finalità del testo originario del decreto legge che si sono sopra evidenziate.

23.5. Il D.P.R. n. 146/2017 reca, come spiegato, il “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive”. Si tratta di un’articolata disciplina adottata in base all’art. 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (v., retro, sezione “D” della presente ordinanza).

23.6. Detto Regolamento si compone (rectius, si componeva, dovendosi ritenersi lo stesso abrogato dal momento della avvenuta “legificazione” delle disposizioni in esso contenute) di undici articoli e di due tabelle ad esso allegate con cui si disciplinano “i criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse”. Tra i vari aspetti, il Regolamento stabilisce i criteri di ripartizione delle risorse (art. 2), i soggetti beneficiari (art. 3), i requisiti di ammissione (art. 4), nonché la procedura di erogazione dei contributi (artt. 5-6) e la revoca dei contributi medesimi (art. 8).

23.7. Si tratta, dunque, di un contenuto articolato e che presenta anche molteplici aspetti di dettaglio, ed infatti il legislatore (legge n. 208/2015), come si è detto, aveva inizialmente affidato alla fonte secondaria la disciplina della materia. Pertanto, la successiva norma, di cui all’art. 4-bis, con cui si attribuisce a tale complessivo corpus normativo il valore e la forza della legge, non sembra omogenea con l’oggetto e le finalità proprie del testo originario del decreto legge.

23.8. Non si tratta, difatti, di una previsione con cui si prorogano, in via di urgenza, termini di prossima scadenza e, di conseguenza, difetta la coerenza della norma rispetto al titolo del decreto e al suo preambolo nonché l’omogeneità contenutistica e funzionale della stessa rispetto al complessivo quadro normativo del decreto legge.

23.9. Inoltre, dal punto di vista dell’efficacia temporale, la previsione introdotta dall’art. 4-bis (nel significato ascrittole dalla successiva norma di interpretazione autentica) non ha natura transitoria o temporanea ma è diretta ad elevare al rango di legge, in via “stabile”, tutte le previsioni prima contenute nella fonte di secondo grado.

24. Peraltro, in base all’interpretazione del detto art. 4-bis data dalla giurisprudenza di questa Sezione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 settembre 2022, n. 7880, par. 2.6.5), la norma di cui all’art. 4-bis non ha natura retroattiva, non potendo applicarsi alle annualità di finanziamento precedenti rispetto a quella del 2019. Tale non immediata applicabilità della norma a procedimenti amministrativi in corso sembra confermare l’assenza di legame, oggettivo e teleologico, della stessa con il testo originario del decreto legge volto a provvedere con urgenza su termini di prossima scadenza.

25. Quanto allo svolgimento dei lavori parlamentari, il Collegio evidenzia che, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge il 25 luglio 2018, il Governo ha presentato la legge di conversione al Senato dove è stata approvata in prima lettura il 6 agosto 2018 (A.S.717). La Camera ha successivamente approvato la legge, con modifiche, il 14 settembre 2018 (A.C. 1117) e, infine, il Senato della Repubblica ha definitamente approvato la legge il 20 settembre 2018 (A.S.717B). L’art. 4-bis è stato inserito durante la prima lettura al Senato mercé un emendamento (il n. 4.0.2) presentato in Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, in sede referente. Nel successivo esame parlamentare presso la Camera dei Deputati, il Governo ha posto la questione di fiducia sull’approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n. 1117-A, di conversione del decreto legge, nel testo approvato dalle Commissioni.

25.1. Si evidenzia, altresì, che il dossier predisposto dei Servizi Studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica - richiamato dalle parti appellanti nei propri scritti difensivi - nell’esaminare l’art. 4-bis dà atto che la disposizione modifica l’ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 4 del D.P.R. n. 146 del 2017 evidenziando che “sul piano delle fonti del diritto, si osserva che con una disposizione di rango legislativo viene modificata una fonte di rango secondario quale il regolamento governativo”. Tuttavia, il dossier non prende in considerazione e non esamina l’ulteriore inciso (id est: il Regolamento è “da intendersi qui integralmente riportato”), sempre contenuto all’art. 4-bis, tramite il quale (così come chiarito dalla successiva norma di interpretazione autentica) si sono “legificate” tutte le previsioni contenute nel citato Regolamento.

25.2. L’apposizione della questione di fiducia da parte del Governo nonché il mancato esame della norma in questione da parte del dossier di studio offerto a supporto dell’attività legislativa rappresentano “tempi” e “modalità” dell’iter parlamentare (cfr. Corte Costituzionale, 16 febbraio 2012, n. 22) che, ad avviso del Collegio, corroborano la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 4-bis. Ad avviso del Collegio, i due aspetti evidenziati rappresentano circostanze specifiche che hanno caratterizzato l’iter parlamentare di approvazione della disposizione e che, sommandosi alle già accelerate e peculiari modalità previste per l’approvazione della legge di conversione, hanno reso meno efficace la partecipazione parlamentare rispetto a quanto avviene nell’ambito delle ordinarie dinamiche della procedura legislativa.

25.3. È appena il caso di precisare che con ciò il Collegio non intende certo sindacare le modalità di esercizio delle prerogative proprie del Governo e delle Assemblee parlamentari che si esplicano nella procedura legislativa, quanto piuttosto evidenziare talune circostanze che, impregiudicati gli interna corporis, appaiono apprezzabili dalla Corte costituzionale nel suo scrutinio alla luce della giurisprudenza costituzionale sulla c.d. omogeneità del decreto legge.

26. Il Collegio reputa non manifestamente infondata anche la questione di costituzionalità avente ad oggetto il comma 1-bis, dell’articolo 13 del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, in Legge 15 dicembre 2023, n. 191, in relazione all’art. 77 Cost.

26.1. Anche con riferimento a tale norma, inserita in sede di conversione, appare non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità della stessa per difetto del requisito della omogeneità con il testo originario del decreto legge.

26.2. Il decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, pubblicato in GU 18 ottobre 2023 n. 244è intitolato Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”. Nel preambolo dello stesso sono esplicitati come segue i presupposti che ne hanno giustificato l’adozione: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure per esigenze finanziarie e fiscali indifferibili; Ritenuta, in particolare, la straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni in favore degli enti territoriali, in materia di pensioni e di rinnovo dei contratti pubblici, in materia di investimenti, istruzione e di sport, nonché in materia di tutela del lavoro e della sicurezza.

26.3. Pur considerato il contenuto eterogeneo del decreto legge, la disposizione inserita in sede di conversione al menzionato comma 1-bis non sembra rientrare in nessuna delle finalità enunciate nel preambolo dello stesso.

26.4. Tanto emerge anche dalla sedes materiae in cui la disposizione viene inserita, ossia l’art. 13 del decreto legge rubricato “Investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese”. Il comma 1 di detto art. 13 - unico comma di cui si compone l’art. 13 nel testo originario del decreto legge - prevede il rifinanziamento delle misure di sostegno all’investimento delle micro, piccole e medie imprese previsto dall'articolo 2 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. Si tratta di misure volte a sostenere l'acquisto, o l'acquisizione in leasing, di beni strumentali materiali - macchinari, impianti, beni strumentali d'impresa, attrezzature nuovi di fabbrica e hardware - o immateriali (software e tecnologie digitali) a uso produttivo.

26.5. Il comma 1, pertanto, si occupa di materia e di finalità differenti da quelle proprie del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, con cui si perseguono “obiettivi di pubblico interesse, quali la promozione del pluralismo dell'informazione, il sostegno dell'occupazione nel settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l'incentivazione dell'uso di tecnologie innovative” (legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, comma 163).

26.6. Pertanto, il finanziamento alle emittenti radio e televisive, di cui si occupa il comma 1-bis, non sembra potersi inquadrare nel novero delle “misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese”, disciplinate dal comma 1.

26.7. Le risorse destinate alle emittenti radio e televisive, difatti, non sono volte a sostenere “investimenti produttivi”, essendo diverse le finalità dell’anzidetto Fondo, primariamente rivolte a sostenere il pluralismo dell’informazione. Inoltre, non necessariamente i soggetti beneficiari di tali risorse hanno forma di impresa (cfr. art. 3 del D.P.R. n. 146/2017 per l’individuazione dei soggetti beneficiari).

27. Non ignora il Collegio che l’art. 1-bis principia con l’espressione “per lo stesso fine”, così richiamando il “fine di assicurare continuità alle misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese” di cui al comma precedente. Tuttavia, tale enunciata finalità non appare suffragata, per le ragioni che si sono fin qui esposte, da concreti elementi che consentano di ritenerla effettivamente sussistente.

27.1. Quanto all’iter parlamentare di approvazione, l’esame del disegno di legge di conversione è iniziato al Senato (A.S. 912), dove è stato approvato il 7 dicembre 2023, e la legge è poi stata approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati (A.C. 1601) il 14 dicembre 2023 dopo che il Governo aveva posto la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti, subemendamenti e articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge, già approvato dal Senato.

27.2. L’emendamento che ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 13 cit. è stato presento nel corso dell’esame in Assemblea al Senato (emendamento n. 13.300).

27.3. Come evidenziato dalle parti appellate nel corso dell’udienza pubblica, rispetto a tale emendamento il Governo, a mezzo del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze On.le Albano, ha espresso in assemblea la seguente posizione: “[p]er quanto riguarda l'emendamento 13.300, il Governo deve evidenziare che la proposta presenta profili di criticità, in quanto inciderebbe su contenziosi in atto ed è suscettibile di generarne ulteriori, atteso che attiene ad annualità di fondi già ripartiti. Pertanto, su questo emendamento il Governo si rimette all'Assemblea”.

27.4. Tale presa di posizione – che anche in questo caso il Collegio prende in considerazione quale circostanza rilevante ai fini della delibazione della questione di costituzionalità e non certo per sindacare gli interna corporis – se, da un lato, evidenzia come l’approvazione dell’emendamento sia frutto della volontà parlamentare dell’Assemblea del Senato, dall’altro lato mette in luce come già nel dibattito parlamentare siano emerse “criticità” della proposta emendativa. Rileva, altresì, ai fini della valutazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, anche l’apposizione della questione di fiducia, sul testo del disegno di legge approvato dal Senato, nel corso dell’esame della legge di conversione presso la Camera dei Deputati.

28. Da ultimo, il Collegio evidenzia che, ferma restando la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità con riferimento sia all’art. 4-bis del decreto legge n. 91/2018 che all’art 13, comma 1-bis, del decreto legge n. 191/2023, anche singolarmente considerati, le due norme sono tra loro strettamente legate dal momento che la seconda ha funzione di fornire l’interpretazione autentica della prima. Da ciò discende che i dubbi di costituzionalità di ciascuna delle due norme corroborano i dubbi di costituzionalità dell’altra, dal momento che sono entrambe espressione del medesimo volutum legislativo.

28.1. Pertanto, milita a favore della non manifesta infondatezza di entrambe le questioni di costituzionalità che si sollevano la circostanza che le due disposizioni appaiono affette dai medesimi vizi. Come si è fin qui esposto, in entrambi i casi si tratta di norme per cui si pone il dubbio, che il Collegio reputa non manifestamente infondato, in ordine alla sussistenza del requisito della “omogeneità”, richiesto dall’art. 77 Cost., rispetto al contenuto e alle finalità del decreto legge in cui sono state inserite. In entrambi i casi, inoltre, il difetto di omogeneità deve essere scrutinato anche alla luce dell’iter parlamentare della legge di conversione che si è caratterizzato per “modalità e tempi”, tra cui l’apposizione della questione di fiducia nel medesimo ramo del Parlamento, i quali, sommandosi alle già accelerate e peculiari modalità previste per l’approvazione della legge di conversione, sembrano aver ulteriormente allontanato la procedura dalle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare.

29. In conclusione, il Collegio ritiene non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità dell’art. 4-bis del Decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito con modificazioni in Legge 21 settembre 2018, n. 108, e dell’art. 13, comma 1-bis, del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, convertito con modificazioni in Legge 15 dicembre 2023, n. 191, in relazione all’art. 77 Cost.

E.2. SECONDA QUESTIONE: SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE RELATIVA ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL DECRETO LEGGE 25 LUGLIO 2018, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI IN LEGGE 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 13, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2013, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145, IN RELAZIONE ALL’ART. 3 COST.

30. Il Collegio dubita, inoltre, della legittimità costituzionale del combinato disposto delle previsioni di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108, e di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in fase di conversione del Decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, per violazione della previsione di cui all’art. 3 della Costituzione nei termini che saranno di seguito esposti.

31. Come già rappresentato in precedenza, la previsione di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018 ha apportato una modifica all’art. 4, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. 23 agosto 2017, n. 146, e, in particolare, al fine di estendere il regime transitorio anche all'anno 2019, dopo le parole “alla data di presentazione della domanda”, ha aggiunto le seguenti parole: “, mentre per le domande inerenti all'anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell'esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all'atto della presentazione della domanda”. Inoltre, questa disposizione, nel modificare tale Regolamento, lo ha inteso “integralmente riportato” nel corpo della legge.

32. Questa previsione ha posto (e pone) due ordini di problemi – strettamente connessi - che occorre focalizzare, trattandosi di alcune delle premesse logico-giuridiche da cui muove il dubbio di legittimità costituzionale che si espone. Il riferimento è alla natura del rinvio operato dalla Legge al Regolamento e alla conseguente intervenuta “legificazione” della disposizione, intesa come il recepimento delle norme di un regolamento in una fonte primaria, con la conseguente acquisizione da parte di tale norme del valore giuridico e del trattamento riservato alle norme di fonte primaria.

32. Osserva il Collegio come un simile fenomeno di “legificazione” sia predicabile, infatti, solo laddove la norma primaria abbia inteso recepire o incorporare la norma secondaria e non anche nei casi in cui la norma primaria si sia limitata ad un mero rinvio formale che, postulando la non incorporazione della norma nella legge primaria, esclude l’effetto di novazione del suo regime giuridico.

32.1. La giurisprudenza di codesta Corte Costituzionale ha, infatti, chiarito come un tale effetto di “legificazione” possa ammettersi solo laddove la norma primaria abbia inteso effettuare un rinvio recettizio o materiale, con efficacia novatrice della fonte, alle regole richiamate (Corte costituzionale, sentenza 3 maggio 2013, n. 80, punto 4 del “Considerato in diritto”). Codesta Corte ha, inoltre, evidenziato che “un tale effetto – che produce una forma di recezione o incorporazione della norma richiamata in quella richiamante – non può essere riconosciuto a qualsiasi forma di rimando, ma è ravvisabile soltanto quando la volontà del legislatore di recepire mediante rinvio sia espressa oppure sia desumibile da elementi univoci e concludenti”; “non è sufficiente rilevare che una fonte ne richiama testualmente un’altra, per concludere che la prima abbia voluto incidere sulla condizione giuridica della seconda o dei suoi contenuti” (cfr., ancora, Corte costituzionale, sentenza 3 maggio 2013, n. 80, punto 4 del “Considerato in diritto”).

32.3. Con specifico riferimento alla distinzione, in tema di rapporti tra previsione legislativa ed atto amministrativo richiamato, tra rinvio recettizio (materiale) e rinvio non recettizio (formale), laddove la tecnica di confezionamento della legge contempli un rimando ad un atto normativo preesistente e di rango subordinato, codesta Corte ha affermato che:

i) per stabilire la natura del rinvio la dottrina ha fatto riferimento al livello di innovatività giuridica del richiamo (basso, se la norma richiamante intenda coordinarsi con quella richiamata lasciando immutata la disciplina della materia, o alto, nel caso in cui con il richiamo si voglia determinare un effetto di sanatoria) ovvero al suo effetto, osservando che mentre il rinvio recettizio opera una novazione della fonte che eleva la norma richiamata al rango primario, la funzione del rinvio non recettizio non è quella di incorporare il contenuto della norma richiamata, bensì di indicare la fonte competente a regolare una determinata materia, tant’è che correntemente lo si definisce anche come rinvio di produzione, che non muta forza e valore della norma richiamata;

ii) risale alla sentenza n. 304 del 1986 della Corte la distinzione tra «significato normativo» e «dichiarativo» del richiamo attuato dalla legge ad un atto alla stessa sottordinato;

iii) anche la differenza tra rinvio materiale e rinvio formale è stata recepita dalla giurisprudenza della Corte a partire dalle sentenze n. 536 del 1990, n. 199 e n. 311 del 1993, e, più, di recente, nella sentenza n. 232 del 2006 si trova affermato che mentre il rinvio meramente formale «concerne [cioè] la fonte e non la norma», per aversi rinvio recettizio (o materiale) occorre che il richiamo «sia indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo effettua»;

iv) quanto ai criteri per distinguere la natura del rinvio, nella sentenza n. 80 del 2013 e nel solco tracciato dalla dottrina tradizionale, la Corte ha ritenuto operante una presunzione di rinvio formale, e ha precisato, nella sentenza n. 85 del 2013 come la giurisprudenza costituzionale abbia affermato l’esistenza di una presunzione di rinvio formale agli atti amministrativi, ove gli stessi siano richiamati in una disposizione legislativa, tranne che la natura recettizia del rinvio stesso emerga in modo univoco dal testo normativo (sentenza n. 311 del 1993); circostanza, questa, che non ricorre necessariamente neppure quando l’atto sia indicato in modo specifico dalla norma legislativa (sentenze n. 80 del 2013 e n. 536 del 1990) (Corte Costituzionale, sentenza 7 novembre 2014, n. 250, punti 7, 7.1, 7.2., e 8 del “Considerato in diritto”).

33. Ora, alla luce delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza di codesta Corte, questo Consiglio nei pronunciati già intervenuti sul complesso contenzioso in esame ( relativi ad annualità pregresse ) ha escluso la possibilità di affermare la natura materiale (e, quindi, l’incorporazione dei precetti nella fonte primaria):

i) del rinvio contenuto nell’art. 1, comma 1034, della L. n. 205/2017, atteso che, in quel caso, si è in presenza di una disciplina con cui, al fine di determinare i soggetti in condizione di utilizzare la capacità trasmissiva di cui al comma 1033, è stato soltanto previsto l’obbligo, per il Ministero dello sviluppo economico, di avviare le procedure per predisporre, per ciascuna area tecnica, una graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati quali fornitori di servizi di media audiovisivi in ambito locale, “applicando, per ciascun marchio oggetto di autorizzazione, i criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146”;

ii) del rinvio contenuto nell’art. 4-bis del d.l. n. 91 del 2018, che, “pure contenendo elementi testuali che sembrano deporre per la natura ricettizia del rinvio al D.P.R. n. 146/2017”, non avrebbe prodotto, comunque, effetti retroattivi, e, quindi, non avrebbe inibito la possibilità di applicare la disciplina regolamentare alle annualità rilevanti in quei giudizi (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenze n. 7878/2022, n. 7880/2022, n. 7881/2022).

34. Questo Consiglio ha, quindi, escluso l’effetto di legificazione delle norme regolamentari, pur incentrando, poi, la propria attenzione sull’ulteriore tema relativo alla portata retroattiva dell’intervento normativo, trattandosi di annualità antecedenti all’entrata in vigore della norma primaria. Al di là di tale aspetto, deve osservarsi come, dalla trama argomentativa delle decisioni della Sezione – che, come osservato, muovono dalle chiare coordinate ermeneutiche tracciate da codesta Corte Costituzionale – emerge la non sussistenza di un effetto di incorporazione per il dirimente rilievo che il rinvio è stato effettuato all’intero Regolamento e non anche “a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo effettua” (v. Corte Costituzionale, sentenze n. 536/1990, n. 199/1993, n. 311/1993, n. 232/2006, n. 80/2023).

34.1. Inoltre, va considerato come questo Consiglio abbia, comunque, annullato il D.P.R. n. 147/2017, relativamente alla disciplina del c.d. scalino preferenziale, e, in particolare, alla previsione di cui all’art. 6, comma 2, di tale regolamento, e, in via derivata, i dipendenti atti amministrativi relativi alla procedura concessoria svolta per l’annualità 2016 (sentenze n. 7878/2022, n. 7880/2022, e n. 7881/2022). Annullamento che – come evidenziato, chiaramente, dalla sentenza appellata – postula logicamente la natura non primaria delle norme contenute in tale Regolamento.

34.2. Il punto di esiziale importanza per la questione che si sottopone a codesta Corte è, comunque, costituito non solo dalle componenti che sostanziano l’accertamento e la portata conformativa del giudicato amministrativo di cui va garantita l’effettività, ma proprio e soprattutto dall’effetto caducatorio che consegue all’accoglimento della domanda di annullamento. Questa operazione è, ovviamente, logicamente e giuridicamente, consentita dalla ritenuta esclusione dell’avvenuto recepimento delle norme del Regolamento in una fonte primaria, con la conseguente non acquisizione da parte di tale norme del valore giuridico e del trattamento riservato alle norme di fonte primaria. Ma (una volta scontato questo accertamento) il dato ulteriore che rileva (stante anche l’intangibilità di questo giudicato) è dato proprio dall’effetto che deriva dalla pronuncia e, cioè, l’annullamento del Regolamento e, quindi, l’eliminazione dello stesso dall’universo giuridico. Il tema sul quale si intende incentrare l’attenzione è dato, quindi, proprio dall’effetto caducatorio del giudicato amministrativo che, nel caso di specie, assume, inoltre, la peculiare portata derivante dalla natura dell’atto impugnato. Il Regolamento è, infatti, atto a contenuto normativo con portata generale e astratta, il cui annullamento comporta il venir meno della base giuridica su cui reggono gli ulteriori atti applicativi. La natura normativa dell’atto spiega, inoltre, la portata ultra partes dell’effetto caducatorio discendente dalla sentenza di annullamento che, come osservato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, rinviene una “base normativa indiretta nell’art. 14, comma 3, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che, proprio presupponendo tale efficacia, prevede che il decreto decisorio di un ricorso straordinario che pronunci l’annullamento di un atto normativo deve essere pubblicato nelle stesse forme dell’atto annullato” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 27 febbraio 2019, n. 4 e n. 5).

34.3. L’effetto caducatorio della sentenza si è, quindi, sostanziato nell’eliminazione di un atto a portata normativa, privando, quindi, di validità ed efficacia sia lo stesso – con efficacia erga omnes - che gli atti amministrativi (generali e singolari) che, in forza di tale atto erano stati adottati. Questo aspetto è chiaramente esplicitato dalle stesse sentenze nella Sezione nella parte in cui hanno impartito indicazioni sulla successiva attività dell’Amministrazione. Disposto l’annullamento della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del Regolamento, le sentenze della Sezione hanno, infatti, chiarito come l’Amministrazione avesse la possibilità – in sede di riesercizio del potere:

i) di rideterminare, in favore dei concorrenti già graduati, i contributi dovuti per l’anno di riferimento, destinando il 100% dello stanziamento annuale a tutti i graduati, liquidando il contributo a ciascuno di essi spettante in proporzione del rispettivo punteggio per come riportato nella graduatoria approvata (senza, pertanto, l’applicazione dello scalino preferenziale annullato con la tale pronuncia e tenendo conto, invece, dei punteggi assegnati in sede amministrativa, in applicazione di criteri selettivi ritenuti legittimi dal Collegio), nonché regolando, all’esito (anche attraverso la compensazione delle rispettive posizioni creditorie), i rapporti obbligatori nelle more instaurati con le parti private sulla base della disciplina in parte qua annullata;

ii) in alternativa, stante l’inesauribilità del potere normativo, di procedere al suo riesercizio nell’osservanza dei criteri conformativi discendenti da tale sentenza (funzionali a garantire il pluralismo informativo in ogni ambito regionale e ad evitare distorsioni concorrenziali), provvedendo, all’esito e sulla base della disciplina per come eventualmente riformulata, ad una rideterminazione dei contributi dovuti per l’anno di riferimento ai concorrenti classificati, con successiva regolazione (anche attraverso la compensazione delle rispettive posizioni creditorie) dei rapporti obbligatori nelle more instaurati con le parti private sulla base della disciplina in parte qua annullata.

34.4. In ultimo, non può omettersi di considerare – per il rilievo che verrà esposto infra – come l’accoglimento dell’azione proposta abbia comportato l’annullamento ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, in applicazione di una “regola fondamentale […] affermata ab antiquo et antiquissimo tempore da questo Consiglio (come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela), poiché la misura tipica dello Stato di diritto - come affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato - non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell'atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità” (così, Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755).

35. In questo quadro si è poi inserita la disposizione di cui all’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 145/2023, la quale ha inteso dare interpretazione autentica alla disposizione di cui all’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, nella parte in questa disposizione aveva riportato integralmente il decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, chiarendo che tale disposizione dovesse interpretarsi nel senso che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, avesse inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute a decorrere dalla sua entrata in vigore.

36. L’aspetto centrale della questione che si rimette a codesta Corte riguarda la legittimità di tale intervento normativo in relazione al disposto annullamento del Regolamento da parte delle sentenze della Sezione.

36.1. Tale questione si snoda attraverso:

i) la preventiva verifica della natura e portata della disposizione di cui all’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 145/2023;

ii) la successiva interrelazione tra tale previsione e l’effetto di annullamento derivante dalle sentenze di questo Consiglio.

37. Procedendo nei termini indicati si osserva come la disposizione in esame abbia chiara natura di norma di interpretazione autentica (come già accennato in precedenza). Infatti, secondo la giurisprudenza di codesta Corte, “la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dell’interpretazione della legge” (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui “la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)” (sentenza n. 104 del 2022; cfr., inoltre, Corte Costituzionale, sentenza 11 gennaio 2024, n. 4, punto 7.1 del “Considerato in diritto”). Infatti, tale disposizione ha espresso uno dei possibili significati attribuibili alla previsione di cui all’art. 4-bis del decreto legge n. 91/2018, come evincibile dallo stesso contenzioso deciso con la sentenza n. 7880/2022 di questo Consiglio, nel quale alcune parti (e, in particolare, gli appellanti incidentali e di alcune parti intimate parte intimate) avevano dedotto l’avvenuta legificazione del Regolamento ad opera di tale norma primaria, mentre altre parti avevano escluso la realizzazione di tale effetto, con tesi poi condivisa da tale Consiglio.

37.1. Dalla natura interpretativa discende la portata retroattiva della disposizione, conseguente alla natura dichiarativa dell’interpretazione. Infatti, nonostante il diverso avviso di pur autorevole dottrina e di parte della giurisprudenza (cfr., Cassazione civile, sezione lavoro, 7 luglio 1992, n. 8237; Cassazione, ordinanza n. 107/1994; v., inoltre, Corte Costituzionale, sentenza n. 29/2002, che pare postulare la non necessaria retroattività della legge di interpretazione autentica nella parte in cui ha dichiarato l’illegittimità della norma oggetto di quel giudizio nella sola parte in cui “estende anche al passato l’interpretazione autentica”), la giurisprudenza prevalente di codesta Corte fa discendere dalla natura interpretativa della disposizione un effetto chiaramente retroattivo della stessa (cfr., ex multis, Corte Costituzionale, n. 78/2012), pur affermando, comunque, dei chiari limiti che valgono anche per le leggi innovative ma con portata retroattiva.

37.2. Nel caso di specie, la portata retroattiva della disposizione emerge anche dalla peculiare tecnica legislativa utilizzata dal legislatore. La norma di cui all’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 145/2023 non ha, infatti, provveduto a riprodurre le prescrizioni normative contenute nel D.P.R. n. 146/2017, ma ha inteso dare un’interpretazione autentica alla previsione di cui all’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, nella parte in cui aveva richiamato tale regolamento; pertanto, il precetto ha rivolto il proprio sguardo (imprimendo, quindi, il proprio effetto specifico effetto normativo) alla precedente disposizione normativa. Proprio la tecnica utilizzata dal legislatore appare, quindi, chiaro indice della volontà di regolare i rapporti sorti in base alla precedente disposizione, in linea, del resto, con la portata dichiarativa dell’interpretazione (Cassazione civile, Sezioni Unite, 11 luglio 2011, n. 15144; cfr., inoltre, Cassazione civile, Sez. II, 10 maggio 2018, n. 11300; Id., Sezioni unite civili, 3 ottobre 2018, n. 24133; Id., Sezione lavoro, 13 gennaio 2020, n. 403; Id., Sezione lavoro, 14 febbraio 2021, n. 552; nella giurisprudenza amministrativa, cfr.: Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 2 novembre 2015, n. 9; Id., Sez. III, 7 novembre 2017, n. 5138; Id., Adunanza plenaria, 27 febbraio 2019, n. 4; Id., Sez. II, 22 febbraio 2019, n. 2266; Id., Sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2266). Inoltre, non può omettersi di considerare il dato testuale della previsione che, come esposto, chiarisce che il rinvio operato alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, avesse inteso attribuire valore di legge a tutte le disposizioni ivi contenute “a decorrere dalla sua entrata in vigore” (corsivo del Collegio), intendendo, quindi, conferire valore di legge alle previsioni regolamentari sin dalla data di entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, e, quindi, con portata chiaramente retroattiva.

37.3. Dal carattere interpretativo della disposizione discende, inoltre, la “saldatura” dalla nuova regola con quella racchiusa nell’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, lasciando, quindi, “il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell'ambito semantico della legge interpretata” (Corte Costituzionale, sentenza n. 425 del 2000; Id., sentenza n. 397 del 1994), in modo che il suo sopravvenire non ha fatto venire meno le norme interpretate, in quanto le disposizioni si sono congiunte, dando luogo ad un precetto unitario (Corte Costituzionale, sentenze n. 311 del 1995; n. 94 del 1995; n. 397 del 1994).

37.4. Nel caso di specie, il precetto unitario derivante dalle due regole consiste nell’assegnare alla regola di cui all’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, il significato di attribuire valore legale a tutte le previsioni del D.P.R. n. 146/2017. Tuttavia, questa operazione di retroattività si va ad infrangere con l’intervenuto annullamento della previsione del Regolamento – rilevante nel caso di specie – contenuta all’interno dell’art. 6, comma 2, di tale atto normativo secondario. Va, infatti, considerato che l’art. 13, comma 1-bis, del d.l. 145/2023, nell’assegnare valore di legificazione dei precetti del Regolamento al rinvio a questo operato dall’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018 (e, quindi, nell’incorporare tali precetti alla regola primaria contenuta in tale articolo, assegnandovi il relativo valore), non sembra essere avveduto dell’impossibilità di predicare questo effetto di incorporazione della norma regolamentare in quanto ormai eliminata dall’intervenuto annullamento giurisdizionale con effetto di giudicato e violazione di cosa giudicata.

37.5. In sostanza, questo rinvio (necessariamente recettizio, come spiegato in precedenza) alla norma regolamentare sarebbe, in realtà e in parte qua, privo del suo oggetto in quanto tale oggetto è costituito (anche) da una norma regolamentare (l’art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 147/2017), che, proprio in quanto caducata dalle sentenze di questo Consiglio, non avrebbe più potuto incorporarsi nella regola primaria.

37.6. La retroattività della norma interpretativa ha, quindi, rinvenuto un limite all’operazione di “legificazione” che con la stessa si è inteso attuare, consistente nell’impossibilità di incorporare nel disposto di cui all’art. 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, una previsione eliminata dal mondo giuridico in forza dell’effetto caducatorio del giudicato delle sentenze di questa Sezione. Se, infatti, l’effetto di annullamento consiste nell’eliminazione definitiva dell’atto, le previsioni ivi contenute (e, in particolare, quella di cui all’art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 147/2017) non possono essere “riesumate”, anche in considerazione della tecnica utilizzata dal legislatore che non è consistita nell’introdurre, con norma primaria, regole omologhe a quelle contenute nell’art. 6, comma 2, del Regolamento, ma nell’interpretare in via retroattiva una regola preesistente – conferendo – per il tramite del rinvio in essa contenuto valore primario a norme ormai caducate, e, quindi, insuscettibili di essere incorporate nel precetto normativo perché ormai non più esistenti.

Infatti, se è vero, come insegna, codesta Corte che la legificazione comporta un effetto novativo della fonte (così Corte costituzionale, 3 maggio 2013, n. 80), tale novazione presuppone l’esistenza della regola novata, secondo un principio logico-giuridico che è immanente al fenomeno novativo, come conferma la previsione di cui all’art. 1234 c.c., la quale sancisce la nullità della novazione di un’obbligazione che derivi da fattispecie inesistente, nulla o annullata o che è già estinta (cfr., Cassazione civile, Sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24792). In quest’ottica l’esistenza della norma non è solo un mero presupposto ma elemento necessario del suo oggetto, in assenza del quale il rinvio materiale che comporterebbe la sua legificazione risulta incapace di operare.

37.7. Tale ricostruzione trova conferma osservando il fenomeno novativo dal profilo relativo ai suoi effetti. La novazione implica, per propria natura, l’estinzione della precedente regula iuris e, in casi come quelli di specie, la sua sostituzione con una nuova di fonte sovraordinata, con conseguente emersione di un effetto estintivo assimilabile a quello abrogativo (cfr., sul fenomeno estintivo connesso alla novazione, Cassazione civile, Sezioni Unite, 24 giugno 2005, n. 13294). Tuttavia, l’effetto estintivo-sostitutivo non può trovare realizzare nel caso di specie, considerato che la norma di interpretazione autentica ha inteso riferire l’effetto dichiarativo della propria proposizione normativa alla precedente norma del 2018, sancendo, in sostanza, la sostituzione della norma primaria a quella regolamentare che, tuttavia, era stata medio tempore annullata con effetti ex tunc dalle sentenze della Sezione, con conseguente impossibilità di estinguere (per novarne la natura) una regola già eliminata.

38. La situazione sottoposta all’attenzione di codesta Corte ricorda – mutatis mutandis e per il profilo sopra indicato – la vicenda occorsa in occasione della conversione in legge del d.l. n. 225 del 2010 (c.d decreto milleproroghe), nel corpo del quale era stato inserito il comma 50 all’art. 2 del decreto-legge in parola, dal seguente tenore: “Con effetto dal 16 dicembre 2010, viene meno l’efficacia abrogativa già disposta per le disposizioni di legge di cui alle voci 69844 (legge 13 marzo 1950, n. 114), 69920 (legge 2 aprile 1951, n. 302), 70139 (legge 11 aprile 1955, n. 379) e 70772 (legge 26 luglio 1965, n. 965), che si intendono soppresse nell’Allegato 1 al decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212. Ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma, la legge n. 114 del 1950, limitatamente agli articoli 1 e 4, e la legge n. 302 del 1951, citate nel presente comma, sono incluse nell’Allegato 1 al decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, con effetto dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo”. In sostanza, in quella occasione era stato parzialmente abrogato il decreto n. 212/2010 (di abrogazione espressa cumulativa di leggi statali), limitatamente alle voci dell’allegato corrispondenti alle quattro leggi indicate, evidentemente reputate ex post erroneamente inserite.

38.1. Trattandosi, tuttavia, di leggi già abrogate a far tempo dall’entrata in vigore dello stesso decreto n. 212, l’abrogazione pro futuro di quest’ultimo non avrebbe conseguito l’effetto voluto di mantenerle in vigore e, quindi, si era ricorso ad una norma retroattiva, disponendo che quell’abrogazione sarebbe decorsa dall’entrata in vigore del decreto, cioè a partire dal 16 dicembre 2010. Una vicenda che la dottrina costituzionalistica aveva efficacemente sintetizzato osservando quanto segue: “poi ci sono state quattro leggi dichiarate esplicitamente abrogate e che in tale condizione hanno trascorso un paio di mesi. Poi, ci si è accorti che quell’abrogazione era stata un errore e si è voluto cancellare lo sbaglio, cancellando l’abrogazione stessa di quelle leggi, al fine di recuperarne l’efficacia, medio tempore perduta. Per far questo però, è stato necessario accumunare in un’identica damnatio memoriae i fatti e le norme, la storia e il diritto, attraverso la prefigurazione di un rocambolesco viaggio nel tempo guidato da un orologio del diritto chiamato a correre a ritroso rispetto a quello della storia, per cambiare “ora per allora” la dinamica degli accadimenti, in un primo momento avveratisi e poi rimossi ab origine”. La medesima dottrina aveva, quindi, notato come “ad essere – per dir così – abrogato [era stato] il fatto stesso della loro abrogazione e tutto si [era] risolve, dal punto di vista strettamente giuridico normativo, in un tamquam non esset”.

39. In ragione di quanto esposto ritiene il Collegio che il combinato disposto delle previsioni di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2918, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108, e di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, risulti contrario al canone di logicità e ragionevolezza che la giurisprudenza di codesta Corte ha estratto dalla previsione di cui all’art. 3 della Costituzione. Infatti, risulta contrario al principio di logicità e di ragionevolezza, un intervento normativo che intende “legificare” con efficacia retroattiva norme regolamentari già oggetto di annullamento da parte del Giudice amministrativo.

40. Né risulta possibile una interpretazione conforme alla Costituzione che deve essere ragionevolmente e consapevolmente esclusa (cfr., sul punto, Corte Costituzionale, sentenza n. 262 del 2015; in senso conforme sentenze n. 202 del 2023, n. 139 del 2022, n. 11 del 2020, n. 189, n. 133 e n. 78 del 2019, n. 42 del 2017), considerato che la sola interpretatio utilis sarebbe quella volta a considerare, in sostanza, il combinato disposto esaminato come radicalmente inidoneo a determinare la novazione della fonte stante l’intervenuto annullamento della stessa, e, di conseguenza, si risolverebbe in una interpretatio abrogans di tali previsioni, o, comunque, in un risultato interpretativo chiaramente contrario alla ratio su cui le stesse riposano. Infatti, se è vero che “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali […], ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte Cost. 22 ottobre 1996, n. 356, citata da Cass. 16 gennaio 2020, n. 823), nel caso di specie, la sola interpretazione costituzionalmente orientata risulterebbe quella volta a considerare priva di effettualità il dato normativo esaminato. In ultimo, va considerato come una diversa interpretazione – che affermasse l’intervenuta reviviscenza del Regolamento ad opera delle previsioni esaminate – si esporrebbe, comunque, ai vizi di legittimità costituzionale che saranno esposti nel successivo paragrafo, al quale, pertanto, si rinvia.

E.3. TERZA QUESTIONE: SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE RELATIVA ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL DECRETO LEGGE 25 LUGLIO 2018, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI IN LEGGE 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 13, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2013, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145, IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 24, 103, 111, COMMI 1 E 2, 113 COST.

41. Il Collegio dubita, altresì, della legittimità costituzionale del combinato disposto delle previsioni di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108, e di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in relazione ai parametri indicati nella rubrica del presente paragrafo e per le ragioni che sono di seguito esposte.

42. In primo luogo, il Collegio dubita della legittimità della norma di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, che risulta non conforme ai limiti tracciati dalla giurisprudenza di codesta Corte Costituzionale in relazione alle norme di interpretazione autentica o, comunque, alle norme pur innovative ma con effetto retroattivo.

43. Infatti, codesta Corte è giunta a riconoscere la legittimità dell’intervento (autenticamente) interpretativo, e quindi, retroattivo del legislatore, non solo in casi di incertezza normativa (sentenze nn. 271 e 257 del 2011, 209 del 2010, 311 e 24 del 2009, 162 e 74 del 2008), o di anfibologie giurisprudenziali (cfr., Corte costituzionale, sentenza n. 187 del 1981, in cui il giudice costituzionale afferma chiaramente come la legge di interpretazione autentica debba essere adottata qualora “la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisdizionale”; v., inoltre, le sentenze nn. 376 del 1995 e 233 del 1988), o di “ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 78/2012).

