Giu frode fiscale - TENUITà DEL FATTO - condotta susseguente
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 29 agosto 2024 N. 33284
Massima
Ai fini dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p. nei reati di frode fiscale, la condotta susseguente di pagamento del debito tributario non costituisce di per sé elemento idoneo a escludere la punibilità per tenuità del fatto quando il reato in contestazione è volto a ostacolare il controllo fiscale mediante l'occultamento di documentazione. Pertanto, la positiva condotta riparatoria dell'imputato non può essere considerata sufficiente a ridurre la gravità del reato se non affronta il pregiudizio specifico all'attività di accertamento.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - 29 agosto 2024 N. 33284

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale è stata censurata la qualificazione della condotta come di occultamento di documenti contabili (in particolare della fattura indicata nella imputazione), anziché di distruzione, con la conseguente estinzione del reato per prescrizione (per essere ora decorso il relativo termine massimo), è inammissibile, essendo volto a conseguire una rivisitazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di proporne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde e non manifestamente illogica, come tale non suscettibile di rivisitazioni nel giudizio di legittimità.

Va, in premessa, osservato che si è in presenza di una doppia conforme statuizione di responsabilità, essendo state esaminate le risultanze istruttorie con criteri omogenei dal primo e dal secondo giudice, pervenendo alle medesime conclusioni, cosicché le due motivazioni si integrano reciprocamente (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01), e ciò limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all'impossibilità per la Corte di cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l'ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del travisamento della prova, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non è questo però il caso: il ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, laddove censura la valutazione della testimonianza della sorella dell'imputato, dipendente dell'impresa dallo stesso amministrata, che, invece, è stata oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.

La Corte d'Appello, infatti, in accordo con il Tribunale, ha qualificato la condotta contestata come di occultamento della fattura indicata nella imputazione a causa del suo mancato rinvenimento in occasione della verifica fiscale, escludendo la qualificabilità della condotta stessa come di distruzione in ragione della ritenuta inverosimiglianza di quanto dichiarato da B.B., sorella dell'imputato e dipendente della società, che ebbe a riferire che il fratello aveva fatto ritorno nella sede della società con la fattura già strappata, gettandola in un cestino, a causa di un diverbio con tale C.C., titolare della S.I.V. Snc, nei cui confronti la fattura era stata emessa. La Corte d'Appello, ribadendo quanto già osservato analiticamente sul punto dal Tribunale di Torino nella sentenza di primo grado, ha sottolineato l'inverosimiglianza di tale condotta come descritta dalla teste, in quanto non seguita dalla emissione di una nota di credito e dunque implicante la rinuncia, immotivata (stante la inverosimiglianza delle giustificazioni addotte dall'imputato sul punto e riportate nella sentenza di primo grado), a un credito di ammontare rilevante, pari a oltre 100.000,00 Euro (pari, secondo quanto esposto nella sentenza di primo grado, a quasi un terzo dell'intero imponibile fatturato nell'anno), escludendo di conseguenza la veridicità di quanto dichiarato dalla teste B.B.

Si tratta di considerazioni che non sono manifestamente illogiche, essendo fondate sulla applicazione razionale di nozioni e massime di comune esperienza (tra cui quella relativa alla necessità di emettere una nota di credito quando una fattura regolarmente emessa e registrata venga, per qualsiasi ragione, stornata, e anche quella relativa alle ordinarie modalità di gestione di controversie tra imprenditori in ordine ai corrispettivi rispettivamente richiesti e dovuti, che in genere non si concludono con la rinuncia tout court a un credito del rilievo di quello portato dalla fattura oggetto della contestazione), oltre che sulla mancanza di spiegazioni credibili in ordine alla riferita condotta di distruzione di detta fattura e sulla conseguente, asserita, rinuncia a un credito di importo rilevante, considerazioni di cui il ricorrente ha proposto una rivisitazione e una rilettura, contestando il suddetto giudizio di inverosimiglianza di quanto riferito dalla teste B.B. e ribadendo la propria prospettazione circa la ricostruzione della condotta come di distruzione e non di occultamento, che, però, è stata giustificata in modo sufficiente e non manifestamente illogico dai giudici di merito, sulla base di una lettura razionale delle risultanze istruttorie, come tale non suscettibile di riconsiderazioni o riletture nel giudizio di legittimità.

Ne consegue, in definitiva, l'inammissibilità delle censure sollevate con il primo motivo di ricorso e, di conseguenza, l'esclusione della estinzione per prescrizione del reato, da ritenersi consumato al momento dell'accertamento della condotta di occultamento (cfr. Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021, Narcisi, Rv. 282340 - 01, secondo cui l'art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000 n.74, nella parte in cui sanziona l'occultamento totale o parziale delle scritture contabili, ha natura permanente, perdurando l'obbligo di esibizione dei documenti finché dura il controllo da parte degli organi verificatori, con la conseguenza che il momento consumativo del reato deve individuarsi nella conclusione e non nell'inizio di detto accertamento; conf. Sez. 3, n. 4871 del 17/01/2006, Festa, Rv. 234053 - 01).

3. Il secondo motivo, relativo alla esclusione della applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, nonostante il positivo comportamento dell'imputato successivo al fatto, caratterizzato dall'assunzione dell'obbligo di provvedere al pagamento dell'imposta evasa, è anch'esso manifestamente infondato.

In tema di reati tributari, tra le condotte susseguenti al reato suscettibili di valutazione ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., come novellato dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, rientra indubbiamente anche l'integrale o parziale adempimento del debito tributario, anche attraverso un piano rateale concordato con il fisco o l'adesione a provvedimenti relativi alla "rottamazione" delle cartelle esattoriali (Sez. 4, n. 14073 del 05/03/2024, Campana, Rv. 286175 - 01).

Tuttavia, nel caso in esame l'assunzione dell'obbligo di provvedere al pagamento dei debiti tributari dell'impresa amministrata dal ricorrente non costituisce condotta riparatoria delle conseguenze del reato contestato all'imputato, che riguarda l'occultamento della documentazione contabile e la difficoltà che ne è derivata nella ricostruzione della contabilità e dei redditi di tale impresa, e cioè un pregiudizio alla attività di accertamento dei redditi e delle conseguenti obbligazioni tributarie, pregiudizio che non può dirsi riparato o ridotto per effetto del pagamento del debito tributario (che riguarda il mancato assolvimento dell'obbligazione tributaria), che quindi non assume rilevanza nella prospettiva proposta dal ricorrente, e cioè ai fini del riconoscimento della applicabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, non costituendo attività riparatoria delle conseguenze della condotta ascritta all'imputato, che non è una condotta di evasione di imposta ma è solo caratterizzata dal fine di evasione.

4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di entrambi i motivi ai quali è stato affidato.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione
Così deciso il 9 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 agosto 2024.