Pubblicato il 15/11/2023
N. 09799/2023REG.PROV.COLL.
N. 02186/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2186 del 2022, proposto dai signori Mario Lerro e Lorenzo Diana, rappresentati e difesi dall’avvocato Pasquale Iannuccilli, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
contro
il Comune di San Marco Evangelista, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lucio Perone, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
nei confronti
dei signori Aldo Allero, Paolo Aniello, Assunta Sciola, Antonio Caimano e Roberto Caimano, quali aventi causa del signor Enrico Caimano, Giuseppe Caruso, Francesco Cerbone, Francesco De Marco, Anna Aiardo Esposito e Giuseppe Falanga, quale avente causa del signor Pasquale Falanga, Arturo Lo Pio, Brigida Lo Pio, Rosa Miccolo, Domenico Save, Tommaso Terziario, Massimo Velotti e Vincenzo Vuotto, non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione VIII, 29 luglio 2021, n. 5348, resa tra le parti, avente ad oggetto ingiunzione a demolire.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Marco Evangelista;
Visto il decreto del Presidente della Sezione n. 1231 del 17 marzo 2022;
Vista l’ordinanza n. 1531 del 6 aprile 2022;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2023, il Cons. Antonella Manzione e udito per il Comune appellato l’avvocato Lucio Perone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Gli appellanti sono assegnatari di due distinti alloggi di edilizia residenziale pubblica facenti parte del complesso immobiliare realizzato in regime di edilizia convenzionata dalla Cooperativa “Parco dei fiori” sulla base della concessione edilizia n. 18/83 del 22 giugno 1983 e successiva variante n. 49/86, entrambe rilasciate dai competenti uffici del Comune di San Marco Evangelista. Unitamente agli altri assegnatari, molti dei quali ricorrenti collettivamente in primo grado, a seguito di un esposto e susseguente verifica ispettiva, si sono visti recapitare un’ingiunzione a demolire opere interne realizzate in parziale difformità dai richiamati titoli edilizi, e segnatamente la «diversa distribuzione interna delle tramezzature presso l’abitazione mentre l’intero sottotetto è stato frazionato […]» e «modifiche delle altezze originarie con difformità al colmo [..] ed alla gronda […]», nonché conseguente «aumento complessivo di volumetria», datata 17 maggio 2018, di contenuto analogo per ciascun appartamento.
1.1. Pur accomunati da identità di situazione fattuale, i vari condomini hanno avuto sorti diversificate, anche sul piano processuale, avendo tutti gli altri avanzato istanza di fiscalizzazione dell’abuso, quale alternativa all’accertamento di conformità, mentre gli attuali appellanti - e il signor Massimo Velotti, che pur figurando tra i ricorrenti in primo grado, non ha inteso proporre gravame avverso la sentenza del T.a.r. – si sono limitati a chiedere la sanatoria, ritenendo di esclusiva spettanza del Comune la valutazione della sussistenza degli estremi per l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria.
1.2. Il primo giudice ha dichiarato pertanto il ricorso improcedibile per tutti gli assegnatari per i quali vi è stata la ricordata definizione della vicenda amministrativa, che peraltro hanno anche versato in atti rinuncia alla lite, esplicita o implicita (per il tramite cioè della revoca del mandato difensivo); lo ha respinto nel merito, avuto riguardo ai tre ricorrenti che non hanno chiesto la fiscalizzazione, estendendo le relative considerazioni agli altri ai fini della condanna alle spese, quantificate in euro tremila da corrispondere in solido, per l’accertata soccombenza virtuale.
2. I signori Mario Lerro e Lorenzo Diana hanno articolato tre distinti motivi di impugnativa, due dei quali esaminabili congiuntamente in ragione della sostanziale omogeneità dei principi ad essi sottesi. Essi lamentano dunque (motivi sub A e B) violazione dell’art. 34, in particolare comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, stante che il Comune di San Marco Evangelista, pur avendo accertato per il tramite di consulenza tecnica disposta allo scopo (incarico conferito con determina dirigenziale n. 52 del 6 novembre 2020) l’impossibilità di dare seguito al ripristino dello stato dei luoghi, non solo non ha prodotto ridetta documentazione in giudizio, tenendo una condotta processualmente scorretta, ma, soprattutto, non ha proceduto ad irrogare anche a loro d’ufficio la sanzione pecuniaria prevista dalla norma, comunicando invece l’avvio del procedimento esecutivo di demolizione. La relazione peritale del 13 aprile 2021, al contrario, dimostrerebbe inequivocabilmente la sussistenza di presupposti che l’Amministrazione aveva il dovere di valutare a monte e ex officio, senza pretendere di addossarne l’onere di richiesta al privato.
Il T.a.r per la Campania inoltre non avrebbe tenuto conto del fatto che le ordinanze ingiunzione a demolire avrebbero dovuto essere rivolte ai responsabili dell’abuso, peraltro ben noti, ovvero la Cooperativa “Parco dei Fiori” e il Consorzio “ConCab”, che agivano in nome e per conto del Comune. Anche l’Ente locale, pertanto, era da ritenere responsabile delle irregolarità, in quanto “mandante” dell’intera operazione, e segnatamente della delega all’esproprio dei terreni ad essa necessari, oltre che tenuto a vigilare sulla stessa, da ultimo anche in virtù della generale competenza in merito sancita dall’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il Comune avrebbe infine violato l’art. 35 della legge n. 865 del 1971, non avendo mai rilasciato la licenza di abitabilità, che costituiva il presupposto a partire dal quale andava computato il vincolo di inalienabilità del bene per dieci anni. In sintesi, gli appellanti, in quanto né autori dell’abuso, preesistente al trasferimento degli alloggi dalla Cooperativa ai soci (avvenuto con scrittura privata autenticata ai rogiti del Notaio Barletta del 19 luglio 1989 e risultante dall’accatastamento del 12 gennaio 1988), né titolari di proprietà piena, in quanto originariamente locatari, indi titolari del solo diritto di superficie su suolo di proprietà pubblica, non potevano essere i soggetti cui indirizzare l’ingiunzione a demolire. Su tali questioni, che peraltro la difesa civica non ha disconosciuto nel corso del giudizio di primo grado, il T.a.r. per la Campania non si è in alcun modo pronunciato, limitandosi a ritenere assorbente la sussistenza dell’illecito ex se, tale da rendere i proprietari legittimati passivi a prescindere dall’individuazione degli autori dell’abuso.
2.1. Con il terzo motivo di gravame (sub C) hanno sottolineato la contraddittorietà della pretesa diversificazione della loro posizione rispetto a quella degli altri assegnatari, basata sul solo dato formale della mancata presentazione dell’istanza di fiscalizzazione quale alternativa alla sanatoria, giusta l’unicità di regime giuridico dell’opera, per come accertata perfino dal consulente tecnico del Comune.
2.2. Con autonomo motivo di ricorso (rubricato sub D), anziché muovere una vera e propria censura, hanno in realtà richiamato le conseguenze lesive del comportamento tenuto dal Comune, prospettando evenienze risarcitorie già rappresentate con apposita comunicazione inoltratagli via PEC in data 9/10 febbraio 2022, ove si fa riferimento anche all’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, che in caso di abuso realizzato su suolo pubblico, egualmente consente di ingiungere la demolizione al solo responsabile.
3. In vista della camera di consiglio sulla istanza di sospensione cautelare della sentenza di primo grado incidentalmente avanzata, hanno insistito ancora sulla inscindibilità degli abusi oggetto delle distinte intimazioni ai vari assegnatari, sicché la ritenuta impossibilità di procedere nei confronti di uno, non può che riverberarsi su tutti gli altri (memoria del 1° aprile 2022).
3.1. Con l’ordinanza cautelare segnata in epigrafe, la Sezione ha respinto l’istanza, ritenendo centrale la tematica della fiscalizzazione dell’abuso, che in quanto riferibile alla fase esecutiva secondo giurisprudenza costante non inficia in alcun modo la validità del provvedimento demolitorio.
4. Il Comune di San Marco Evangelista si è costituito in giudizio per resistere all’appello, chiedendone il rigetto in quanto inammissibile, improcedibile e comunque infondato.
5. Sono seguite memoria e memoria di replica di entrambe le parti.
5.1. La difesa civica, anche richiamando quanto affermato in sede cautelare, ha sottolineato l’eterogeneità rispetto ai fini di causa dei contenuti dello studio di fattibilità del ripristino dello stato dei luoghi dallo stesso commissionato. Esso infatti attiene alla fase esecutiva e non a quella sanzionatoria a monte, per la quale non possono che valere i consolidati arresti giurisprudenziali richiamati anche dal primo giudice. «La misura demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti del proprietario del bene, anche se diverso dal responsabile dell’abuso e anche se estraneo alla commissione dell’abuso e ciò in quanto l’abusività dell’opera è una connotazione di natura reale». Essa, cioè, «segue l’immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo, con l’effetto che […] è, di regola, atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso medesimo» (Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2023, n. 1327). Quanto al tentativo di coinvolgere addirittura il Comune stesso nella responsabilità dell’abuso, esso sarebbe del tutto privo di fondamento giuridico, tanto più che la propria posizione di nudo proprietario andava comunque postergata a quella del titolare del diritto di superficie, ceduto in concessione alla Cooperativa “Parco dei Fiori” per la realizzazione di alloggi da assegnare a prezzi calmierati ai dipendenti delle industrie del comprensorio A.S.I. di Marcianise, e conseguentemente “sfociato” nella proprietà superficiaria dei singoli beneficiari. La presunta disparità di trattamento rispetto a quanto deciso nei confronti degli altri assegnatari, destinatari di una mera sanzione pecuniaria, sarebbe da ricondurre esclusivamente alla «ostinata» scelta perpetrata dagli appellanti di non avanzare apposita richiesta in tal senso.
5.2. Gli appellanti a loro volta hanno insistito sulla peculiarità del caso di specie, che imponeva una “fiscalizzazione” ex officio, senza onerarli inutilmente di avanzarne domanda, una volta acclarata documentalmente - come avvenuto con il più volte ricordato studio di fattibilità- la inscindibilità dell’abuso, partitamente addebitato a ciascuno.
6. All’udienza pubblica del 3 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
7. Il Collegio ritiene l’appello fondato, nei sensi e limiti di seguito precisati.
8. Al fine di meglio comprendere la vicenda di cui è causa, si rende necessaria una preliminare, seppur sintetica ricostruzione della cornice giuridica di riferimento, avuto riguardo a quel particolare tipo di illecito edilizio “minore” costituito dalla parziale difformità delle opere dal titolo di legittimazione. Nel caso di specie, infatti, è incontestato tra le parti che le difformità rilevate in occasione dei sopralluoghi del personale tecnico e di vigilanza del Comune di San Marco Evangelista poste a base dell’atto impugnato, siano da inquadrare nel paradigma di cui all’art. 34 del T.u.e., essendo stati riscontrati “scostamenti” rispetto a quanto assentito con la concessione edilizia originaria n. 18 del 22 giugno 1983, oggetto di successive varianti e con le convenzioni intervenute tra il soggetto attuatore dell’intervento, Cooperativa “Parco dei Fiori”, e l’Amministrazione procedente.
9. Il Tribunale di prime cure, dopo avere riconosciuto la «complessità processuale» della vicenda, ne ha poi derubricato la soluzione al mero richiamo ai consolidati principi in materia di sanzioni urbanistico-edilizie, e segnatamente alle affermazioni che ne ribadiscono la doverosità e il contenuto necessitato, sì da escludere l’utilità di qualsivoglia apporto partecipativo del privato, nonché la irrilevanza del tempo trascorso dalla consumazione dell’illecito. Egualmente priva di pregio sarebbe anche, giusta la natura reale, prima e piuttosto che punitiva, delle stesse, la invocata estraneità alla commissione dell’abuso, stante che alla demolizione resta comunque assoggettato anche il proprietario incolpevole. Quanto detto senza attribuire alcun particolare rilievo, se non ai fini della riferita soluzione in rito, alla circostanza che per una situazione sostanzialmente identica, sono state intraprese soluzioni diverse, configurando la fiscalizzazione come un istituto esclusivamente a domanda, come tale precluso laddove la stessa non sia stata presentata dalla parte interessata.
10. Da tali sopravvenienze al provvedimento impugnato con il ricorso originario, le parti hanno peraltro tratto conseguenze diametralmente opposte, avendo i ricorrenti odierni appellanti insistito per un’istruttoria finalizzata a verificare l’impossibilità di demolire l’abuso, nonché per l’estensione agli stessi delle conclusioni cui è addivenuto il perito del Comune nella relazione del 13 aprile 2021, indebitamente non versata in atti; la difesa civica argomentato nel senso di una sostanziale ammissione di responsabilità da parte degli assegnatari, ravvisando nella stessa il presupposto per potere accedere alla fiscalizzazione.
11. Va ancora precisato come la oggettiva difficoltà di inquadramento della vicenda consegua alla sovrapposizione che nei fatti è venuta a verificarsi tra due segmenti procedurali ontologicamente distinti, ovvero la fase sanzionatoria e quella esecutiva, a valle della quale si colloca di regola la possibile fiscalizzazione dell’abuso. La circostanza, infatti, che in corso di causa sia emerso l’avvenuto accertamento dell’impossibilità di eseguire coattivamente tutte le ingiunzioni al ripristino non implica ex se la caducazione dell’atto impugnato nel giudizio di tipo demolitorio. Rileva il Collegio come essa renda, caso mai, poco comprensibile l’approccio di ambedue le parti, stante che da un lato gli appellanti sembrano concentrare il proprio petitum sulla doverosa commutazione dell’atto demolitorio in atto ingiuntivo di sanzione pecuniaria, di fatto inutile stante che alla stessa dovrà comunque addivenirsi in fase esecutiva, salvo mettere in discussione il fondamento motivazionale posto a supporto dell’analoga scelta adottata per tutti gli altri assegnatari, a parità di condizioni; dall’altro, per la medesima ragione e in senso speculare, l’impossibilità oggettiva di procedere d’ufficio, ormai acquisita agli atti, rende a dir poco ultronea, se non addirittura pretestuosa oltre che infondata, l’insistenza del Comune per l’inoltro di un’istanza formale volta alla fiscalizzazione anche da parte degli “ostinati” appellanti. Per mera completezza ricostruttiva, infatti, possono richiamarsi taluni passaggi narrativi della relazione del professionista incaricato dal Comune, che nel descrivere lo stato di fatto rilevato in ogni abitazione visionata, utilizza finanche la medesima terminologia. Si legge ad esempio a pag. 4, con riferimento all’abitazione del signor Diana, che «considerando la connessione strutturale con la restante parte del piano sottotetto e vano scala […] la demolizione […] considerando le sollecitazioni indotte, i tagli delle armature da eseguire, potrebbe compromettere la statica delle strutture conformi, pertanto le operazioni propedeutiche al ripristino dello stato dei luoghi […] non può avvenire senza arrecare alla statica della parte eseguita in conformità »; fraseggio identico si ritrova a pag. 12 con riferimento al signor Lerro, nonché in altri passaggi in relazione agli assegnatari ammessi alla fiscalizzazione.
12. Ciò detto, il Collegio ritiene che il motivo di appello legato alla fiscalizzazione, seppure non privo di suggestioni rivenienti proprio dalla rilevata circostanza che vi è già stato un complessivo accertamento dell’oggettiva impossibilità esecutiva, non può essere accolto.
13. Il regime sanzionatorio declinato per il caso di parziale difformità, in quanto illecito connotato da minor disvalore giusta la sostanziale coincidenza delle opere realizzate con il modello progettuale, è evidentemente caratterizzato, per esplicita scelta legislativa, dal minor rigore delle conseguenze. A prescindere, pertanto, dall’eventuale riconducibilità dello stesso alla fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a) del medesimo Testo unico –questione che esula dall’ambito della valutazione di questo giudice – il suo accertamento implica l’intimazione di ripristino dello stato dei luoghi ovvero, in alternativa, una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della sola parte dell’opera realizzata in difformità, quantomeno laddove, come nel caso di specie, l’immobile sia ad uso abitativo.
13.1. Trattasi di una delle ipotesi comunemente denominate “fiscalizzazione” dell’abuso, termine funzionale ad evidenziare sinteticamente e già a livello definitorio la sua sostanziale monetizzazione, quale rimedio alternativo eccezionalmente concesso in luogo della demolizione. In particolare, si può accedere alla fiscalizzazione dell’abuso sia in caso di totale difformità o variazione essenziale dal titolo nell’ambito di una ristrutturazione edilizia (art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001); sia, come nella fattispecie che ci occupa, a fronte di accertata difformità solo parziale (art. 34, comma 2, e 2-bis, che ne ha esteso l’applicabilità anche agli interventi soggetti a S.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 01); sia infine all’esito di un annullamento, giudiziale o in autotutela, del titolo stesso (art. 38).
13.2. La differenza sostanziale tra le varie ipotesi di “monetizzazione” degli abusi va ravvisata negli effetti della stessa sulla regolarità dell’opera, sanata nel caso da ultimo citato (cui parte della dottrina accomuna le “monetizzazioni” pure alternative alla demolizione di cui agli artt. 36-37 del T.u.e.), solo “tollerata” negli altri. La fiscalizzazione dell’abuso che consegue all’annullamento del titolo edilizio (su cui v. Cons. Stato, A.p., 7 settembre 2020, n. 17) postergata alla rilevata impossibilità, «in base a motivata valutazione», di rimuovere i vizi delle procedure amministrative, infatti, «produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36» (art. 38, comma 2). Nelle rimanenti ipotesi invece, in assenza di analoga indicazione da parte del legislatore, dopo non poche oscillazioni interpretative, la giurisprudenza pare attestata nell’escludere la portata sanante del pagamento della sanzione, ravvisandovi piuttosto una sorta di tolleranza formalizzata di una situazione non conforme ad ordinamento.
13.3. Sul piano dei presupposti oggettivi, mentre nel caso di variazione essenziale o totale difformità ovvero di illiceità dell’intervento sopravvenuta all’annullamento del titolo si fa riferimento all’impossibilità di esecuzione, il cui accertamento motivato è demandato espressamente, almeno nella prima ipotesi, ai competenti uffici tecnici comunali (art.33, comma 2), laddove si tratti di parziale difformità la stessa è limitata espressamente alla verifica dell’impatto sulla «parte eseguita in conformità», che non deve ricavarne pregiudizio.
13.4. Ad avviso del Collegio tale differenza, apparentemente minimale, costituisce un ulteriore tassello a riprova della proporzionalità del quadro delle reazioni dell’ordinamento rispetto al diverso disvalore degli illeciti: ferma restando la priorità sempre e comunque accordata all’opzione ripristinatoria, l’impossibilità di addivenirvi è affidata a più stringenti esigenze complessive di staticità e sicurezza della costruzione nel caso della variazione essenziale o totale difformità, mentre è circoscritta alla sussistenza di esigenze di salvaguardia in quanto tale della parte “buona” del manufatto, in caso di difformità parziale.
14. Alla natura eccezionale e derogatoria della monetizzazione dell’abuso consegue anche la necessità che vi si acceda su istanza della parte privata interessata ad evitare le conseguenze del prospettato ripristino ed in reazione allo stesso. Se tale è il modello procedurale generalmente applicabile, tuttavia, esso non implica certo che in singoli casi, nei quali l’impossibilità di esecuzione, assoluta o commisurata alla parte lecita dell’opera, già risulti perché per varie ragioni accertata ex officio, il Comune non possa attivarsi autonomamente, sol perché non è stato cioè compulsato dalla proprietà. In altre parole, seppure non possa configurarsi, come preteso dagli appellanti, un vero e proprio obbligo di adoperarsi preventivamente per le necessarie verifiche a carico della p.a. procedente, niente vieta che ove le stesse ci sono state, obiettive esigenze di economia procedimentale inducano a tradurne le risultanze negli atti conseguenziali. L’impossibilità esecutiva, infatti, oltre e prima che presupposto giuridico per accedere alla fiscalizzazione, integra un fattore materiale impeditivo dell’esecuzione in fatto, sicché a fronte dello stesso l’unico rimedio residuo a disposizione dell’ordinamento per reagire in maniera mirata alla situazione di accertata illegalità non può che essere la sanzione pecuniaria. Quanto detto trova del resto riscontro in talune pronunce, in particolare di prime cure, che al fine di non vanificare le risultanze di accertamenti già nella disponibilità del Comune, hanno affermato la legittimità dell’immediata irrogazione della sanzione pecuniaria, non preceduta cioè da ingiunzione a demolire, in quanto quest’ultima si rivelerebbe sostanzialmente superflua, giusta l’acquisita impossibilità della sua successiva attuazione (sul punto, si veda Cons. Stato, sez. II, ordinanza 6 dicembre 2022, n. 5710, che seppure solo in sede cautelare, si è espressa nel senso della legittimità di un provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria non preceduto da ingiunzione demolitoria, avallando le analoghe conclusioni di cui nella sentenza del T.a.r. per il Veneto, 12 settembre 2022, n. 1362, il cui appello di merito è ad oggi pendente).
15. Nel caso di specie, tuttavia, l’impossibilità di procedere all’esecuzione della demolizione è stata accertata, per esplicita ammissione degli appellanti, con perizia datata 13 aprile 2021, ovvero in epoca successiva all’adozione della relativa ingiunzione. A ciò consegue che essa non può in alcun modo inficiarne la validità, facendo apparire come doveroso un accertamento d’ufficio dell’impossibilità demolitoria prima di ingiungere il ripristino, laddove lo stesso doveroso non è.
Resta evidentemente il fatto storico della certificata inscindibilità degli abusi, sicché non si comprende come il Comune pretenda di tenerne conto in alcuni casi, ignorandolo in relazione agli odierni appellanti. Ma, come già detto, trattandosi di problematica futura, essa non si riverbera in alcun modo sulla legittimità, sotto tale profilo, del provvedimento impugnato.
16. A diverse conclusioni occorre invece giungere in relazione alla parte del secondo motivo di appello nella quale gli appellanti contestano più in generale il fondamento giuridico dell’ordinanza impugnata, sia in quanto li individua quali destinatari (esclusivi) della stessa, pur essendone conosciuta la estraneità ai fatti, sia perché non tiene conto del ruolo del Comune nell’intera vicenda.
16.1. L’affermazione, che il Collegio ritiene di condividere, necessita tuttavia di precisazioni.
17. In generale, dunque, vale per le sanzioni in materia urbanistico-edilizia quanto riportato nella sentenza impugnata, ovvero il principio in forza del quale esse colpiscono il bene realizzato o modificato in assenza del giusto titolo e non il comportamento che vi ha dato origine. In quest’ottica, esse possono essere irrogate anche nei confronti del proprietario non responsabile, in quanto si trova in una relazione qualificata con l’immobile, che lo identifica come il solo soggetto legittimato ad intervenire, eliminando l’abuso. Inoltre, il suo coinvolgimento trova giustificazione nel fatto che diversamente egli comunque verrebbe ad estendere il suo diritto di proprietà sull’opera abusivamente realizzata, beneficiandone, a prescindere da chi ne sia l’autore materiale.
18. Tali principi subiscono tuttavia talune mitigazioni -recte, adattamenti- per esplicita scelta del legislatore in relazione a specifiche ipotesi, tra le quali, almeno entro certi limiti, figura anche quella di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001. La norma, infatti, per il caso di parziale difformità dal titolo non replica il modello contenuto nell’art. 31 del medesimo Testo unico con riferimento agli abusi più gravi, individuando quali destinatari esclusivi dell’ingiunzione demolitoria/ripristinatoria i soli responsabili dell’abuso, senza menzionare in alcun modo anche i proprietari. A differenza, dunque, di quanto accade per i rimanenti abusi edilizi commessi in aree di proprietà privata, dove la sanzione demolitoria può, come detto, essere irrogata anche al proprietario non responsabile, il caso di specie parrebbe presupporre l’imputabilità dell’opera abusiva al destinatario della sanzione.
19. Va al riguardo ulteriormente ricordato come non a caso l’atto impugnato si concluda con una mera minaccia dei «provvedimenti amministrativi conseguenziali di Legge», senza in alcun modo specificarne il contenuto. Ad avviso del Collegio, la genericità della stessa costituisce ulteriore conferma del minor rigore della scelta sanzionatoria individuata dal legislatore per l’illecito de quo, in quanto discende dalla mancanza di qualsivoglia previsione in ordine alla conseguenza attribuita all’inottemperanza. Essa, infatti, non determina l’avvio di quel procedimento di secondo livello declinato all’art. 31, comma 3, per i casi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, totale difformità o variazione essenziale, destinato a sfociare nell’ablazione della proprietà. L’ingiunzione al ripristino dello stato dei luoghi, pertanto, diviene esclusivamente il presupposto legittimante la successiva esecuzione in danno, quale esemplificazione normativamente prevista della esecutorietà degli atti amministrativi contenenti un obbligo di facere che l’art. 21-ter della l. n. 241 del 1990 declina in termini di esecuzione coattiva dell’adempimento imposto nei confronti di una p.a.
20. Non privi di pregio si palesano poi gli ulteriori rilievi, con i quali gli appellanti valorizzano il contesto specifico nel quale si colloca l’avvenuta consumazione degli abusi di cui è causa.
Le loro abitazioni fanno infatti parte, come più volte ricordato, di un compendio immobiliare realizzato nell’ambito di un’operazione di edilizia residenziale pubblica a beneficio dei dipendenti delle attività produttive ricomprese nella A.S.I. di Marcianise, per tale ragione oggetto di finanziamento da parte dell’allora Cassa per il Mezzogiorno.
21. L’espressione “edilizia residenziale pubblica” è stata introdotta con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, in contrapposizione alla precedente definizione di “edilizia economico-popolare” utilizzata nel Testo unico 28 aprile 1938, n. 1165. In linea di massima, in un’accezione estensiva della relativa dizione, con essa si intendono tutti quegli interventi “pensati” dalle amministrazioni pubbliche in funzione del soddisfacimento delle esigenze abitative dei propri cittadini appartenenti a classi sociali meno abbienti e come tali non in grado autonomamente e secondo le normali regole di mercato di accedere ad un bene primario e costituzionalmente garantito, quale la casa di abitazione. In maniera necessariamente schematica, si riconducono alla stessa sia la c.d. edilizia “sovvenzionata”, svolta direttamente dagli enti pubblici, ma accedendo a risorse erariali specifiche, che quella “agevolata”, demandata ad operatori privati che tuttavia godono di contributi statali, quali mutui di favore, finalizzati essenzialmente al riscatto della locazione, a norma degli artt. 8 e 9 della legge n. 179 del 1992, sia infine quella “convenzionata”, in forza della quale la realizzazione dell’opera viene affidata ad un privato, che si vincola anche in relazione ai futuri canoni di locazione o prezzi di vendita da praticare in relazione alle singole unità abitative con un apposito accordo siglato con il Comune.
21.1. Nel tempo la richiamata terminologia è stata estesa fino a ricomprendere qualsivoglia ipotesi di regolamentazione pattizia dei rapporti tra privato e amministrazione, per lo più a corredo di piani attuativi, quali quelli di lottizzazione (c.d. edilizia “convenzionata” in senso ampio, su cui v. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579, nonché id., 28 ottobre 2021, n. 7237 e 19 aprile 2022, n. 2953).
22. L’edilizia convenzionata nella più ristretta accezione originaria individua interventi localizzati preventivamente in un piano di zona: in tal senso già con la legge 18 aprile 1962, n. 167 è stato introdotto il c.d. Piano per l’edilizia economia e popolare (P.E.E.P.), strumento urbanistico esecutivo che identifica le aree oggetto di futuro intervento, individuandole fra quelle residenziali previste dal piano regolatore generale, e le assoggetta, dopo l’approvazione, all’esproprio obbligatorio.
23. L’art. 35 della l. 22 ottobre 1971, n. 865 costituisce dunque a tutt’oggi, seppure nella versione variamente interpolata dalle numerose novelle intervenute, l’intelaiatura portante della disciplina di settore. Il sistema ivi delineato è basato su tre passaggi fondamentali: l’acquisizione dell’area edificabile al patrimonio indisponibile del Comune, la cessione (in superficie o in proprietà) della stessa al soggetto privato attuatore dell’intervento edilizio ed infine l’amministrazione degli alloggi costruiti (con vincoli volti ad evitare indebite speculazioni). La disciplina di tali vincoli è stata nel tempo variamente modificata, in un’ottica di maggiore liberalizzazione delle possibilità circolatorie del bene. In particolare, con legge 17 febbraio 1992, n. 179, sono stati abrogati i commi che fissavano i vincoli di inalienabilità per un lasso di tempo normativamente predeterminato, ancorandone la decorrenza non all’assegnazione individuale del bene, ma all’avvenuto conseguimento della licenza di abitabilità.
24. Tale richiamo, non a caso invocato anche dagli appellanti, costituiva (e mutatis mutandis costituisce ancora oggi) la cerniera tra la finalità non esclusivamente urbanistico-edilizia, ma anche sociale-solidaristica dell’operazione immobiliare e la sua attuazione per il tramite di soggetti privati: ritiene cioè il Collegio che in tanto si può parlare di edilizia residenziale “pubblica” in quanto è la p.a. a governarne il processo, fino al momento in cui, con l’assegnazione degli alloggi, l’obiettivo sotteso alla stessa non sia stato oggettivamente conseguito. Per quanto, quindi, estraneo (diversamente da quanto accade nel modello “sovvenzionato”) alla fase dell’assegnazione degli alloggi, demandata, giusta apposita clausola convenzionale, interamente alla cooperativa edilizia, il Comune resta il promotore e il garante dell’operazione, in alcun modo assimilabile ad una mera operazione di tipo imprenditoriale, non foss’altro che per gli stringenti requisiti soggettivi, per lo più commisurati al reddito, richiesti ai soci aspiranti assegnatari. Il venir meno, quindi, dell’espresso richiamo alla abitabilità del bene quale suggello finale impresso dalla p.a. alla regolarità dell’operazione effettuata non ne ha certo comportato l’eliminazione dal procedimento, essendo esso dovuto al solo mutamento del regime dei vincoli post assegnazione, e non a quello dei controlli in vista della stessa.
24.1. Va in proposito ricordato come la disciplina della c.d. abitabilità era originariamente riconducibile alle previsioni contenute nell’art. 220 del r.d. 27 luglio 1935, n. 1267, T.U.LL.SS., indi oggetto di apposito Regolamento, d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, che imponeva al direttore dei lavori l’attestazione della «conformità rispetto al progetto approvato» dell’opera realizzata (sull’evoluzione della nozione di abitabilità in quella di agibilità, di cui all’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001, oggi assentibile tramite s.c.i.a., v. Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836). Seppure quindi nessuna norma preveda, anche in relazione al genus dell’edilizia residenziale pubblica, uno specifico obbligo di verifica in loco della regolarità dei lavori effettuati, la necessità che gli alloggi assegnati siano anche abitabili o agibili, secondo l’accezione più moderna del relativo concetto, ovvero conformi alla normativa urbanistico-edilizia, salubri e sicuri, non può che far capo (anche) al Comune, seppure evidentemente sulla base delle certificazioni fornite dal privato delegato, in particolare il direttore dei lavori.
24.2. Il mancato riscontro alle richieste di abitabilità avanzate individualmente dagli assegnatari, anche in senso negativo, con riferimento al quale la difesa civica non ha fornito la benché minima spiegazione, non foss’altro che per agevolare la ricostruzione del procedimento, creano dunque un insanabile quanto incomprensibile –almeno allo stato degli atti – iato tra apparente accettazione della situazione di fatto come regolare all’epoca, e contestazioni di illecito sopravvenute nel 2018, ad oltre trent’anni di distanza.
25. Al riguardo, al fine di difendere la correttezza del proprio operato, il Comune di San Marco Evangelista invoca il sostanziale affidamento riposto nella correttezza dell’intervento riveniente dal contenuto del certificato di ultimazione dei lavori (5 dicembre 1986), da quello di regolarità (10 dicembre 1986) e dal collaudo del 4 aprile 1987. A ben guardare, tuttavia, nessuno di tali atti contiene chiare indicazioni nel senso della conformità alla progettualità originaria, stante che nel primo il direttore dei lavori si limita a richiamare la tempistica costruttiva, nel secondo dichiara di avere risolto «le deficienze riscontrate durante la visita di collaudo effettuata in cantiere il 18.4.86 dal collaudatore […]» e che «i lavori eseguiti corrispondono alle risultanze contabili » e rispondono «alle indicazioni espresse dal suddetto collaudatore[…]»; il collaudo, infine, sottoscritto dai collaudatori regionali, dà atto del rispetto delle volumetrie esterne e dell’avvenuto apporto di migliorie, ritenendolo sufficiente a giustificare le erogazioni di danaro pubblico da parte della Cassa per il Mezzogiorno. D’altro canto, delle due, l’una: o tale documentazione era idonea e sufficiente a supportare la ritenuta legittimità dell’intervento, ovvero non lo era, e allora il Comune avrebbe dovuto richiedere le necessarie integrazioni, attivarsi per le dovute verifiche, in ultima istanza avvalendosi delle specifiche clausole convenzionali previste allo scopo. La tolleranza di fatto di insediamenti residenziali in unità immobiliari prive di abitabilità, infatti, protrattasi per tutti questi anni, che sembrerebbe emergere dagli atti di causa, stride con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione, e sarebbe stato compito del Comune scongiurarne la configurabilità con un’adeguata istruttoria e motivazione degli atti di causa, giusta la riconducibilità dell’intera operazione ad una progettualità residenziale “pubblica”.
25.1. Del resto, se il Comune si è sentito appagato dai contenuti della documentazione richiamata oggi in tesi difensiva, pur non contestando la collocazione dell’abuso all’epoca di realizzazione del compendio immobiliare, non si vede perché lo stesso non dovesse valere per i singoli assegnatari delle unità immobiliari. Ammesso e non concesso, dunque, che il ripristino dello stato dei luoghi fosse l’unico sbocco procedimentale possibile, alla relativa disposizione si sarebbe dovuti addivenire attraverso un riesame attento del procedimento, volto ad escludere qualsivoglia vizio o lacuna procedurale addebitabile o riconducibile alla parte pubblica, anche in termini di tempestività delle verifiche preventive, al pari di quanto richiesto in generale con riferimento a qualsivoglia tipologia di titolo edilizio, ferma restando la successiva possibilità, sussistendone i presupposti, di agire in autotutela.
26. Da ultimo, gli appellanti, seppure in sede di diffida al Comune di San Marco Evangelista, invocano l’applicabilità dell’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, che egualmente richiede la imputabilità dell’illecito per poter essere destinatari dell’ingiunzione a demolire. Il Collegio ritiene tuttavia che, a prescindere dai profili di inammissibilità del richiamo, in quanto estraneo ai motivi di censura presentati in primo grado, e dunque introdotto in violazione del divieto dei nova, il rilievo non colga nel segno. Dall’analisi comparatistica, tuttavia, del diverso contesto evidentemente sotteso alla formulazione delle due (identiche) norme, possono ricavarsi ulteriori spunti di riflessione.
27. In caso di abuso realizzato su suolo di proprietà pubblica, dunque, operando la regola dell’accessione, neppure si pone un’esigenza di coinvolgimento di chi ha la materiale disponibilità del bene, che in alcun modo può ostacolare il ripristino dello stato di un luogo che non gli appartiene; al contrario, se l’abuso è stato realizzato su proprietà privata, e il responsabile dello stesso non è reperibile, in quanto ad esempio neppure più in vita, ovvero, più banalmente, è venuto meno ogni suo rapporto con il bene, il coinvolgimento del proprietario è indispensabile per accedere allo stesso, consentendogli anche, in via preferenziale, di demolire spontaneamente, ove preferisca evitare l’esecuzione d’ufficio.
28. Quanto detto può verificarsi tipicamente in caso di edilizia convenzionata, nei quali la controparte negoziale del Comune è un soggetto giuridico per così dire “di scopo”- che in genere assume la veste di una cooperativa, come previsto dal legislatore- ovvero costituito al precipuo fine di garantire un’interlocuzione unica in chiave tipicamente mutualistica rispetto ai singoli soci per il limitato periodo di tempo necessario a realizzare l’obiettivo edificatorio. L’intimazione demolitoria al proprietario incolpevole, dunque, che nel caso di cui all’art. 35 è nozione concettualmente inconfigurabile, assume nell’ipotesi in esame una più spiccata coloritura informativa e partecipativa, strumentale al (comunque doveroso) ripristino, e la richiesta di fiscalizzazione che in tale contesto può conseguirne, proprio perché proveniente da un soggetto privo di ogni responsabilità, lungi dall’integrare, come immaginato dalla difesa civica, una sorta di confessione stragiudiziale dell’abuso, cristallizza piuttosto la volontà e l’interesse al mantenimento dello status quo, che in quanto oggettivamente illegittimo deve essere ammesso “ a tolleranza” dall’ordinamento. Le evidenziate difficoltà pratiche, prima ancora che giuridiche, di reperire il responsabile, seppure individuato, non esimono il Comune dall’indirizzare allo stesso l’atto demolitorio, laddove l’indicazione del proprietario, consentita anche in caso di parziale difformità seppure non prevista dalla norma, risponde all’esigenza di assicurarsi preventivamente l’esecutorietà dell’atto, al pari di quanto accade ogni qual volta allo scopo è necessario interagire con la proprietà privata, secondo il modello declinato in termini generali dall’art. 21-ter della l. n. 241 del 1990, che al di fuori dei casi previsti dal legislatore, richiede comunque una diffida preventiva. Il solo responsabile, infatti – e ciò anche nel modello di cui all’art. 31, ove l’imputabilità è recuperata solo a tale scopo – è tenuto a rimborsare al Comune i costi dell’operazione eseguita in danno.
29. L’art. 35 del T.u.e., dunque, utilizzando lo stesso riferimento al solo “responsabile” dell’abuso, ha chiaramente a mente la situazione in cui questi non possa in alcun modo divenire proprietario, in quanto, appunto, ha costruito su suolo pubblico. Da qui la piana soluzione interpretativa secondo la quale «nella particolare ipotesi relativa alla sanzione degli abusi realizzati sul demanio e sui beni appartenenti al patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il proprietario è esonerato totalmente dal coinvolgimento nel procedimento sanzionatorio. In questi casi specifici le sanzioni demolitorie possono essere legittimamente irrogate unicamente nei confronti del responsabile dell’abuso» (Cons. St., sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2211).
29.1. Per contro, nel caso di specie l’esistenza di una proprietà superficiaria privata al di sopra della nuda proprietà pubblica, quale “stratificazione” tipica del modello di edilizia residenziale pubblica, quanto meno nella fase “iniziale” (per la verità destinata a durare, secondo il paradigma “normale”, 99 anni), se da un lato rafforza la necessità del Comune di presidiare l’avvio dell’operazione, dall’altro, una volta effettuate le assegnazioni, riverbera sui singoli assegnatari tutti gli obblighi propter rem, quale quello demolitorio. Diversamente opinando, il Comune si vedrebbe intestata una responsabilità per posizione assai più grave di quella normalmente ascritta al proprietario del suolo, che risponde di un abuso solo nella misura in cui era consapevole della sua avvenuta realizzazione ancorché da parte di terzi.
30. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, avendo il Comune di San Marco Evangelista adottato il provvedimento nei confronti dei soli proprietari non responsabili dell’abuso, senza indicare gli effettivi responsabili. Quanto detto ferma restando la necessità che il Comune verifichi preventivamente se l’intimato ripristino dello stato dei luoghi costituisca esercizio del proprio potere di vigilanza, ovvero consegua piuttosto alla necessità di rimediare all’omesso controllo della agibilità delle unità immobiliari, quale requisito preliminare e propedeutico all’assegnazione delle singole unità immobiliari per uso residenziale. Resta fermo che in caso di ritenuta necessità di agire nuovamente in via sanzionatoria, la riedizione del relativo potere non potrà prescindere da quanto documentalmente accertato in ordine alla ineseguibilità del ripristino, salva la complessiva rivalutazione anche dei presupposti della stessa.
30.1. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per la Campania n. 5348 del 2021, accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna il Comune di San Marco Evangelista al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio a favore degli appellanti, che quantifica complessivamente in euro quattromila/00 (4.000/00), oltre accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Dario Simeoli, Presidente FF
Francesco Frigida, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere
Francesco Cocomile, Consigliere
L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Antonella Manzione |
Dario Simeoli |
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IL SEGRETARIO