Giu il c.d. Bonus facciate e la ricostruzione del meccanismo truffaldino adottato dalle parti interessate da parte del giudice
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 11 luglio 2024 N. 27809
Massima
In tema del c.d. Bonus facciate, la questione sulla correttezza formale delle procedure seguite e la circostanza che la circolazione del credito di imposta non fosse subordinata alla previa realizzazione dei lavori per i quali era stato ottenuto il bonus devono ritenersi doglianze manifestamente infondate, ove il giudice abbia svolto una puntuale ricostruzione del meccanismo truffaldino adottato dalle parti interessate.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - 11 luglio 2024 N. 27809

1. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, con provvedimento del 28/3/2024 respingeva l'appello avverso l'ordinanza del Tribunale di Napoli del 12/2/2024, che aveva rigettato l'istanza di dissequestro avanzata nell'interesse di A.A.

2. L'indagato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo con cui deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 1 legge n. 160/2019 e 125, comma 3, cod. proc. pen.

Ritiene la difesa che la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto avulsa dal contesto delle doglianze avanzate con l'atto di appello e che non faccia corretta applicazione della normativa di settore; che, invero, l'indagato, in proprio e quale legale rappresentante della Sant'Antonio Internazionale Immobiliare, per poter accedere al cosiddetto Bonus facciate 90 per cento, ha versato il 10 per cento del valore degli interventi edilizi commissionati; che senza detto versamento, non si sarebbero generati nel sito della Agenzia delle Entrate i certificati del credito di imposta vantato e da utilizzare per la circolazione di detto credito; che, dunque, la somma versata dal A.A. coprirebbe ampiamente quella oggetto del sequestro per equivalente disposto per i reati di cui ai capi 5) e 6); che il Tribunale, nel rigettare l'istanza di dissequestro, ha operato una impropria confusione tra i crediti di imposta e la percentuale del 10 per cento rimasta a carico del committente, tenuto conto che tale percentuale, da versarsi prima della generazione del certificato di credito, non rientra nel novero delle somme quantificate a titolo di credito di imposta; che, in ogni caso, trattandosi di prime cessioni, l'eventuale falso credito di imposta per opere non realizzate sarebbe stato profitto per l'appaltatore, non per il A.A., che è il committente; che la paventata circolarità dei versamenti tra il ricorrente e le società a lui facenti capo, cui fa riferimento l'ordinanza impugnata, è frutto di considerazioni generiche, che non trovano riscontro in atti.

2.1. In data 20/5/2024 è pervenuta articolata memoria scritta, con cui si insiste nell'accoglimento del ricorso, anche in considerazione della correttezza del procedimento seguito per accedere al Bonus facciate.

3. Il ricorso è inammissibile per non essere consentito l'unico motivo cui è affidato, in quanto aspecifico, oltre che reiterativo delle stesse doglianze avanzate al Tribunale del riesame e da questo risolte con motivazione congrua, esaustiva ed immune da profili di manifesta illogicità.

In particolare, il provvedimento impugnato dà conto della assoluta inconferenza dell'argomento difensivo, secondo il quale il versamento del 10 per cento del valore degli interventi edilizi commissionati coprirebbe ampiamente quella oggetto del sequestro per equivalente disposto per i reati di cui ai capi 5) e 6). Invero, ha evidenziato il Tribunale che detta somma sarebbe stata versata ad altro soggetto privato, l'appaltatore, dunque evidentemente non all'Erario, con la conseguenza che non rileva ai fini dell'illecito utilizzo in compensazione degli inesistenti crediti di imposta in contestazione; né rileva in relazione al reato di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen., essendo stato disposto il sequestro in relazione al reimpiego del profitto derivante dalla emissione di fatture false e cessioni truffaldine, rispetto al quale non si vede per quale motivo dovrebbero aver rilievo versamenti (il 10 per cento delle fatture) intervenuti nel corso di rapporti contrattuali fittizi, effettuati in favore di soggetti privati e finalizzati solo a portare a termine le frodi.

Quanto alla correttezza formale delle procedure seguite per accedere al Bonus facciate, evidenziata nella memoria difensiva, è sufficiente osservare che il Tribunale del riesame dà atto che la mancata realizzazione dei lavori per i quali era stato ottenuto il credito di imposta, così come l'inesistenza dei crediti compensati e la fittizietà delle vicende contrattuali, sono circostanze di fatto incontestate e che l'appello si fondava solo ed esclusivamente sulla tesi secondo la quale, "avendo il committente versato il 10 per cento sugli importi di cui alle fatture false (con il 90 per cento delle stesse fatto valere come credito di imposta), il sequestro andrebbe revocato in ragione delle somme effettivamente pagate alla controparte" (si veda pagina 3 dell'impugnato provvedimento), tesi questa su cui si fonda anche il motivo principale di ricorso. Dunque, la questione sulla correttezza formale delle procedure seguite e la circostanza che la circolazione del credito di imposta non fosse subordinata alla previa realizzazione dei lavori per i quali era stato ottenuto il bonus costituiscono doglianze manifestamente infondate, a fronte della ricostruzione del meccanismo truffaldino effettuata dai giudici della cautela con motivazione congrua ed esaustiva.

Ebbene, con tali rilievi il difensore si confronta solo apparentemente, limitandosi a reiterare pedissequamente i rilievi formulati con l'appello cautelare, senza tener conto della trama motivazionale del provvedimento impugnato.

Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 - 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, Dantese, Rv. 268385 -01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano Rv. 236945 - 01).

4. All'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma 19 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria l'11 luglio 2024.