Giu Rimborso spese patrocinio legale per procedimento penale a seguito di assoluzione
TAR PUGLIA di BARI- SEZ. III - SENTENZA 29 dicembre 2022 N. 1829
Massima
Affinché sia possibile ottenere dall'Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese sostenute per il patrocinio legale, a seguito di procedimento penale a carico del dipendente, il fatto oggetto del giudizio deve essere compiuto nell’esercizio delle attribuzioni o delle mansioni affidate al dipendente e deve sussistere un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quella determinata condotta, e deve intendersi quale azione strumentale allo svolgimento del servizio e all’assolvimento dei doveri istituzionali.

Testo della sentenza
TAR PUGLIA di BARI- SEZ. III - SENTENZA 29 dicembre 2022 N. 1829

Pubblicato il 29/12/2022

N. 01829/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00429/2022 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 429 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Tarara e Leonardo Trecca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, 97;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- della determinazione adottata da Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale per gli Affari Generali e le Politiche del Personale della Polizia di Stato - in data 17.11.2021 nr. 333.A/U.C. 36956 TL, di rigetto dell’istanza di rimborso delle spese legali ai sensi dell’art. 18 decreto-legge n. 67 del 25.3.1997, convertito nella legge n. 135 del 23.5.1997, trasmesso con nota di accompagnamento n. 2200001096 rep. 250A.2 del 24.1.2022, avente ad oggetto: 1) sovrintendente della Polizia di Stato -OMISSIS-. Istanza di rimborso delle spese legali ai sensi dell’art. 18 D.L. n. 67 del 25.03.1997, convertito in L. n. 135 del 23.5.1997 (in relazione al procedimento penale n. -OMISSIS-/08 r.g.n.r. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucera) provvedimento di diniego, notificato a mani in data 26.1.2022; 2) del recupero delle somme erogate per € 2.500,00 a titolo di anticipo con decreto in data 4.8.2009;

- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale ed, in particolare, la nota di trasmissione/accompagnamento del provvedimento di rigetto;

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2022 per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO e DIRITTO

1. - L’odierno ricorrente -OMISSIS-, Sovrintendente in forza alla Sezione Polizia Stradale di Foggia ed in servizio presso la Sottosezione Polizia Stradale di Foggia, rimaneva coinvolto in un procedimento penale in relazione al reato di peculato in concorso con il collega -OMISSIS- (perché “in qualità di agenti della Polizia Stradale di Foggia, durante l’espletamento del servizio di pattuglia autostradale, avendo rinvenuto nell’area di servizio della A14 San Trifone Ovest, il giubbotto di proprietà di -OMISSIS-, che veniva prelevato ed ispezionato al fine di verificarne il contenuto, si appropriavano della somma di Euro 5.200,00, che il proprietario custodiva nella tasca anteriore destra, abbandonando poi l’indumento sulla seconda piazzola di sosta successiva all’area di servizio”- in agro di Apricena, il 24.5.2008).

In data 28.4.2009 l’-OMISSIS- presentava domanda ex art. 18 decreto-legge n. 67/1997 per ottenere il rimborso delle spese di patrocinio legale, sostenute nei procedimenti penali instaurati nel 2010 (primo grado) e 2011 (secondo grado) a suo carico.

Entrambi gli imputati venivano assolti con sentenza del 26.5.2011 del Tribunale di Lucera, in composizione Collegiale, sentenza successivamente confermata dalla Corte di Appello di Bari in data 29.4.2014.

In virtù della sentenza assolutoria, il deducente inoltrava nuovamente al Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane, Ufficio II Contenzioso e Affari Legali, Servizio Tutela Legale, in data 15-21.12.2015, la domanda di rimborso per le spese di patrocinio legale, sostenute per il procedimento penale de quo.

Detta domanda veniva respinta dal Ministero dell’Interno, Direzione Centrale per gli Affari Generali e le Politiche del Personale della Polizia di Stato con la gravata determinazione del 17.11.2021.

Con nota del 20.12.2018 il Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, comunicava i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, non ravvisando, dalla lettura degli atti giudiziari e della documentazione trasmessa nella fattispecie, quella connessione teleologica tra la condotta del dipendente e l’adempimento del servizio, posta dalla giurisprudenza a fondamento del beneficio richiesto, come confortato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

Il Ministero dell’Interno, Direzione Centrale per gli Affari Generali e le Politiche del Personale della Polizia di Stato, nel comunicare, tramite il Sevizio Contenzioso e Affari Legali, il parere negativo espresso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, invitava il ricorrente a far pervenire eventuali osservazioni, che -OMISSIS- provvedeva ad inoltrare insieme ad una formale opposizione al preavviso di diniego.

A conclusione del summenzionato procedimento, il Ministero dell’Interno, Direzione Centrale per gli Affari Generali e le Politiche del Personale della Polizia di Stato, Sevizio Contenzioso e Affari Legali, con la censurata determinazione a firma del Direttore del Servizio, rigettava la domanda di rimborso per mancanza “anche del requisito della connessione della condotta tenuta [...] con il regolare svolgimento degli obblighi istituzionali” sulla base del parere espresso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari.

Con l’atto introduttivo del presente giudizio il ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe indicati, deducendo un’unica censura così sinteticamente riassumibile:

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 decreto-legge n. 67/1997, convertito nella legge n. 135/1997; eccesso di potere per travisamento dei presupposti, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

2. - Si costituiva il Ministero dell’Interno, resistendo al gravame.

3. - Nel corso dell’udienza pubblica del 30 novembre 2022 la causa passava in decisione.

4. - Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Giudice che il ricorso debba essere accolto in quanto fondato.

Invero, l’art. 18 decreto-legge n. 67/1997 convertito con modificazioni dalla legge n. 135/1997 (la cui applicazione è invocata da parte ricorrente con l’atto introduttivo del presente giudizio) così statuisce:

«1. Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità.

2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, valutato in lire 2 miliardi per l’anno 1997 e in lire 3 miliardi annui a decorrere dal 1998, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1997-1999, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno finanziario 1997, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero del tesoro.».

La finalità del menzionato art. 18 decreto-legge n. 67/1997 è quella di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio (e, dunque, di consentire lo svolgimento sereno delle funzioni e dei servizi pubblici) e tenere indenni i soggetti dalle spese legali, affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei propri compiti istituzionali; con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza, in quanto vi sia un rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza.

In sostanza, il fatto oggetto del giudizio deve essere compiuto nell’esercizio delle attribuzioni o delle mansioni affidate al dipendente e deve sussistere un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quella determinata condotta, e deve intendersi quale azione strumentale allo svolgimento del servizio e all’assolvimento dei doveri istituzionali (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 23 settembre 2015, n. 4448; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2017, n. 4584).

Nel caso di specie, ritiene questo Giudice che ricorrano tutti i presupposti stabiliti dalla norma per il rimborso invocato dall’-OMISSIS-, atteso che è pienamente ravvisabile la sussistenza di quel nesso di stretta funzionalità tra l’attività posta in essere dal medesimo (da cui è originato il procedimento penale innanzi all’Autorità giudiziaria: aver recuperato un ostacolo di colore scuro, uscendo da area di servizio a bordo di equipaggio automontato, consistente in un giubbotto di colore nero; dopo averlo esaminato e non rinvenendo nulla che potesse ricondurlo al proprietario, gli agenti decidevano di lasciarlo a ridosso dei cestini dei rifiuti posizionati nella piazzola di sosta autostradale, distante circa 300 metri dall’area di servizio ove veniva rinvenuto) e l’espletamento delle attività di servizio (cfr. art. 4.2 delle Linee guida relative a “L’espletamento dei servizi della Polizia Stradale in Autostrada e sulle strade extra-urbane principali” fornito dallo stesso Ministero dell’Interno ed intitolato “Rimozione di ostacoli accidentali presenti sulla sede stradale”).

Sono, dunque, pertinenti i principi affermati da Cons. Stato, Sez. IV, 11.11.2020, n. 6928:

«… La disposizione, …, si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione, e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’. La citata disposizione è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8146).

In tale contesto, il rimborso delle spese legali costituisce un meccanismo volto ad imputare al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi abbia agito per suo conto, per cui siffatto meccanismo di imputazione può operare solo in quanto sia ravvisabile quel rapporto di stretta dipendenza, nonché quel nesso di strumentalità tra l’adempimento del doveri istituzionali e il compimento dell’atto, non potendo il dipendente assolvere ai propri compiti, se non tenendo quella determinata condotta (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2020, n. 281). …».

Ancora Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2021, n. 1340 ha evidenziato che “la disposizione de qua richiede che la condotta del dipendente statale cui sia stato ascritto rilievo penale (poi escluso da pronuncia assolutoria) sia stata posta in essere allo scopo esclusivo o, quanto meno, primario di adempiere ad un dovere pubblicistico o, comunque, al fine di soddisfare un interesse pubblico”.

Con una motivazione insufficiente, invece, il Ministero resistente asserisce che il contegno posto in essere dal ricorrente in occasione della rimozione del capo di abbigliamento dalla corsia di accelerazione in uscita dall’area di servizio San Trifone Ovest “non può essere considerata attività di servizio ma una mera condotta tenuta nell’orario di lavoro, costituendo dunque l’attività lavorativa mera occasione del fatto, né in senso contrario si può eccepire che si è adempiuto a un dovere rappresentato dalla rimozione di un ostacolo che poteva creare pericolo alla circolazione”.

Ed invero, con riferimento al presupposto ex art. 18 decreto-legge n. 67/1997 della connessione dei fatti contestati con l’espletamento del servizio, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24.2.2015, n. 187 ritiene che “… il rimborso previsto dall’art. 18 cit. si propone di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse della P.A., dalle spese legali sopportate per i procedimenti giudiziari relativi agli atti strettamente connessi all’espletamento dei compiti istituzionali: la “ratio” della disposizione è, perciò, quella di tenere indenne il dipendente pubblico dai danni dal medesimo subiti a causa dell’espletamento dei propri compiti, richiamandosi a tal fine pure una certa analogia con le norme dettate dal codice civile per regolare il rapporto di mandato e quindi con l’unico limite che non sussista, in atto, alcun conflitto di interessi tra le posizioni processuali delle parti (v. T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 5 maggio 2014, n. 210). …”.

In senso analogo si è espresso T.A.R. Piemonte, Torino, I, 23.4.2012, n. 492 secondo cui “La disposizione dell’art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 è meramente confermativa del principio generale di rimborsabilità delle spese legali sopportate dal dipendente pubblico assolto da un giudizio di responsabilità occorsogli per ragioni di servizio - anche in ossequio alla regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, c.c. in tema di rapporti tra mandante e mandatario, secondo la quale il mandatario ha diritto di esigere dal mandante il risarcimento dei danni subiti a causa dell’incarico, che declina e traduce, a sua volta, il principio generale dell’ordinamento di divieto di locupletatio cum aliena iactura (cfr. Cons. Stato. Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681)”.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 11.7.2019, n. 9172 ha anch’esso rilevato che “L’Amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente assolto in esito ad un processo penale solo quando i fatti oggetto dell’imputazione siano connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali e non quando il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti a lui imputati, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza”.

È dunque evidente come la ragione che ha determinato l’Amministrazione ad adottare il gravato diniego del rimborso delle spese legali è ravvisabile nell’errato ragionamento secondo cui il rapporto di lavoro abbia costituito una mera occasione per la commissione dei fatti imputati al ricorrente: ebbene, a tale assunto l’Amministrazione giunge senza illustrare in alcun modo l’iter logico seguito al fine di sostenere che la condotta posta in essere dal Sovrintendente -OMISSIS- non rientrava nell’attività di servizio.

La carenza motivazionale descritta è tale da integrare sia la violazione dell’art. 3 legge n. 241/1990, sia anche profili di eccesso di potere, in quanto la motivazione stessa, benché formalmente presente, è generica e non consente di comprendere la ratio del provvedimento adottato dal Ministero resistente.

Non è, pertanto, condivisibile la ragione posta a fondamento del censurato diniego al rimborso e cioè “la carenza del requisito della connessione”.

Ed infatti, nelle osservazioni formulate e presentate direttamente dall’odierno ricorrente in data 26.1.2019 con prot. n. 190000348/104A23 alla Sottosezione Polizia Stradale di Foggia, è possibile riscontrare con riferimenti normativi al codice della strada ed alle Linee guida dei servizi della Polizia Stradale una condotta, quella posta in essere dall’-OMISSIS-, connessa all’attività di servizio: il Sovrintendente -OMISSIS-, avvedutosi dell’ostacolo posto sulla sede stradale, ha posto in essere l’attività di cui alle Linee guida, provvedendo alla rimozione dell’ostacolo accidentalmente presente sulla carreggiata.

È dunque evidente che, nella specie, con riferimento al presupposto di cui all’art. 18 decreto-legge n. 67/1997 sia certamente sussistente la connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio: la giurisprudenza - come visto - è concorde nel ritenere che l’art. 18 decreto-legge n. 67/1997 si applichi soltanto nelle ipotesi in cui il dipendente abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione, e cioè quando con riferimento alla condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il “nesso di immedesimazione organica”.

Va, altresì, rimarcato che, sia la sentenza di primo grado, sia quella di appello attestano con puntualità l’esclusione della commissione del reato di peculato in ordine ai fatti contestati al Sovrintendente -OMISSIS-, chiaramente individuati alle pagg. 12 e 13 della motivazione del primo Giudice, che individua la condotta posta in essere dall’agente come attività di servizio.

Inoltre, dalla lettura della sentenza di secondo grado (primo capoverso di pag. 20) si evince la correttezza dell’operato degli agenti: “l’unico obiettivo delle pattuglie della polizia stradale è quello di curare che eventuali oggetti rinvenuti sulla sede stradale non rappresentino pericolo od ostacolo per la circolazione”.

Dunque, anche da tale documentazione emergono profili certi di connessione della condotta tenuta dal Sovrintendente -OMISSIS- con l’adempimento del servizio.

Dalla pacifica ricostruzione dei fatti scrutinati nel giudizio penale celebrato, dinanzi al Tribunale di Lucera prima e alla Corte di Appello di Bari poi, emerge chiaramente la riferibilità immediata e diretta degli stessi al compimento di una specifica attività di servizio volta al perseguimento degli scopi istituzionali dell’Amministrazione.

Il coinvolgimento del ricorrente nella anzidetta vicenda giudiziaria è, pertanto, inconfutabilmente riconducibile ad una specifica attività istituzionale nell’ambito del proprio servizio.

Alla luce, dunque, dell’acclarata esclusione dell’ipotizzata valenza penale della condotta del ricorrente, non essendo stati integrati gli elementi costitutivi del reato ipotizzato, nel caso di specie il presupposto oggettivo prescritto dal citato art. 18, comma 1 decreto-legge n. 67/1997 è sicuramente sussistente, ravvisandosi la connessione tra i fatti oggetto del giudizio penale e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali affidati al ricorrente.

Sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza del 29.12.2017, n. 6194 stabilendo che “Nel processo amministrativo ha diritto al rimborso delle spese giudiziali solo il dipendente che, imputato per atto connesso alla funzione pubblica esercitata, sia stato assolto per essere stata esclusa la sua responsabilità rispetto a quell’atto specificamente addebitatogli in ragione di tale connessione”.

La connessione teleologica emerge - come visto - dalla disposizione dell’art. 4.2 delle Linee guida relative a “L’espletamento dei servizi della Polizia Stradale in Autostrada e sulle strade extra-urbane principali” fornito dallo Ministero dell’Interno che prevede espressamente la “Rimozione di ostacoli accidentali presenti sulla sede stradale”.

Del pari, lo stesso codice della strada all’art. 11 (rubricato “Servizi di Polizia Stradale”) - punto e) del comma 1 impone agli agenti “la tutela e il controllo sull’uso della strada”.

In una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 12.3.2019, n. 520 ha rimarcato:

“in tema di rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente pubblico in un procedimento giudiziario avente ad oggetto fatti attinenti a compiti istituzionali, conclusosi con una sentenza o un provvedimento che ne escluda la responsabilità, il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, previsto dall’art. 18 del D.L. n. 67/1997, si riferisce ai presupposti giuridici della pretesa al rimborso nell’ambito dell’intera vicenda processuale che lo ha interessato”.

In altri termini, si è ritenuto che rientrasse nella competenza dell’Avvocatura erariale anche la valutazione della connessione e della strumentalità della contestazione penale rispetto allo svolgimento del servizio e, sulla scorta delle norme e delle Linee guida sopra richiamate, non si comprende come l’Avvocatura abbia potuto intendere l’attività posta in essere dal ricorrente estranea a quella del servizio.

Ebbene, calando nel caso di specie gli elementi sopra delineati, si evidenzia come andava ascritta alla competenza dell’Avvocatura erariale, per quel che qui rileva, la positiva valutazione dello specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio.

Essendo dunque evidente la spettanza del rimborso per il fatto che in sede penale vi sia stata l’assoluzione per il reato contestato, asseritamente commesso in qualità di dipendente dello Stato, non può dubitarsi del fatto che il provvedimento gravato sia illegittimo, tenuto altresì conto della irrilevanza della formula assolutoria adottata dal Giudice penale (nel caso di specie ai sensi dell’art. 530, comma 2 cod. proc. pen.).

Invero, come evidenziato da Cons. Stato, Ad. gen., 9.1.2013, n. 20 “In tema di rimborso delle spese legali sostenute da dipendente di un’amministrazione dello Stato per la difesa in un procedimento penale per atti o fatti connessi con l’espletamento del servizio o l’assolvimento di compiti istituzionali, l’art. 18 d.l. n. 67 del 1997 (conv. in l. n. 135 del 1997), con l’espressione «sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità», si riferisce all’esclusione della responsabilità penale da qualunque sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 530 c.p.p., atteso che l’eliminazione dal contesto penalistico della formula dubitativa dell’assoluzione per insufficienza di prove ha comportato la parificazione del mancato raggiungimento della prova con il proscioglimento pieno a tutti gli effetti.”.

Infine, anche Cons. Stato, Ad. gen., 9.1.2013, n. 728 ha ribadito:

“Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti di amministrazioni statali per la difesa in un procedimento penale, va ritenuto che l’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, con l’espressione “sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità” si riferisca anche al caso in cui l’assoluzione è conseguente ad una prova insufficiente della sussistenza del fatto, e che quindi la responsabilità sia esclusa da qualunque sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 530 c.p.p., essendo al riguardo determinante la considerazione che l’eliminazione dal contesto penalistico della formula dubitativa dell’assoluzione per insufficienza di prove ha comportato la parificazione del mancato raggiungimento della prova con il proscioglimento pieno a tutti gli effetti.”.

5. - In conclusione, dalle argomentazioni espresse in precedenza discende l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

6. - Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite che liquida in € 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Orazio Ciliberti, Presidente

Giacinta Serlenga, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere, Estensore