Pubblicato il 10/03/2023
N. 02568/2023REG.PROV.COLL.
N. 00921/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 921 del 2019, proposto
da
-OMISSIS-,-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Irene
Giuseppa Bellavia, con domicilio digitale come da PEC da Registri
di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio
dell’avvocato Irene G. Bellavia in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n.
55;
contro
Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 7026/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 gennaio 2023 il Cons. Roberta Ravasio, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams.
Dato atto che nessuno è comparso per l’appellante, avendo il difensore chiesto il passaggio in decisione senza discussione da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la determinazione dirigenziale n. 28 /2016 il Comune di -OMISSIS- respingeva la domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata da -OMISSIS- e -OMISSIS- ai sensi della L. n. 724/1994, avente ad oggetto la realizzazione di una “tettoia ad uso artigianale e muro di contenimento in cls e parte in blocchetti di cemento” sul terreno di loro proprietà, sito nel Comune di -OMISSIS-, Via della Pilara n. 11.
2. Con la determinazione dirigenziale n. 38/2016 veniva ordinata la demolizione del manufatto abusivo.
3. -OMISSIS- e -OMISSIS- impugnavano ambedue i provvedimenti innanzi al TAR per il Lazio.
4. Il Comune di -OMISSIS- si costituiva in giudizio per resistere al ricorso.
5. Successivamente il Comune di -OMISSIS-, preso atto del mancato adempimento all’ordine di demolizione, adottava la determinazione dirigenziale n. 797/2016, con la quale disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del fabbricato, con la relativa area di pertinenza estesa per 2.941 mq.
6. I signori -OMISSIS- e -OMISSIS- impugnavano la suddetta determinazione dirigenziale con motivi aggiunti.
7. Con sentenza n. 7026/2018 il TAR Lazio – Roma, Sez. II quater, respingeva il ricorso.
8. -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno proposto appello avverso la suddetta pronuncia
9. Il Comune di -OMISSIS- non si è costituito in giudizio.
10. La causa è stata chiamata per la discussione in occasione dell’udienza straordinaria del 23.01.2023, a seguito della quale è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
11. Con il primo motivo d’appello si denuncia la violazione dell’art 39 della l. 724/1994.
11.1 Il TAR ha ritenuto che il diniego di sanatoria fosse legittimo in quanto successivamente alla domanda gli appellanti avevano apportato modifiche strutturali all’opera, realizzando una nuova tettoia delle dimensioni di mq. 650 con altezza pari a ml. 6,00 al colmo e ml. 4,70 e 3,30 in luogo della precedente di mq. 135.
11.2 Gli appellanti ritengono che tali modifiche siano irrilevanti in quanto l’opera non è stata ricostruita ex novo ma solo modificata ed ampliata; in ogni caso, trattandosi di tettoia aperta su tre lati, non costituirebbe un volume ai fini edilizi e non comporterebbe un aumento del carico urbanistico. Non vi sarebbe dunque alcuna trasformazione edilizia ostativa all’approvazione della domanda di condono. L’opera, inoltre, non si porrebbe in contrasto con lo strumento urbanistico, in quanto in relazione alla zona agricola E1 il vigente PRG stabilisce che è possibile realizzare interventi per la costruzione di ricoveri e rimesse per il bestiame, fienili e ricoveri per attrezzi.
Di conseguenza il Comune avrebbe dovuto rilasciare il permesso di costruire in sanatoria nei limiti della domanda.
11.3 Il motivo non è fondato.
11.4. Dalla documentazione in atti emerge che a seguito della presentazione dell’istanza di condono gli appellanti hanno realizzato una nuova tettoia, diversa da quella oggetto della domanda di condono per materiali utilizzati e volumetria totale.
11.5. Il Collegio richiama, preliminarmente, la più recente giurisprudenza della Sezione secondo cui “Va parimenti condivisa la valutazione unitaria degli interventi, nonché il richiamo all’orientamento per cui, in pendenza di procedimento di condono di un manufatto, gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne la conservazione: essi non possono spingersi all'esecuzione di opere destinate a mutarne la struttura, i volumi, i prospetti, salvo che siano indispensabili — previa, in tal caso, necessaria preventiva interlocuzione con l'Amministrazione — al fine di consentire di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo per verificarne la condonabilità. La normativa sul condono postula la permanenza dell'immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la realizzazione di opere aggiuntive né finanche l'impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari, comportanti di fatto la qualificazione dell'intervento come sostituzione edilizia, venendo meno la continuità tra vecchia e nuova costruzione e l'attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell'istanza di condono.“ (C.d.S., Sez. VI: n. 7166 del 25 ottobre 2021). Pertanto, “la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.” ( C.d.S., Sez. VI, n. 2645 del 24 aprile 2022).
11.6. La ratio di tale orientamento risiede, da una parte, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento: ciò per la ragione che il condono straordinario ex L. 47/85 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni: gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni; d’altra parte v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.
11.7. Di conseguenza, l’art. 35, comma 14, della L. 47/85, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve considerarsi norma di stretta interpretazione, la cui violazione innesta la presunzione che l’immobile oggetto di condono sia stato trasformato in modo tale da non consentire all’amministrazione di determinare in modo preciso la consistenza delle opere oggetto dell’abuso originario. Spetta allora all’interessato dimostrare che l’intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è assolutamente conforme a quello rappresentato nella istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per la ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz’altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione.
11.8. E’ dunque irrilevante – oltre che infondato – l’assunto dei ricorrenti secondo il quale l’opera non costituirebbe un novum rispetto a quella precedente, essendo sufficiente che gli interventi eseguiti abbiano comportato una significativa modificazione dello stato dei luoghi, come avvenuto nel caso di specie.
11.9. L’affermazione degli appellanti, secondo la quale l’amministrazione avrebbe dovuto concedere la sanatoria “nei limiti della domanda”, è dunque infondata.
11.10 Né la nuova opera potrebbe essere sanata per effetto dell’approvazione della domanda presentata in precedenza, considerato che la nuova costruzione non costituisce l’oggetto dell’istanza e che, in ogni caso, nel caso di specie essa è stata realizzata in data successiva al 31 dicembre 1993, termine di ultimazione delle opere ai fini della presentazione della domanda di condono ex art 39 l. 724/1994.
12. Con il secondo motivo d’appello, subordinato al primo, si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondata la pretesa dei ricorrenti ad ottenere un permesso di costruire in sanatoria “condizionato” alla demolizione della porzione eccedente la domanda.
12.1 Il TAR ha ritenuto tale opzione preclusa alla luce del principio di tipicità del potere amministrativo, che non consente di configurare un condono edilizio “condizionato” nei termini prospettati dalla parte ricorrente.
12.2 Gli appellanti ritengono che la sanatoria condizionata sia contemplata nel nostro ordinamento, essendo pacificamente ammesso l’inserimento di prescrizioni all’interno del provvedimento. Tale opzione sarebbe legittima anche alla luce del disposto dell’art. 21 quater della l. 241/1990, che prevede che l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa per un termine indicato nel provvedimento stesso. Il Comune, dunque, avrebbe dovuto emanare una concessione in sanatoria sospendendone l’efficacia fino al termine della demolizione dell’ampliamento abusivo.
12.3 Il motivo è infondato.
12.3.1. Al riguardo sarebbe sufficiente osservare che l’opera è strutturalmente diversa da quella oggetto della domanda di condono, sicché anche l’eventuale demolizione della volumetria eccedente non comporterebbe la reviviscenza della precedente tettoia.
12.3.2. In ogni caso, in relazione alla possibilità di sottoporre un provvedimento amministrativo ad una condizione civilisticamente intesa la giurisprudenza ha affermato che “L'apposizione di elementi accidentali al provvedimento amministrativo è, in linea generale, consentita, purché essa non determini una violazione del principio di legalità (e dei suoi corollari) e non distorca la finalità per la quale il potere è stato attribuito all'amministrazione” (Consiglio di Stato sez. IV, 16/06/2020, n. 3869).
12.3.3. Il potere di sanatoria edilizia è un potere tipico ed eccezionale esercitabile dall’amministrazione esclusivamente al ricorrere dei requisiti determinati dalla legge, fra i quali l’ultimazione delle opere entro la data del 31 dicembre 1993 e la presentazione dell’istanza entro il 31 marzo 1995 ed il pagamento di un’oblazione commisurata alla consistenza delle opere.
12.3.4. Nel caso di specie l’opera è stata ricostruita in epoca successiva alla presentazione dell’istanza e non è oggetto di alcuna domanda di sanatoria edilizia; pertanto l’apposizione di una condizione al provvedimento di sanatoria nei termini prospettati dagli appellanti consentirebbe l’ottenimento del condono in casi non previsti dalla legge e comporterebbe un’elusione dei suddetti requisiti, ponendosi in contrasto con il principio di tipicità del potere in questione.
12.3.5. Né appare applicabile al caso di specie il disposto dell’art 21 quater l. 241/90, ai sensi del quale “L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento di cui all'articolo 21-nonies”. Da un lato, infatti, nel caso di specie non sussistono le “gravi ragioni” richieste dalla norma per sospendere l’esecutività del provvedimento; dall’altro la demolizione del manufatto, essendo un evento futuro ed incerto rimesso all’iniziativa dell’istante, non è configurabile come termine ma come condizione.
13. Con il terzo motivo d’appello si lamenta il mancato bilanciamento degli interessi in conflitto.
13.1 Il TAR ha ritenuto il motivo infondato sia rispetto al diniego di condono che all’ordinanza di demolizione in quanto entrambi costituiscono atto vincolato e non presuppongono un bilanciamento fra l’interesse pubblico e l’affidamento del privato nel mantenimento dell’opera abusiva.
13.2 Gli appellanti ritengono che l’amministrazione avrebbe dovuto tenere in considerazione l’interesse del privato nell’esame dell’istanza di sanatoria, trattandosi di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato al quale non sono applicabili gli approdi giurisprudenziali in tema di ordinanza di demolizione.
13.3 Il motivo non è fondato.
13.3.1. Il diniego di condono in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge costituisce un atto dovuto che non richiede alcuna ponderazione con gli interessi del privato alla conservazione dell’immobile (Cfr. Consiglio di Stato sez. II, 16/11/2020, n.7104: “In ambito amministrativo, non è possibile invocare il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà o per disparità di trattamento in relazione ad atti amministrativi vincolati, fra i quali devono essere ricompresi anche i provvedimenti di diniego del condono edilizio per l'insussistenza del presupposto legale di sanabilità delle opere abusive.”).
13.3.2. Per quanto riguarda l’ordinanza di demolizione, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “L'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (Consiglio di Stato sez. II, 20/07/2022, n.6373).
14. Con i successivi motivi d’appello si contesta la legittimità del provvedimento di acquisizione dell’opera e della relativa area di pertinenza al patrimonio comunale (determinazione n. 797/2016). In particolare, con il quarto motivo d’appello si contesta la qualificazione della tettoia come “capannone” e la quantificazione dell’area di sedime da acquisire.
14.1 Il TAR ha ritenuto che la qualificazione dell’opera come capannone fosse una mera inesattezza terminologica non idonea ad inficiare la validità del provvedimento.
14.2 Gli appellanti ritengono che tale errata qualificazione abbia inciso sulla determinazione dell’area di sedime in quanto avrebbe consentito al Comune di disporre l’acquisizione di un’area di pertinenza che diversamente non avrebbe potuto acquisire. La tettoia realizzata, infatti, a differenza di un capannone, non costituisce volume dal punto di vista edilizio e non legittima l’amministrazione all’acquisizione dell’area di sedime necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. Il Comune, inoltre, non avrebbe sufficientemente esplicitato i criteri di calcolo dell’area di sedime da acquisire; il provvedimento impugnato, pertanto, sarebbe illegittimo anche per insufficienza della motivazione.
14.3. E’ opinione del Collegio che l’opera di cui discute deve essere qualificata come nuova costruzione. In casi analoghi, la giurisprudenza ha infatti affermato che “È corretta la qualificazione come costruzione di un'opera consistente nella realizzazione di una tettoia con travi e pilastri in legno e di vasche in cemento armato, utilizzate rispettivamente come deposito di bancali di legna da ardere e come contenitore di semilavorati in legno e residui di lavorazione. Le caratteristiche strutturali, le ingenti dimensioni e la funzione servente all'attività produttiva rendono le opere, infatti, nettamente diverse da un pergolato. (si veda: Consiglio di Stato sez. VI, 03/01/2022, n.8; cfr. anche Consiglio di Stato sez. IV, 02/03/2018, n.1309: “La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione non di natura pertinenziale e, anche ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera”; Consiglio di Stato sez. VI, 25/01/2017, n.306: “Il pergolato, per sua natura, è una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore; esso normalmente non necessita di titoli abilitativi edilizi. Tuttavia, quando il pergolato viene coperto nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettato alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie”).
14.4. Ciò posto, si deve ricordare che l’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, stabilisce che “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.”
14.5. E’ opinione del Collegio che per “area di sedime” si debba intendere l’area genericamente “coperta” dalla costruzione, cioè l’area compresa nel perimetro della proiezione a terra della tettoia: ciò per la ragione che anche una tettoia aperta su tre lati crea un ingombro, impedendo, o rendendo difficile, la realizzazione di nuove costruzioni al di sotto di essa. L’eventuale, ma del tutto presunto, errore compiuto dal Comune, nel qualificare l’opera abusiva quale capannone risulta, pertanto, del tutto ininfluente, poiché comunque l’acquisizione gratuito del sedime non avrebbe potuto essere limitata all’area occupata dai pilastri di sostegno della tettoia.
14.6. Quanto al fatto che il provvedimento non specifica le ragioni per le quali è stata disposta l’acquisizione dell’intera superficie del mappale, anziché della sola superficie della tettoia, trattasi di censura nuova, non formulata nei motivi aggiunti presentati in primo grado, e come tale inammissibile.
15. Con il quinto motivo d’appello si denuncia l’illegittimità dell’adozione dell’ordinanza di acquisizione del bene al patrimonio comunale nella pendenza del ricorso giurisdizionale.
15.1 Il TAR ha ritenuto che la previsione dell’art. 44 della L. n. 47/1985 – che prevede la sospensione del potere sanzionatorio del Comune nella pendenza di una domanda di condono – non fosse applicabile anche in caso di pendenza di una domanda giurisdizionale.
15.2 Gli appellanti ritengono invece che l’art. 44 della L. n. 47/1985 debba essere applicato in via analogica anche al caso di specie, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.
15.3 Il motivo non è fondato. Come correttamente rilevato dal TAR, l’art. 44 della L. n. 47/1985 non è applicabile al caso di specie – neanche in via analogica – in quanto persegue la specifica finalità di sospendere le procedure demolitorie per consentire l’esame della domanda di condono, e tali esigenze vengono meno con il rigetto dell’istanza. L’ordinamento, del resto, predispone strumenti diversi per evitare l’esecuzione di atti che possano arrecare pregiudizi irreparabili al ricorrente nella pendenza di un ricorso giurisdizionale, quale la tutela cautelare in corso di causa.
15.4. Nel caso di specie l’ordinanza di demolizione, del 3 febbraio 2016, è stata impugnata senza che l’appellante ne chiedesse immediatamente la sospensione. Solo a seguito della adozione dell’ordinanza di acquisizione, del 29 agosto 2016, l’appellante ha proposto impugnazione, instando per la sospensione dell’efficacia, che è stata accordata con ordinanza n. 795 del 16 febbraio 2017, a seguito della camera di consiglio del 14 febbraio 2017. L’ordinanza di acquisizione, dunque, ancorché in seguito sospesa, è stata legittimamente adottata in base ad un ordine di demolizione impugnato ma non sospeso.
16. Con l’ultimo motivo d’appello si lamenta il mancato esame della memoria presentata dagli odierni appellanti a seguito della comunicazione di avvio del procedimento, in violazione dell’art 10 l. 241/90.
16.1 Il TAR ha ritenuto la censura infondata in quanto le garanzie partecipative non sono applicabili al procedimento di adozione dell’ordinanza di acquisizione dell’opera al patrimonio comunale, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, il cui unico presupposto è costituito dalla mancata ottemperanza al precedente ordine di demolizione.
16.2 Gli appellanti lamentano la violazione delle proprie garanzie partecipative e la violazione dell’art 10 l. 241/90.
16.3 Il motivo non è fondato.
16.4. L’obbligo di valutazione delle memorie presentate dai privati durante il procedimento non comporta un onere di analitica contestazione da parte della p.a.: “Il dovere della p.a. di esaminare le memorie prodotte dall'interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento o del preavviso di rigetto da essa inviati non comporta la confutazione analitica delle allegazioni presentate dall'interessato, essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, e la doverosa valutazione degli apporti infraprocedimentali risente della natura degli stessi; ciò in quanto l'onere valutativo è maggiormente penetrante con riferimento alla prospettazione da parte del privato di elementi fattuali, mentre è attenuato, se non quasi inesistente, allorché le deduzioni del privato contengano valutazioni giuridiche, laddove è sufficiente che l'Amministrazione ribadisca il proprio intendimento, anche alla luce delle tesi” (Consiglio di Stato sez. IV, 24/02/2017, n.873).
16.5. In ogni caso il procedimento di adozione dell’ordinanza di acquisizione dell’area al patrimonio comunale ha natura vincolata e doverosa e pertanto non richiede alcun apporto partecipativo del privato, sicché il mancato esame delle memorie presentate dall’interessato potrebbe al configurarsi come vizio non invalidante ai sensi dell’art 21 octies co. 2 l. 241/90.
17. L’appello va, conclusivamente, respinto.
18. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2023, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Massimiliano Tarantino, Presidente FF
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore