4. Il ricorso della A.A. è nel complesso infondato.
L'art. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 prevede la confisca diretta dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal decreto legislativo, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Si considera "persona estranea al reato", colui che non abbia commesso il reato, non abbia tratto vantaggi dall'altrui attività criminosa e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l'utilizzo del bene per fini illeciti (Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054 - 02; n. 42008 del 05/10/2022, Ricci, Rv. 283713 - 01; n. 42778 del 26/05/2017, Consoli, Rv. 271441; Sez. 1, n. 29197 del 17/06/2011, (Omissis) Spa , Rv. 250804-01). Nel caso in esame, il sequestro prodromico alla confisca è stato disposto nei confronti dell'indagato C.C. ed esteso dal GIP anche ai beni cointestati con la moglie A.A.. Il GIP ha ricostruito che dalle indagini era emerso che la A.A. era la diretta destinataria delle somme provento dell'evasione fiscale poichè era stata formalmente assunta presso alcune delle società gestite dal marito, anche se non vi lavorava come dichiarazioni degli informatori, ciò nonostante era in possesso delle cosiddette "carte soldo" di varie società attraverso le quali percepiva circa 10.000 Euro mensili, era delegata a operare sui conti correnti, era titolare insieme al marito della procura irrevocabile a vendere la (Omissis). Perciò certamente non una "persona estranea al reato", bensì una persona pienamente consapevole degli illeciti perpetrati dal marito da cui traeva vantaggi personali. Tale ricostruzione è stata confermata dal Tribunale del riesame e non specificamente contestata dalla A.A. che ha focalizzato la sua difesa sulla titolarità esclusiva dei beni immobili, ancorchè confluiti in fondo patrimoniale, e sull'assenza di motivazione della loro disponibilità da parte del marito. Nella prospettiva del Tribunale del riesame, la costituzione del fondo patrimoniale è elemento di per sè irrilevante, poichè è pacifica in giurisprudenza la sequestrabilità dei relativi beni su cui è impresso solo un vincolo di destinazione laddove il titolare ne conservi la disponibilità (si veda tra le più recenti, Sez. 3, n. 23621 del 17/07/2020, Zamattio, Rv. 279824-01), è invece rilevante la disponibilità da parte del C.C. che è stata desunta dalla stessa coabitazione, trattandosi della casa coniugale. La decisione è in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui la disponibilità non coincide con la proprietà ma con il possesso (Sez. 3, n. 34602 del 31/03/2021, Roveta Emilianà, Rv. 282366-01). A differenza di quanto dedotto dalla difesa, vi è la motivazione sulla disponibilità sia nell'ordinanza del GIP che in quella del Tribunale del riesame, per cui la censura sollevata con il secondo motivo attiene piuttosto alla persuasività del percorso logico-argomentativo seguito, ciò che esula dalla cognizione del giudice di legittimità.
Con il primo motivo la difesa ha affermato la titolarità esclusiva dei beni conferiti nel fondo patrimoniale perchè acquisiti in proprio, richiamando la tesi giurisprudenziale dell'irrilevanza del vincolo di destinazione rispetto alla proprietà. Sul tema tuttavia va rimarcato, in aggiunta alle considerazioni svolte e di per sè decisive, che l'art. 168 c.c. stabilisce che la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta a entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione. Ciò comporta pacificamente nella giurisprudenza civile la legittimazione di entrambi i coniugi (anche di quello non originariamente proprietario) ad agire nonchè ad essere evocati in giudizio, operando il litisconsorzio necessario (tra le più recenti Sez. 6, ord., n. 5768 del 22702/2022, Rv. 664077-01). Perciò, a differenza di quanto dedotto dalla ricorrente, i beni, anche se originariamente in proprietà personale del coniuge non indagato, una volta conferiti nel fondo patrimoniale, entrano nella titolarità di entrambi i coniugi e come tali possono essere appresi in seguito al procedimento penale a carico del coniuge indagato che ne abbia la disponibilità.
5. Il ricorso della B.B. è invece manifestamente infondato, perchè il Tribunale del riesame, non solo ha motivato in merito al fumus dei reati contestati, ma ha anche evidenziato che la ricorrente era l'amministratrice di diritto della società beneficiaria dei profitti illeciti, il che di per sè ne determinava la responsabilità, senza poi considerare l'ulteriore elemento della consapevolezza delle condotte illecite altrui e quindi la responsabilità per concorso. La mera accettazione della carica attribuisce infatti all'amministratore di diritto i doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta una responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (tra le più recenti, Sez. F., n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939-02). Quanto al sequestro dei beni personali, a differenza di quanto dedotto dalla difesa, il Tribunale del riesame ha evidenziato che non risultava raggiunto l'ammontare del profitto dei reati grazie ai sequestri finalizzati alla confisca diretta, motivazione sufficiente in base alla cognizione sommaria di tale fase.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso di A.A. debba essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e che il ricorso di B.B. debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di A.A. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di B.B. che condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2023