Giu Massime relative alla giurisdizione amministrativa in tema di appalti e concessioni
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 10 marzo 2022 N. 1716
Massima
1) Nella concessione di beni pubblici, in cui gli interessi di carattere generale connessi all’uso del bene contraddistinguono il rapporto nel corso della sua durata, con il corollario processuale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’eccezione delle controversie di carattere meramente patrimoniale relative a indennità, canoni e altri corrispettivi, ogni atto dell’amministrazione che non può essere ricondotto a quest’ultimo ambito va ascritto alla cognizione del giudice amministrativo.
2) In ogni fattispecie di utilizzo di istituti propri del diritto civile prevale presso la giurisprudenza la tesi secondo cui la pubblica amministrazione mantiene le prerogative di autorità pubblica, e ciò tanto nella fase prodromica alla conclusione di contratti quanto nel corso del rapporto con il privato una volta stipulato il contratto.
3) Ove non venga in alcun modo in rilievo la determinazione del corrispettivo della concessione, ma la decisione autoritativa ed espressiva della cura di interessi pubblici da parte dell’amministrazione titolare del bene di consentire un uso particolare dello stesso, le posizioni dei terzi interessati ad ottenere lo stesso uso del bene pubblico hanno consistenza di interesse legittimo e sono pertanto ricondotte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui al citato art. 133 comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo.
4) Il legislatore, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti, ha voluto tenere ben distinta la fase, più strettamente legata alla procedura di evidenza pubblica, dell’affidamento dell’appalto dalla successiva fase dell’esecuzione, di natura tipicamente privatistica, che presuppone un rapporto in essere e l’esistenza di soli diritti soggettivi, relativamente ai quali però, secondo il dettato legislativo, non si estende la cognizione in sede esclusiva del giudice amministrativo, esclusa anche in relazione alla pretesa risarcitoria connessa al mancato riconoscimento del diritto a non eseguire i lavori.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - SENTENZA 10 marzo 2022 N. 1716

Pubblicato il 10/03/2022

N. 01716/2022REG.PROV.COLL.

N. 02230/2021 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 2230 del 2021, proposto da
OMISSIS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fulvio Lorigiola, Elena Laverda e Luigi Manzi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

OMISSIS, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ezio Maria Zuppardi e Gaetano Brancaccio, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Camarda, Antonio Andreottola e Bruno Crimaldi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione terza) n. OMISSIS/2021, resa tra le parti.

 

 

Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di OMISSIS;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 18 novembre 2021 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Lorigiola, Zuppardi e Brancaccio;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

 

FATTO

OMISSIS hanno impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania la delibera giuntale n. 555 del 27 novembre 2019, con cui il Comune di Napoli si è determinato a transigere le controversie insorte con OMISSIS., ora OMISSIS., in relazione ai contratti nn. 71793, 71794, 71795 del 1° agosto 2002, nonché il conseguente atto transattivo sottoscritto il 29 novembre 2019.

I predetti contratti, stipulati all’esito di procedura e evidenza pubblica, hanno concesso a quest’ultima società, per la durata di nove anni decorrenti dal collaudo degli impianti, la gestione di circa 9.100 mq di superficie pubblicitaria sugli elementi di arredo urbano nella cd. “zona rossa” del centro storico cittadino, e di vari “poster”, situati e non nella stessa zona, per una superficie complessiva di circa 12.164 mq..

Secondo la predetta delibera n. 555/2019: la mancata effettuazione del collaudo ha determinato una condizione di incertezza circa la scadenza contrattuale; l’affidataria ha lamentato nel corso del rapporto l’impossibilità di effettuare installazioni per la complessiva superficie pubblicitaria, nonché ritardi nel procedimento autorizzatorio; il Comune ha adottato provvedimenti di rimozione, contestando l’effettuazione di alcune installazioni in contrasto con le prescrizioni della Soprintendenza; la società ha avviato diversi contenziosi amministrativi finalizzati alla definizione della durata contrattuale e all’ottenimento del risarcimento dei danni. Il Comune si è quindi proposto di determinare in via transattiva una data certa di scadenza dei rapporti contrattuali e le prestazioni residue, definendo ogni tipo di controversia insorta e insorgenda con l’affidataria.

La transazione ha quindi previsto: la definitiva dismissione di parte degli impianti con riduzione della superficie pubblicitaria; la trasformazione di una quota degli stessi in impianti digitali e/o “scroller”; l’effettuazione gratuita di pubblicità istituzionale e per eventi dell’Ente, di servizi di informazione alla cittadinanza; la cessione a costo zero per il Comune di 142 “poster” e delle transenne; la rinuncia ai contenziosi pendenti.

Inoltre, con atto dirigenziale n. 4 del 16 giugno 2020, intervenuto nelle more dell’impugnativa di cui sopra, il Comune ha fissato al 28 novembre 2024 la scadenza delle autorizzazioni rilasciate in favore di Clear Channel Italia.

Nel giudizio proposto innanzi al Tar le ricorrenti hanno dedotto: violazione ed elusione dell’evidenza pubblica e mancata applicazione del d.lgs. 50/2016 e dei principi in materia di libera concorrenza e del mercato (primo motivo); eccesso di potere per contraddittorietà (secondo motivo); disparità di trattamento e contraddittorietà per assenza di pianificazione obbligatoria, violazione dell’art. 3 della l. 241/90 (terzo motivo); violazione di varie disposizioni in tema di tutela paesaggistica (quarto motivo). Hanno concluso per l’annullamento dei provvedimenti gravati e la condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a seguito e per effetto dei provvedimenti stessi.

L’adito Tribunale, nella resistenza del Comune di Napoli e della controinteressata, ha definito il ricorso con sentenza della Sezione terza n. 1010/2021, che:

a) pronunziando sulle eccezioni pregiudiziali spiegate dalle parti resistenti: ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione amministrativa; ha ritenuto l’interesse ad agire delle ricorrenti, nella qualità di operatrici del settore interessate a partecipare alla selezione per l’assegnazione degli spazi pubblicitari; ha escluso l’improcedibilità del gravame per omessa impugnazione del citato provvedimento dirigenziale sopravvenuto n. 4 del 16 giugno 2020, trattandosi di provvedimento meramente esecutivo “la cui sorte è legata all’atto presupposto che lo origina”;

b) ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso (violazione ed elusione dell’evidenza pubblica e mancata applicazione del d.lgs. 50/2016 e dei principi in materia di libera concorrenza e del mercato);

c) sulla scorta del titolo legittimante come sopra riconosciuto alle ricorrenti in vista dell’utilità potenzialmente ritraibile dalla reclamata indizione di una nuova gara, e della carenza in capo alle medesime di una posizione qualificante relativa alla tutela del centro storico, ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse le restanti censure, rivolte a contestare i termini dell’accordo transattivo sotto i profili del divieto di installazione di impianti pubblicitari in zona rossa del centro storico, della necessità di previa pianificazione e di consultazione degli interessati e dell’impossibilità di trasformazione degli arredi urbani in impianti pubblicitari;

d) ha respinto la domanda risarcitoria delle ricorrenti, perché “sfornita del benché minimo elemento di prova in ordine al danno che avrebbe provocato l’attività amministrativa censurata; danno che risulta peraltro insussistente, per la connotazione della vicenda e non avendo le ricorrenti alcuna consolidata posizione che possa dirsi essere stata lesa, laddove l’interesse vantato è tutelato con l’annullamento della deliberazione, per gli effetti che la pronuncia può dispiegare”;

In definitiva, il Tar, in accoglimento del ricorso nei predetti termini, ha annullato l’impugnata deliberazione giuntale n. 555/2019, dichiarando l’inefficacia dell’atto di transazione e la decadenza della disposizione dirigenziale n. 4/2020. Ha compensato le spese di giudizio, ponendo a carico del Comune di Napoli il rimborso del contributo unificato.

Clear Channel Italia ha impugnato la predetta sentenza. Ha dedotto: 1) Erroneità della decisione ove ha respinto l’eccezione di carenza di interesse in capo alle ricorrenti; 2) Erroneità della decisione ove ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione; 3) Nel merito, erroneità della sentenza impugnata per insussistenza di violazioni della normativa in materia di contratti pubblici. Ha domandato la riforma della sentenza appellata e, conseguentemente, la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse e difetto di giurisdizione e, in ogni caso, la sua reiezione.

Le società originarie ricorrenti si sono costituite in resistenza, domandando la reiezione dell’appello, di cui hanno illustrato l’infondatezza.

Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio. Ha delineato articolatamente il contesto nel quale è maturata la decisione di addivenire alla transazione, illustrando gli obiettivi di interesse pubblico riconnessi alla definizione bonaria delle complesse questioni insorte con la concessionaria, e rappresentando che nelle more del giudizio di primo grado le parti hanno ottemperato a gran parte degli impegni previsti in transazione. L’Amministrazione ha in particolare riferito di aver adottato la già citata determina n. 4/2020, mentre Clear Channel Italia, dal suo canto, ha rinunziato ai contenziosi pendenti innanzi al Tar Campania, che conseguentemente sono stati dichiarati improcedibili (sentenze 13 dicembre 2019, n. 5944 e 17 dicembre 2019, n. 5989), ha quasi integralmente eseguito la rimozione degli impianti secondo il cronoprogramma ivi stabilito, nonché ceduto al Comune i “poster”, ai fini del loro utilizzo per il servizio di affissioni comunali. Il Comune ha poi sostenuto la fondatezza dell’appello, esponendo le proprie difese nello stesso ordine utilizzato dall’appellante, e concluso per il suo accoglimento.

