Giu In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 04 novembre 2024 N. 28241
Massima
In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., Sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010)

Casus Decisus
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catanzaro ha accolto il gravame avanzato dal FALLIMENTO N.H., nei confronti dell’ AVV. P. S. CARLO, avverso la sentenza n. 655/2019 emessa Tribunale di Cosenza in data 28.03.2019, disponendo, in riforma della sentenza impugnata, l’inefficacia della cessione di credito del 5.12.2012 e condannando l’Avv. S. Carlo P. alla restituzione in favore della curatela fallimentare della somma di € 42.518,44, oltre interessi legali dalla domanda. 2. Più in particolare, con atto di citazione del 1.12.2017 la curatela del fallimento N.H. aveva convenuto in giudizio l’Avv. S. Carlo P. dinnanzi al Tribunale di Cosenza al fine di sentire accertato che il predetto atto di cessione di credito aveva arrecato pregiudizio alle ragioni creditorie, ai sensi degli artt. 2901 c.c. e art. 66 l. fall., e per sentir dichiarare l’inefficacia dell’atto e conseguentemente condannare l’Avv. Carlo S. P. a restituire l’intera somma di € 42.518,44 alla curatela; in via subordinata, nell’ipotesi in cui il Tribunale avesse ritenuto legittimo il pagamento della somma di € 13.281,62 all’Avv. P. per il compenso delle prestazioni professionali, per sentir dichiarare l’inefficacia dell’atto di cessione di credito per la residua somma di € 29.236,82, pagata dalla società per un debito altrui. 3. Il Tribunale aveva invece ritenuto che l’ammissione al passivo rappresentasse un implicito riconoscimento della compensazione, quale causa parzialmente estintiva della pretesa che “determina(va) una preclusione endofallimentare, che opera(va) in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare … il titolo dal quale deriva(va) il credito opposto in compensazione … la preclusione discende(va) dal non avere parte attrice formulato eccezione di revocatoria in breve o eccezione di inefficacia ex art. 64 l.f. in sede di progetto di stato passivo”. 4. La corte del merito, nel ribaltare la decisione adottata in primo grado, ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) l’ammissibilità della domanda revocatoria proposta dalla curatela nei confronti della sopra descritta cessione del credito non fosse preclusa dalla formazione di un giudicato endofallimentare, e ciò sulla base dei medesimi principi affermati da Cass. Sez. Un. n. 16508/2010 e richiamati invece erroneamente dal Tribunale nella sentenza appellata; (ii) l’ammissione infatti del credito residuo vantato dal P. nei confronti della N.H. srl per effetto della scrittura privata del novembre 2012 non era preclusiva della domanda revocatoria proposta avverso la cessione del credito operata dalla società N.H., in forza della medesima scrittura, per estinguere in parte i crediti professionali del P., in quanto il giudicato endofallimentare si era formato solo in relazione all’entità dei crediti residui del P., e non anche sulla validità del pagamento anteriore ottenuto con la cessione di credito oggetto di causa; (iii) nel merito della pretesa azionata dalla curatela fallimentare, la cessione del credito vantato dalla fallita nei confronti di Banca Intesa costituiva senz’altro un mezzo anomalo di pagamento del tutto “discrezionale” che, non essendo un atto dovuto, non poteva beneficiare della esenzione di cui all’art. 2901, 3 comma, cod. civ.; (iv) peraltro, il pagamento delle prestazioni all’Avv. P., effettuato con tale modalità anomala e perciò stesso astrattamente revocabile ex art. 66 l. fall., doveva essere valutato alla stregua di un atto a titolo gratuito nella parte in cui la N.H. s.r.l. aveva inteso estinguere anche una parte del credito professionale vantato dal P. nei confronti di un terzo; (v) sussistevano tutti i requisiti previsti dall’art. 2901 c.c. per l’accoglimento della domanda revocatoria, posto che sulla base della documentazione acquisita, poteva evincersi che: (a) alla data della cessione del credito oggetto della revocatoria la società aveva già una notevole esposizione debitoria; (b) la predetta cessione doveva essere qualificata alla stregua di un atto certamente pregiudizievole per le ragioni degli altri creditori, avendo consentito al P. di soddisfare almeno in parte il proprio credito, proprio nel 2013, sottraendosi alla regola della par condicio creditorum; (c) il P., quale legale delle società riconducibili al Barile sin dal 2005, non poteva ignorare la grave situazione finanziaria in cui esse si trovavano e, dunque, il pregiudizio che la cessione avrebbe provocato agli altri creditori; (d) diversamente non avrebbe mai accettato, a parziale estinzione del credito professionale, la cessione di un credito ancora sub iudice e dunque non ancora certo, liquido ed esigibile. 2. La sentenza è stata impugnata dall’ AVV. P. S. CARLO con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui il FALLIMENTO N.H. ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 04 novembre 2024 N. 28241 FERRO MASSIMO

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “error in procedendo” e “nullità della sentenza impugnata per avere omesso ogni pronuncia sulle eccezioni formulate in primo grado, ritenute assorbite, e ritualmente riproposte dall’appellato nel giudizio di appello ex art. 346 cpc” e “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 cpc, 346 cpc e 161 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione al 360 I c. n. 4 cpc”.

1.2 Il motivo è complessivamente infondato. Osserva il Collegio come le doglianze formulate dal ricorrente nei termini di violazione dell’art. 112 c.p.c. sono, in parte infondate, in quanto la Corte di appello – diversamente da quanto opinato dall’odierno ricorrente – si è effettivamente pronunciata sulle eccezioni sollevate dalla parte convenuta in revocatoria e poi appellata (si confrontino i punti 3 ed 8 delle conclusioni rassegnate nella comparsa di costituzione in appello, per come riportate a pag. 17 del ricorso introduttivo) e, per altra parte, inammissibili perché fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato che, ritenendo le questioni sollevate dalla parte appellata evidentemente incompatibili con il decisum adottato, ha in realtà implicitamente rigettato le stesse, dovendosi infatti ritenere che eventuali censure da parte del ricorrente in cassazione avrebbero dovuto essere necessariamente veicolate non già attraverso la deduzione della omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c. (e, dunque, per violazione di una norma sul procedimento), bensì attraverso il vizio di violazione di legge ovvero ancora come difetto di motivazione, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020). 

2. Con il secondo mezzo si deduce “error in iudicando” e “nullità della sentenza per avere la Corte di merito – in primis – omesso ogni doverosa indagine e opportuna valutazione sull’essere stati i due schemi negoziali – transazione e cessione – atti semplici ovvero unico complesso (o contratti collegati) a causa transattiva (unica o prevalente); e non aver accertato – in secundis – che i contenuti della scrittura del 16.11.2012 deponevano per essere, all’atto della sottoscrizione della scrittura del 16.11.2012, entrambi i contratti perfezionati dai quattro paciscenti, atti dispositivi e non averli pertanto ritenuti schemi negoziali parte del contratto complesso a causa transattiva unica (o in estremo subordine contratti collegati a causa transattiva prevalente); e per avere – in tertiis – conseguentemente la Corte apoditticamente postulato ed erroneamente interpretato esser la seconda scrittura autentica del 5.12.2012 negozio semplice con causa autonoma (solutoria) e non atto invece di mera riproduzione dei contenuti del contratto di cessione già perfezionato il 16.11.2012 nel contesto dell’atto complesso a causa transattiva” e dunque “nullità della interpretazione letterale e sistematica di entrambe le scritture private del 16.11.2012 e di quella – oggetto esclusivo dell’azione – autenticata del 5.12.2012 resa in violazione e/o falsa applicazione dei canoni ermeneutici legali di interpretazione e violazione degli art.li 66 LF, 2901 CC, 1362 CC, 1363 CC, 1367 CC, nonché 1965 CC e 1260-1198 cc, e dell’art. 1325 n. 2 CC, nonché dell’art. 1362 e 1376, in relazione al 360 I c. n. 3 cpc – conseguente inammissibilità dell’azione avviata dalla curatela avverso l’atto riproduttivo della cessione (del 5.1.2012)”.

2.1 Il motivo è all’evidenza inammissibile in quanto volto a far ripetere a questa Corte di legittimità un nuovo apprezzamento in fatto sul contenuto e la qualificazione della scrittura privata del 16.11.2012, che – secondo il diverso opinamento del ricorrente – avrebbe dovuto far ritenere entrambi i contratti perfezionati dai quattro paciscenti quali atti dispositivi e dunque “schemi negoziali parte del contratto complesso a causa transattiva unica”. Non è difficile pertanto scorgere il tentativo di riportare innanzi a questa Corte l’esame della quaestio facti, come tale diretta ad accertare la diversa volontà negoziale delle parti, secondo i desiderata dell’odierno ricorrente.

Sul punto è utile ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., Sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010).

??????? A ciò va aggiunto che - ai fini della censura di violazione dei predetti canoni ermeneutici - non è peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016). In ogni caso, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 2007).

2.2 Alla luce dei principi ora ricordati le doglianze proposte si evidenziano nei citati limiti in quanto non hanno spiegato le ragioni per le quali il diverso apprezzamento dei giudici del merito si sarebbe posto in illegittima contrapposizione con i canoni legali di interpretazione del contratto, qui evocati dal ricorrente solo con il richiamo fattone nella rubrica del motivo.

3. I restanti motivi articolati nel ricorso introduttivo rimangono assorbiti per la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo, posto che le doglianze si fondano tutte sul presupposto (sconfessato nel giudizio di merito e qui non adeguatamente censurato) che la transazione “reggesse” anche l’atto di cessione del credito, questione che tuttavia, per quanto sopra osservato, non integra il thema decidendum del giudizio di merito e dunque non è più censurabile in cassazione, per lo meno nei termini prospettati dall’odierno ricorrente. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 15.10.2024