a) ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascun interessato; non dunque a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine, come invece hanno ipotizzato le ordinanze di rimessione;
b) a procedere quindi ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se gli interessati abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative di cui al sopra richiamato art. 14 della direttiva 2005/36/CE.
Pubblicato il 28/12/2022
N. 00018/2022REG.PROV.COLL.
N. 00026/2022 REG.RIC.A.P.
N. 00027/2022 REG.RIC.A.P.
N. 00028/2022 REG.RIC.A.P.
N. 00029/2022 REG.RIC.A.P.
N. 00030/2022 REG.RIC.A.P.
N. 00031/2022 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 26 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS , rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Sull’appello n. 27 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Sull’appello n. 28 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Sull’appello n. 29 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Sull’appello n. 30 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Sull’appello n. 31 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria, proposto dalla signora OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Cicenia, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
contro
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
quanto al ricorso n. 26 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 12017/2019,
quanto al ricorso n. 27 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 9587/2019,
quanto al ricorso n. 28 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 9583/2019,
quanto al ricorso n. 29 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 9585/2019,
quanto al ricorso n. 30 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 12011/2019,
quanto al ricorso n. 31 del 2022:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione terza-bis) n. 9584/2019,
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
Viste le ordinanze della VII sezione in data 1° luglio 2022, nn. 5519, 5520, 5521, 5522, 5523 e 5524;
Viste le memorie e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti l’avvocato Donato Cicenia e l’avvocato dello Stato Maria Teresa Lubrano Lobianco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La VII sezione di questo Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria alcune questioni di diritto concernenti il riconoscimento in Italia delle qualifiche professionali conseguite all’estero, ai fini dell’accesso nel territorio italiano ad attività professionali oggetto di regolamentazione normativa o amministrativa, definite pertanto «professioni regolamentate» dalla direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali).
2. La direttiva ora citata, recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania), ha istituito un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in ciascun Paese dell’Unione europea, finalizzato a consentire ai cittadini europei di accedere a ‘professioni regolamentate’ presso gli altri Stati membri dell’Unione, in condizioni di parità con i cittadini del Paese estero, diverso da quello d’origine, presso il quale si intende esercitare l’attività.
Come enunciato dall’art. 1 della direttiva 2005/36/CE, questa «fissa le regole» in base alle quali ciascuno Stato membro dell’Unione, «che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio a possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (…) e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione».
3. Per quanto poi rileva ai fini del presente contenzioso, la direttiva 2005/36/CE definisce «professione regolamentata» quella per il cui accesso è richiesto «direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, (i)l possesso di determinate qualifiche professionali» [art. 3, par. 1, lett. a)]. Le «qualifiche professionali» sono a loro volta quelle «attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza (…) e/o un’esperienza professionale» [art. 3, par. 1, lett. b)],
4. In base al sistema di riconoscimento istituito dalla direttiva, la «Stato membro ospitante», cui è rivolta l’istanza dall’interessato qualificatosi in altro Paese membro dell’Unione, consente l’esercizio di una ‘professione regolamentata’ «alle stesse condizioni dei suoi cittadini», quando lo stesso richiedente sia «in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione prescritto, per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio» (art. 13, par. 1).
L’art. 13 precisa che gli attestati - di competenza o i titoli di formazione sulla cui base deve svolgersi il riconoscimento della qualifica professionale conseguita in un altro Stato membro (Stato d’origine) - devono «essere stati rilasciati da un’autorità competente» di quest’ultimo e devono inoltre attestare «un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante».
5. In mancanza dei necessari attestati di competenza o titolo di formazione, è nondimeno consentito il riconoscimento a favore dei «richiedenti che abbiano esercitato a tempo pieno la professione di cui a tale paragrafo per due anni nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti e abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione» (art. 13, par. 2).
6. Tutto ciò premesso, le ordinanze di rimessione sopra richiamate traggono origine dalle controversie tra le appellanti e l’(allora denominato) Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che ai fini dell’accesso in Italia alla professione di insegnante della scuola pubblica ha negato alle prime l’idoneità delle qualifiche da loro ottenute in Bulgaria all’esito del corso di formazione professionale post universitario in «scienze pedagogiche, indirizzo professionale pedagogia dell’insegnamento», presso l’Università di Veliko Tarnovo, che le interessate hanno frequentato dopo avere conseguito in Italia la laurea «nelle discipline idonee all’insegnamento nelle classi di concorso così come normate ordinamentalmente in subiecta materia» (così negli appelli).
7. Preso atto che, secondo quanto attestato dalla competente autorità bulgara (NACID), la formazione professionale svolta dalle medesime ricorrenti in quel Paese non vi consente l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, con i provvedimenti impugnati con i ricorsi di primo grado il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha respinto le domande di riconoscimento, sul presupposto che ai sensi del sopra richiamato art. 13, par. 2, della direttiva 2005/36/CE per ciascuna di esse non era stato dimostrato l’esercizio della professione di insegnante per almeno un anno.
8. Le interessate hanno dedotto l’illegittimità dei dinieghi di riconoscimento, deducendo che non è stata svolta alcuna verifica in concreto sui livelli di competenza acquisiti sulla base della frequenza del corso professionale svolto all’estero, con violazione delle regole sulle libertà di circolazione dei lavoratori e di stabilimento sancite agli artt. 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE); ed inoltre per non avere tenuto conto che le attestazioni della competente autorità bulgara sono state rilasciate in considerazione del fatto che la formazione professionale ivi svolta da ciascuna delle ricorrenti è destinata a non laureati, laddove le stesse hanno invece conseguito in Italia una laurea che consente l’accesso alla professione di insegnante.
9. In primo grado i ricorsi sono stati respinti dal TAR per il Lazio - sede di Roma con le sentenze indicate in epigrafe, le quali hanno rilevato che i provvedimenti impugnati risultano conformi al sopra citato art. 13, par. 2, della direttiva 2005/36/CE, tenuto conto delle attestazioni dell’autorità bulgara.
10. Nei conseguenti giudizi d’appello, in cui le sopra sintetizzate censure sono state riproposte, la VII sezione si domanda se in applicazione delle libertà fondative dell’Unione, sancite dai sopra citati artt. 45 e 49 TFUE, e della giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia, il Ministero dell’istruzione - competente per il riconoscimento del titolo di formazione professionale conseguito all’estero ai fini dell’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante - possa «prescindere dalle valutazioni effettuate dalle Autorità degli Stati membri nei quali i predetti titoli sono stati rilasciati». 11. In questa prospettiva la sezione rimettente si domanda se il Ministero possa svolgere un’autonoma valutazione delle competenze professionali acquisite, e quindi «del percorso di formazione» in concreto svolto all’estero, sulla base di una «verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta», fatta comunque salva la possibilità di imporre «a tal fine specifiche misure compensative», ai sensi dell’art. 14 della direttiva.
La sezione si domanda ulteriormente se il riconoscimento sia possibile o doveroso anche in mancanza di un attestato di competenza o di un titolo di formazione richiesto nello Stato estero d’origine per l’esercizio di una ‘professione regolamentata’ ed infine se al medesimo riguardo possa prescindersi dal requisito di un anno di esperienza professionale.
DIRITTO
1. In via preliminare può essere disposta la riunione dei giudizi ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., per le ragioni di connessione (impropria) derivanti dall’essere gli stessi vertenti sulle medesime questioni di diritto.
2. Nel merito, prima di esaminare le questioni di diritto sottoposte all’esame dell’Adunanza Plenaria, va premesso che in ciascuna delle sei controversie in decisione sono pacifici i seguenti fatti:
-- le appellanti, cittadine italiane, hanno conseguito in Italia un diploma di laurea che consente loro di accedere alla professione di insegnante di istituzioni scolastiche statali all’esito dei percorsi abilitanti previsti dalla legge, secondo quanto dalla stessa dichiarato e non ex adverso contestato;
-- nondimeno, in mancanza di questi ultimi, esse hanno frequentato in Bulgaria un corso di formazione professionale post-universitario in scienze pedagogiche presso un istituto accreditato in base alla legislazione di quel Paese;
-- secondo quanto attestato dalla competente autorità bulgara, la formazione ivi ricevuta da ciascuna appellante non consente in Bulgaria l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, per la quale è invece necessaria la frequenza di un corso di studi di livello universitario;
-- in mancanza dei necessari attestati di competenza o del titolo di formazione, comprovanti ai sensi dell’art. 13, par. 1, della direttiva 2005/36/CE il possesso della qualifica professionale necessaria per l’accesso nel Paese d’origine alla ‘professione regolamentata’, le appellanti non hanno ivi svolto nemmeno l’anno di esercizio della professione che ai sensi del paragrafo 2 della medesima disposizione consentirebbe loro ugualmente il riconoscimento della formazione professionale ai fini dell’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante.
2. Tutto ciò premesso, a fronte della descritta situazione di fatto, che caratterizza ciascuna controversia, le ordinanze di rimessione della VII sezione chiedono a questa Adunanza plenaria di chiarire se il Ministero resistente possa «prescindere» dell’attestato rilasciato dalla competente autorità estera e quindi riconoscere il «percorso di formazione» seguito presso il Paese d’origine, sulla base del livello di competenza da esso ricavabile, e quindi «soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta», fatta salva in ogni caso la possibilità imporre «a tal fine specifiche misure compensative».
Nella direzione di un riconoscimento in concreto della formazione svolta all’estero, le ordinanze di rimessione chiedono di chiarire se il «riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile)», anche in mancanza dei requisiti previsti dal più volte citato art. 13, par. 1 e 2, della direttiva 2005/36/CE, e dunque dell’attestato di competenza o del titolo di formazione necessari per l’esercizio nello Stato di origine di una ‘professione regolamentata’, o in sua mancanza di un anno di esperienza professionale.
4. Ai quesiti così sintetizzati deve essere data risposta positiva.
5. Deve premettersi che l’orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia dell’Unione europea richiamato dalle appellanti si è formato in relazione al ‘riconoscimento automatico’, che in base alla direttiva 2005/36/CE (artt. 10 e 21) è previsto per alcune professioni tassativamente previste, per le quali si ritenuto che i sistemi di formazione nazionale avessero raggiunto un rilevante grado di armonizzazione tale da non richiedere per la relativa circolazione a livello sovranazionale una fase amministrativa di riconoscimento, come invece per il sistema generale di cui si controverte nel presente giudizio.
La Corte di giustizia ha statuito, che anche in mancanza del titolo di formazione ottenuto presso lo Stato d’origine, l’autorità del Paese ospitante è tenuta ad accertare le competenze professionali comunque risultanti dalla documentazione presentata dall’interessato e a compararle con quella previste dalla legislazione interna per l’accesso alla professione.
Sulla base del richiamo alla propria giurisprudenza, formatasi sull’applicazione delle libertà di circolazione dei lavoratori e di stabilimento sancite agli artt. 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Corte di giustizia ha affermato il principio secondo cui le autorità competenti del Paese ospitante «sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalle legislazione nazionale» (Corte di giustizia UE, sentenza 8 luglio 2021, C-166/20; § 34).
La Corte ha inoltre precisato che il principio così enunciato è «insito nelle libertà fondamentali sancite dal Trattato FUE» e che esso, pertanto, «non può perdere una parte della sua forza giuridica in conseguenza dell’adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi», poiché le disposizioni in esso contenute «mirano a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», e non già di porre le condizioni per «rendere più difficile il riconoscimento di tali diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate» (sentenza 8 luglio 2021, C-166/20, ora richiamata; §§ 35 e 36).
6. Tutto ciò premesso con riguardo al regime di ‘riconoscimento automatico’, deve porsi in rilievo che all’attuazione delle medesime libertà fondamentali è ispirata la direttiva 2005/36/CE nel suo complesso.
Nel considerando 1 se ne enuncia il presupposto normativo e gli obiettivi perseguiti, nei seguenti termini: «ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità»; ed «essa comporta (per i cittadini degli Stati membri), tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale».
Se ne desume che, come il sistema automatico, anche quello generale di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in ciascun Paese membro, attraverso la verifica amministrativa dei titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, è funzionale alla circolazione in ambito sovranazionale dei lavoratori e dei servizi, e nello specifico all’accesso alle ‘professioni regolamentate’, soggette cioè in base alla legislazione nazionale al possesso di una necessaria qualificazione, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato ospitante.
7. I due regimi di riconoscimento sono dunque complementari e teleologicamente ordinati al medesimo obiettivo.
8. La richiesta nel sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali di una documentazione che comprovi la necessaria qualificazione - consistente nei sopra citati titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, o in alternativa di un’esperienza professionale minima, rispettivamente ai sensi dei paragrafi 1 e 2 del più volte menzionato art. 13 della direttiva 2005/36/CE - costituisce lo strumento attraverso il quale l’autorità competente di ciascuno Stato ospitante è posta nelle condizioni di svolgere la necessaria verifica sul possesso dei requisiti minimi per l’accesso alla ‘professione regolamentata’.
L’attività istruttoria sulla base della documentazione a sua volta emessa dallo Stato di origine, secondo quanto previsto dall’art. 13, si ispira quindi ad una logica di semplificazione, funzionale a favorire la circolazione delle qualificazioni professionali in ambito sovranazionale, che trae il proprio fondamento nella ‘fiducia reciproca’ delle attestazioni di competenza di ciascuna autorità chiamata a cooperare per il funzionamento del sistema istituito con la direttiva.
In ragione di ciò, la verifica dell’autorità del Paese ospitante ai fini del riconoscimento tende ad assumere i connotati dell’automatismo, coerenti con le esigenze di certezza del quadro regolatorio uniforme a livello nazionale e agli obiettivi di circolazione dei lavoratori e dei servizi perseguiti attraverso la direttiva.
9. Nella medesima ottica di favore non può dunque ritenersi esclusa, ma anzi deve ritenersi necessaria, una verifica in concreto delle competenze professionali comunque acquisite nel Paese d’origine dal richiedente il riconoscimento e della loro idoneità all’accesso alla ‘professione regolamentata’ in quello di destinazione.
In altri termini, il riconoscimento tipizzato dalla direttiva 2005/36/CE, normativamente predeterminato nel senso di una presa atto del titolo professionale, dell’attestazione di competenza, o dell’esperienza professionale acquisita dall’interessato, si colloca comunque in un sistema che, in vista dell’obiettivo di attuazione delle libertà economiche fondamentali dei Trattati europei, si propone di «facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», come enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con specifico riguardo al regime di riconoscimento automatico, ma con valenza espansiva anche per il regime generale di riconoscimento, demandato ad una fase amministrativa di verifica dei percorsi di formazione e acquisizione delle necessarie competenze professionali seguiti dall’interessato in ciascun Paese dell’Unione.
10. Nella prospettiva finora delineata, la mancanza dei documenti necessari ai sensi del più volte art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamentata’.
11. Tutto ciò considerato, le appellanti deducono che le attestazioni rilasciate a ciascuna di esse dalla competente autorità dello Stato d’origine (Bulgaria) si riferiscono ad una formazione professionale, quale quella nelle discipline pedagogiche esibita ai fini del riconoscimento in Italia, che - nel non consentire nello Stato d’origine l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante - presuppone che l’interessato non abbia seguito ed abbia portato a termine il necessario corso di studi universitario. Per contro, nel caso di specie è pacifico che ciascuna appellante ha conseguito una laurea che sempre in Italia consente l’accesso alla ‘professione regolamentata’ di insegnante in istituzioni scolastiche statali.
12. La peculiare posizione ora descritta induce a ritenere fondata le richieste delle medesime appellanti di essere sottoposte ad un esame che in concreto accerti il livello delle competenze professionali complessivamente acquisite da ciascuna, all’esito del suo percorso di studi in Italia e della successiva formazione professionale svolta in Bulgaria.
In conformità con quanto statuito dalla Corte di giustizia sentenza 8 luglio 2021, C-166/20 (resa in una vicenda analoga a quella oggetto della presente controversia, in cui il ricorrente aveva maturato la qualificazione professionale necessaria in parte in Patria ed in parte all’estero), il Ministero dell’istruzione è in altri termini tenuto:
-- ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascuna interessata; non dunque a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine, come invece hanno ipotizzato le ordinanze di rimessione;
-- a procedere quindi ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale», onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative di cui al sopra richiamato art. 14 della direttiva.
13. In applicazione dei principi di diritto ora enunciati, gli appelli vanno accolti senza necessità di restituzione della causa alla sezione rimettente, per la carenza di istruttoria di cui sono affetti i dinieghi di riconoscimento impugnati.
In esecuzione della presente pronuncia, il Ministero (ora dell’istruzione e del merito) dovrà quindi rideterminarsi sulle istanze di ciascuna interessata sulla base dei principi sopra enunciati.
La natura delle questioni controverse giustifica nondimeno la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, enuncia i principi di diritto di cui in motivazione e, in applicazione degli stessi, accoglie gli appelli e, per l’effetto, in riforma delle sentenze del TAR, accoglie i ricorsi di primo grado ed annulla gli atti con esso impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti.
Spese compensate dei due gradi dei giudizi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carmine Volpe, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marco Lipari, Presidente
Ermanno de Francisco, Presidente
Michele Corradino, Presidente
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Neri, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Federico Di Matteo, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
IL PRESIDENTE |
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Luigi Maruotti |
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L'ESTENSORE |
IL SEGRETARIO |
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Fabio Franconiero |
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