44. Codesta Corte ha, però, evidenziato come al legislatore sia, comunque, precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, «per annullare gli effetti del giudicato» (sentenza n. 525 del 2000): se vi fosse un'incidenza sul giudicato, la legge di interpretazione autentica non si limiterebbe a muovere, come ad essa è consentito, sul piano delle fonti normative, attraverso la precisazione della regola e del modello di decisione cui l'esercizio della potestà di giudicare deve attenersi, ma lederebbe i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (cfr. sentenze n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995).

45. Come anticipato in chiusura del precedente paragrafo, la previsione normativa potrebbe interpretarsi come volta a determinare, in sostanza, la reviviscenza del Regolamento annullato, affermando la perdurante validità delle regole ivi contenute che sono, inoltre, elevate a norme di rango primario. La legge di interpretazione autentica, nel chiarire la portata della regola di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, avrebbe, quindi, conferito – proprio per il tramite dell’interpretazione – valore materiale al rinvio ivi contenuto al D.P.R. n. 146/2017.

Interpretando in questi termini la disposizione, la stessa risulterebbe, tuttavia, non conforme ai principi affermati da codesta Corte Costituzionale in precedenza richiamati. Infatti, questa operazione è stata, comunque, attuata per il tramite di una tecnica normativa che, come spiegato, si fonda:

i) sulla retroattività della regola di interpretazione autentica;

ii) sul meccanismo di incorporazione materiale che l’interpretazione fornita dal legislatore postula.

45.1. La “legificazione” risulta, tuttavia, in contrasto con il giudicato di annullamento delle sentenze n. 7878/2022, n. 7880/2022, e n. 7881/2022, che – come spiegato nel precedente paragrafo – hanno annullato con effetti ex tunc e con efficacia erga omnes e pro futuro la previsione di cui all’art. 6, comma 2, del Regolamento. Interpretata nei termini sopra indicati, la previsione normativa si è, quindi, sovrapposta al giudicato amministrativo, determinando (o volendo determinare), in sostanza, una reviviscenza di norme regolamentari già annullate dal Giudice amministrative (ed elevate, altresì, a regole di norme primarie, precludendo – come si esporrà nel successivo paragrafo – eventuali ulteriori pronunce di annullamento di questo Giudice). Questa situazione non sarebbe neppure esclusa affermando la natura non interpretativa dell’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in quanto tale regola avrebbe, comunque, portata retroattiva, essendo espressamente previsto che l’effetto di “legificazione” si sia prodotto dall’entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108.

46. Come ricordato di recente, dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva, codesta Corte è chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente rigoroso: ciò in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, «inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell’ordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145 del 2022; sentenza n. 4/2024).

46.1. Proprio operando questo scrutinio particolarmente rigoroso emerge la già enunciata sovrapposizione della norma alla situazione regolata in via definitiva dal giudicato di annullamento contenuto nelle sentenze della Sezione. Come già evidenziato, queste pronunce hanno eliminato con effetti ex tunc le previsioni dell’atto regolamentare, ma tale annullamento viene superato dal legislatore che, con l’operazione sopra descritta, intende far “rivivere” le previsioni regolamentari già annullate da questo Consiglio. La criticità dell’intervento normativo risulta di particolare rilievo ove si consideri che ad essere inciso è un giudicato di annullamento di un atto normativo secondario, che, come tale, ha eliso, quindi, la possibilità di porre in essere ulteriori atti amministrativi (generali o singolari), e anche per annualità diverse da quelle oggetto delle pronunce del Consiglio di Stato, in quanto private della base legale di riferimento, stante la portata pro futuro di tale annullamento. Non a caso questo Consiglio, nell’annullare il Regolamento, ha fatto salvo il ri-esercizio del potere, ma, comunque, “nell’osservanza dei criteri conformativi discendenti dalla presente sentenza (funzionali a garantire il pluralismo informativo in ogni ambito regionale e ad evitare distorsioni concorrenziali)”.

46.2. Nel caso di specie, non si è riprovveduto ad un nuovo esercizio del potere, ma si è introdotta una norma di interpretazione autentica (o, comunque, con efficacia retroattiva) che ha semplicemente “rinnovato” le regole già annullate, le ha elevate al rango primario, e ha disposto l’operatività sin dalla data di entrata in vigore delle disposizioni dell’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 settembre 2018, n. 108, violando, in tal modo, non solo la regolazione di quei rapporti immediatamente discendenti dal giudicato, ma, altresì, la portata di annullamento della pronuncia e l’impossibilità di porre a fondamento dei successivi atti norme regolamentari ritenute illegittime.

46.3. Né potrebbe ritenersi legittimo tale intervento postulando che il legislatore avesse, in tal modo, ri-esercitare il potere che le sentenze della Sezione avevano riconosciuto in capo all’Amministrazione. Infatti, prescindendo dalla possibilità di surrogare l’Amministrazione nell’emanazione di un atto secondario (che, ex se, non è precluso al legislatore), risulta dirimente osservare come un simile ri-esercizio del potere era stato conferito solo pro futuro (non vanificando, quindi, la tutela accordata con l’accoglimento della domanda di annullamento, e postulando, comunque, un nuovo intervento regolamentare), e, comunque, “nell’osservanza dei criteri conformativi discendenti dalla […] sentenza (funzionali a garantire il pluralismo informativo in ogni ambito regionale e ad evitare distorsioni concorrenziali)”; al contrario, l’intervento si è sostanziato in una regola con portata retroattiva, come tale idonea ad incidere sia in relazione alle situazioni interessate direttamente dal giudicato, sia in relazione agli atti amministrativi successivamente adottati (e oggetto del presente giudizio) che avevano mutuato la disciplina ritenuta illegittima.

47. In ragione di quanto esposto, il Collegio ritiene le previsioni indicate contrarie alle regole di cui agli artt. 3, 24, comma 1, 103, 111, commi 1 e 2, e 113 della Costituzione, sostanziandosi la regola in una illegittima reviviscenza retroattiva di regole secondarie già annullate con sentenze passate in giudicato. Né risulta possibile operare una interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo in esame. Infatti, la violazione del giudicato sarebbe “scongiurabile” solo ipotizzando la non retroattività dell’intervento legislativo, ma una simile interpretazione risulterebbe in contrasto con la littera legis che chiaramente legifica le previsioni regolamentari sin dalla data dell’entrata in vigore dell’art. dell’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018. Per cui una simile interpretazione deve chiaramente escludersi. Inoltre, pur escludendo effetto retroattivo alla disposizione, la stessa avrebbe, comunque, incidenza sulle decisioni giudiziarie dei processi in corso (tra cui, ovviamente, quelli pendenti dinanzi al Collegio), profilandosi, pertanto, un ulteriore vizio di legittimità costituzionale, nei termini che saranno esposti nel successivo paragrafo.

E.4. QUARTA QUESTIONE: SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE RELATIVA ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL DECRETO LEGGE 25 LUGLIO 2018, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI IN LEGGE 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 13, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2013, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145, IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 111, COMMA 1 E 2, 117, COMMA 1, IN RELAZIONE ALL’ART. 6 DELLA C.E.DU.

48. Il Collegio dubita, altresì, delle previsioni di cui all’art. 4-bis del d.l. n. 91/2018, e di cui all’art. 13 del d.l. n. 145/2023, comma 1-bis, introdotto dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, in relazione ai parametri indicati nella rubrica del presente paragrafo, relativi alla legittimità di interventi normativi che incidono su giudizi in corso.

49. Sul punto, può richiamarsi la recente sentenza n. 4/2024 di codesta Corte Costituzionale che ha ricordato come “il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora l’intervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo un’amministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti l’effettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014)”.

49.1. Inoltre, con riguardo al sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo sempre più decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre, sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47). Ciò in virtù della “funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea” (sentenza n. 348 del 2007).

49.2. Come chiarito da codesta Corte, infatti, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è ormai pervenuti alla costruzione di una “solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU”, che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali al fine di massimizzarne l’espansione in un “rapporto di integrazione reciproca” (sentenza n. 145 del 2022).

49.3. Sulla base di tale sinergia, codesta Corte è chiamata innanzitutto a verificare se l’intervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare l’esito di giudizi pendenti. A tal fine, assumono rilievo – sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU – alcuni “elementi, ritenuti sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa” e riferibili principalmente al “metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore” (così, sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019).

49.4. Occorre, quindi, effettuare una verifica di legittimità costituzionale “che – in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo mediante l’impiego di figure sintomatiche – assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo” (Corte Costituzionale, sentenza n. 4/2024).

49.5. In primo luogo, tra gli elementi sintomatici dell’uso distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che “lo Stato o l’amministrazione pubblica” siano “parti di un processo già radicato” e che l’intervento legislativo si collochi “a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica” (sentenza n. 174 del 2019). Tali circostanze ricorrono nel caso di specie, ove si consideri che parte dei giudizi pendenti dinanzi a questo Consiglio è un’Amministrazione dello Stato, e, in particolare, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e che tale intervento di interpretazione autentica è intervenuto, comunque, in relazione ad una norma primaria entrata in vigore cinque anni prima, e, inoltre, a poco più di un mese di distanza dall’udienza pubblica in cui questo Consiglio ha trattato le controversie. Inoltre, va chiarito che questo intervento del legislatore ha inciso sulla natura delle norme regolamentari in base alle quali si è svolto il complessivo procedimento di assegnazione delle risorse, incidendo, quindi, sulla stessa possibilità del Giudice amministrativo di annullare atti ritenuti in violazione degli obiettivi di pubblico interesse di cui all'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e, in particolare, del pluralismo e dell'innovazione dell'informazione.

49.6. Quest’ultima circostanza integra l’ulteriore indice sintomatico elaborato dalla giurisprudenza di codesta Corte, consistente nell’intenzione del legislatore di superare un orientamento giurisprudenziale, al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte l’amministrazione pubblica. Infatti, l’intervento normativo interviene dopo l’emanazione delle sentenze del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma che avevano escluso la legificazione del Regolamento, e – come detto – poco prima della decisione di questo Consiglio, il quale si era già espresso nel senso di escludere l’intervenuta legificazione delle norme regolamentari.

49.7. Di questo aspetto ne era, del resto, consapevole lo stesso Governo. Come evidenziato dalle parti appellate nel corso dell’udienza pubblica, rispetto a tale emendamento il Governo, a mezzo del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze On.le Albano, ha espresso in assemblea la seguente posizione: “[p]er quanto riguarda l'emendamento 13.300, il Governo deve evidenziare che la proposta presenta profili di criticità, in quanto inciderebbe su contenziosi in atto ed è suscettibile di generarne ulteriori, atteso che attiene ad annualità di fondi già ripartiti. Pertanto, su questo emendamento il Governo si rimette all'Assemblea”. In sostanza, il Governo aveva già espresso valutazioni critiche dell’intervento sia in relazione al profilo in esame (incidenza sui contenziosi in corso), sia in relazione alle pregresse annualità.

49.8. Inoltre, non può ritenersi che l’intervento legislativo in questione trovi una ragionevole giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni «siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48).

49.10. In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l’art. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove “i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui l’ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)” (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che l’intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di “assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania” (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64).

49.11. All’infuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la Corte EDU ha ritenuto che “le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie” (sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche codesta Corte ha sottolineato che, in linea di principio, “i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013)” (sentenza n. 145 del 2022).

49.12. Nel caso in esame non emerge, né dai lavori preparatori, né dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione giustificatrice dell’intervento legislativo retroattivo che possa integrare quei motivi imperativi di interessi pubblico richiamati dalla giurisprudenza di codesta Corte. Né, invero, l’intervento poteva ritenersi giustificato dall’evitare di “approfittare” dei difetti tecnici della legislazione o, comunque, indebiti vantaggi, e neppure da esigenze come quelle considerati dalla sentenza della C.E.D.U. 20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64. La previsione risulta, quindi, non sorretta da tali ragioni e, inoltre, ha incontrato il parere contrario del relatore (pag. 38 del resoconto della seduta del 7 dicembre 2023) e della 5^ Commissione permanente del Senato (pag. 277 del resoconto), nonché la rimessione del Governo alla volontà del Parlamento ma con le criticità segnalate dal sottosegretario di Stato.

50. In ragione di quanto esposto, il Collegio ritiene le disposizioni indicate in contrato con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Costituzione. Le considerazioni sin qui esposte escludono che possa fornirsi un’interpretazione costituzionalmente orientata delle regole esaminate, essendo palese l’ingerenza delle stesse nei giudizi in corso e la conseguente dimidiazione della tutela giurisdizionale delle parti ricorrenti in primo grado (e appellate nel presente giudizio), in favore dell’Amministrazione statale, parte del giudizio.

E.5. QUINTA QUESTIONE (FORMULATA IN VIA SUBORDINATA): SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE RELATIVA ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 4-BIS DEL DECRETO LEGGE 25 LUGLIO 2018, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI IN LEGGE 21 SETTEMBRE 2018, N. 108, E ALLA PREVISIONE DI CUI ALL’ART. 13, COMMA 1-BIS, INTRODOTTO DALLA L. 15 DICEMBRE 2013, N. 191, IN FASE DI CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE 18 OTTOBRE 2023, N. 145, IN RELAZIONE AGLI ARTT. 2, 3, 21, 41 COST, 117, COMMA 1, COST. IN RELAZIONE AGLI ARTT. 10 E 14 DELLE C.E.D.U.

51. Il Collegio sottopone a codesta Corte un’ultima questione di legittimità costituzionale in ordine alle previsioni indicate nel titolo del paragrafo per violazione degli artt. 2, 3, 21 e 41 Cost., dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione ai parametri interposti di cui agli artt. 10 e 14 della C.E.D.U. A parere del Collegio sussistono, difatti, i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale della medesima norma, già oggetto di annullamento nella pregressa veste regolamentare, di cui all’art. 6, comma 2, d.P.R. n. 146 del 2017, in relazione ai principi di cui agli artt. 2, 3, 21 e 41 della Costituzione, in quanto la disciplina preferenziale ivi prevista si pone in contrasto con i vincoli costituzionali, dettati al legislatore ordinario, diretti ad impedire la formazione di posizioni dominanti ed a favorire l'accesso del massimo numero possibile di voci diverse, in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti.

51.1. La presente questione è formulata in via subordinata rispetto alle altre che, dal punto di vista logico-giuridico, mirano a constatare l’illegittimità delle disposizioni censurate consentendo la “ri-espansione” del sindacato di questo Giudice amministrativo sulle disposizioni del Regolamento e sugli atti attuativi dello stesso. Al contrario, la presente questione postula la reiezione delle precedenti questioni, con conseguente rimessione del sindacato sulla legittimità del c.d. scalino preferenziale (da ritenersi, quindi, “legificato” ove siano state respinte le altre questioni) a codesta Corte Costituzionale. Pertanto, la presente questione è in rapporto di cumulo condizionato in senso proprio con il primo ordine di questioni, e si chiede a codesta Corte di esaminarla solo in caso di reiezione di tutte le quattro precedenti questioni.

51.2. La possibilità di subordinare le questioni di legittimità costituzionale è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di codesta Corte Costituzionale che permette, quindi, un cumulo condizionale proprio delle questioni, escludendo, per converso, la possibilità di proporre i quesiti in modo meramente alternativo e - pertanto - ancipite, con conseguente devoluzione alla Corte di una “impropria competenza di scegliere tra ess[i]” (Corte Costituzionale, ordinanza n. 221 del 2017; Id., sentenza n. 7 del 2022; Id., sentenza n. 188 del 2023).

52. Venendo al merito della questione si osserva che, come spiegato in precedenza, il c.d. “scalino preferenziale” comporta una netta differenziazione tra le emittenti prime cento classificate e quelle classificate dalla posizione centunesima in avanti. Alla prima categoria di operatori è riservata la quasi totalità della contribuzione pubblica (il 95% dello stanziamento annuale disponibile, oltre che eventuali residui); alla seconda categoria una quota contributiva estremamente ridotta, pari al 5 %.

52.1. Una tale differenziazione comporta una scelta normativa di dubbia compatibilità con gli obiettivi di interesse pubblico imposti dal legislatore.

52.2. In materia, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo evidenziato la portata applicativa del principio del pluralismo informativo, costituente un valore centrale in un ordinamento democratico (Corte costituzionale n. 21 del 1991; Id., sentenza n. 466 del 2002), rilevante nel settore radiotelevisivo in relazione a plurimi ambiti di disciplina. In proposito, è stato affermato che l'informazione esprime “non tanto una materia, quanto una condizione preliminare” per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico (cfr. sentenza n. 29 del 1996; nello stesso senso, sentenze n. 312 del 2003 e n. 348 del 1990). Allo stesso modo la C.E.D.U. ha osservato come i servizi audiovisivi e radiofonici abbiano un carattere essenziale per la democrazia degli Stati membri; infatti, la C.E.D.U. ha osservato che non vi è democrazia senza pluralismo e che in una società democratica non basta, per garantire un vero e proprio pluralismo nel settore audiovisivo, prevedere l’esistenza di più canali o la possibilità teorica per i potenziali attori di accedere al mercato audiovisivo, a tutela della sola concorrenza, ma “bisogna anche permettere un accesso effettivo a tale mercato”, sicché in un settore delicato come quello dei media audiovisivi al dovere negativo di non ingerenza nell’esercizio delle frequenze e nella trasmissione dei programmi si aggiunge, per lo Stato, “l’obbligo positivo di realizzare un quadro legislativo e amministrativo adeguato per garantire un pluralismo effettivo” (Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Centro Europa 7 e Di Stefano c. Italia, 7 giugno 2012, § 130 e § 134).

52.3. Tali affermazioni di principio hanno avuto ricadute sostanziali in ordine al pluralismo dell'informazione, comportando il riconoscimento del “valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico” (cfr. sentenze n. 21 del 1991 e n. 826 del 1988), fino al punto da giustificare e anzi imporre al legislatore interventi idonei a garantirne il rispetto.

52.4. In concreto, la necessità dell'effettiva garanzia del pluralismo è stata enunciata sempre dalla giurisprudenza costituzionale (cfr.: sentenza 25 luglio 2019 n. 206), con riguardo alla disciplina delle emittenti televisive, per consentire sia l'espressione delle varie componenti culturali della società, sia la loro presenza sul mercato. Nel vagliare i limiti alla concentrazione nel settore dell'editoria, la Corte ne ha ravvisato la funzionalità alla garanzia del pluralismo delle voci, ponendo peraltro in evidenza che poiché nel settore televisivo vi era una barriera di accesso in ragione della non illimitatezza delle frequenze, a differenza della stampa, si imponeva il ricorso al sistema concessorio (sentenze n. 420 del 1994, n. 826 del 1988 e n. 148 del 1981).

52.5. In presenza di una situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili che determinava effetti negativi sul rispetto dei princìpi del pluralismo, la Corte (sentenza n. 466 del 2002) ha poi ribadito la necessità di assicurare l'accesso al sistema radiotelevisivo del «massimo numero possibile di voci diverse» e ha sottolineato l'insufficienza del mero concorso fra un polo pubblico e un polo privato ai fini del rispetto delle evidenziate esigenze costituzionali connesse all'informazione.

52.6. Così, chiamata a vagliare le norme sui contributi statali per la diffusione della tecnica digitale terrestre di trasmissione televisiva, la Consulta (sentenze n. 168 del 2008 e n. 151 del 2005) ne ha ravvisato la legittimità poiché la finalità delle norme impugnate era quella di favorirla quale condizione preliminare per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico.

52.7. Anche nel nuovo contesto digitale, è stata ribadita (cfr. ad es. ordinanze n. 61 del 2008 e n. 69 del 2009 in ordine alle attribuzioni della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi) l’esigenza di garantire il principio, fondato sull'art. 21 Cost., del pluralismo dell’informazione, in base al quale la presenza di un organo parlamentare di indirizzo e vigilanza serve ad evitare che il servizio pubblico radiotelevisivo venga gestito dal Governo in modo “esclusivo o preponderante”.

52.8. In tale contesto, secondo tali indicazioni, l’imparzialità e l’obbiettività dell’informazione possono essere garantite solo dal pluralismo delle fonti e degli orientamenti ideali, culturali e politici, nella difficoltà che le notizie e i contenuti dei programmi siano, in sé e per sé, sempre e comunque obbiettivi.

53. Il pluralismo dell’informazione assume poi rilievo in relazione ai successivi ambiti, oggetto di approfondimento da parte della giurisprudenza costituzionale, e in particolare:

i) in materia di limiti di affollamento pubblicitario, atteso che i princìpi delle disposizioni relative all'affollamento pubblicitario televisivo mirano a realizzare la protezione dei consumatori, e in particolare dei telespettatori, oltre che la tutela della concorrenza e del pluralismo televisivo (sentenza n. 210 del 2015);

ii) in materia di libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), intesa (cfr. sentenza n. 122 del 2017, che richiama le sentenze n. 112 del 1993, n. 826 del 1988 e n. 148 del 1981) nel suo significato passivo di diritto di essere informati, attesa la sussistenza del diritto a conoscere liberamente le manifestazioni di pensiero che circolano nella società (sentenza n. 122 del 2017);

iii) in tema di servizio pubblico radiotelevisivo, al fine di assicurare l’offerta al pubblico di una gamma di servizi caratterizzata da obbiettività e completezza di informazione, con la precisazione che l’imparzialità e l'obbiettività dell'informazione possono essere garantite solo dal pluralismo delle fonti e degli orientamenti ideali, culturali e politici, nella difficoltà che le notizie e i contenuti dei programmi siano, in sé e per sé, sempre e comunque obbiettivi (cfr.: Corte costituzionale, 13 marzo 2009, n. 69);

iv) in materia di competizioni elettorali, dominate dal principio della parità di opportunità tra i concorrenti (cfr.: Corte costituzionale, 17 novembre 2000, n. 502).

54. Più in generale, è stato analizzato il diritto all’informazione – riconducibile nell’ambito di tutela della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. – qualificato e caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie − che comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso del massimo numero possibile di voci diverse − in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti (cfr.: Corte costituzionale, 4 giugno 2019, n. 206).

55. Il pluralismo informativo è stato evocato anche in materia di numero e concentrazione delle emittenti televisive, occorrendo assicurare, attraverso appositi interventi normativi, sia l’espressione delle varie componenti culturali della società, sia la loro presenza sul mercato, in funzione della garanzia del pluralismo delle voci (cfr. art. 51 d. lgs. n. 208/2021 e Corte costituzionale, 27 gennaio 2006, n. 25, che richiama tra le finalità alla base della legislazione in materia radiotelevisiva l’esigenza di evitare distorsioni della concorrenza, assicurare la suddivisione delle risorse pubblicitarie a tutela di ciascun settore e realizzare un bilanciamento volto a preservare il pluralismo dell'informazione; Corte costituzionale, 15 novembre 1988, n. 1030 rileva che i pericoli di concentrazione di frequenze e impianti in poche mani sono idonei a compromettere il fondamentale valore del pluralismo dell'informazione).

55.1. Tale ultimo profilo (che i precedenti di questo Consiglio in materia, resi sul regolamento previgente, hanno evidenziato come rilevante ai fini di causa) afferisce alla “dimensione esterna” del pluralismo dell’informazione, implicante la garanzia del pluralismo dei media (conclusioni dell’Avvocato Generale M. Campos Sánchez-Bordona, presentate il 18 dicembre 2019, in causa C-719/18), obiettivo di interesse generale, contemplato anche nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, fondamentale nell’ambito di una società democratica e pluralista (Corte di Giustizia, 3 settembre 2020, in causa C-719/18, punto 57).

55.2. Inoltre, anche la giurisprudenza di codesta Corte Costituzionale ha discorso del “principio del pluralismo informativo esterno” (Corte costituzionale, 12 aprile 2005, n. 151) – da differenziare dal “pluralismo interno”, riferito alle regole che disciplinano il funzionamento della singola emittente (cfr.: sentenza della Corte del 14 luglio 1988, n. 826 in relazione alla struttura organizzativa e allo svolgimento dell'attività dell’emittenza pubblica) - quale uno degli imperativi ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia di emittenza televisiva (cfr.: sentenza n. 466 del 2002), esprimendo l'informazione una condizione preliminare per l'attuazione dei principi propri dello Stato democratico (cfr., in termini, Corte costituzionale, 15 ottobre 2003, n. 312).

55.3. In particolare, “il pluralismo dell'informazione radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità di ingresso, nell'ambito dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata - perché il pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio - che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o di pochi e senza essere menomati nella loro autonomia. Sotto altro profilo, il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per tutti i cittadini, tra una molteplicità di fonti informative, scelta che non sarebbe effettiva se il pubblico al quale si rivolgono i mezzi di comunicazione audiovisiva non fosse in condizione di disporre, tanto nel quadro del settore pubblico che in quello privato, di programmi che garantiscono l'espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei” (Corte costituzionale 14 luglio 1988, n. 826).

55.4. Si conferma, dunque, che il pluralismo dell’informazione impone, altresì, la presenza sul mercato di plurime emittenti, al fine di consentire la pluralità di voci concorrenti, essenziale per assicurare il pieno esercizio del diritto del cittadino all’informazione.

55.5. Peraltro, in presenza di un mercato locale, definito in ragione della collocazione della sede principale dell'impresa e della sfera territorialmente limitata cui risulta riferita l'attività di emittenza, tale pluralità di operatori non può che essere garantita nell’ambito di ciascuna delle aree geografiche interessate, occorrendo che in ogni area locale così definita vi sia una pluralità di voci, riconducibili a plurimi emittenti in concorrenza tra di loro (Corte costituzionale, 14 luglio 1988, n. 826, ha evidenziato la rilevanza dello sviluppo di un sistema informativo in grado di dar viva alle specifiche realtà locali rientra nell'imprescindibile compito di dare espressione a quelle istituzioni che rappresentano il tessuto connettivo del Paese).

55.6. È vero che la stessa giurisprudenza di codesta Corte ha chiarito (cfr.: sentenza n 206 del 2019) che il rilievo costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero non possa comportare che esista in via generale un diritto soggettivo delle imprese editrici a misure di sostegno dell'editoria. Tuttavia, nel momento in cui il legislatore preveda tale contribuzione, la relativa disciplina deve essere coerente ai predetti principi, garantendone l’operatività ed il rispetto. Non può ammettersi, pertanto, che la scelta di contribuzione costituisca la strada indiretta per aggirare o comunque non garantire, a valle, il rispetto dei principi predetti e la relativa operatività.

55.7. In proposito, la stessa sentenza appena richiamata (n. 206 del 2019) ha ribadito che, in un settore come quello in esame, caratterizzato dalla presenza di un diritto fondamentale, vi è l'esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e in particolare che l'attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi.

58. Alla luce della ricostruzione sin qui svolta in ordine ai principi vigenti di ordine costituzionale, rilevanti nella materia in esame, è possibile soffermarsi sulla disciplina in questione, oggetto della contestata legificazione, evidenziando le ragioni per le quali la stessa, nella parte in cui introduce uno scalino preferenziale nell’ambito di una graduatoria nazionale predisposta senza correttivi riguardanti i mercati locali interessati, possa ritenersi non rispettosa del principio del pluralismo informativo oltre che possibile concreta fonte di effetti distorsivi sul piano concorrenziale.

58.1. Al riguardo, in primo luogo, deve ribadirsi la riferibilità dei contributi in contestazione alle (sole) emittenti locali, operanti in ambiti territoriali regionali e infraregionali. Per l’effetto, il mercato geografico in cui operano le emittenti destinatarie della contribuzione in esame è circoscritto al livello regionale o sub regionale, potendosi presentare una singola domanda di contributo per ogni regione in cui i concorrenti svolgono l’attività di impresa (art. 5, comma 1, DPR n. 146/2017). In secondo luogo, deve darsi atto che i criteri selettivi previsti sono idonei ad attribuire una chance di utile collocamento in graduatoria - nelle prime cento posizioni - maggiore per gli operatori esercenti nelle Regioni più popolate, stante l’esistenza di una correlazione tra dato demografico regionale e dimensioni organizzative dell’emittente televisiva rilevanti ai fini selettivi.

Tale correlazione discende direttamente dal dato positivo in relazione al criterio riguardante il numero di dipendenti e giornalisti impiegati nell’attività di emittenza [art. 6, comma 1, lett. a) e b), d.P.R. n. 146/2017]. È lo stesso regolamento – ora “legificato” anche in parte qua - che, nel disciplinare i requisiti di ammissione alla pubblica contribuzione, rapporta il numero di dipendenti minimo richiesto “alla popolazione residente del territorio in cui avvengono le trasmissioni” [art. 4, comma 1, lett. a)], prevedendo differenti scaglioni a seconda che il territorio nell'ambito di ciascuna regione per cui è presentata la domanda abbia più di 5 milioni di abitanti, tra 1,5 milioni e 5 milioni di abitanti ovvero fino a 1,5 milioni; in particolare, è richiesto, ai fini dell’ammissione alla contribuzione, in relazione a ciascuno scaglione, il possesso di un numero minimo di dipendenti pari a 14 (di cui almeno 4 giornalisti), 11 (di cui almeno tre giornalisti) e 8 (di cui almeno 2 giornalisti).

58.2. Avendo lo stesso legislatore posto una diretta correlazione tra numero di dipendenti impegnati nell’attività d’impresa e numero di residenti in ambito regionale - tale per cui al crescere delle dimensioni demografiche della regione si esige (per l’ammissione alla contribuzione) una struttura organizzativa d’impresa più ampia in termini di personale dipendente -, deve ritenersi che nelle regioni più popolate la sostenibilità dell’attività di impresa presupponga una maggiore dimensione organizzativa dell’emittente, suscettibile di esplicarsi, in particolare, in maggiori investimenti nel reclutamento del personale dipendente (ivi compresi i giornalisti).

58.3. Ciò rilevato, si osserva che il numero di dipendenti e giornalisti costituisce (non soltanto un requisito di ammissione alla contribuzione, ma anche) apposito criterio selettivo da applicare nell’attribuzione dei punteggi e nel riparto dello stanziamento annuale. Di conseguenza, posto che il numero di dipendenti e giornalisti, da un lato, deve ritenersi rapportato al numero di abitanti in ciascun ambito regionale, dall’altro, influisce sull’attribuzione del punteggio, la valorizzazione della struttura organizzativa dell’impresa in termini di risorse umane è idonea a differenziare le emittenti a seconda dell’ambito locale di loro operatività, essendo ipotizzabile, in relazione all’area selettiva in esame [art. 6, comma 1, lett. a) e b), del Regolamento] e in capo alle imprese operanti in contesti regionali più popolati - per i quali è riscontrabile, di regola, un maggiore numero di dipendenti impiegati nell’attività d’impresa - una maggiore chance di conseguire un più altro punteggio ai fini selettivi (per le dimensioni dell’organico) e, dunque, di ottenere un migliore posizionamento in graduatoria. Il rischio di una concentrazione dei punteggi più elevati in capo ai concorrenti operanti nelle Regioni più popolate, appare confermato anche dalla disamina dell’ulteriore criterio selettivo riferito ai dati di ascolto.

58.4. Gli elementi emersi confermano i dubbi di compatibilità con i sopra richiamati principi costituzionali, di una disciplina che sancisce uno scalino preferenziale a vantaggio dei primi cento classificati, cui viene destinata la quasi totalità della contribuzione (95%), senza prevedere accorgimenti volti ad impedire la concentrazione delle risorse pubbliche in taluni ambiti territoriali (generalmente i più popolati) a discapito di altri, in violazione del principio del pluralismo dell’informazione e dei connessi valori predetti.

58.5. Pur dinanzi alla legittima e ragionevole scelta di una graduatoria unica nazionale, anche in termini di semplificazione procedimentale, a fronte di elementi di valutazione suscettibili di condurre a risultati differenziati a seconda dell’ambito territoriale di afferenza di ogni concorrente, occorre adottare accorgimenti idonei – in applicazione dei principi di ragionevolezza e di tutela del pluralismo informativo - ad evitare una squilibrata distribuzione delle risorse in ambito locale, dovendosi superare il rischio che alcune aree territoriali siano sottorappresentate o perfino escluse dalla contribuzione pubblica, in violazione del pluralismo informativo, che - come osservato - impone di assicurare la pluralità di voci concorrenti in ciascun ambito territoriale in cui viene svolta l’attività radiotelevisiva.

58.6. Non si tratta di destinare la contribuzione a tutti i candidati in possesso dei requisiti di ammissione, in coerenza con i principi espressi nella sentenza n. 206 del 2019 della Consulta, quanto piuttosto di assicurare che, in ogni ambito regionale, vi sia un adeguato finanziamento pubblico in favore di un numero congruo di operatori, necessario per garantire quel concorso di voci, in assenza del quale non potrebbe attuarsi il principio del pluralismo informativo, per come sopra declinato. Ciò anche in considerazione del regionalismo che caratterizza l’evoluzione dell’ordinamento giuridico generale, anche nella materia in esame ed in relazione all’ordinamento delle comunicazioni ex art. 117, comma 3, Cost.

58.7. In proposito, anche in questa materia concorrente la normativa statale, in quanto fonte dei principi fondamentali, è chiamata proprio a garantire il rispetto di quei principi in tema di pluralismo informativo, come sopra declinati. D’altronde, nella stessa pronuncia n. 206/2019, codesta Corte ha ribadito che, in un settore come quello in esame, caratterizzato dalla presenza di un diritto fondamentale, vi è l'esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e, in particolare, che l'attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi.

59. La disciplina in esame non risulta accompagnata, anche in termini di ragionevolezza ex art. 3 Cost., da accorgimenti necessari al rispetto dei principi predetti; infatti, prevedendo uno scalino preferenziale che riserva alle prime cento classificate, a prescindere dall’ambito territoriale di operatività, la quasi totalità dei contributi pubblici (pari al 95%), per di più a fronte di criteri selettivi formulati in valore assoluto e suscettibili di influire diversamente a seconda dell’ambito territoriale di operatività di ciascun concorrente (se maggiormente o meno popolato), dà vita in radice ad un riparto irragionevole e non paritario, in termini di pluralismo informativo come declinato dalla giurisprudenza costituzionale.

59.1. Tale misura appare quindi incompatibile con il principio del pluralismo informativo, di cui agli artt. 3 e 21 Cost. Infatti, riservando la quali totalità della contribuzione pubblica ai primi cento classificati a prescindere dall’ambito territoriale di operatività, destinando ai rimanenti concorrenti una quota del tutto trascurabile (5%) dello stanziamento annuale e selezionando le emittenti sulla base di criteri selettivi in valore assoluto, pure suscettibili di influire sulla graduazione del punteggio a seconda della popolazione residente in ciascuna Regione, non si garantisce che in ciascun ambito territoriale vi siano più operatori beneficiari di un effettivo e adeguato finanziamento pubblico, essendo ben possibile che le elargizioni economiche si concentrino presso emittenti, sì caratterizzate da rilevanti dimensioni organizzative, indici di ascolto e spese di investimento in tecnologie innovative, ma operanti in alcuni soltanto degli ambiti regionali presi in esame (corrispondenti, di regola, a quelli più popolati).

59.2. In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha già avuto modo di ribadire (cfr.: Corte Costituzionale, 12 aprile 2005 n. 151) che la contribuzione in materia debba seguire una evidente esigenza di esercizio unitario della funzione, non potendo un siffatto intervento a sostegno del pluralismo informativo non essere uniforme sull'intero territorio nazionale. Orbene, gli effetti della disciplina in contestazione, così come evidenziati, comportano un evidente rischio di difformità sul territorio nazionale. Tale esito può produrre, altresì, effetti distorsivi della concorrenza (rilevando quindi anche ai sensi dell’art. 41 Cost.), stante l’idoneità della disciplina in contestazione a beneficiare un numero in ipotesi estremamente ristretto di operatori (in ipotesi, anche uno soltanto) esercenti nell’ambito del medesimo ambito territoriale, a fronte di livelli di efficienza analoghi. In particolare, è ben possibile che, a cavallo della centesima posizione, si collochino plurimi operatori esercenti nel medesimo ambito territoriale, di cui uno soltanto (o, comunque, un numero estremamente ridotto) entro la centesima posizione, in tale modo ammesso a concorrere a valere sul 95% dello stanziamento annuale.

59.3. In tali ipotesi, la previsione di uno scalino preferenziale in assenza di correttivi relativi all’ambito territoriale di operatività dei concorrenti, è idonea a produrre effetti distorsivi della concorrenza, determinando un (rilevante) diverso trattamento contributivo di emittenti operanti nello stesso mercato, caratterizzate da analoghi livelli di efficienza e, dunque, agevolando irragionevolmente soltanto uno (o un numero estremamente ridotto) di essi nello svolgimento dell’attività di impresa.

59.4. Tali elementi risultano altresì censurati anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione n. S3892 – redatta ai sensi dell’art. 21 della L. n. 287/90 - in cui si è rilevato: “in questa prospettiva presenta criticità sotto il profilo concorrenziale la previsione secondo cui il 95% delle risorse disponibili è assegnato alle prime cento emittenti televisive in graduatoria, mentre il restante 5% è ripartito tra quelle che si collocano dal centunesimo posto in poi. Tale previsione, infatti, è suscettibile di determinare una sperequazione nella distribuzione delle risorse tra emittenti che, posizionandosi nella medesima zona della graduatoria (intorno alla centesima posizione), devono ritenersi caratterizzate da livelli di efficienza confrontabili. In particolare, ciò potrebbe avere implicazioni distorsive della concorrenza nella misura in cui due o più delle emittenti sulle quali impatta la discontinuità introdotta dalla specificazione appena richiamata si trovano a operare nel medesimo ambito locale”. Invero, non si fa questione di circostanze meramente ipotetiche, suscettibili di essere scrutinate solo ove dovessero in concreto verificarsi, ma dell’irragionevolezza della previsione normativa astratta, suscettibile di determinare una distorsione della concorrenza.

59.5. La previsione di uno scalino preferenziale, senza accorgimenti idonei a garantire il finanziamento di una pluralità di operatori in ciascun ambito regionale, permette di riservare la contribuzione, nell’ambito del singolo mercato locale, in favore anche di una sola impresa o di un numero di emittenti comunque insufficiente per la tutela del pluralismo informativo, configurando, pertanto, aiuti illegittimi (anche) sul piano concorrenziale.

60. Va pertanto rimessa alla Corte costituzionale, ai sensi dell’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell’articolo 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, e art. 13, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, come convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191, per violazione degli articoli 2, 3, 21 e 41 Cost., dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione ai parametri interposti di cui agli artt. 10 e 14 della C.E.D.U., nella parte in cui, legificando l’art. 6, comma 2, d.P.R. n. 146 del 2017, prevedono che alle prime cento emittenti sia destinato il 95 per cento delle risorse disponibili.

F. STATUIZIONI FINALI.

61. Alla luce delle considerazioni che precedono, appaiono, pertanto, rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, e art. 13, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, come convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191, illustrate nel corpo della presente ordinanza.

62. Ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio di Stato è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità.

63. Ai sensi dell’art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sarà comunicata alle parti costituite, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata anche al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.

64. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese resta riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta):

i) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis del decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, e 13, comma 1-bis, del decreto legge 18 ottobre 2023, n. 145, come convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191, nei sensi di cui in motivazione, in relazione agli artt. 3, 24, 77, 103, 111, commi 1 e 2, Cost., 113, e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché, in subordine, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni per violazione degli artt. 2, 3, 21, 41, Cost., e dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 10 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;

ii) sospende, per l’effetto, in parte qua, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del suindicato incidente di costituzionalità;

iii) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;

iv) riserva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e sulle spese di lite all’esito del giudizio di legittimità costituzionale.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi', Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere

 
   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Davide Ponte

 

Giancarlo Montedoro

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO