Giu La falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura ad litem integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 11 luglio 2024 N. 27684
Massima
La falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura ad litem integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità. È pur vero che la sottoscrizione presente sull'atto di nomina del difensore può essere da questi autenticata anche se non effettuata in sua presenza e apposta su una copia inviatagli dall'assistito anziché sull'originale dell'atto, ma, con la spedizione o la consegna dell'atto all'autorità giudiziaria procedente, il difensore si assume la piena responsabilità della provenienza della dichiarazione e della relativa sottoscrizione.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 11 luglio 2024 N. 27684

1. Secondo la prospettazione offerta dai giudici del merito, la falsa certificazione dell'autenticità della firma, non apposta in sua presenza, costituirebbe uno degli artifici necessari per portare a compimento il proposito fraudolento e, quindi, il fatto potrebbe essere comunque ricondotto alla dinamica descritta nell'originario capo di imputazione. In ogni caso, l'imputato avrebbe comunque ammesso di aver falsamente certificato l'autenticità della sottoscrizione e ciò sarebbe sufficiente per ritenere integrati tutti gli elementi costitutivi dell'art. 481 cod. pen. ed escludere la violazione degli artt. 521 e 522 del codice di procedura penale.

Il principio è corretto.

Come è noto, infatti, il giudice può dare al fatto - ai sensi del primo comma dell'art. 521 cod. proc. pen. - una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza o non sia affidato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.

La necessaria tutela dei diritti di difesa dell'imputato, tuttavia, impone che il giudice si limiti alla mera riqualificazione di un fatto, quello contestato nel capo d'imputazione, che nella sua materialità e nel suo profilo soggettivo, deve rimanere comunque immutato. Un'eventuale diversità, accertata nel corso del processo, impone al giudice di rimettere gli atti al pubblico ministero per le sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, essendo precluso al giudice di pronunciarsi su un fatto diverso, rispetto al quale l'imputato non ha potuto esercitare il suo diritto di difesa.

Ciononostante, questa Corte ha già avuto modo di osservare come l'indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, ma coinvolge la valutazione del complessivo iter processuale e la conseguente verifica della sussistenza di concrete possibilità di esercitare il diritto di difesa in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205619; Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051).

Cosicché, la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza non è ravvisabile nel caso in cui l'accusa sia precisata o integrata con le risultanze delle dichiarazioni dell'imputato e degli altri atti acquisiti al processo e, in particolare, quando il fatto ritenuto in sentenza, quantunque diverso da quello contestato, sia stato prospettato dallo stesso imputato che, in tal caso, ha potuto difendersi in relazione alla diversa prospettazione volontariamente offerta (Sez. 1, n. 3686 del 13/09/2023, dep. 2024, Z., Rv. 285718).

Ebbene, il fatto, nella sua dimensione oggettiva, è stato effettivamente riconosciuto dall'imputato, avendo il A.A. riconosciuto di aver sottoscritto l'atto di citazione autenticando la sottoscrizione del cliente. Deduce, però, di averlo fatto nella piena convinzione dell'autenticità della stessa, ancorché in assenza del cliente, dopo che la firma era già stata apposta in calce all'atto.

Tanto permette di ritenere sia che non vi sia stata violazione del principio di correlazione tra l'imputazione e la sentenza (per le ragioni in precedenza evidenziate), sia di dedurre la sussistenza del reato nella sua dimensione oggettiva.

In linea generale, la falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura ad litem integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (Sez. 5, n. 15556 del 9/3/2011, Bruzzese, Rv. 250181; Sez. 5, n. 9578 del 19/1/2006, Piras, Rv. 234229; Sez. 5, n. 22496 del 28/04/2005, Benvestito, Rv. 231563-01; Sez. 2, n. 3135 del 26/11/2002, dep. 2003, Quattrone, Rv. 223829). È pur vero che la sottoscrizione presente sull'atto di nomina del difensore può essere da questi autenticata anche se non effettuata in sua presenza e apposta su una copia inviatagli dall'assistito anziché sull'originale dell'atto, ma, con la spedizione o la consegna dell'atto all'autorità giudiziaria procedente, il difensore si assume la piena responsabilità della provenienza della dichiarazione e della relativa sottoscrizione (Sez. 1, n. 32123 del 16/10/2020, Aspillaga, Rv. 279894).

Il ricorrente riconosce di aver autenticato la firma (pacificamente falsa), ma nella piena convinzione dell'autenticità della stessa. Ma, sotto tale profilo, va ribadito che il reato per il quale è intervenuta condanna si caratterizza per il dolo generico che, com'è noto, può manifestarsi anche nella forma del dolo eventuale, quale adesione psicologica all'evento verificatosi nel caso concreto. Coefficiente psichico che la Corte territoriale, in ossequio ai principi cristallizzati nella nota sentenza delle Sezioni Unite Espenhahn (n. 38343 del 24/4/2014, Rv. 261105), ha dedotto da una pluralità di elementi logici e fattuali dotati di autonoma forza inferenziale: l'insussistenza di qualsiasi rapporto professionale tra il cliente e l'imputato, la mancata conoscenza del sinistro oggetto della vicenda, la certificazione dell'autenticità in assenza del sottoscrittore.

Il ricorso, quindi, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Società Reale Mutua di Assicurazioni, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma l'8 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria l'11 luglio 2024.