Giu Conseguenze in caso di mancata traduzione del provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - SENTENZA 16 settembre 2022 N. 8052
Massima
La mancata traduzione del provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno non comporta l’invalidità del provvedimento ma può condurre soltanto alla rimessione nei termini in favore del cittadino straniero che abbia tardivamente impugnato il provvedimento lesivo in ragione della mancata conoscenza della lingua italiana.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - SENTENZA 16 settembre 2022 N. 8052

Pubblicato il 16/09/2022

N. 08052/2022REG.PROV.COLL.

N. 08066/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8066 del 2021, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Gian Paolo Guglielmo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Latina, via dei Cappuccini n.40;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Latina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO

Con istanza inoltrata il giorno 11 agosto 2020, il datore di lavoro dello straniero odierno appellante ha presentato allo Sportello Unico Immigrazione di Latina istanza di emersione da lavoro irregolare, ex art. 103, co. 1, del D.L. n. 34/2020, in favore di quest’ultimo.

Nelle more della fase istruttoria, la Direzione Territoriale del Lavoro ha inoltrato allo Sportello Unico il parere negativo sul datore di lavoro per ‘redditi inesistenti’. Conseguentemente, l’Amministrazione procedente ha notificato al datore di lavoro il preavviso ai sensi dell’art. 10-bis L. n. 241/1990 e successivamente, in difetto di produzione di memorie integrative, ha disposto e notificato il diniego definitivo dell’istanza formulata.

2. Lo straniero ha impugnato tale provvedimento avanti il Tar Lazio, contestando in via preliminare la mancata traduzione dello stesso in una lingua per lui comprensibile e sostenendo, nel merito, la circostanza per cui egli avrebbe diritto ad un permesso per attesa occupazione, sulla base, da un lato, di una proposta lettura combinata dell’art. 103, co. 4 d.l. 34/2020 e art. 22, co. 11, d. lgs. 286/1998 (alla luce della circolare ministeriale del 17 novembre 2020) e dall’altro, altresì, in forza di quanto previsto dall’art. 5, co. 11-bis del d. l.gs. 109/2012.

3. Con sentenza resa in forma semplificata, n. -OMISSIS-, il Tar Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso per genericità, in quanto lo stesso si limitava a contestare il mancato rilascio di un permesso per attesa occupazione senza rilevare alcuna censura sulle ragioni addotte dal provvedimento di diniego, né fornire alcun elemento di prova a sostegno delle allegazioni formulate. Inoltre il Tar ha rilevato, da un lato, la mancanza della procura ad litem del ricorso e, dall’altro, la mancanza di asseverazione dello stesso, in violazione dell’art. 22 C.A.D. (per effetto del rinvio ex art 134, co. 2 ter c.p.a.) In ogni caso, ad abundantiam, il Tar dichiarava altresì il ricorso infondato nel merito ritenendo che la promessa di assunzione, sulla cui base era stata formulata l’istanza di emersione di lavoro irregolare, non fosse presupposto idoneo in forza della vigente normativa per il riconoscimento di un permesso di attesa occupazione.

4. Avverso la pronuncia del Tar lo straniero ha proposto appello, con contestuale istanza cautelare di sospensione degli effetti della sentenza di primo grado, notificato il 27 agosto 2021 al U.T.G. Latina e depositato il successivo 21 settembre 2021, contestando in particolare: (i) il difetto di statuizione del giudice di prime cure circa l’omessa traduzione del provvedimento in una lingua comprensibile; (ii) l’omessa valutazione da parte del Tar della doglianza relativa all’asserita violazione del combinato disposto dell’art. 103, co. 4 D.L. n. 34/2020 ed art. 22, co 11 del d. lgs. n. 286/1998 alla luce della intervenuta circolare interministeriale del 27 aprile 2020 che consentirebbe comunque all’Amministrazione, alla luce di sopravvenuti impedimenti economici, di valutare l’opportunità di concedere allo straniero un permesso per attesa occupazione; (iii) la sperequazione di trattamento fra chi, in sede di domanda di emersione, ha presentato dichiarazione Unilav e chi invece non vi ha provveduto.

5. In data 22 settembre 2021 si è costituito il Ministero dell’interno per chiedere il rigetto dell’appello.

6. L’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-ha respinto l’istanza di sospensione della sentenza di primo grado, ritenendo che non vi fossero i presupposti per un accoglimento del gravame.

7. Alla pubblica udienza del 23 giugno 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. In premessa, il Collegio rileva che l’impugnata sentenza del Tar Lazio n. -OMISSIS- è stata erroneamente oggetto del giudizio di appello, instaurato con il ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, svoltosi dinanzi alla Sezione e conclusosi con la sentenza breve n. -OMISSIS-. Il citato giudizio attiene ad un caso analogo a quello del gravame all’esame, riguardante tuttavia un soggetto diverso dell’odierno appellante e assistito dal medesimo difensore.

2. L’appello - incardinato con ricorso numero di registro generale 8066 del 2021 - è fondato quanto all’ammissibilità del ricorso in primo grado ma è infondato nel merito. Invero, dall’esame del ricorso possono cogliersi, pur in modo non del tutto sviluppato, le censure dell’odierno appellante che, qui riproposte, tuttavia, non risultano meritevoli di favorevole apprezzamento.

Giova premettere che l’art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 ha introdotto una procedura per permettere la stipulazione di rapporti di lavoro dipendente, ovvero favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolare di cittadini stranieri, che siano in possesso di permesso di soggiorno diverso dal permesso per lavoro dipendente ovvero privi di permesso di soggiorno.

Per accedere al beneficio, tale normativa prevede specifici requisiti sia in capo al datore di lavoro che in capo al lavoratore.

L’art. 103, comma 6, d.l. n. 34/2020 si riferisce, in particolare, all’assenza del requisito reddituale minimo in capo al datore di lavoro. Tale previsione, come previsto dalla norma stessa, è stata attuata con il D.M. 27 maggio 2020, che, all’art. 9, comma 4 che stabilisce che: “la congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate, è valutata dall’Ispettorato territoriale del lavoro, ai sensi del comma 8 dell’art. 30-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, sulla base dei contratti collettivi di lavoro indicati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e delle tabelle del costo medio orario del lavoro emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali adottate ai sensi dell'art. 23, comma 16 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”; “nel caso in cui la capacità economica del datore di lavoro non risulti congrua in relazione alla totalità delle istanze presentate, le stesse possono essere accolte limitatamente ai lavoratori per i quali, in base all'ordine cronologico di presentazione delle istanze, i requisiti reddituali risultano congrui”.

Dunque, ad avviso del Collegio, la titolarità in capo al datore di lavoro di reddito nella misura indicata dall’articolo 9 del d.m. 27 maggio 2020 costituisce un presupposto indefettibile per la definizione in senso positivo della procedura dato che la titolarità di tali redditi ha la funzione di dimostrare l’effettività e/o sostenibilità del rapporto di lavoro da parte di colui che si afferma datore di lavoro ovvero si propone come tale.

Non si condivide la tesi di parte appellante, secondo cui, ove il reddito del datore di lavoro sia inferiore al minimo previsto ovvero insussistente, come nell’ipotesi all’esame, non perfezionandosi la procedura per fatto del datore di lavoro, cui è estranea la volontà del lavoratore, quest’ultimo avrebbe titolo al rilascio di un permesso per attesa occupazione.

La difesa si limita a richiamare una circolare interministeriale (non allegata agli atti del giudizio) che ammetterebbe la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione anche laddove l’istanza di emersione si fondi sulla sussistenza di una mera promessa di assunzione e non su un rapporto di lavoro già perfezionato, senza considerare che trattasi di atto di carattere meramente interpretativo, insuscettibile di prevalere sul dettato legislativo, sulla cui lettura il giudice di primo grado ha fondato la preclusione, nell’ipotesi di mera promessa di assunzione, al rilascio, laddove non si proceda alla stipula del contratto di soggiorno, di un permesso per attesa occupazione.

Ove si ritenesse che in caso di insufficienza del reddito del datore di lavoro fosse possibile e, anzi, doveroso il rilascio di permesso di lavoro per attesa occupazione, si priverebbe di ogni rilevanza la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro di cui al testé citato art. 103, comma 6, d.l. n. 34 del 2020. Tale norma ha l’evidente funzione di prevenire elusioni e di garantire - fissando una sorta di presunzione - la sostenibilità del costo del lavoratore da parte del datore di lavoro.

È chiaro che, accedendo ad una differente interpretazione, in contrasto con il carattere eccezionale della norma di sanatoria, si porrebbero quale uniche condizioni per ottenere la regolarizzazione la presentazione della istanza da parte di un soggetto che asserisca di impiegare o voler impiegare il lavoratore straniero in uno dei settori indicati nel comma 3 dell’art. 103, comma 3, d.l. 34 del 2020, nonché l’assenza di precedenti penali ostativi in capo al datore e al lavoratore.