Con ordinanza n. 2145/2021 la Sezione ha accolto la domanda cautelare dell’appellante, così motivando: “In disparte ogni valutazione sui motivi di appello proposti, che dovranno essere approfonditi nella sede di merito, in un necessario giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti, pare ora prevalente l’interesse dell’appellante in quanto destinata a subire dall’esecuzione della sentenza di primo grado un pregiudizio maggiore del vantaggio che ne potrebbero ricavare le appellate, considerati gli investimenti già effettuati dalla prima e la perdurante assenza di atti pianificatori del Comune, intervenuti i quali sarebbe ben possibile tempestivamente indire una nuova procedura di gara”.

Nel prosieguo, tutte le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive. In tale ambito, tra altro: il Comune di Napoli e Clear Channel Italia hanno dato atto delle ulteriori attività eseguite in forza degli impegni assunti con la transazione, esponendo come la stessa possa dirsi di fatto integralmente eseguita, con l’effetto di “liberare” una consistente quantità di superficie pubblicitaria per il ricorso al mercato; le appellate hanno evidenziato che il periodo di durata della transazione è ben maggiore di quello sino a ora decorso, nonché sottolineato che le attività esposte dalle controparti, a fronte della sospensione dell’esecuzione della sentenza demolitoria di primo grado, non possono che ritenersi effettuate a loro rischio e pericolo.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 18 novembre 2021.

DIRITTO

1. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo, con cui l’appellante OMISSIS. sostiene l’erroneità della sentenza impugnata nel respingere l’eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla medesima società e dal Comune di Napoli in primo grado.

Si afferma al riguardo che la transazione impugnata è volta a risolvere problematiche insorte con riguardo all’esecuzione dei contratti del 2002 di cui in fatto: si tratterebbe quindi della regolamentazione della fase esecutiva di un rapporto concessorio, devoluta, per costante giurisprudenza (Cons. Stato, V, 28 dicembre 2001, n. 6443), al giudice ordinario.

Nel sostenere tale conclusione, anche il Comune di Napoli evidenzia trattarsi di una transazione intervenuta all’interno di un rapporto di diritto privato, quantunque preceduto da una procedura e evidenza pubblica di selezione del concorrente, e scaturita dalla necessità di risolvere problemi correlati all’esecuzione dei predetti contratti, relativi, soprattutto, alla loro decorrenza. Invoca il consolidato riparto di giurisdizione in materia di contratti pubblici, secondo cui la fase esecutiva, trattandosi di rapporti paritetici, è devoluta alla cognizione del giudice ordinario. In questa tesi, non varrebbe considerare che la determinazione di addivenire alla transazione è contenuta in un atto propriamente amministrativo, ciò che, quale ordinario modo di espressione della volontà della pubblica amministrazione, non muterebbe la posizione giuridica azionata dall’Ente.

Il motivo è infondato, come le difese dell’Amministrazione comunale.

1.1. Va anzitutto escluso che possa farsi applicazione della giurisprudenza invocata dall’appellante.

Se è infatti vero che il contenzioso deciso con la summenzionata sentenza, in cui si è fatta applicazione del principio della non includibilità delle controversie afferenti alla fase di esecuzione tra quelle conoscibili dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, sulla scorta di quanto previsto dall’allora vigente art. 33 comma 2 lett. d) del d.lgs. 80/98, riguardava una transazione, o meglio, una determinazione recante la revoca di una determinazione approvativa di una transazione, è altresì vero che la transazione revocata aveva a oggetto la risoluzione consensuale di un contratto di appalto. E infatti in quella sede proprio con riferimento a tale specifico oggetto che la Sezione ha potuto ivi affermare che il legislatore, devolvendo con la predetta norma alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti, “abbia voluto tenere ben distinta la fase, più strettamente legata alla procedura di evidenza pubblica, dell’affidamento dell’appalto dalla successiva fase dell’esecuzione, di natura tipicamente privatistica, che presuppone un rapporto in essere e l’esistenza di soli diritti soggettivi, relativamente ai quali però, secondo il dettato legislativo, non si estende la cognizione in sede esclusiva del giudice amministrativo”, esclusa anche in relazione alla “pretesa risarcitoria connessa al mancato riconoscimento del diritto a non eseguire i lavori”.

Nel caso di specie viene invece in rilievo un rapporto contrattuale di diversa natura e una diversa norma regolatrice della giurisdizione.

L’affidamento per cui è causa, rinveniente a Claear Channel dalla partecipazione a una procedura pubblica del 2000, consiste infatti nel rilascio di autorizzazioni all’installazione di superficie pubblicitaria su oggetti di arredo urbano e nell’assegnazione di impianti pubblici.

Per la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tale affidamento rientra nella tipologia della concessione di spazi pubblici (Ad. plen. n. 5 del 2013; V, 24 febbraio 2020, n. 1374; 2 febbraio 2009, n. 529).

Trova quindi applicazione l’art. 133 comma 1 del Codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 104/2010 che dispone che: “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo […]: b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai Tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”.

La giurisprudenza interpreta la norma nel senso di ritenere che essa devolve al giudice amministrativo tutte le controversie nelle quali l’amministrazione - come nel caso di specie - opera nelle vesti di autorità e anche se i rapporti tra amministrazione e privato possono essere ricondotti a una relazione diritto/obbligo, e cioè a un rapporto negoziale (in termini, Cons. Stato, V, 11 ottobre 2018, n. 5873, che richiama V, 27 aprile 2015, n. 2061, 22 ottobre 2014 n. 5214 e la giurisprudenza ivi citata), e fa rientrare in questo ambito anche le controversie concernenti il contenuto del rapporto concessorio, “ivi comprese quelle relative alla permanenza o alla cessazione della vigenza dello stesso, secondo quanto chiarito da ultimo dalla Cassazione, Sez. un., 18 gennaio 2016, n. 692” (Cons. Stato, V, n. 5873/2018, cit.). Ciò in quanto la disposizione codicistica circoscrive la giurisdizione ordinaria alle controversie concernenti “indennità, canoni od altri corrispettivi”, che per la giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione coincide con quelle aventi contenuto meramente patrimoniale, nelle quali non assume rilievo un potere di intervento dell’amministrazione a tutela di interessi generali, e con esclusione dei casi in cui nell’ambito del rapporto tra quest’ultima e il privato concessionario sia in discussione l’esercizio di poteri discrezionali/valutativi nella determinazione del corrispettivo per la concessione (ex multis, Cass., Sez. Un., 9 giugno 2017, n. 14428; 27 aprile 2017, n. 10412; 16 giugno 2014, n. 13940; Cons. Stato, III, 24 marzo 2015, n. 1572; IV, 20 gennaio 2016, n. 185; V, 22 giugno 2018, n. 3879; 15 giugno 2015, n. 2958; VI, 23 novembre 2017, n. 5469). Inoltre, si afferma che nel caso la contestazione relativa al rapporto concessorio provenga da terzi - come pure nel caso di specie - si è sempre di fronte all’esercizio di poteri autoritativi conoscibili dal giudice amministrativo, in quanto “In tali ipotesi, infatti, non viene in alcun modo in rilievo la determinazione del corrispettivo della concessione, ma la decisione autoritativa ed espressiva della cura di interessi pubblici da parte dell’amministrazione titolare del bene di consentire un uso particolare dello stesso. Rispetto a questa decisione le posizioni dei terzi interessati ad ottenere lo stesso uso del bene pubblico hanno consistenza di interesse legittimo e sono pertanto ricondotte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui al citato art. 133 comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo” (Cons. Stato, V, n. 5873/2018, cit.).

Anche di recente, la Sezione ha chiarito che “Nella concessione di beni pubblici, in cui gli interessi di carattere generale connessi all’uso del bene contraddistinguono il rapporto nel corso della sua durata, con il corollario processuale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’eccezione delle controversie di carattere meramente patrimoniale relative a indennità, canoni e altri corrispettivi, ogni atto dell’amministrazione che non può essere ricondotto a quest’ultimo ambito va ascritto alla cognizione del giudice amministrativo” (Cons. Stato, V, 17 dicembre 2020, n. 8100). E nulla muta nel caso di utilizzo di strumenti privatistici, sia perché esso è compatibile in linea generale con il “perseguimento del pubblico interesse”, di cui all’art. 11 della l. 241/1990, a proposito degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo (in questo senso, Corte cost. n. 204/2004), sia in quanto “in ogni fattispecie di utilizzo di istituti propri del diritto civile prevale presso la giurisprudenza la tesi secondo cui la pubblica amministrazione mantiene le prerogative di autorità pubblica, e ciò tanto nella fase prodromica alla conclusione di contratti quanto nel corso del rapporto con il privato una volta stipulato il contratto” (così Cons. Stato, V, n. 8100/2020 cit. e la giurisprudenza ivi richiamata).

Bene ha fatto pertanto il primo giudice ad affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

2. Tornando all’ordine delle censure formulate in ricorso, può passarsi all’esame del primo motivo, con il quale l’appellante afferma l’erroneità della sentenza impugnata nel respingere l’eccezione di carenza di interesse ad agire delle società ricorrenti in primo grado (Raem s.r.l., Intersport Pubblicità s.r.l., Manna s.r.l.), e tanto per due concorrenti ordini di ragioni:

- la mancata dimostrazione da parte delle medesime della qualità di operatori del mercato pubblicitario, che andrebbe esclusa alla luce delle visure camerali, e della sussistenza di un loro interesse concreto e attuale confliggente con quanto definito dalla transazione, non essendo tale la generica aspirazione alla ricollocazione sul mercato della superficie pubblicitaria affidata a Clear Channel Italia, né l’aspettativa di conseguire una futura utilità in termini di ipotetico conseguimento della disponibilità di una superficie pubblicitaria valorizzata dal primo giudice, considerato che anche l’interesse strumentale tutelabile in giudizio siccome definito dalla giurisprudenza in materia di appalti implica una lesione attuale e concreta del soggetto che agisce in giudizio, mentre, nella specie, si tratta di una situazione del tutto potenziale e ipotetica, anche per la carenza del nuovo Piano generale comunale degli impianti pubblicitari, che, come dà atto la gravata delibera giuntale, è ancora in corso di predisposizione;

b) l’indisponibilità per i terzi della materia disciplinata dalla transazione, riguardante questioni che competevano solo ed esclusivamente al Comune e a Clear Channel Italia, trattandosi della rinegoziazione di condizioni contrattuali finalizzata a transigere un contenzioso pendente.

Il Comune di Napoli, nell’esporre difese non dissimili, soggiunge che la rimozione della transazione farebbe riemergere tutti i dubbi e le incertezze preesistenti, con effetti allo stato non prevedibili, tranne che per la sicura assenza di un vantaggio per le ricorrenti, che non potrebbero aspirare nell’immediato a una distribuzione di superficie pubblicitaria, bloccata dalla previsione contrattale originaria, laddove la transazione ne ha “liberato” una consistente quantità, anche a loro vantaggio. Evidenzia che sul punto non rileverebbe neanche il maggior soddisfacimento delle ambizioni commerciali delle medesime teorizzato dal primo giudice, in quanto, a differenza di quanto possibile alla luce del precedente Piano generale degli impianti pubblicitari del 1999, stante l’evoluzione del mercato, non è più prevedibile la messa a bando di superfici pubblicitarie ingenti come quelle a suo tempo concesse a Clear Channel Italia, né in ogni caso le ricorrenti avrebbero, da sole o cumulativamente, i requisiti per partecipare a una gara che le avesse a oggetto, mentre potrebbero averli per aspirare a quelle superfici inferiori resesi ora disponibili in applicazione della transazione.

Anche questo motivo è infondato, come le difese dell’Amministrazione comunale.

2.1. Va anzitutto chiarito che il Tar, proprio considerando le visure camerali depositate dall’appellante, ha dato atto che le ricorrenti hanno la qualità di operatori del settore.

L’accertamento non è inficiato da quanto riferito in questa sede. L’esame delle visure in parola conferma che dette società svolgono attività nell’ambito qui di interesse (in particolare, Raem: fabbricazione di insegne elettriche e apparecchiature elettroniche di segnalazione; Intersport Pubblicità: organizzazione di mezzi e servizi per la gestione, pianificazione ed esecuzione di campagne pubblicitarie; Manna: produzione di cartellonistica pubblicitaria, pittorica, luminosa, grafica, oggettistica promozionale, stampa di tutti i tipi su ogni supporto, decorazioni automezzi, striscioni e arazzi).

Per lo stesso risultato depongono del resto le difese del Comune di Napoli, che, sul punto in esame, partono proprio dal presupposto che le società originarie ricorrenti sono nelle condizioni di aspirare all’assegnazione di superfici pubblicitarie, mentre le considerazioni pure esposte dal Comune in ordine alle quantità che esse potrebbero concretamente vedersi assegnate sono discettazioni prive di qualsiasi valenza, stante la carenza del nuovo Piano generale comunale degli impianti pubblicitari, che le parti riferiscono essere in corso di predisposizione, e dei bandi attuativi dello stesso. Ogni questione al riguardo si profila poi superflua anche in considerazione della possibilità che le medesime partecipino ai futuri bandi in forma associata, e non vi sono ragioni per ipotizzare che tale associazione debba riguardare la identica compagine che ha proposto il ricorso, come pure arbitrariamente ipotizzato dall’Amministrazione.

La motivazione espressa dal Tar per ritenere l’irrilevanza dell’affermazione che l’interesse delle ricorrenti sia già soddisfatto per effetto della disponibilità delle superfici pubblicitarie che la concessionaria si è impegnata a dismettere a mezzo della transazione, racchiusa nell’osservazione che detta disponibilità non paralizza la pretesa a “ottenere un soddisfacimento maggiore delle proprie ambizioni commerciali”, può essere quindi confermata solo in quanto evidentemente espressiva della debolezza delle difese comunali, e non quale ingresso nella controversia di scenari circa il possesso o meno di requisiti di partecipazione alle gare della materia di che trattasi, che sono palesemente stridenti con l’oggetto del contendere, che attiene alla loro mancata indizione in rapporto alle ingenti superfici oggetto di transazione.

Tanto chiarito, deve ritenersi anche in questa sede l’interesse delle società ricorrenti ad agire avverso la determinazione comunale n. 555/2019: questo è come noto caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 Cod. proc. civ., e quindi dalla prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivargli dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (da ultimo, Cons. Stato, V, 1° luglio 2021, n. 5022), condizioni tutte sussistenti nel caso di specie.

Infatti, non è lecito dubitare che la transazione con Clear Channel Italia incida sulla materia dell’assegnazione delle superfici pubblicitarie, con i riflessi positivi per quest’ultima, testimoniati in linea generale dalla sua adesione all’atto, e più specificamente dal contenuto della transazione (non è qui contestato che essa riguardi, come dal capo 1.1. della sentenza impugnata, “la definitiva dismissione di parte degli impianti con riduzione della superficie pubblicitaria, la trasformazione di una quota degli stessi in impianti digitali e/o scroller, l’effettuazione gratuita di pubblicità istituzionale e per eventi dell’Ente, di servizi di informazione alla cittadinanza, la cessione a costo zero per il Comune di 142 poster e delle transenne e, infine, la rinuncia ai contenziosi pendenti”), che erodono, correlativamente, quello degli altri operatori del settore, tra cui le ricorrenti.

Né può dubitarsi dell’utilità per le ricorrenti di un esito positivo del giudizio instaurato: si rammenta che il qui azionato interesse strumentale, quale condizione dell’azione, va riguardato in astratto, con riferimento alla causa petendi della domanda, e non secundum eventum litis, mentre, ulteriormente, l’argomentazione che la materia disciplinata dalla transazione sia indisponibile per i terzi si traduce in una pretesa di insindacabilità dell’azione amministrativa che non può essere condivisa, dal momento che, come visto, il fatto che essa sia confluita in un atto proprio del diritto civile non costituisce uno svincolo dal fine del perseguimento dell’interesse pubblico, che bene può essere invocato in giudizio dai terzi interessati.

3. Il terzo e ultimo motivo di appello si dirige verso la parte della sentenza che ha ritenuto fondato il primo motivo del ricorso di primo grado, relativo alla violazione ed elusione dell’evidenza pubblica, in riferimento alla mancata applicazione del d.lgs. 50/2016 e dei principi in materia di libera concorrenza e del mercato.

L’appellante, nella sua articolata esposizione, corredata da ampi richiami alla giurisprudenza, invoca la possibilità per l’amministrazione di ricorrere a transazioni, ai sensi dell’art. 239 del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006 e ora dell’art. 208 del d.lgs. 50/2016, dando atto nelle motivazioni delle ragioni della scelta effettuata, scrutinabili nel giudizio amministrativo nei consueti limiti dettati dalla natura discrezionale di siffatta scelta, e sostiene che nel caso di specie il Comune di Napoli abbia fatto buon governo di tale possibilità, vagliando attentamente la proposta transattiva formulata da Clear Channel e ritenendola rispondente e conveniente rispetto all’interesse pubblico per tutte le ragioni esposte dalla delibera impugnata, tra cui quella di definire il rilevante contenzioso pendente con la società.

E, sempre per l’appellante, il primo giudice, nel riferirsi esclusivamente al Codice dei contratti pubblici e al divieto generalizzato di rinnovo di tali contratti, non avrebbe considerato la causa e lo scopo conservativo della transazione, nè tutti gli aspetti della complessa vicenda, omettendo in particolare di valutare che:

- si tratterebbe non di un nuovo affidamento, bensì della regolazione di una fattispecie oggettivamente incerta, specie quanto al termine di scadenza del rapporto contrattuale, nell’ambito della quale si registrano anche inadempimenti della parte pubblica, e quindi del mero riequilibrio sinallagmatico di un rapporto contrattuale al fine di conservarne gli effetti;

- alla luce di varie norme del d.lgs. 50/2016 [art. 3, lett. vv), fff) e zz; art. 143, comma 8; artt. 164/178], la concessione del servizio pubblicitario si contraddistinguerebbe per il diritto del concessionario di sfruttare economicamente il servizio per l’intera durata del rapporto e per la necessità di questo di preservare l’equilibrio economico-finanziario della gestione, in relazione al quale la durata del contratto ha un valore fondamentale, sicchè le variazioni che intervengono nel corso del rapporto, incidendo sulle presupposte condizioni di equilibrio, ne imporrebbero la revisione, pena il recesso della concessionaria o la risoluzione salvo indennizzo, in conformità alle norme civilistiche sull’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti a esecuzione continuata (artt. 1467, 1468 e 1664 c.c.) che la società ha invocato nelle liti promosse contro il Comune in uno alle norme pubblicistiche di cui sopra.

Sul punto, le difese del Comune di Napoli, con argomentazione parimenti articolate, sostengono che il Tar non abbia ben compreso la difficoltà pratica patita dall’Amministrazione nello stabilire la decorrenza iniziale, e quindi quella finale, del rapporto contrattuale.

Il motivo è infondato.

3.1. Il primo giudice ha ritenuto l’illegittimità “della modifica ex post del rapporto (che, ad onta del tempo trascorso, si considera ancora vigente anziché esaurito) attraverso l’utilizzo di uno strumento negoziale, ancorché ciò non sia nella disponibilità dell’Ente pubblico e non possa farsi rientrare nell’esplicazione della sua autonomia privata”.

Ciò rilevando, in estrema sintesi, che:

- la scelta di transigere è stata tra l’altro dettata dalla necessità di determinare una data certa per la scadenza dei rapporti oggetto dei contratti del 2002, adducendo la problematicità nello stabilirne la decorrenza, perché fissata al momento del collaudo degli impianti, non effettuato;

- su tali basi il concessionario ha accettato una serie di obblighi e condizioni, ottenendo dal Comune di continuare a svolgere l’attività per un ulteriore determinato lasso di tempo;

- “si è in presenza di un rapporto già proseguito di fatto per il doppio della durata prevista” nel quale “la perdurante irrisolta disputa sull’incertezza della decorrenza iniziale, a così considerevole distanza di tempo, non giustifica la modifica di un elemento essenziale del rapporto concessorio, dato dalla prefissione di un termine di durata (l’art. 168, co. 1, del d.lgs. n. 50/2016 fissa la regola della limitatezza nel tempo delle concessioni, a garanzia dell’esigenza che un unico concessionario non fruisca indefinitamente dei beni pubblici)

- l’art. 208 del d.lgs. n. 50/2016, regolante le transazioni, concerne le controversie relative a diritti soggettivi e ne presuppone la disponibilità in capo al contraente, laddove l’art. 1966 comma 2 c.c. sancisce con la nullità la transazione attinente a diritti che “per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”;

- l’Ente comunale, pur in presenza di situazioni di incertezza sulla decorrenza del contratto, e a prescindere dalla convenienza della transazione, non poteva con essa accordare il riconoscimento di una posizione di favore al contraente privato, non avendo la disponibilità della funzione pubblica esercitata, avendo invece in materia “il dovere di rispettare le regole di evidenza pubblica e di non disporre dei beni della collettività se non in favore di soggetti selezionati e legittimati in base alla procedura esperita”;

- ciò in quanto “La cura dell’interesse pubblico che si esprime attraverso le regole di evidenza pubblica, a garanzia della scelta del miglior contraente, non è negoziabile dalla P.A. (tanto da escludere, se non in eccezionali ipotesi, il ricorso alla trattativa privata) e non è di conseguenza transigibile (accordando ingresso a pretese dell’attuale contraente che sovvertano quelle regole)”.

Si tratta di un percorso argomentativo che il motivo in esame non riesce a scalfire né in diritto né sotto il profilo logico.

3.2. Sotto il primo profilo, è dirimente osservare che l’appellante afferma in questa sede che l’Ente pubblico poteva legittimamente far ricorso alla transazione ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. 50/2016, dimenticando che la norma si riferisce espressamente alle “controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture”, e che la possibilità nella fattispecie di ricorrere allo strumento è stata motivatamente esclusa dal Tar, con motivazioni che non sono state qui sostanzialmente confutate, dal momento che l’appellante fa riferimento, per individuarne le relative condizioni, alla sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 7 luglio 2011, n. 4083, e alla deliberazione Anac n. 56/2008, che riguardano appunto accordi transattivi aventi a oggetto l’esecuzione di appalti, e, quindi, rapporti che diversamente dalla fattispecie si collocano nell’ambito del diritto privato.

Del resto, è la stessa appellante a riferire anche che, alla luce della sentenza della Sezione 2 febbraio 2010, n. 445, la transazione “deve riguardare diritti disponibili delle parti e non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal codice dei contratti”, mentre non rileva la decisione della Sezione IV, 19 luglio 2017, pure richiamata in rapporto alla categoria delle “transazioni conservative” in cui Clear Channel colloca quella in esame, che attiene a una concessione, ma riguarda anch’essa la materia dei diritti, e specificamente, il diritto al risarcimento e la risoluzione “di diritto” di una transazione discendente dal ritardo nell’adempimento dell’accordo transattivo relativo a tale diritto.

Non è dato quindi rilevare in che modo, secondo l’appellante, i principi esposti dal Tar, nel ritenere illegittimo il ricorso alla transazione nel caso di specie per l’inesistenza di diritti disponibili, siano “del tutto disallineati” rispetto alla giurisprudenza invocata dalla stessa parte, ulteriormente considerato che il richiamo del primo giudice alla necessità delle procedure di evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni, in senso ostativo alla proroga di quelle esistenti, si profila, oggi, difficilmente contestabile. La Sezione ha avuto modo di recente di affermare proprio in riferimento al mercato pubblicitario come il rispetto delle regole della concorrenza impedisca di favorire la sussistenza di soggetti operanti sulla base di rendite di posizione acquisite da precedenti rapporti con l’Amministrazione (Cons. Stato, V, 4 novembre 2019, n. 7502).

3.3. Sotto il secondo profilo, le argomentazioni di Clear Channel che fondano la legittimità della delibera impugnata (quanto alla sua coerenza con l’interesse pubblico e, correlativamente, alla sua non contrarietà con il canone dell’evidenza pubblica) in rapporto al valore decisivo che riveste la durata dell’affidamento in una concessione del servizio pubblicitario, una volta depurate dalla loro indubbia suggestività, e ridotte così alle loro linee portanti, non oscurano il dato rilevante della vicenda, che è quello bene individuato dal primo giudice nell’osservare che viene in rilievo una concessione che si protrae da circa 20 anni a dispetto dei 9 anni di durata previsti dai contratti del 2002.

Infatti, per un verso il primo giudice ha bene considerato anche l’aspetto della durata dell’affidamento in parola, rammentando che per l’art. 168 comma 1 del d.lgs. n. 50/2016 la durata delle concessioni deve essere limitata, e per altro verso risulta evidente che quanto più si sottolinea la importanza di tale elemento tanto più assume rilevanza il rispetto del termine naturale di validità della concessione rinveniente, come nel caso di specie, da una gara.

E’ infatti detto termine che, proprio nella prospettiva assunta dall’appellante, tutela non solo l’Amministrazione, nei cui confronti, notoriamente, non è predicabile l’assunzione di impegni contrattuali privi di una data certa di scadenza, e i terzi aspiranti al bene oggetto di concessione una volta che questo sia reimmesso sul mercato, ma anche l’affidataria, che, nel meccanismo che governa le gare pubbliche, non può che aver fondato l’individuazione dell’equilibrio economico-finanziario della gestione della concessione nei ritorni previsti o prevedibili alla data della partecipazione alla gara e in riferimento a quelle specifiche condizioni di mercato presupposte dalla procedura concorsuale.

Ne viene che la pretesa necessità di ricondurre alla transazione il riequilibrio sinallagmatico del rapporto concessorio conferma, più che contrastare, la conclusione del primo giudice in ordine al carattere novativo della stessa e alla sua illegittimità, e nulla muta considerando il fine conservativo invocato dall’appellante: infatti, alla luce del citato art. 168 va escluso che possa essere individuato un interesse pubblico ex se alla conservazione del risalente contratto.

La determinazione di avvenire alla delibera transattiva in parola anziché far ricorso al mercato non può neanche giustificarsi alla luce del fatto che il collaudo degli impianti pubblicitari non sia stato effettuato, dovendo sul punto pienamente condividersi le considerazioni del Tar secondo cui “La circostanza che non si era stabilita e non si potrebbe ora fissare la decorrenza del rapporto (in quanto non erano stati collaudati gli impianti) non giustifica il rimedio attuato. Siffatto fattore non ha una rilevanza oggettiva ma è piuttosto ascrivibile ad una o a entrambe le parti l’omesso compimento dell’attività materiale di collaudo, che intuitivamente avrebbe dovuto da lungo tempo essere effettuata (a tal riguardo, va rilevato che l’art. 175 cit. [n.d.r., del d.lgs. 50/2016] ammette la modifica del contratto di concessione se la sua necessità “derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l’ordinaria diligenza”; ipotesi che non ricorre nella specie, trattandosi di omissione che denota al contrario, piuttosto, una scarsa diligenza)”.

4. Per tutto quanto precede, l’appello in trattazione deve essere respinto.

Le spese del grado possono essere compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda controversa e dell’andamento dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Fabio Franconiero, Presidente FF

Federico Di Matteo, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

Elena Quadri, Consigliere