Giu Autotutela e obbligo di provvedere in pendenza di un procedimento penale
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 01 marzo 2021 N. 1756
Massima
In materia di autotutela la regola generale è che non sussiste un obbligo di provvedere in capo alla P.A., anche al fine di evitare il rischio di eludere i termini di impugnazione mediante la proposizione di una istanza all'Amministrazione. Tra le eccezioni a tale regola rientra il caso di esistenza di un procedimento penale, fondato su elementi probatori che hanno condotto all'adozione di misure cautelari, iniziato dopo la conclusione della procedura concorsuale.
La P.A. che emani un provvedimento espresso, ancorché negativo, nei confronti dell'istante che abbia sollecitato l'esercizio del potere ex art. 21 nonies L. 241/1990, ha dunque ottemperato all'obbligo di provvedere, rientrando nella discrezionalità dell'Amministrazione anche la valutazione degli esiti del procedimento penale.

Testo della sentenza
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 01 marzo 2021 N. 1756

Pubblicato il 01/03/2021

N. 01756/2021REG.PROV.COLL.

N. 06389/2020 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6389 del 2020, proposto da [omissis], rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Sandulli, Benedetto Cimino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Universita' e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’ottemperanza

della sentenza 20 giugno 2019, n. 4211 del Consiglio di Stato, sez. VI.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Universita' e della Ricerca;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021 il Cons. Vincenzo Lopilato.

L'udienza si è svolta ai sensi dell'art.4, comma1, del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art.25, comma 2, del decreto-legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l'utilizzo di piattaforma 'Microsoft Teams' come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

FATTO e DIRITTO

 

1.? Il dott. [omissis], ricercatore confermato di diritto tributario presso il Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università degli Studi di [omissis], ha partecipato alla procedura del 2012 per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia nel settore 12/D2, diritto tributario.

All’esito della procedura non ha ottenuto l’abilitazione.

Una volta terminata tale procedura, a seguito di una denuncia presentata da uno dei partecipanti, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, con ordinanza 6 settembre 2017, ha disposto misure cautelari nei confronti di quattro membri della commissione. Nell’ordinanza si è messo in rilievo come il sistema consistesse anche nell’escludere che alcuni candidati potessero ottenere l’abilitazione.

Il dott. [omissis], venuto a conoscenza del procedimento penale, con istanza 24 novembre 2017, ha chiesto al Ministero di disporre, in via di autotutela, l’annullamento della procedura e la rivalutazione, con diversa commissione, della propria posizione.

L’amministrazione non ha risposto.

2.? La parte ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, rilevando: i) la violazione dell’obbligo di provvedere da parte dell’amministrazione, che avrebbe dovuto prendere in esame i fatti sopravvenuti penalmente rilevanti; ii) la nullità degli atti amministrativi della procedura; iii) in via subordinata rispetto alla richiesta di nullità, l’annullamento in autotutela della procedura.

3.? Il Tribunale amministrativo, con sentenza 2 agosto 2018, n. 8701, ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando come «i provvedimenti emessi in via di autotutela sono manifestazione tipica dell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, a cui solo è rimessa la valutazione relativa all’emissione o meno dell’atto di annullamento, non essendo il soggetto pubblico tenuto in alcun modo a provvedere».

4.? Il ricorrente di primo grado ha proposto appello.

5.? Il Consiglio di Stato, con la sentenza 20 giugno 2019, n. 4211, ha accolto l’appello limitatamente alla parte con cui si è fatta valere la violazione dell’obbligo di provvedere, ordinando all’amministrazione di avviare la procedura di autotutela per valutare la sussistenza dei presupposti per rivedere le determinazioni assunte.

6.? Successivamente alla pubblicazione della suddetta sentenza, il sig. [omissis], con lettera del 3 ottobre 2019, ha sollecito l’amministrazione ad eseguirla, annullando gli atti della procedura.

7.? L’amministrazione, con nota dell’8 giugno 2020, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per annullare in via di autotutela tali atti.

8.? Il sig. [omissis] ha proposto ricorso per ottemperanza, rilevando come la determinazione adottata si porrebbe in contrato con il giudicato, che aveva imposto di valutare gli elementi emersi nel corso del procedimento penale. Si è rilevato, inoltre, come la necessità di coinvolgere anche altri soggetti che hanno ottenuto l’abilitazione, richiamata nella nota impugnata, non potrebbe costituire un ostacolo all’annullamento d’ufficio. Infine, si è ribadito come gli atti oggetto di contestazione abbiano leso in maniera rilevante la sfera giuridica del ricorrente, impedendo allo stesso di partecipare ad altre procedure finalizzate ad ottenere l’abilitazione

9.? Il ricorso non è fondato.

10.? Nel giudizio di ottemperanza occorre valutare quale sia il perimetro della sentenza di cognizione e il contenuto del provvedimento amministrativo successivamente adottato dall’amministrazione al fine di accertare se tale provvedimento si ponga in contrasto con la regola giudiziale.

10.1? Nella sentenza di cognizione si è affermato quanto segue.

L’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo «può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».

I procedimenti di autotutela hanno natura discrezionale.

La discrezionalità attiene, normalmente, sia all’an del provvedere sia al contenuto del provvedere.

In relazione all’an del provvedere, la regola generale è che non sussiste un obbligo di provvedere anche per evitare il rischio di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di un’istanza all’amministrazione e con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado.

Le eccezioni a tale regola riguardano fattispecie in relazione alle quali è ravvisabile un obbligo di provvedere con conseguente configurazione di fattispecie di cosiddetta autotutela obbligatoria.

Nell’ambito di tali fattispecie, la Sezione, con la sentenza di cognizione in esame, ha ritenuto che vadano inserite anche quelle che presentano le caratteristiche della vicenda amministrativa esaminata.

In particolare, nel caso di esistenza di un procedimento penale, fondato su elementi probatori che hanno condotto all’adozione delle indicate misure cautelari, iniziato dopo che si è conclusa la procedura concorsuale, l’amministrazione «ha l’obbligo di iniziare un procedimento di autotutela per valutare se sussistono i presupposti per rivedere le determinazioni assunte».

10.2? Il Ministero, con il provvedimento impugnato, ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per procedere all’annullamento d’ufficio degli atti della procedura per le seguenti ragioni: i) le «responsabilità non sono state accertate in via definitiva», con conseguente necessità di tenere un comportamento di prudenza; ii) un eventuale intervento in autotutela «dovrebbe estendersi a tutti i candidati dichiarati inidonei nel corso della medesima tornata abilitativa, con conseguente necessità di attivare gravose procedure a carico degli uffici»; iii) il giudizio negativo del ricorrente è stato reso con parere reso all’unanimità, includendo anche il parere del commissario Ocse, non compreso tra i soggetti indagati; iv) il ricorrente non ha ripresentato la domanda di partecipazione alle procedure concorsuali del 2016-2018 e del 2018-2020.

11.? Dalla comparazione del contenuto della sentenza di cognizione e della successiva attività amministrativa non risulta che vi sia stata violazione o elusione del giudicato.

La sentenza di questo Consiglio n. 4211 del 2019 ha solo accertato la violazione dell’obbligo di provvedere.

Nel giudizio avverso il silenzio – disciplinato dall’art. 31 cod. proc. amm. – non è consentito al giudice amministrativo, in presenza di attività discrezionale, valutare la fondatezza della pretesa azionata, perché ciò implicherebbe una non consentita ingerenza in spazi valutativi riservati all’amministrazione, con violazione del divieto di sindacare poteri non ancora esercitati. Tale giudizio sulla fondatezza della pretesa è possibile soltanto in presenza di attività vincolata. Il vincolo posto con la regola giudiziale era, pertanto, esclusivamente quello di adottare una determinazione espressa.

Nello svolgimento dell’attività amministrativa successiva alla sentenza, il Ministero ha adottato l’atto espresso richiesto, ottemperando alla sentenza.

Né varrebbe rilevare, come si fa nel ricorso, che questo Consiglio aveva motivato la decisione rilevando che l’amministrazione avrebbe dovuto valutare «anche gli elementi emersi nel corso del procedimento penale». Tale affermazione deve essere letta unitamente alla parte precedente in cui si è rilevato che il potere rimane discrezionale, dovendo l’amministrazione, nell’esercizio di tale potere, valutare gli esiti del procedimento penale. Non sussistono, pertanto, gli estremi per ritenere che l’atto impugnato sia nullo.

12.? Le censure prospettate in questa sede possono essere fatte valere in un autonomo giudizio di cognizione, nell’ambito del quale potrà essere valutato il contenuto della determinazione assunta e, in particolare, se la stessa contenga una motivazione adeguata che tenga conto degli specifici fatti di reato contestati nell’ambito del procedimento penale. E’ solo quella, infatti, la sede in cui sarà possibile effettuare un sindacato giurisdizionale stringente che valuti la legittimità del provvedimento adottato alla luce delle condizioni di legittimità degli atti di autotutela poste dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Nella suddetta sede di cognizione dovranno, inoltre, essere vagliate le valutazioni svolte dal Ministero relative alla specifica posizione del ricorrente, che non sono state oggetto di esame nella sentenza n. 4211 del 2019 di questa Sezione.

12.? La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta, nei sensi e limiti di cui in motivazione, il ricorso proposto con l’atto indicato in epigrafe;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Sergio Santoro, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere