Pubblicato il 10/03/2023
N. 02548/2023REG.PROV.COLL.
N. 00784/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 784 del 2019, proposto
da
-OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avvocato Alfredo Bianchini, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Iannotta, Nicoletta Ongaro, Nicolo' Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Barnaba Tortolini n.34;
nei confronti
Commissione per la Salvaguardia di Venezia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 676/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. Massimo Santini e, preso atto del deposito delle note di passaggio in decisione, è data la presenza degli avvocati: Bianchini, Iannotta, Ongaro, mentre è presente in collegamento da remoto l’avv. Paoletti Natalia, noto all’ufficio, in sostituzione dell'avv. Paoletti Nicolò;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante è titolare di un esercizio di ristorazione sito nel centro storico di Venezia. In tale ambito è anche titolare di una concessione di occupazione di suolo pubblico per sedie, tavolini, piante ed ombrelloni da collocare all’esterno della piazza prospicente ove poter ospitare gli avventori del locale.
Con istanza in data 8 aprile 2009, lo stesso chiedeva di poter collocare un “espositore frigorifero” collocato in gran parte all’interno del locale e per 15 cm di profondità (e circa un metro e mezzo di larghezza) su area pubblica.
L’istanza veniva rigettata (dopo rituale comunicazione di preavviso di rigetto in data 25 maggio 2009) con provvedimento definitivo in data 8 luglio 2009 in quanto il regolamento comunale occupazione suolo pubblico (c.d. OSP) vieta l’installazione su area pubblica di apparecchi frigoriferi.
2. Il provvedimento di diniego veniva impugnato dinanzi al TAR Veneto che respingeva il ricorso per le ragioni di seguito sintetizzate:
a) non si è formato il silenzio assenso dal momento che il preavviso di rigetto ha validamente interrotto i relativi termini del procedimento;
b) non trova applicazione nel caso di specie l’art. 33 del regolamento sulla installazione di mezzi pubblicitari quanto, piuttosto, l’art. 8 regolamento OSP, il quale vieta espressamente l’occupazione di suolo pubblico mediante frigoriferi;
c) La comunicazione di avvio del procedimento non era dovuta trattandosi di attività vincolata.
3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per ragioni che verranno più avanti illustrate e che, in ogni caso, ripercorrono i medesimi motivi del giudizio di primo grado.
4. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame.
5. All’udienza di smaltimento del 28 febbraio 2023 la causa veniva infine trattenuta in decisione.
6. Tutto ciò premesso le ragioni dell’appello non risultano condivisibili sulla base di quanto di seguito specificato.
6.1. Con il primo motivo si lamenta l’erronea interpretazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, deducendo che gli unici casi contemplati dalla norma onde poter evitare il silenzio assenso è un provvedimento amministrativo oppure la decisione di rimettere la questione ad una conferenza di servizi. Sostiene altresì la difesa di parte appellante che la disposizione di cui all’art. 10-bis non sarebbe applicabile al caso di specie in quanto introdotta soltanto con la legge n. 69 del 18 giugno 2009. Osserva al riguardo il collegio che:
6.1.1. Secondo la giurisprudenza di questa sezione: “L'occupazione di suolo pubblico richiede invero un provvedimento di concessione rilasciato dal Comune competente, provvedimento che non può essere sostituito dal silenzio-assenso ex art. 20 l. 241 del 1990 considerato che "il procedimento concessorio presuppone l'esercizio di una potestà discrezionale anzitutto sull'an, che esclude in radice l'applicabilità del regime del silenzio-assenso" (CGA, 4 novembre 2021, n. 990 e 988; Cons. Stato, V, 6 novembre 2019, n. 7564; cfr. anche Id., 9 maggio 2017, n. 2109; nonché CGA, 9 ottobre 2019, n. 887, che dà rilievo all'impatto di siffatti procedimenti sul patrimonio culturale e paesaggistico e l'ambiente)” (Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2022, n. 4660);
6.1.2. Ad ogni modo, anche a voler considerare applicabile tali istituto la ricostruzione offerta dalla difesa di parte appellante risulta evidentemente fallace ove soltanto si consideri che l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 è stato introdotto con la legge n. 15 del 2005, con una formulazione peraltro la quale sin dall’inizio contemplava il terzo periodo a norma del quale: “La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo”. Ebbene la giurisprudenza ha al riguardo affermato che:
- “Con riferimento al preavviso di rigetto, questo Consiglio di Stato ha chiarito come esso renda "irrilevante la precedente inerzia dell'Amministrazione e comporta il decorso di un nuovo termine di conclusione del procedimento, alla cui eventuale infruttuosa scadenza maturerà un silenzio assenso. Se è vero che il c.d. preavviso di rigetto è mero atto endoprocedimentale, non idoneo alla definizione del procedimento, è altresì vero che, secondo quanto espressamente statuito dall'art. 10 bis, comma 1, terzo periodo, esso interrompe i termini per concludere il procedimento. I termini inizieranno nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni del privato" (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3190/2019)” [Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2022, n.4885];
- “Il "preavviso di rigetto" ex art. 10 bis, della legge n. 241 rende, infatti, irrilevante la precedente inerzia dell'Amministrazione e comporta il decorso di un nuovo termine di conclusione del procedimento, alla cui eventuale infruttuosa scadenza maturerà un silenzio assenso. Se è vero che il cd. preavviso di rigetto è mero atto endoprocedimentale, non idoneo alla definizione del procedimento, è altresì vero che, secondo quanto espressamente statuito dall'art. 10 bis, comma 1, terzo periodo, esso interrompe i termini per concludere il procedimento. I termini inizieranno nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni del privato o, in mancanza, dalla scadenza del termine di dieci giorni assegnato per la presentazione delle predette osservazioni” (Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2019, n. 3190).
In altre parole: mentre le due ipotesi di cui all’art. 20 (provvedimento di rigetto o rimessione alla conferenza di servizi) si muovono nell’ambito della sfera decisionale finale dell’amministrazione, l’ipotesi contemplata dall’art. 10-bis, comma 1, terzo periodo, si concentra su un ambito procedimentale precedente (fase istruttoria predecisionale) con effetti interruttivi diretti ed esclusivi sul termine di conclusione.
Ebbene alla luce delle suddette coordinate ermeneutiche risulta piuttosto evidente che, nel caso di specie:
a) in data 8 aprile 2009 veniva presentata la suddetta istanza;
b) in data 25 maggio 2009 (dunque prima dello scadere dei 60 giorni) veniva comunicato il preavviso di rigetto che dunque interrompeva i suddetti termini di conclusione;
c) stante l’inerzia dell’istante, in data 12 giugno (ossia dieci giorni dopo la ricezione, in data 1° giugno, dei suddetti motivi ostativi) ricominciava a decorrere il termine di 60 giorni;
d) tale termine veniva validamente interrotto 13 giorni dopo, ossia in data 24 giugno 2009, attraverso il provvedimento definitivo di rigetto qui gravato;
e) dalla ricostruzione fattuale di cui sopra consegue inevitabilmente il rispetto dei suddetti termini procedimentali.
6.1.3. Alla luce di quanto sopra detto consegue il rigetto della specifica censura.
6.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 33 del regolamento comunale sulla pubblicità, il quale ammetterebbe invece la possibilità di porre su suolo pubblico “espositori” quali quelli di specie, destinati secondo la difesa di parte appellante a contenere alimenti da pubblicizzare come specialità del ristorante. La pur suggestiva tesi di parte appellante non può essere condivisa dal momento che:
6.2.1. come si evince dalla documentazione tecnica versata in atti, la domanda di occupazione riguarda un “espositore frigorifero”;
6.2.2. l’invocata disposizione comunale (art. 33 CIMP) cita in modo molto generico ed esemplificativo la categoria degli “espositori” in generale. Tale categoria viene poi in effetti specificata al successivo art. 34 del suddetto regolamento, il quale disciplina più da vicino la figura dei “pannelli espositori” (limiti, dimensioni, consistenza materiale, etc.); figura questa che è tipicamente preordinata a riportare riproduzioni grafiche o fotografiche nonché descrizioni dei singoli prodotti (e dei relativi prezzi) e che dunque costituisce elemento ben diverso da quello proposto dalla parte appellante (frigorifero ove sarebbero direttamente esposte le specialità della casa, per sua natura sicuramente più invasivo in termini visivi e spaziali);
6.2.3. L’elemento che la parte vorrebbe inserire su suolo pubblico (o almeno che su parte di esso) è dunque piuttosto da ricondurre alla categoria dei “frigoriferi” più in generale (quale che sia il loro specifico utilizzo), che ricadono tuttavia nel generale divieto disposto dal regolamento OSP (art. 8, comma 6, lettera a). Disposizione questa che rinviene la sua ratio giustificatrice nel fatto che il suolo pubblico, trattandosi di una località come Venezia, sottoposta a particolare e rigorosa tutela artistica ed anche estetica, può essere occupato unicamente con elementi strettamente funzionali a garantire la possibilità per gli avventori di consumare pasti e bevande all’esterno del locale. In questa direzione: tavolini, sedie, ombrelloni e fioriere (che hanno lo specifico compito di abbellire ed allo stesso tempo di mascherare gli altri elementi di arredo) conservano una loro stretta funzionalità nel senso sopra considerato; il frigorifero, quale che sia il suo concreto utilizzo, non può invece rivestire questo ruolo (ossia di elemento essenziale per ospitare il turista all’esterno del locale) atteso che esso può ben essere inserito all’interno del locale.
6.2.4. Alla luce di quanto sopra considerato, anche tale motivo deve dunque essere rigettato.
6.3. Anche l’ultimo motivo di ricorso (omessa comunicazione di avvio del procedimento) è infondato dal momento che:
6.3.1. pur volendo ammettere tale obbligo per i procedimenti avviati ad iniziativa di parte (cfr. art. 8, comma 2, lett. c-ter, della legge n. 241 del 1990), nel caso di specie la statuizione del giudice di primo grado circa la natura vincolata del potere esercitato, in relazione a quanto prescritto nel citato art. 8, comma 6, lettera a), del regolamento comunale OSP, non ha formato oggetto di specifica contestazione ad opera della difesa di parte appellante: dunque, almeno sulla parte di pronunzia con cui si assegna “natura vincolata” al potere in tal caso esercitato si è formato il giudicato (di tanto è agevole trovare conferma anche alla pag. 9 della memoria di replica del 7 febbraio 2023);
6.3.2. Trova di conseguenza applicazione la disposizione di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della stessa legge n. 241 del 1990, a norma del quale: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”;
6.3.3. Contenuto finale che nel caso di specie non poteva di certo essere diversamente conformato dal fatto che il suddetto frigorifero sporgerebbe di soli 15 cm su suolo pubblico, non essendo una simile ipotesi contemplata tra le possibili deroghe ammesse in relazione al divieto stesso;
6.3.4. Alla luce di quanto riportato, anche tale censura deve dunque essere rigettata.
7. In conclusione l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite, da quantificare nella complessiva somma di euro 3.000 (tremila/00), oltre IVA e CPA ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
Massimo Santini, Consigliere, Estensore