Pubblicato il 07/02/2023
N. 01327/2023REG.PROV.COLL.
N. 06168/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 6168 del 2018, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Leone e
Francesca Carmela Verdoliva, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pompei, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Pasquale OMISSIS e OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 01454/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2023 il Consigliere Lorenzo Cordì e udito per parte appellante l’avvocato Paolo Leone;
Viste le conclusioni rassegnate dalle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. Umberto OMISSIS è proprietario di due appezzamenti di terreno siti nel territorio del Comune di Pompei: i) il primo di superficie catastale di are 16,00 (OMISSIS); ii) il secondo di superficie catastale di are 27,89 (OMISSIS). Tali fondi erano concessi in locazione al sig. OMISSIS, in proprio e in qualità di legale rappresentante pro tempore della OMISSIS, con contratto del OMISSIS, registrato presso l’Agenzia delle Entrate di OMISSIS il OMISSIS. Tale contratto conferiva la locazione degli immobili ad uso esclusivo di deposito e il conduttore si dichiarava consapevole di tutti i vincoli paesaggistici ed urbanistici esistenti sull'immobile e nella zona. L’Amministrazione comunale accertava, tuttavia, l’illegittimo mutamento di destinazione d’uso degli immobili nonché la realizzazione di opere senza titolo e, per tale ragione, emetteva l’ordinanza n. OMISSIS, comunicata anche al sig. OMISSIS.
2. Con ricorso iscritto al n. R.G. 5089/2012 il sig. OMISSIS impugnava l’ordinanza comunale dinanzi al T.A.R. per la Campania – sede di Napoli articolando, a sostegno della domanda di annullamento, due motivi: i) con il primo deduceva l’illegittimità dell’ordine in quanto rivolto al proprietario non responsabile e impossibilitato ad ottemperare; ii) con il secondo deduceva come obbligato alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi dovesse considerarsi il solo responsabile dell’abuso e non anche il proprietario dell’immobile il quale doveva, al contrario, ritenersi estraneo sia al comando che alle conseguenze derivanti dall’inadempimento.
2.1. In data 1.10.2013 il sig. OMISSIS depositava ricorso per motivi aggiunti avverso il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza n. OMISSIS, deducendone l’illegittimità: i) per estraneità del proprietario alla realizzazione dell’abuso ed impossibilità dello stesso di ottemperare all’ordine di demolizione; ii) per omessa indicazione del bene e dell’area di sedime oggetto di acquisizione.
2.2. il T.A.R. per la Campania – sede di Napoli respingeva il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, con sentenza n. 1454/2018, con la quale osservava che: i) il proprietario, sebbene non responsabile dell’abuso, è, comunque legittimamente destinatario dell’ordine di demolizione che, al contrario, è condizione necessaria per la prosecuzione del procedimento sanzionatorio assumendo, quindi, una funzione garantistica; ii) l’impossibilità di esecuzione dell’ordinanza non si traduce nell’illegittimità della stessa ma comporta solo l’inidoneità del provvedimento repressivo a costituire titolo per l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale; iii) affinché sia predicabile l’effettiva impossibilità di esecuzione dell’ordinanza da parte del proprietario incolpevole è, comunque, necessario che lo stesso si adoperi esercitando i poteri di vigilanza e cura spettanti anche in caso di locazione del bene e, quindi, di mancanza di disponibilità dello stesso; iv) nel caso di specie, il proprietario di limita a comunicare il grave inadempimento contrattuale senza adottare ulteriori iniziative; v) l’impugnazione del verbale di accertamento dell’inottemperanza è inammissibile in quanto proposta avverso un atto endoprocedimentale.
3. Il Sig. OMISSIS appellava la sentenza articolando cinque motivi: i) con il primo motivo ne deduceva l’erroneità osservando come l’ordine di demolizione non potesse essere rivolto al proprietario incolpevole e sprovvisto degli strumenti per poter eliminare l’abuso realizzato dal conduttore; ii) con il secondo motivo ne deduceva l’erroneità osservando come la previsione di cui all’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 comporti l’acquisizione dell’area solo in caso di mancata demolizione e/o ripristino dello stato dei luoghi da parte del responsabile dell’abuso e che, pertanto, le conseguenze sanzionatorie previste da tale disposizione non possono investire la sfera giuridica del proprietario incolpevole ed impossibilitato all’esecuzione dell’ordinanza; iii) con il terzo motivo ne deduceva l’erroneità nella parte in cui non annullava i provvedimenti impugnati per violazione del disposto di cui all’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 che impone l’individuazione del bene da acquisire, nonché dell’area di sedime necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive; iv) con il quarto motivo deduceva l’erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti osservando come tali censure fossero “collegate al ricorso principale da vincolo di dipendenza e finalizzate, in particolare, a motivare la richiesta sospensiva”; v) con il quinto motivo deduceva l’illegittimità della condanna alle spese ritenendola ingiustificata ed osservando come l’attività effettuata per la difesa dell’Ente fosse stata “minima”; pertanto la somma liquidata (pari a 2.500 euro, oltre accessori di legge) risultava “eccessivamente elevata”.
4. Si costituiva in giudizio il Comune di Pompei chiedendo di respingere il ricorso in appello.
5. In vista dell’udienza pubblica del 2.2.2023 le parti depositavano memorie difensive finali. Successivamente le parti richiedevano congiuntamente il differimento della trattazione della controversia deducendo come la Società conduttrice avesse manifestato la volontà a rimuovere le opere abusive. All’udienza del 2.2.2023 la causa era trattenuta in decisione.
6. Preliminarmente il Collegio respinge l’istanza di rinvio formulata dalle parti non potendosi ritenere che la mera disponibilità a rimuovere gli abusi da tempo presenti sull’area costituisca uno di quei casi eccezionali in cui la previsione di cui all’art. 73, comma 3-bis, c.p.a. ammette il differimento della trattazione della controversia.
7. Entrando, quindi, in medias res il Collegio osserva come il primo motivo di ricorso in appello sia infondato atteso che la previsione di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, nell'individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell'abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo dell’ordine di demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso. Tale potere compete, indubbiamente, al proprietario, anche se non responsabile in via diretta, in quanto il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non coincide con l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma è correlato all'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico-edilizia, e all'individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l'ordine ripristinatorio, ossia il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale. Del resto, l’ordinanza di demolizione costituisce una misura di carattere reale volta a reprimere un illecito di natura permanente e ciò legittima l’individuazione del proprietario tra i soggetti che simile illecito è onerato a rimuovere (cfr., per il principio, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 17.10.2017, n. 9).
7.1. Da tale natura ripristinatoria consegue che la misura demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti del proprietario del bene, anche se diverso dal responsabile dell'abuso e anche se estraneo alla commissione dell'abuso stesso e ciò in quanto l'abusività dell'opera è una connotazione di natura reale: segue l'immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo, con l'effetto che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall'attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell'abuso medesimo. In sostanza, l’ordinanza di demolizione è correttamente comunicata al proprietario anche al fine di consentire allo stesso, ove privo della disponibilità del bene, di porre in essere tutte le attività necessarie, ivi compresi gli atti che consentano di riacquisire la disponibilità del bene e di ottemperare all’ordine. L’impossibilità di provvede alla demolizione per mancanza di disponibilità del bene non si traduce, quindi, nell’illegittimità dell’ordine ma può assumere rilievo solo nelle successive ed eventuali fasi del procedimento delineato dalle previsioni contenute all’interno dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.
8. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso in appello considerato che il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi al T.A.R. per la Campania è la sola ordinanza di demolizione che, per le ragioni spiegate nella disamina del primo motivo di ricorso in appello, deve comunicarsi al proprietario del bene.
8.1. Le conseguenze sanzionatorie ulteriori a cui allude parte appellante (e, in particolare, l’acquisizione del bene e dell’area di sedime) costituiscono, come in parte già anticipato, misure successive ed ulteriori da adottarsi in caso di inottemperanza e previa verifica della responsabilità dei singoli destinatari dell’ordine. Infatti, la condizione di estraneità o di buona fede soggettiva al momento della commissione dell’illecito può assumere rilievo unicamente ai fini della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Nel caso di specie, tuttavia, tale provvedimento non è oggetto di giudizio né consta che sia stato adottato da parte del Comune. Le censure dell’appellante risultano, quindi, non correttamente calibrate in quanto rivolte all’ordine di demolizione che, come spiegato, prescinde dalla condizione di estraneità o di buona fede soggettiva e, persino, dall’impossibilità di ottemperare immediatamente alla demolizione dell’abuso mentre si tratta di questioni che possono assumere rilievo rispetto all’acquisizione al patrimonio comunale che, tuttavia, non risulta disposta o, comunque, non costituisce uno dei provvedimenti oggetto del giudizio. Da tali considerazioni si evince l’irrilevanza in questa fase del procedimento: i) della mancata affermazione di responsabilità penale dell’appellante; ii) delle contestazioni rivolte dal Sig. OMISSIS al conduttore responsabile dell’abuso. Fermo restando, in ordine a quest’ultimo aspetto, come sia, comunque, necessario - per escludere l’acquisizione - un comportamento attivo da parte del proprietario che, utilizzando i rimedi appositamente prescritti dall’ordinamento, ponga in essere ogni attività necessaria per rientrare nel possesso del bene e rimuovere l’abuso.
9. Con il terzo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non annullava i provvedimenti impugnati per violazione del disposto di cui all’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 che impone l’individuazione del bene da acquisire, nonché dell’area di sedime necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive.
9.1. La censura è infondata. Infatti, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate rappresenta una misura avente come presupposto la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione entro il termine fissato dalla legge nonché la sussistenza di una responsabilità in capo a chi la subisce (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 novembre 2022, n. 10358). In particolare, i procedimenti repressivi in materia edilizia, culminanti con l'atto di acquisizione della proprietà privata al patrimonio comunale, devono seguire una corretta scansione procedimentale, che consenta al privato di adempiere correttamente al provvedimento demolitorio al fine di evitare l'estrema conseguenza della perdita della proprietà. Tale scansione procedimentale è costituita dal provvedimento di demolizione, con cui viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli; dall'accertamento della inottemperanza alla demolizione tramite un verbale che accerti la mancata demolizione; dall'atto di acquisizione al patrimonio comunale che costituisce il titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione dell'acquisto della proprietà in capo al Comune. In particolare, tale atto deve individuare il bene oggetto di acquisizione e la relativa area di sedime, nonché l'eventuale area ulteriore, nei limiti del decuplo della superficie abusiva, la cui ulteriore acquisizione deve essere specificamente motivata con riferimento alle norme urbanistiche vigenti. In definitiva, la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all'ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall'art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001, richiede un provvedimento amministrativo che definisca l'oggetto dell'acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato. Il titolo per l'immissione in possesso del bene e per la trascrizione nei registri immobiliari è costituito dall'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire, ma per tale atto deve intendersi non il mero verbale di constatazione di inadempienza, atteso il suo carattere endoprocedimentale e dichiarativo delle operazioni effettuate durante l'accesso ai luoghi, ma solo il formale accertamento, che faccia proprio l'esito del verbale e che costituisca, quindi, il titolo ricognitivo idoneo all'acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate. Il relativo provvedimento necessita che in esso siano esattamente individuate ed elencate le opere e le relative pertinenze urbanistiche dal momento che costituisce titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 novembre 2022, n. 10360).
9.2. Declinando i principi esposti al caso di specie si ribadisce come tra i provvedimenti impugnati non vi sia quello di acquisizione al patrimonio comunale che, neppure, risulta adottato. Pertanto, le censure dell’appellante non possono condividersi atteso che è solo a tale provvedimento che compete la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato.
10. Per le ragioni appena esposte risulta infondato anche il quarto motivo del ricorso in appello, relativo alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti nella parte relativa al verbale di accertamento dell’inottemperanza. Infatti, la ratio decidendi della statuizione di primo grado riposa sul carattere endoprocedimentale del verbale da cui consegue correttamente l’inammissibilità della domanda di annullamento proposta. Né assumono rilievo le considerazioni esposte da parte appellante atteso che il vincolo di dipendenza tra ricorso introduttivo e ricorso per motivi aggiunti non elide la necessità di verificare l’ammissibilità della domanda contenuta nel secondo di tali atti processuali.
11. Parimenti infondato può ritenersi l’ultimo motivo di ricorso in appello con il quale la parte lamenta l’ingiustizia della decisione di condannarla al pagamento delle spese di lite.
11.1. Osserva il Collegio come la previsione di cui all’art. 26 c.p.a. operi, salvo che per aspetti qui non in rilievo, un esplicito rinvio alle disposizioni del codice di rito, e segnatamente alle previsioni di cui agli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c., per la definizione del regime delle spese processuali. Il reticolo di norme suindicato è incentrato sul principio generale secondo cui la parte soccombente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte risultata vittoriosa. Tale principio, a mente della previsione di cui all’art. 92 c.p.c., può essere derogato con la diversa regola della compensazione. Evenienza questa sottoposta a progressive restrizioni da parte del legislatore che hanno via via eroso i margini di discrezionalità spettanti al giudice procedente. Segnatamente, nella versione della citata disposizione quale risultante dall'art. 13, comma 1, del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, le spese potevano essere compensate nei soli casi di “soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”. Tale disposizione è incisa dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza 7 marzo-19 aprile 2018, n. 77, della Corte Costituzionale che ravvisa la contrarietà a Costituzione della previsione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Nell'assetto sopra definito, e nonostante l'introduzione per via giurisdizionale di una clausola residuale idonea ad accreditare come fattispecie derogatorie anche ulteriori cause diverse ed aggiuntive rispetto a quelle elencate dal legislatore, rimane fermo il principio che pone i criteri della soccombenza e della compensazione in rapporto di regola ed eccezione, confinando, peraltro, l'ammissione di una deroga al principio generale solo entro gli stretti margini di ulteriori fattispecie contraddistinte dai predicati della “gravità” e della “eccezionalità”.
11.2. Nel caso di specie, le spese sono regolate secondo soccombenza e non sussistono ragioni per compensarle. Infatti, non vi è soccombenza reciproca o assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti; né sono dedotte ragioni di gravità ed eccezionalità. In ultimo, neppure può condividersi l’assunto secondo il quale la difesa del Comune risulterebbe “minima”. Infatti, il Comune deposita memoria difensiva in data 3.10.2013 e memoria di replica in data 30.1.2018, svolgendo le proprie difese sia nella fase cautelare che in quella di merito e presenziando, per il tramite del legale incaricato, ad entrambe le udienze di trattazione delle domande. La somma liquidata risulta, pertanto, congrua.
12. In considerazione di quanto esposto il ricorso deve respingersi in quanto infondato.
13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. OMISSIS a rifondere al Comune di Pompei le spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere, Estensore
Giovanni Gallone, Consigliere
L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Lorenzo Cordi' |
Giancarlo Montedoro |
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IL SEGRETARIO