Giu Gli arresti della Corte di Giustizia dell'UE trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell'atto
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 15 novembre 2023 N. 9772
Massima
La violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l’art. 21 septies l. 241/90 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell’unione europea sia la norma attributiva del potere, e non le modalità di applicazione di essa. Va soggiunto che pacifici principi in merito all’efficacia oggettivamente e soggettivamente limitata del giudicato, ex art. 2909 c.c., impediscono di dare ingresso alla tesi dell’estensione alla res litigiosa degli effetti di statuizioni relativi ad annate o soggetti diversi e che la definitività dell’imputazione del prelievo preclude la possibilità per il ricorrente di avvalersi degli effetti degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell’atto. Note e plurime sono, infatti, le prese di posizione del giudice comunitario volte a ribadire la necessità che - nell’ottica di una stabilità del diritto e dei rapporti giuridici - le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione e lo stesso principio riguarda i rapporti esauriti per conseguita inoppugnabilità di un provvedimento autoritativo. Altrettanto chiara è l’affermazione contenuta in tali pronunce secondo cui il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto. Le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano, infatti, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 15 novembre 2023 N. 9772

Pubblicato il 15/11/2023

N. 09772/2023REG.PROV.COLL.

N. 04617/2023 REG.RIC.

Immagine che contiene schizzo, disegno, emblema, arte Descrizione generata automaticamenteREPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4617 del 2023, proposto da
-OMISSIS-in proprio e quale titolare dell’omonima Azienda Agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maddalena Aldegheri e Marco Guerreschi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maddalena Aldegheri in Verona, via Albere n. 80;

contro

Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, Ader - Agenzia delle Entrate Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 1837/2022, resa tra le parti, per l’annullamento:

1) della “Cartella di pagamento n. 124 2021 00273366 30 000” intestata all'Agenzia delle Entrate – Riscossione competente per la provincia di Vicenza, con allegato “Modulo di pagamento” Pago PA, inviata al ricorrente a mezzo casella PEC “notifica.acc.veneto@pec.agenziariscossione.gov.it” in data 20 settembre 2021, con la quale è stato richiesto il pagamento della somma di Euro 60.668,24 per “prelievi latte” relativi alle annate 1996/97, 1997/98, 1998/99 e 1999/00, “interessi”, nonché “Oneri di Riscossione” (doc. 1);

2) nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto al momento della notifica del presente ricorso, compreso il ruolo indicato nella cartella impugnata, nella parte in cui detti atti, anche se non conosciuti, incidono nella sfera giuridica dell'azienda agricola ricorrente.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di AGEA e di ADER;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2023 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellante l’avvocato Marco Guerreschi;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Il TAR per il Veneto, Sezione Terza, con la sentenza 30 novembre 2022, n. 1837, ha respinto il ricorso proposto dalla Società agricola Elio -OMISSIS- per l’annullamento della cartella di pagamento notificata il 20 settembre 2021, finalizzata alla riscossione del prelievo supplementare dovuto per le campagne lattiere delle annate 1996/97, 1997/98, 1998/99 e 1999/2000.

2. Nel giudizio di primo grado la Società ricorrente ha dedotto:

a) la nullità della notifica della cartella in quanto notificata a mezzo PEC da un indirizzo che non si troverebbe in un elenco ufficiale delle pubbliche amministrazioni;

b) la nullità della cartella per mancanza di certezza, liquidità ed esigibilità dei rispettivi debiti, frutto di operazioni di compensazione, già dichiarate nulle o annullate in sede giurisdizionale in quanto in violazione del diritto europeo (sostanzialmente la quantificazione errata del prelievo imputato ai singoli agricoltori e mancata effettiva verifica delle produzioni);

c) la nullità della notifica in quanto effettuata oltre il termine di decadenza (art. 25, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 602/1973);

d) la prescrizione dei debiti di cui alla cartella, sia in relazione al termine quadriennale, quinquennale e decennale;

e) l’illegittima duplicazione dell’unico ruolo previsto per i recuperi dei prelievi latte ed illegittima duplicazione delle procedure di recupero;

f) l’illegittimità della cartella in relazione all’an ed al quantum: ci sarebbero somme a debito non dovute e già illegittimamente recuperate per compensazione da parte di AGEA con altri premi PAC liquidati alla società;

g) la mancata notifica degli atti di accertamento del prelievo alla società ed insufficienza della sola notifica effettuata ai primi acquirenti; i prelievi e le rispettive intimazioni sarebbero oggetto di contenziosi e AGEA non potrebbe procedere con il recupero a mezzo ruolo prima di aver notificato ai produttori l’intimazione di versamento; impossibilità di esercitare il diritto di difesa in conseguenza della mancata indicazione e mancata notifica degli atti di accertamento;

h) la nullità della cartella per difetto degli elementi essenziali, l’illegittimità del procedimento di recupero, l’erroneità dell’importo (in relazione al capitale ed agli interessi), il difetto di motivazione in relazione alla decorrenza degli interessi e agli oneri di riscossione.

3. Il predetto rigetto del TAR del Veneto era così motivato:

- ha ritenuto le censure di invalidità derivata del titolo sulla scorta del quale è stata emessa la cartella oggetto di contestazione come inammissibili, oltre all’inammissibilità che riguardano i vizi imputabili al titolo e non alla cartella, giudicando irrilevante ai fini della decisione la parziale erronea indicazione di dati identificativi dei presupposti atti di intimazione;

- ha respinto il primo motivo riguardante la nullità della notifica della cartella di pagamento, in quanto il vizio era comunque sanato risultando che il destinatario aveva avuto piena cognizione dell’atto (avendolo impugnato ed esercitato il diritto di difesa ed evocato in giudizio l’ente emittente) e ha ritenuto che la procedura formale seguita da ADER era in ogni modo legittima;

- ha dichiarato inammissibile il secondo motivo in quanto i rispettivi vizi, con soli profili di invalidità derivata, riguardano l’atto di intimazione presupposto e già impugnati con ricorso sub n.r.g. 2/2019 (definito con sentenza n. 1611/2022);

- ha ritenuto che non era fondata la censura contenuta nel terzo motivo e riguardante la decadenza dalla notifica per inapplicabilità dell’art. 25 DPR n. 602/1973 alla riscossione dei crediti per i prelievi latte e comunque per mancante decorso del tempo nel caso di specie;

- ha considerato inammissibile anche la censura riguardante la prescrizione del credito di AGEA, riguardando la prescrizione dell’atto presupposto della cartella;

- ha ritenuto che nel caso oggetto del giudizio non si può accertare la duplicazione del ruolo;

- a prosieguo, ha chiarito che la censura riguardante l’erroneità della cartella (per an e quantum debeatur) era in parte inammissibile (riguardando sempre l’atto presupposto alla cartella di pagamento) ed in parte infondata (essendo generica e non provata nel caso di specie);

- ha rigettato anche la settima doglianza riguardante plurimi vizi dell’atto presupposto in quanto inammissibile;

- ha respinto l’ultima censura riguardante errori nel capitale, negli interessi e negli oneri di riscossione ritenendo la procedura di recupero scevra di elementi di illegittimità, e comunque le censure erano generiche e non provate ed insussistente anche il difetto di motivazione in ordine alle somme esposte o che riguardano i premi della PAC (per mancante prova specifica a carico della società ricorrente).

4. Di talché, la Società interessata ha interposto il presente appello, articolando le seguenti doglianze.

I) “IN VIA PRELIMINARE: SULL’ERRATA INDIVIDUAZIONE DELL’ATTO DI ACCERTAMENTO PRESUPPOSTO ALLA CARTELLA IMPUGNATA IN PRIMO GRADO.

Il Collegio avrebbe errato nel ritenere l’atto presupposto l’intimazione notificata nel 2018, ma la cartella riguarderebbe gli atti di accertamento dei prelievi 1996/97-1999/2000 a seguito delle compensazioni nazionali a suo tempo inviati alla Latteria Cooperativa Centro Isola Vicentina, non conosciute dall’appellante. Inoltre il TAR non avrebbe potuto richiamare il principio che afferma di poter impugnare l’intimazione di un pagamento solo per vizi propri e non già per vizi che riguardano la cartella di pagamento presupposta (riguardando questo caso una cartella con il titolo legittimante la pretesa le comunicazioni in merito alle compensazioni nazionali tra 1996 e 2000). Le intimazioni notificate nel 2018, secondo la tesi dell’appellante, non potrebbero legittimare la pretesa di AGEA, ma sarebbero meri atti di ricognizione volti a mettere in moto eventuali procedure di rateizzazione. Sarebbe illegittimo sostenere che in sede di impugnazione di una cartella (e del presupposto ruolo) il debitore non possa far valere vizi relativi agli atti di accertamento della pretesa presupposti. In primo grado si avrebbe censurato che nella cartella mancavano gli estremi della notifica al ricorrente degli atti di accertamento.

II) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RITENUTO INAMMISSIBILE L’ASSORBENTE MOTIVO SVOLTO SUB IV DEL RICORSO INTRODUTTIVO – VIOLAZIONE A FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2937 C.C. E DEGLI ARTT. 35 E 64 C.P.A. - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Con questo motivo si censura il capo della sentenza che scrutinava il quarto motivo del ricorso di primo grado e che sarebbe errato in quanto il TAR avrebbe dovuto invece accertarsi dell’intervenuta prescrizione del credito (anche decennale) fatto valere negli anni 1999 e 2000. Le comunicazioni all’odierna appellante del 2018 sarebbero mere intimazioni, e solo se intervenuti in pendenza dei termini di prescrizione avrebbero avuto l’effetto di interromperli. In ogni modo essi non sarebbero gli atti di accertamento presupposti, che non sarebbero neanche indicati nella cartella. AGEA poi, in quanto non costituita nel giudizio di primo grado, non avrebbe poi mai contestato l’eccezione della prescrizione.

III) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RITENUTO INAMMISSIBILE IL MOTIVO II DI RICORSO – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 35 C.P.A. - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Il TAR avrebbe dovuto considerare il secondo motivo ammissibile e scrutinare l’illegittimità comunitaria della cartella e del ruolo, per mancata disapplicazione di norme interne in materia. Gli atti di accertamento sarebbero gli esiti delle rispettive compensazioni nazionali (1996/97-2000), che la Corte di Giustizia con la sentenza nella causa C-348/18 ha ritenuto non conformi al diritto eurounionale, solo inviati al primo acquirente dell’appellante. In ogni modo la sentenza del TAR Veneto che ha ritenuto inammissibile il ricorso della ditta -OMISSIS- contro le comunicazioni di AGEA del 2018 sarebbe una decisione di rito e non avrebbe autorità di cosa giudicata e non precluderebbe il dovere del giudice interno di disapplicare la normativa interna contrastante con il diritto europeo (anche in quanto la medesima Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella causa C-433/2015, aveva condannato l’Italia per non aver applicato correttamente il regime delle quote latte e quindi questo implicherebbe il divieto di applicazione da parte dell’autorità giudiziaria interna). Le rispettive compensazioni per i relativi anni sarebbero state annullate dal Consiglio di Stato con efficacia erga omnes (per il periodo 1996/97: sentenza n. 5699/2022; per i periodi 1997/98 e 1998/99: sentenza n. 6592/2022; per il periodo 1999/2000: sentenza n. 2284/2022). Ciò sarebbe stato rilevato anche in quanto la ricorrente censurava la nullità degli atti, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

IV) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RESPINTO IL MOTIVO III DI RICORSO – RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.”

La società appellante rileva in questo motivo che il TAR avrebbe errato a ritenere inapplicabili al recupero dei prelievi supplementari del latte i termini di decadenza di cui all’art. 25 del DPR n. 602/1973 (in base alla formulazione dell’art. 8-quinquies, comma 10 della legge n. 33/2009) e che la decadenza non sarebbe comunque ancora intervenuta. Sarebbe irrilevante che le comunicazioni AGEA di cui alla legge n. 33/2009 non fossero definitive al momento della cartella del 2021, in quanto farebbero riferimento agli esisti delle compensazioni nazionali del 1999-2000, e quindi la decadenza sarebbe chiaramente da accertare.

V) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RESPINTO IL MOTIVO V DI RICORSO – VIOLAZIONE A FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 64 C.P.A. - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.”

Con il quinto motivo dell’appello la società rileva l’error in iudicando del primo giudice in merito all’illegittimità della cartella per la duplicazione del ruolo e delle procedure di recupero. Contrariamente all’assunto del TAR, nel caso oggetto di questo giudizio si sarebbero utilizzati due ruoli (ruolo utilizzato per la compensazione dei premi PAC e nuovo ruolo per la riscossione a mezzo di cartella esattoriale, prima di AGEA ed ora di ADER). AGEA avrebbe continuato ad utilizzare il ruolo nel registro debitori, come provato in giudizio (e ignorato dal TAR). Questo vizio sarebbe anche ulteriormente provato dalla successiva attività da parte di ADER nel 2023 con l’intimazione a pagamento, e l’aggiornamento del registro debitori (confermato da AVEPA). La procedura di recupero non sarebbe quindi unica, in quanto il ruolo derivante dall’iscrizione nel registro debitori sarebbe tutt’ora attivo e verrebbe utilizzato da AGEA per la compensazione con i premi PAC liquidati alla società (e quindi un residuo di un precedente ruolo illegittimamente duplicato).

VI) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RITENUTO IN PARTE INAMMISSIBILE ED IN PARTE INFONDATO IL MOTIVO VI DI RICORSO – VIOLAZIONE A FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 35 E 64 C.P.A. - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Con questa doglianza l’appellante ritorna sulle censure dedotte in primo grado che concernono le contestazioni sull’an e sul quantum dell’originaria pretesa creditoria, ribadendo l’ammissibilità della censura in quanto all’atto del ricevimento della cartella (che per i debiti erariali fungerebbe da titolo esecutivo e da precetto) l’attuale appellante avrebbe il diritto di contestare sia l’an che il quantum della pretesa, perché l’atto di accertamento del prelievo, come indicato in cartella, sarebbe stato notificato solo al primo acquirente. Inoltre sarebbero vizi autonomamente deducibili. Contrariamente alla statuizione del primo giudice, la prova dei recuperi sarebbe data nel documento 6, una schermata presa dal SIAN (registri ufficiali di cui farebbe parte anche il registro debitori, attraverso CAA-CAF-AGRI srl) e non contestata da AGEA. Per quanto riguarda la debenza degli interessi l’appellante evidenzia che ai sensi dell’art. 10, comma 34, legge n. 119/2003 i prelievi relativi alle campagne dal 1995/1996 al 2001/2002 sarebbero da versare senza interessi, come lo sarebbero anche le rateizzazioni.

VII) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RITENUTO INAMMISSIBILE IL MOTIVO VII DI RICORSO – VIOLAZIONE A FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 35 E 64 C.P.A. – OMESSA PRONUNCIA - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Secondo la tesi attorea le comunicazioni di AGEA non sarebbero gli atti di accertamento dei prelievi portati dalla cartella impugnata in primo grado ed eccependo la mancata indicazione e la mancata notifica degli atti presupposti, indicati in cartella come notificati solo al primo acquirente, la censura sarebbe fondata (e quindi si deduce l’inefficacia in quanto indicati nella cartella come notificati ad un terzo soggetto).

VIII) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RITENUTO IN PARTE INAMMISSIBILE ED IN PARTE INFONDATO IL VIII MOTIVO DI RICORSO – VIOLAZIONE A FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 35 E 64 C.P.A. - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Il TAR avrebbe richiamato erroneamente la pronuncia n. 72349/22 della Corte di Cassazione, in quanto non pertinente, perché mancherebbe non solo il riferimento, ma anche la notifica al ricorrente in merito dell’atto di accertamento presupposto. Pertanto l’esatta indicazione della data di notifica dell’atto di accertamento presupposto sarebbe un elemento essenziale della cartella di pagamento, la cui omissione o la cui semplice erroneità comporterebbe la nullità della cartella stessa. Da ciò discenderebbe l’illegittimità e la nullità degli atti impugnati, essendo incontestabile la carenza di motivazione della cartella di cui è causa, nella quale non risulta indicata l’atto di accertamento presupposto e la data di notifica dello stesso al ricorrente.

IX) “CARENZA, GENERICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ILLOGICITÀ, ILLEGITTIMITÀ, ANCHE COMUNITARIA, E COMUNQUE INFONDATEZZA DELLA MOTIVAZIONE CON CUI IL TAR DEL VENETO HA RESPINTO IL MOTIVO I DI RICORSO - RIPROPOSIZIONE DEL CORRISPONDENTE MOTIVO.

Con l’ultima doglianza viene censurato il capo della sentenza gravata che rigettava il primo motivo dell’originario ricorso, ovvero la nullità della notifica siccome effettuata da una casella PEC non risultante dai pubblici registri. Il TAR avrebbe confuso la riferibilità della casella PEC all’Agenzia delle Entrate (attraverso il dominio) con l’obbligo di notifica da una casella risultante dai pubblici registri. La sua motivazione sarebbe quindi carente, in quanto l’invio di una cartella da una casella PEC non presente nei pubblici registri comporterebbe un vizio insanabile.

5. AGEA ed ADER, costituendosi nel giudizio, hanno contestato la fondatezza delle argomentazioni dedotte, concludendo per il rigetto dell’appello.

6. La Sezione, con l’ordinanza n. 2552/2023 del 23.6.2023, ha accolto l’incidentale domanda di sospensione cautelare della sentenza di primo grado.

7. In vista della trattazione della causa nel merito, le parti hanno depositato ulteriori documenti nonché memorie e memorie di replica, con le quali hanno ribadito le loro avversarie deduzioni.

8. All’udienza pubblica del 9 novembre 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.

10. La statuizione di inammissibilità delle censure dedotte in primo grado è meritevole di essere confermata.

11. Risulta al Collegio che:

a) i conferimenti del latte sono stati effettuati dal primo acquirente, la Latteria Sociale Cooperativa Centro di Isola Vicentina Scarl: per il prelievo 1996/1997 la comunicazione n. 76759905938 con raccomandata a.r. 107946056297 del 12.10.1999; per il prelievo 1997/1999 la comunicazione n. 86779905933 con raccomandata a.r. 600403970245 del 20.10.2000; per il prelievo 1998/1999 la comunicazione n. 86759905937 con raccomandata a.r. 600402444143 del 1.7.2000; per il prelievo 1999/2000 la comunicazione n. 96759905936 con raccomandata a.r. 600403938747 del 20.10.2000;

b) successivamente, e per i medesimi importi delle stesse campagne annuali (con indicazione delle rispettive notifiche fatte alla Latteria Sociale), AGEA ha inviato alla ditta -OMISSIS- la nota AGEA.AGA. 2018.0025708 del 2.10.2018, notificata in data 9.10.2018 (campagne 1995/96, 1996/97, 1997/98 e 1998/99), con successiva richiesta di rateizzazione, ma non perfezionata e poi la nota AGEA.AGA.2018.0025883 del 5.10.2018, notificata in data 11.10.2018 (campagna 1999/2000), con successiva richiesta di rateizzazione, nemmeno perfezionata;

c) infine, seguiva la cartella di pagamento ADER n. 12420210027336630000 notificata il 20.9.2021 per “tributi coattivi anni 1996-1997-1998-1999 / Agenzia per le Erogazioni in Agricolura / prelievo latte” e l’indicazione dei dettagli dei rispettivi anni 1996-2000, con gli stessi importi dovuti (aggiornati ad interessi ed oneri di riscossione), sia per quanto riguarda le originarie comunicazioni 1999-2000, sia per le comunicazioni del 2018.

12. Orbene, in base a tali risultanze sono evidenti la linearità e la coerenza temporale e giuridica degli importi dovuti ed indicati negli atti gravati. Prima la Latteria sociale aveva impugnato le comunicazioni concernenti gli esiti delle compensazioni a livello nazionale dinanzi al TAR del Lazio, che con decreto n. 8127/2011 (campagna 1996-1997), n. 8514/2011 (campagne 1997-1998 e 1998-1999) e n. 9135/2011 (campagna 1999-2000) ha dichiarato tutti i ricorsi perenti, provvedimenti che non sono stati opposti e dunque sono passati in giudicato. Ha ragione la difesa erariale laddove eccepisce che il vincolo di solidarietà che lega il produttore ed il primo acquirente comporta che entrambi siano egualmente obbligati alle restituzioni di prelievi di quote latte dovute in esito alle compensazioni a livello nazionale (Cons. Stato, sez. III, n. 1173/2020). Tale chiarimento della Sezione, dal quale anche questo Collegio non può discostarsi, stante la perfetta sovrapponibilità delle cause, ha rilevato che “Va precisato, infatti, che nel sistema delle cc.dd. “quote latte”, l’obbligazione di versamento del prelievo è solidale: debitore del prelievo è il produttore e l'acquirente svolge solo un ruolo di sostituto; il mancato adempimento degli obblighi dell'acquirente riguarda, quindi, il debito del produttore e, fermi restando i rapporti e i profili di responsabilità tra i due soggetti privati, ciò determina che lo Stato debba riscuotere direttamente dal produttore gli importi non pagati dall’acquirente che ne ha effettuato la trattenuta. Questo Consiglio ha precisato come “tra l'acquirente ed il produttore vi sia un vincolo di solidarietà assimilabile al rapporto tra sostituto di imposta e sostituito in ambito fiscale con obbligo a carico del primo di comunicare al secondo gli adempimenti richiesti dall'ente preposto (Cons. Stato, Sez. III, 25.1.2012, n. 323; Sez. VI, 19/08/2009, n. 4996 e 20 maggio 2009, n. 3101). Gli acquirenti svolgono un mero ruolo di sostituti dei produttori, che sono i reali debitori del prelievo, e a cui va imputata ogni omissione, ferma restando l'azione civile che potranno eventualmente esercitare nei confronti degli acquirenti in ipotesi di danni derivanti da una condotta colposa di questi ultimi. Il versamento è caratterizzato da trattenute anticipate dell'intero prelievo, salvo eventuale restituzione al produttore. In applicazione dell'art. 8-quinquies, comma 1 o 5, del d.l. n. 5/2009, convertito con modificazioni dalla l. n. 33/2009, intervento legislativo con cui lo Stato italiano (per altro concedendo ulteriori agevolazioni agli allevatori insolventi) ha inteso riattivare la procedura di recupero e AGEA ha intimato il pagamento dei prelievi esigibili – in quanto non pagati e non sospesi né annullati da decisioni giurisdizionali – con contestuale trasmissione dei relativi importi per l'iscrizione nel Registro nazionale dei debiti di cui all'art. 8-ter del predetto decreto legge. A partire dall'annata 2000/2001, le comunicazioni sono state inviate ai soli primi acquirenti e non ai produttori in quanto l'acquirente è obbligato comunque a informare i produttori dell'esito delle compensazioni e delle conseguenti restituzioni effettuate a livello nazionale, come dimostra l'art. 9, comma 5, legge n. 119/2003, secondo cui gli acquirenti pagano ai produttori gli importi ad essi spettanti ovvero provvedono alla riscossione ed al versamento degli eventuali importi dovuti.

13. L’impugnativa in esame, infatti, ha ad oggetto non l’atto di accertamento del prelievo supplementare – provvedimento tipicamente amministrativo – ma un atto (l’intimazione di pagamento) riguardante la fase esecutiva della riscossione del prelievo dovuto. Ebbene, gli atti inerenti a tale seconda fase (cartella esattoriale, intimazione di pagamento), pur devoluti alla giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell’art. 133 cod. proc. amm., sono soggetti alle disposizioni, alle preclusioni ed ai principi regolanti la procedura esecutiva della riscossione mediante ruolo.

14. Ne discende che – in virtù del predetto vincolo – l'interruzione della prescrizione nei confronti di un condebitore solidale si estende anche agli altri a norma dell’art. 1310 del codice civile e quindi gli elementi interruttivi per i produttori hanno effetto anche per gli acquirenti.

15. L’esigibilità del prelievo supplementare oggetto della cartella impugnata è inoltre evidente, considerato che la prima cartella di pagamento era stata ritualmente notificata al produttore con l’intimazione ex art. 8-quinquies comma 1 della legge n. 33/2009. Sono i documenti AGEA.AGA. 2018.0025708 del 2.10.2018, notificata in data 9.10.2018 (campagne 1996/97, 1997/98 e 1998/99), con successiva richiesta di rateizzazione, ma non perfezionata e AGEA.AGA.2018.0025883 del 5.10.2018, notificata in data 11.10.2018 (campagna 1999/2000), con successiva richiesta di rateizzazione, nemmeno perfezionata.

16. L’impugnazione della notifica dell’intimazione ex legge n. 33/2009 della cartella di pagamento impugnata in questa sede ha impedito il decorrere del termine prescrizionale decennale (Cons. Stato, sez. II, n. 8659/2021), e comunque la sospensione della prescrizione (anche laddove si volessero considerare non interrotti i termini dopo l’impugnazione degli originari titoli del 1999/2000 a seguito delle perenzioni del 2011) è da accertarsi anche dal 1.4. al 15.7.2019 (ex art. 8-quinquies comma 10 della legge n. 33/2009 per consentire l'ordinato passaggio all'agente della riscossione dei residui di gestione) e dall’8.3.2020 al 31.8.2021 (normativa connessa all’emergenza COVID-19, ex art. 68 D.L. 18/2020 e ss.mm.), essendo chiaro che la prescrizione non decorre nella pendenza di un giudizio, secondo la regola generale dell’art. 2945 comma 2 c.c., anche quando l’iniziativa giudiziale sia stata assunta dal debitore. Per le Agenzie appellate la proposizione di una domanda di accertamento da parte del debitore costituisce impedimento ex art. 2935 c.c. all’esercizio del diritto. Non è ipotizzabile che la durata dei giudizi relativi ai crediti contestati non debba essere considerata ai sensi dell’art. 2945 cc. e che la costituzione in giudizio dell’Amministrazione con conseguente richiesta di rigetto del ricorso non possa essere considerata atto idoneo alla interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. Di talché, l’Agea, all’esito dei giudicati o, comunque, al termine dei relativi giudizi, può far valere la propria pretesa nel termine dell’actio iudicati. Nella fattispecie in esame, a fronte dei decreti di perenzione e della conseguente definitività del provvedimento impositivo, l’intimazione di pagamento è stata notificata alla parte interessata, sicché il termine di prescrizione non può ritenersi decorso.

17. Ciò chiarito, è evidente l’infondatezza della prima censura di questo ricorso in appello, dovendo ribadire che invece anche per questo Collegio è corretto affermare che la mancata impugnazione dell’atto presupposto preclude al contribuente qualsiasi eccezione relativa all’atto successivo, ivi compresa l’eccezione circa l’intervenuta prescrizione del credito, in applicazione del principio chiarito dalla Corte di Cassazione, secondo il quale “l’intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all’art. 19, comma 3 del D.lgs. 31 Dicembre 1992. N. 546, esso resta sindacabile solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’imposizione predetta” (Cass. Civ., 7.2.2020, n. 3005). Sono quindi inammissibili le censure che fanno riferimento a vizi imputabili al titolo e non alla cartella, in particolare quelle volte a far valere un’invalidità derivata del titolo sulla scorta del quale è stata emessa la cartella oggetto di contestazione.

18. Non è neppure fondato il secondo motivo, potendo richiamare sul punto l’arresto del Consiglio di Stato – dal quale non risulta alcun motivo per discostarsi – che ha ritenuto “infondate e vanno respinte le deduzioni secondo cui gli atti impugnati risulterebbero nulli, alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia, poichè nella specie si è in presenza di 'rapporti esauriti': la natura autoritativa di un provvedimento amministrativo non viene meno se la disposizione attributiva del potere poi dichiarata incostituzionale (Ad. Plen., sent. n. 8 del 1983) o si manifesta in contrasto col diritto europeo (Cons. Stato, Sez. II, 7 arile 2022, n. 2580; Sez. II, 25 mano 2022, n. 2194; Sez II, 16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando - come nella specie – in contrasto col diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere; tali considerazioni rilevano sia quando la cartella di pagamento non sia stata a suo tempo impugnata (Cons. Stato Sez. III, 17 maggio 2022, n 3910), sia, a maggior ragione, quando essa sia stata impugnata e si sia formato un giudicato, rilevante ai sensi dell'art. 2909 del codice civile, applicabile anche per i rapporti di diritto pubblico” (Cons. Stato, sez. III, n. 6335/2022). In merito all’asserito contrasto della normativa interna rispetto a quella eurounionale in relazione alle norme disciplinanti la determinazione del prelievo supplementare, va chiarito che:

i) con le sentenze del 27.06.2019 nel giudizio C-348/18, dell’11.09.2019 nel giudizio C-46/18 e del 13.01.2022 nel giudizio C-377/19, la Corte di Giustizia Europa ha dichiarato contrarie al diritto dell’Unione le norme italiane disciplinanti il calcolo del prelievo supplementare, ma ciò è avvenuto con la precisazione che il principio della tutela del legittimo affidamento non osta a che l’Amministrazione provveda al ricalcolo dell’importo del prelievo supplementare dovuto dai produttori secondo le indicazioni contenute nelle predette sentenze;

ii) ne discende quindi l’onere per l’Amministrazione di provvedere a rideterminare gli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare e non un effetto erga omnes ed automatico, essendo precluso all’autorità giudiziaria di incidere su diritti soggettivi ed interessi legittimi che non riguardano esplicitamente le parti dei giudizi nei quali sono chiamati a decidere;

iii) è stato correttamente precisato che “contrariamente a quanto dedotto dalle Aziende appellanti, la violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l’art. 21 septies l. 241/90 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell’unione europea sia la norma attributiva del potere, e non – come nel caso in esame – le modalità di applicazione di essa. Va soggiunto che pacifici principi in merito all’efficacia oggettivamente e soggettivamente limitata del giudicato, ex art. 2909 c.c., impediscono di dare ingresso alla tesi dell’estensione alla presente res litigiosa degli effetti di statuizioni relativi ad annate o soggetti diversi” (Cons. Stato, sez. III, n. 1603/2022) e che “la definitività dell’imputazione del prelievo preclude la possibilità per il ricorrente di avvalersi degli effetti degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell’atto. Note e plurime sono, infatti, le prese di posizione del giudice comunitario volte a ribadire la necessità che - nell’ottica di una stabilità del diritto e dei rapporti giuridici - le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione (Corte giustizia UE sez. X, 6 novembre 2014, n.42; Corte giustizia UE sez. VI, 16 luglio 2020, n. 424) e lo stesso principio riguarda i rapporti esauriti per conseguita inoppugnabilità di un provvedimento autoritativo. Altrettanto chiara è l’affermazione contenuta in tali pronunce secondo cui il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto. Le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano, infatti, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi” (Cons. Stato, sez. III, n. 3910/2022).

Di contro, i profili asseritamente vizianti l’atto di intimazione sono stati dedotti dalla parte ricorrente, anche invocando le due note sentenze della corte di giustizia UE del 27.6.2019, C-348/18 e dell’11.9.2019, C-46/18, come l’effetto derivato di improprie modalità applicative della quota supplementare e di un errato calcolo delle quote di prelievo e, comunque, come frutto di aspetti relativi a tematiche concernenti la determinazione sostanziale del debito, non già ad irregolarità proprie della fase esecutiva di competenza del soggetto esattore (ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 14 dicembre 2022; id., 17 maggio 2022, n. 3910). D’altra parte, in ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità. In altri termini, fermo restando che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto dell’Unione europea debba generare qualche forma d’invalidità dell’atto in questione, il Consiglio di Stato, almeno a far tempo dalla sentenza del 31 marzo 2011, n. 1983, ha affermato che l’atto amministrativo che viola il diritto dell’Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l’art. 21-septies della legge n. 241/1990, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell’Unione europea. Ne consegue che la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile, la cui ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame. La violazione del diritto europeo, quindi, implica un vizio d’illegittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante e da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: sul piano processuale l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l’inoppugnabilità del provvedimento stesso; sul piano sostanziale, l’obbligo per l’amministrazione di dar corso all’applicazione dell’atto, fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela. La natura autoritativa di un provvedimento amministrativo, infatti, non viene meno se la disposizione attributiva di potere è poi dichiarata incostituzionale o si manifesta in contrasto con il diritto europeo (Cons. Stato, sez. III, 29 settembre 2022, n. 8380; id., sez. II, 7 aprile 2022, n. 2580; 25 marzo 2022, n. 2194; 16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando, come nel caso di specie in materia di quote latte, il contrasto con il diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere (Cons. Stato, sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333). Più nel dettaglio, le due sentenze della Corte di giustizia sopra richiamate hanno accertato l’incompatibilità della normativa interna concernente (non già il prelievo supplementare a monte, ma) i criteri di riassegnazione dei quantitativi inutilizzati ovvero i (criteri relativi ai) rimborsi delle eccedenze dei prelievi supplementari. La giurisprudenza europea, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché “il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo” (cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-453/00, Kühne & Heitz, ECLI:EU:C:2004:17). Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di Giustizia che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea (le stesse recenti sentenze della CGUE C-497/20, Randstad Italia, del 21 dicembre 2021 (ECLI:EU:C:2021:1037) e C-261/21, Hoffmann-La Roche del 7 luglio 2022 (ECLI:EU:C:2022:534), nel riaffermare i principi di autonomia procedurale degli Stati membri e la necessità del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, non pongono in discussione che un atto amministrativo, come considerato da una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato che sia poi accertata da una sentenza della Corte di Giustizia come violativa del diritto europeo, continui a spiegare i propri effetti, in disparte i possibili profili risarcitori). Alla luce di questi chiarimenti, che il Collegio condivide pienamente, la censura è infondata.

19. Per quanto concerna la censura sull’intervenuta decadenza, è sufficiente rilevare che il credito per cui si procede non ha carattere tributario, anche se utilizza gli stessi strumenti di riscossione coattiva delle obbligazioni tributarie. Il rinvio all’art. 25 del DPR n. 602/1973, contenuto nel previgente art. 8-quinquies comma 10-bis del d.l. 5/2009, non implica l’introduzione di decadenze sostanziali, o la rinuncia dello Stato a recuperare il prelievo supplementare dopo il termine indicato dall’art. 25 comma 1-c del DPR n. 602/1973 (due anni dall’accertamento del debito). L’art. 8 quinquies del decreto legge 10 febbraio 2009 n. 5 – convertito con legge 9 aprile 2009, n. 33 – ha stabilito che, “a decorrere dal 1° aprile 2019, la riscossione coattiva degli importi dovuti relativi al prelievo supplementare latte, nei casi di mancata adesione alla rateizzazione e in quelli di decadenza dal beneficio della dilazione di cui al presente articolo, è effettuata ai sensi degli articoli 17, comma 1, e 18, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46” (decreto, quest’ultimo, recante il “Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo”). Nel caso di specie, oggetto dell’impugnazione è una richiesta di pagamento riferita a pregresse debenze già accertate, vale a dire non già un autonomo atto impositivo, bensì un invito prodromico all’esecuzione forzata, impugnabile unicamente per vizi propri.

20. Non merita neanche condivisione la doglianza sull’asserita duplicazione del ruolo. L'iscrizione nel Registro Nazionale dei debiti di cui all'art. 8 ter, 1° comma, della L. n. 33/2009, istituito presso AGEA, è equiparata all'iscrizione a ruolo delle somme dovute, ex art. 8 ter, 2° comma, L. n. 33/2009. Ma ciò non comporta che il debito venga riscosso due volte (in termini Cons. Stato, sez. III, n. 5281/2021).

21. Infondata risulta poi la nullità del ruolo per l’impossibilità di verificare l’esatta quantificazione del residuo debito esposto del provvedimento gravato. Tale censura è generica, mentre risulta – come evidenziato supra in merito alla linearità e conseguenzialità dei provvedimenti 1999/2000-2018-2021) il contrario, che l’appellante non è riuscito a confutare, e precisamente che la contabilizzazione dei recuperi di premi PAC (medio tempore intervenuti) sono stati regolarmente contabilizzati e detratti dai debiti originari (documento 13 di parte appellata).

22. L’appellante non può neanche essere seguito laddove invoca l’omessa notifica degli atti presupposti al provvedimento impugnato, non solo per il predetto vincolo di solidarietà, ma anche per l’avvenuto rispetto dell’iter amministrativo relativo al credito vantato da AGEA.

23. La medesima censura sul difetto di motivazione della cartella non coglie neppure nel segno, richiamando ciò che è stato accertato sub 12-14 in merito all’efficacia della notifica degli atti presupposti al primo acquirente in virtù del vincolo di solidarietà.

24. Infine, per quanto riguarda la nullità della notifica della cartella di pagamento impugnata, in quanto notificata da una casella PEC non censita in alcun registro pubblico, si deve pienamente confermare l’assunto del primo giudice sulla sanatoria del vizio e sulla condizione integrativa dell’efficacia (in termini Cons. Stato, sez. III, n. 5281/2021). In applicazione del più generale principio della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo, l’art. 156 c.p.c. stabilisce che la nullità “non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. Come è stato autorevolmente insegnato, “la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all'applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicché il rinvio operato dall'art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 all'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell'avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, in ragione della avvenuta trasmissione di un file con estensione "pdf" anziché ".p7m", l'applicazione dell'istituto della sanatoria del vizio dell'atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156 c.p.c.” (Cass. Civ., sez. VI, 05.03.19, n. 6417). Lo scopo della notificazione è di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono. La notifica non può essere dichiarata nulla quando ha comunque raggiunto il suo scopo, ovvero quando una copia dell’atto è giunta al suo destinatario effettivo. Risulta invece al Collegio che è sufficiente, ai fini della validità della notifica, che nei pubblici elenchi sia presente il dominio dell’indirizzo di trasmissione, riconducibile senza dubbi all’amministrazione procedente e, quindi, idoneo a garantire la certezza della provenienza dell’atto o che la notifica provenga, come nel caso di specie, da un indirizzo pec dal quale sia evincibile il mittente, e comunque il ricorrente è tenuto a provare i pregiudizi sostanziali al diritto di difesa dipesi dalla ricezione della notifica dell’intimazione di pagamento non dall’indirizzo telematico corrispondente al domicilio digitale presente nei pubblici registri (Cass. Civ., Sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 982). Nel caso di specie l’indirizzo PEC (notifica.acc.veneto@pec.agenziariscossione.gov.it) utilizzato figura nei registri IPA e risulta essere indirizzo PEC dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, Direzione Regionale Lombardia.

25. In conclusione, all’infondatezza delle doglianze proposte segue il rigetto dell’appello.

26. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, A.P., n. 5/2015, nonché Cass., SS.UU., n. 26242/2014), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

27. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore delle Agenzie appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (r.g.n. 4617 del 2023) lo respinge e condanna la parte appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, a favore di AGEA ed ADER.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere, Estensore

 
   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Thomas Mathà

 

Sergio De Felice

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO