Pubblicato il 22/08/2022
N. 11202/2022 REG.PROV.COLL.
N. 11311/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11311 del 2018, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Eloy Puga Villarino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lorenzo il Magnifico, 42;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento emesso dal Ministero dell'Interno del -OMISSIS--OMISSIS- di respingimento dell'istanza di cittadinanza italiana, presentata in data-OMISSIS- ai sensi dell'art. 9, co. 1, L. 91/1992.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 luglio 2022 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I. - Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana in data-OMISSIS-, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992.
II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto la domanda dell’interessato reputando i precedenti emersi sul suo conto (condanna per il reato di cui all’art. 11, comma 13, della l. 40/1998 e condanna per i reati di cui agli art. 337 e 651 c.p.), la segnalazione per la dichiarazione mendace resa al momento della presentazione dell’istanza di concessione della cittadinanza e la cancellazione anagrafica per emigrazione all’estero per il periodo ricompreso fra il -OMISSIS- e il -OMISSIS- risultante dal certificato di residenza storico indici d’inaffidabilità e della sua non compiuta integrazione nella comunità nazionale
III. – Avverso il suddetto provvedimento di diniego il ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, per violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della Legge 5/2/1992 n. 91 – Eccesso di potere per insufficiente ed inadeguata motivazione.
IV. - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente e ha dedotto l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.
V. - All’udienza straordinaria dell’8 luglio 2022, svolta in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 87, comma 4-bis, c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. - Il ricorso è infondato.
II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).
L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “può” - e non deve - essere “concessa”.
La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“il sacro dovere di difendere la Patria” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).
A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).
È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.
II.1. - In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa”).
In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n.798/1999).
III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
IV. – Alla luce del quadro ricostruito, è possibile giungere ad escludere la fondatezza delle doglianze attore, visto che gli accertamenti effettuati hanno ragionevolmente condotto l’Amministrazione a formulare, nell’ambito della valutazione ampia e prognostica che le appartiene in relazione alla tipologia di provvedimento concessorio, un giudizio negativo quanto alla meritevolezza dell’aspirante cittadino, fondato su comportamenti suscettibili di ledere beni giuridici fondamentali per l’ordinamento, valutati nell’ambito di un quadro fattuale che rileva la presenza di ulteriori ostacoli al rilascio del massimo status.
In particolare, le condotte penalmente rilevanti menzionate nel decreto, appaiono ragionevolmente ostative all’acquisizione del bene della vita richiesto, se si tiene conto che l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è considerato legittimo quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, n. 12568 del 2009). Ciò invero trova conferma nelle premesse motivazionali dell’impugnato provvedimento, da dove si ricava che l’amministrazione è tenuta ad accertare la coincidenza tra l’interesse pubblico da tutelare e quello vantato dal richiedente “mediante una valutazione complessiva degli elementi emersi nel corso dell’istruttoria che possano dare fondamento all’opportunità della concessione … e siano tali da poter escludere che l’inserimento stabile del richiedente nella collettività nazionale arrechi danno alla stessa”.
Si tratta di una valutazione che rientra nel potere discrezionale della Amministrazione circa il completo inserimento dello straniero nella comunità nazionale che, come detto, impedisce al giudice - tenuto conto dei caratteri del sindacato, estrinseco e formale, esercitabile in subiecta materia - di spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio e della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione (cfr. Cons. Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; Tar Lazio, sez. seconda quater, 19 giugno 2012, n. 5665) nonché della logicità e ragionevolezza della stessa.
IV.1. - Nel caso di specie l’amministrazione, nel bilanciamento dei vari interessi che vengono in rilevo nel procedimento concessorio in argomento, si è trovata al cospetto di precedenti reati, con portata plurioffensiva, in quanto anche lesivi sia di beni primari della persona costituzionalmente tutelati, sia delle Istituzioni dello Stato di cui aspira a far parte (sanzionati in quanto considerati dal legislatore contro la persona, contro l’ordine pubblico, contro la pubblica amministrazione e contro la fede pubblica), in ragione dei quali, in maniera non manifestamente illogica, né irragionevole né incoerente, si è orientata in senso sfavorevole all’istante.
IV.2. - Segnatamente si richiama l’attenzione sul reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337, c.p., punito con la reclusione che nel suo massimo edittale è superiore alla soglia individuata dall’art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 91/1992, superata la quale si entra nell’area dei reati immediatamente ostativi. Quest’ultima norma definisce espressamente l’ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza, richiesta iure matrimonii, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992, persino a chi è coniuge di cittadino italiano - che vanta un vero e proprio diritto soggettivo. Pertanto, la disposizione di cui all’art. 6 in esame - proprio perché dettata in relazione ad una situazione di maggior favore (in quanto sorretta dall’esigenza di tutela di chi è già cittadino e dell’unità familiare) – va considerata quale norma di tenuta dell’ordinamento che individua gli argini di quell’area del penalmente rilevante travalicati i quali inevitabilmente il potere di valutazione discrezionale dell’amministrazione, giustapposto all’interesse legittimo pretensivo del richiedente lo status, finisce per essere compresso, a tutela delle regole di civile convivenza e dei valori identitari dello Stato.
È di intuitiva evidenza che detta disposizone si applica a fortiori anche alla cittadinanza richiesta ai sensi dell'articolo 9, lettera f), della legge n. 91 del 1992, limitatamente alla parte in cui individua i reati immediatamente ostativi alla concessione dello status, in ragione del principio de “il più contiene il meno”, per cui se rispetto all’esigenza di tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento anche la pretesa a conseguire la cittadinanza da parte del coniuge del cittadino (che – si ribadisce - vanta un vero e proprio diritto soggettivo) si mostra recessiva, a maggior ragione ciò vale nel caso di concessione della cittadinanza per residenza, fattispecie cui il legislatore riserva una disciplina di minor favore.
Solo in presenza della riabilitazione, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 6, e della conseguente automatica rimozione degli effetti ostativi riconnessi alla commissione dei reati specificamente individuati, si riespande l’esigenza di tutela dell’unità familiare.
Nel caso che ci occupa ricorre un’ipotesi di cittadinanza per residenza, negata per la contestazione, tra le altre cose, di un reato automaticamente ostativo, per il quale non era intervenuta la riabilitazione (la parte solo successivamente all’adozione del provvedimento di diniego della cittadinanza ha presentato istanza di riabilitazione al Tribunale di Sorveglianza di -OMISSIS-in data -OMISSIS-).
Per cui, se si considera che in questi casi anche al coniuge del cittadino sarebbe stata negato lo status, è possibile concludere per la correttezza dell’operato della p.a.
A ciò si aggiunga che il fatto de quo assume altresì significatività in quanto, non solo non è isolato, attesa la precedente condanna del 2001 (che, anche se risalente, ha concorso alla formulazione del giudizio di inaffidabilità del richiedente), ma è anche stato posto in essere nel c.d. “periodo di osservazione” (sconfessando sul punto la tesi attorea sulla vetustà dei fatti addebitati), che coincide con il decennio precedente il momento della domanda, rilevante ai fini della valutazione dell’acquisizione dei requisiti per la cittadinanza, incluso quello dell’irreprensibilità della condotta, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 91 del 1992 (Cons. St., sez. VI - 10/01/2011, n. 52; TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015; TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/21; da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945 e 2946 del 2022).
V. - Quanto sopra chiarito consentirebbe di assicurare ex se un adeguato sostrato motivazionale al provvedimento impugnato, anche a voler tenere conto delle ragioni addotte dal ricorrente a dimostrazione dell’irrilevanza degli ulteriori motivi ostativi sottesi al diniego. Invero, trovandoci al cospetto di un provvedimento plurimotivato è possibile evocare l’insegnamento della giurisprudenza ad avviso della quale, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell'atto la fondatezza anche di una sola di esse, il che comporta la carenza di interesse del ricorrente all'esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici, atteso che, seppure tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l'interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento del provvedimento impugnato e inattaccabile (cfr. Cons. St., sez. V, 22/02/2016 n. 712; T.A.R. Napoli, sez. III, 11/10/2021, n.6392); un atto amministrativo plurimotivato resiste all'annullamento in sede giurisdizionale se risulta sussistente anche una sola delle ragioni che lo sorreggono (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 27/09/2021, n.6470; Consiglio di Stato sez. IV, 30/08/2021, n. 6115; Tar Lazio, sez. V bis, 08/07/2022, n. 9418).
In ogni caso, per completezza, il Collegio ritiene opportuna una rapida rassegna anche degli argomenti di parte formulati a confutazione degli ulteriori motivi ostativi al rilascio dello status.
V.1. - Con riferimento alla segnalazione da parte della Prefettura di-OMISSIS-alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-per la dichiarazione mendace all’atto della presentazione della domanda di cittadinanza, il ricorrente si difende assumendo di non essere a conoscenza delle precedenti condanne, in quanto inflittegli in contumacia, senza che i difensori d’ufficio lo informassero e non scontando materialmente alcun periodo di detenzione, e di ritenere conseguentemente “di non aver mai subito condanne penali in Italia”.
Dette giustificazioni non colgono nel segno, in quanto l’autocertificazione della propria posizione giudiziaria da parte dell’istante avrebbe richiesto un atteggiamento ispirato a maggior cautela, vista la ratio di semplificare l'azione amministrativa che, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante, impone la conoscenza dei principi che informano i rapporti con l’Amministrazione, anche con riferimento al procedimento in questione.
Nella domanda il ricorrente è tenuto a dichiarare, con riferimento alla posizione giudiziaria in Italia, di aver o meno riportato condanne penali in Italia, anche ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nonché di essere o meno sottoposto/a a procedimenti penali in Italia, per cui si conviene con l’amministrazione intimata circa la necessità da parte del richiedente – a conoscenza delle condotte tenute in passato e delle possibili conseguenze sul piano penale - di effettuare ogni opportuna verifica riguardo al proprio casellario per verificare quanto meno l’eventuale pendenza di procedimenti penali.
Ad adiuvandum, la giurisprudenza ritiene che la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con la dichiarazione non veritiera, indipendentemente da ogni indagine dell'Amministrazione sull'elemento soggettivo del dichiarante, giacché non vi sono particolari risvolti sanzionatori in gioco, ma solo la necessità di una spedita esecuzione della legge sottesa al sistema di semplificazione. Ne consegue, ulteriormente, che la disposizione non lascia margini di discrezionalità alle amministrazioni e non chiede alcuna valutazione circa il dolo o la colpa grave del dichiarante (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. III, 26/04/2021, n. 4806); l’omessa dichiarazione costituisce comunque il segnale di una carenza della conoscenza basilare dei principi dell’ordinamento nonché del sentimento di leale collaborazione, che deve conformare i rapporti con l’amministrazione e che impone all’interessato di fornire tutte le informazioni utili per poter far assumere la decisione più ponderata possibile, soprattutto in una fattispecie come quella in esame che è caratterizzata - come detto - dall’esercizio di un’ampia discrezionalità; e a tal fine è evidente che rileva il fatto storico che si presume ben conosciuto dal diretto interessato; e ciò senza considerare il fatto che la falsa dichiarazione determina la reiezione dell’istanza in attuazione del principio ricavabile dall’art. 75 del D.P.R. 445/2000, anche a prescindere dal rilievo penale di tale comportamento (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 03.06.2021, n. 6541). Ne consegue che, nel caso di specie, viene meno anche la valutazione discrezionale dell’Amministrazione, in quanto il diniego della cittadinanza si pone come inevitabile conseguenza dell’accertata dichiarazione mendace, circostanza confermata dalle risultanze in atti (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, 05.07.2021, n. 7395).
V.2. – Quanto alla mancanza del requisito della residenza decennale ininterrotta sul territorio nazionale, visto che dal certificato di residenza storico risulta la cancellazione anagrafica per emigrazione all’estero in data -OMISSIS- con reiscrizione in data -OMISSIS- per immigrazioni da -OMISSIS-, il ricorrente rappresenta di non aver segnalato la variazione del proprio domicilio a partire dall’aprile 2009, quando si era spostato in un fabbricato concessogli in uso gratuito, trattandosi di sistemazione del tutto temporanea e, in ogni caso, deduce che la reiscrizione anagrafica effettuata contestualmente al successivo spostamento presso quella che sarebbe stata la sua abitazione per i successivi otto anni implicava l’autoannullamento della cancellazione, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato.
In proposito, il Collegio osserva che legittimamente è stata rilevata l’interruzione del periodo di residenza, per come emerge dalle risultanze delle certificazioni anagrafiche, che il Ministero non poteva disattendere e tanto meno “rettificare” d’ufficio; ricadeva unicamente sul ricorrente l’onere di attivare, presso i competenti uffici anagrafici comunali, gli appositi rimedi per correggere gli asseriti errori nelle relative certificazioni; peraltro le risultanze anagrafiche non possono essere rimesse in discussione in questa sede, difettando il giudice amministrativo della relativa giurisdizione (vedi, ex plurimis, TAR Lazio, sez. I ter, n. 3204/2021).
Sul punto, invero la giurisprudenza è costante nel ritenere che “se tale depennamento dalle liste anagrafiche fosse stato illegittimo, l’interessato lo avrebbe dovuto impugnare per tempo ovvero ne avrebbe dovuto quanto meno ottenere, all’epoca, un annullamento d’ufficio” (Cons. St., sez II, 16.03.2021, n. 02247).
VI. – Sulla scorta di quanto osservato, emerge che lo status è stato negato alla luce di elementi raccolti nel corso dell’istruttoria sul conto dell’interessato, che complessivamente hanno ragionevolmente condotto la p.a. ad escludere l’opportunità della concessione e l’assoluta assenza di rischi di pregiudizi per la collettività nazionale, in caso di inserimento stabile del richiedente in essa. Il provvedimento, fondato su un’adeguata, sufficiente e puntuale motivazione, appare quindi, ad avviso del Collegio, non suscettibile di censure in questa sede (alla luce delle coordinate sul sindacato di questo organo giudicante tracciate sub III), ad onta della dedotta integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessato.
In proposito questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).
VII. - Quindi, il Collegio esclude la censurabilità del giudizio di non idoneità formulato dall’Amministrazione e della non favorevole valutazione della posizione del ricorrente ad essere inserito, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale, con l’acquisizione a pieno titolo dei relativi diritti e doveri (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3907/2008; cfr. Cons. St., sez. VI, 10/01/2011 n. 52; TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015; TAR Lazio, sent. n. 4621 del 15.04.2022; sez. I ter, n. 5917/21; Cons. St., sez. III, n. 7122/2019, sez. I, parere 2478/2018 e 2679/18; v. da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944 e 2945 del 2022).
In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.
VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso.
IX. – Il ricorso è conclusivamente respinto.
X. – Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, nei confronti della Amministrazione costituita, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Dauno Trebastoni, Presidente
Enrico Mattei, Consigliere
Antonietta Giudice, Referendario, Estensore