In definitiva, la possibilità di rilascio, nel caso in cui la procedura di emersione non possa concludersi favorevolmente, di un permesso per attesa occupazione presuppone che il mancato perfezionamento non dipenda dall’originario difetto di presupposti previsti dalla legge (tra cui il reddito minimo del datore di lavoro), ma da fatti successivi relativi al datore di lavoro e totalmente da lui dipendenti quali possono essere la forza maggiore (cfr. circolare del 24 luglio 2020) e la cessazione del rapporto di lavoro (cfr. circolare del 17 novembre 2020).

La giurisprudenza stessa va orientandosi nel senso sopra indicato.

In particolare, è stato affermato che la disciplina della emersione dettata nel 2020 - a differenza di quella di cui all’art. 5, comma 11-bis, d.lg. 16 luglio 2012 n. 109 – “limita l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 22, comma 11, d.lvo n. 286/1998 al solo caso di cessazione del rapporto di lavoro (cfr. art. 103, comma 4, d.l. n. 34/2020) e non contempla la possibilità di rilasciare il permesso in esame nel diverso caso in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro: ebbene, il carattere eccezionale della disciplina de qua, derogatoria di quella ordinaria, ne impone un’applicazione restrittiva, nel rispetto dei casi e dei tempi in essa contemplati” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 17 dicembre 2021 n. 8422).

Nel caso di specie, l’amministrazione ha respinto l’istanza di emersione per insussistenza ab initio dei requisiti reddituali in capo al datore di lavoro. Questo non può dirsi un caso di forza maggiore, né si rinvengono circostanze così eccezionali da giustificare una deroga alle regole in materie in ingresso e soggiorno nel territorio nazionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 4817 del 14 giugno 2022).

I principi espressi sono, dunque, idonei a far ritenere infondato l’appello in esame, in considerazione della circostanza che il rigetto della istanza di emersione impugnato si fonda sulla mancanza di reddito in capo al datore di lavoro e sulla pretesa dello straniero al rilascio di un titolo di soggiorno per attesa occupazione.

3. Infine, la deduzione della parte appellante, secondo cui la tesi interpretativa recepita dal T.A.R. darebbe luogo ad una inammissibile disparità di trattamento tra soggetti – gli immigrati che hanno stipulato un contratto di lavoro e quelli titolari di una mera promessa di assunzione – versanti nella medesima situazione, non tiene conto della diversità delle condizioni poste a confronto, cui dà risalto la stessa disposizione di cui all’art 103, comma 4, d.l. n. 34 del 2020, laddove subordina il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione all’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro (di cui si presuppone, quindi, l’avvenuta – e non meramente promessa - instaurazione). L’art. 22, comma 11, d.l. n. 34 del 2020 infatti, individua la perdita del posto di lavoro quale requisito imprescindibile per l’accesso all’istituito dell’attesa occupazione.

4. Per quanto attiene, invece, il denunciato vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di prime cure, questo costituisce un errore di diritto, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deducibile in sede di appello, sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c.

La norma si applica al processo amministrativo, con il correttivo secondo cui l’omessa pronuncia su di un vizio del provvedimento oggetto di impugnazione deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare aspetti formali, così che essa può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non anche quando la decisione sul motivo di impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario. In ogni caso, l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo determinante l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o comunque decidendo sul merito della causa.

Nel caso all’attenzione, il Tar si è pronunciato esaustivamente in ordine all’impossibilità di rilasciare un permesso per attesa occupazione, facendo altresì riferimento, al contrario di quanto sostenuto dall’appello, alla differente condizione di colui che debba ancora essere assunto da un datore di lavoro che sia risultato incapiente rispetto allo straniero che abbia già prestato la propria attività in favore di altri, prima che difficoltà oggettive a lui non imputabili interrompessero la propria occupazione.

Invece, il Tar non si è espresso circa la censura relativa alla mancata traduzione del provvedimento impugnato, che tuttavia, secondo pacifica giurisprudenza, deve ritenersi infondata posto che tale violazione non comporta l’invalidità del provvedimento ma può condurre soltanto alla rimessione nei termini in favore del cittadino straniero che abbia tardivamente impugnato il provvedimento lesivo in ragione della mancata conoscenza della lingua italiana.

L’appello deve quindi nel merito essere respinto, con conseguente rigetto del ricorso in primo grado.

5. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Michele Corradino, Presidente, Estensore

Giulio Veltri, Consigliere

Giovanni Pescatore, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere