Giu Qualora la sentenza di merito si fondi su una pluralità di ragioni, fra loro distinte e autonome la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle «rationes decidendi» rende inammissibili quelle relative alle altre
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 31 ottobre 2024 N. 28191
Massima
Qualora la sentenza di merito si fondi su una pluralità di ragioni, fra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle «rationes decidendi» rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, quelle relative alle altre esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto il loro accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della pronuncia gravata (cfr. Cass. n. 15819/2024, Cass. n. 35512/2023, Cass. n. 6765/2022, Cass. n. 24381/2021).

Casus Decisus
La Direzione Provinciale di Lucca dell’Agenzia delle Entrate notificava ai germani Andrea e Sandra B. due distinti avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione, ai fini dell’IRPEF, la plusvalenza da loro asseritamente conseguita nell’anno 1999 mediante la lottizzazione e la successiva vendita alla D. s.r.l. di un appezzamento di terreno edificabile sito nel Comune di Altopascio (LU), ereditato dal defunto padre Rosildo B.. Detta cessione era avvenuta contestualmente a quella, ugualmente onerosa, effettuata dai prefati germani in favore dell’Immobiliare V. di B. V. & C. s.a.s., avente ad oggetto altro terreno pure proveniente dall’eredità paterna. I contribuenti, ognuno per quanto di rispettivo interesse, impugnavano i suindicati atti impositivi proponendo separati ricorsi giurisdizionali, poi riuniti, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lucca, che li respingeva con sentenza n. 84/2006 del 1° settembre 2006. La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, la quale, in accoglimento del gravame esperito dalle parti private, annullava gli avvisi di accertamento, osservando che erroneamente l’Ufficio aveva determinato la presunta plusvalenza tassabile tenendo conto della sola vendita intercorsa nel 1999 fra i contribuenti e la D. s.r.l., e non anche dell’altra da loro conclusa nello stesso anno con l’Immobiliare V. s.a.s.: qualora, infatti, fosse stata presa in considerazione anche tale ulteriore cessione, sarebbe chiaramente risultato che nessuna plusvalenza era stata realizzata dai venditori, che al contrario avevano subìto una minusvalenza. Contro quest’ultima pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, denunciando la contraddittoria e insufficiente motivazione del «dictum» di seconde cure, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., nella versione all’epoca vigente. I contribuenti resistevano con controricorso. Con sentenza n. 15011/2014 del 2 luglio 2014, ritenuta fondata la censura mossa dalla parte erariale con l’unico motivo di ricorso, questa Corte cassava l’impugnata decisione d’appello, rinviando la causa ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana per un nuovo esame della controversia. Nella citata pronuncia cassatoria veniva evidenziato che la CTR aveva immotivatamente ritenuto incontroverso il fatto che gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei B. riguardassero entrambe le vendite immobiliari da loro poste in essere nell’anno 1999, laddove, invece, tale circostanza era stata contestata dall’Amministrazione Finanziaria, la quale sosteneva che l’oggetto della pretesa impositiva fosse costituito dalla sola plusvalenza derivante dalla cessione effettuata dai predetti germani in favore della D. s.r.l., per un corrispettivo di 250 milioni di lire. Al giudice del rinvio era, pertanto, affidato il còmpito di verificare la logicità dell’accertamento in fatto contenuto nella sentenza cassata, «procedendo quindi all’esame di eventuali ulteriori motivi». Il processo veniva tempestivamente riassunto dai contribuenti, ai sensi dell’art. 63 del D. Lgs. n. 546 del 1992, dinanzi alla CTR toscana, che con sentenza n. 767/2016 del 21 aprile 2016, in accoglimento del loro originario appello, annullava gli atti impositivi impugnati. A sostegno della decisione adottata detto giudice argomentava che: - alla luce di quanto statuito da questa Corte con la menzionata sentenza di cassazione, «uno degli aspetti in discussione e(ra)... se (fosse) stato legittimo limitare l’accertamento ad una sola delle vendite o non fosse appunto doveroso valutarle entrambe congiuntamente»; - «nella fattispecie, per quanto le cessioni (fosser)o state fatte a soggetti diversi, appar(iva) evidente l’unicità dell’operazione economica messa in atto dai venditori, perché i beni fa(ceva)no parte di un unico compendio costituito appunto dall’eredità del padre e(d) (era)no stati ceduti contemporaneamente, con atti stipulati lo stesso giorno, ancorchè a due soggetti diversi»; - «la situazione, sotto il profilo del rilievo economico (e quindi fiscale), per i venditori sarebbe stata assolutamente uguale se la cessione fosse stata fatta ad un unico acquirente per un importo pari alla somma dei due prezzi»; - «la valutazione, in sede di accertamento dell’Ufficio, di uno solo degli atti, anziché di entrambi, (avev)a pertanto consentito di rilevare una plusvalenza che in effetti non sarebbe emersa valutando l’insieme ed (avev)a quindi generato una ingiustificata diversità di trattamento rispetto ad una teorica situazione identica alla fattispecie, in tutto tranne che per la parte (non rilevante per i contribuenti) della pluralità degli acquirenti»; - «peraltro, anche volendo prescindere da tali considerazioni, (anda)va rilevato che tratta(va)si di terreni acquisiti a titolo gratuito, conseguentemente ai fini della determinazione della plusvalenza d(o)ve(va) considerarsi quale costo di riferimento il valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 81 del DPR 917/86 e del secondo periodo del secondo comma del successivo art. 82»; - sotto questo aspetto, andava tenuto presente che «tra data di approvazione della lottizzazione e data di cessione intercorr(eva)no solo 18 giorni, e pertanto un periodo assolutamente inidoneo, se non in presenza di fatti eccezionali, inesistenti nella fattispecie, a determinare una qualsiasi significativa plusvalenza»; - «non sussist(eva)no pertanto i presupposti logici ed economici per gli accertamenti disposti dall’Ufficio». Avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio l’Agenzia ha proposto nuovo ricorso per cassazione affidato a due motivi. Andrea e Sandra B. hanno resistito con controricorso. La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 31 ottobre 2024 N. 28191 CATALDI MICHELE

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 81 e 82 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), vecchia formulazione.

1.1 Si sostiene che avrebbe errato il giudice del rinvio nell’affermare che, ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza tassabile, doveva aversi riguardo a entrambe le vendite immobiliari effettuate nell’anno 1999 dai germani B..

1.2 La soluzione accolta dal giudice del rinvio si porrebbe, infatti, in contrasto con il tenore letterale del comma 1 del richiamato art. 82 del TUIR, il quale .

2. Con il secondo motivo, pure proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione degli artt. 81, comma 1, lettera a), vecchia formulazione, e 68, comma 1, nuova versione, del TUIR.

2.1 Al riguardo, si deduce quanto segue: - in caso di plusvalenza derivante dalla vendita di terreni lottizzati, la data di riferimento per la determinazione del valore normale dell’immobile ceduto è quella di inizio della lottizzazione; - nel caso di specie, il terreno trasferito dai B. alla D. s.r.l. si trovava in zona ricompresa in un piano di lottizzazione adottato dal Consiglio Comunale di A. con delibera n. 48 del 1° agosto 1998 e definitivamente approvato dallo stesso Consiglio con delibera n. 90 del 28 dicembre 1998, anteriormente alla stipula del contratto di compravendita, avvenuta l’11 gennaio 1999; - alla stregua delle disposizioni di legge regolanti la materia, nessuna rilevanza poteva essere attribuita al tempo intercorso fra l’inizio della lottizzazione e la vendita del terreno.

3. Così riassunto il contenuto delle censure sollevate dalla ricorrente, va sùbito notato che l’impugnata sentenza, come chiaramente si ricava dalla motivazione trascritta nella superiore narrativa, si fonda su due autonome «rationes decidendi», ognuna delle quali di per sé sola sufficiente a sorreggere la pronuncia resa.

3.1 Esse sono da individuare nelle seguenti affermazioni: (1)entrambe le vendite di terreni lottizzati effettuate dai germani B. nell’anno 1999 -sia quella in favore della D. s.r.l., sia quella in favore dell’Immobiliare V. s.a.s.- dovevano essere tenute in considerazione al fine di stabilire se gli alienanti avessero conseguito un’eventuale plusvalenza tassabile; (2)a norma degli artt. 81 e 82, comma 2, secondo periodo, del TUIR, vecchia formulazione, il valore normale del terreno ceduto dai B. alla D. s.r.l. andava determinato con riferimento alla data di approvazione del piano di lottizzazione, anteriore di appena diciotto giorni a quella di stipula dell’atto di compravendita; conseguentemente, in assenza di situazioni eccezionali, non ravvisabili nella fattispecie in esame, era da escludere che alcuna «significativa plusvalenza» fosse stata realizzata dai contribuenti, dovendo logicamente ritenersi che il prezzo della vendita corrispondesse al valore normale del terreno, stante il brevissimo lasso di tempo intercorso fra le due predette date.

3.2 Ora, con specifico riferimento alla «ratio decidendi» sub (2), la censura di violazione di legge sollevata dall’Agenzia delle Entrate con il secondo motivo di ricorso appare priva di consistenza.

3.3 Nel toccare il tema trattato in quella parte di motivazione, la stessa ricorrente si limita a ribadire le argomentazioni svolte in proposito dalla CTR toscana, e cioè che, in base al combinato disposto degli artt. 81, comma 1, lettera a), e 82, commi 1 e 2, secondo periodo, del TUIR, vecchia formulazione (corrispondenti agli attuali artt. 67 e 68): (a)sono soggette a tassazione le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione e la successiva vendita di terreni; (b)le plusvalenze in questione sono costituite dalla differenza fra i corrispettivi percepiti, al netto dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo; (c)il costo dei terreni acquisiti gratuitamente è determinato tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione.

3.4 L’Amministrazione non manca, inoltre, di ricordare come, per insegnamento di questo Supremo Collegio, la data di inizio della lottizzazione debba essere individuata nel , soggiungendo che, nella presente fattispecie, il terreno venduto .

3.5 Ciò posto, va osservato che gli enunciati giuridici contenuti nella sentenza impugnata non si pongono affatto in contrasto con le disposizioni innanzi richiamate e con l’interpretazione che delle stesse è stata offerta da questa Corte regolatrice.

3.6 Invero, la CTR ha rettamente statuito -in linea con la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 33511/2018, Cass. n. 5704/2022, Cass. n. 36185/2023)- che il valore normale del terreno venduto dai germani B. alla D. s.r.l., acquisito dagli alienanti a titolo gratuito in quanto proveniente dall’eredità paterna, doveva essere determinato con riferimento alla data di inizio della lottizzazione. Tale data è stata fissata al 28 dicembre 1998, giorno in cui fu assunta dal Consiglio Comunale di A. la delibera di approvazione del piano lottizzatorio.

3.7 Esclusa, quindi, la sussistenza del denunciato «error in iudicando», costituisce, per il resto, un apprezzamento di merito, insindacabile in cassazione, quello espresso dal collegio regionale in ordine alla mancanza di prova di circostanze «eccezionali» idonee «a determinare una qualsiasi significativa plusvalenza» nel brevissimo arco temporale intercorso fra l’approvazione del suddetto piano e la stipula dell’atto di compravendita; né la ricorrente ha articolato, sul punto, un’eventuale censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, ipoteticamente trascurati dai giudici «a quibus».

4. Una volta acclarata l’infondatezza del secondo mezzo di gravame, diviene superflua la disamina del primo.

4.1 Soccorre, in proposito, il consolidato orientamento di questa Corte, che va qui ulteriormente ribadito, secondo cui, qualora la sentenza di merito si fondi su una pluralità di ragioni, fra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle «rationes decidendi» rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, quelle relative alle altre esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto il loro accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della pronuncia gravata (cfr. Cass. n. 15819/2024, Cass. n. 35512/2023, Cass. n. 6765/2022, Cass. n. 24381/2021).

5. Conclusivamente, il ricorso va respinto.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Non deve farsi luogo all’attestazione di cui all’art. 13, comma 1- quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, essendo applicabile all’Agenzia fiscale delle Entrate -in virtù del rinvio contenuto nell’art. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012- la disposizione recata dall’art. 158, comma 1, lettera a), dello stesso D.P.R., prevedente la prenotazione a debito del contributo unificato in favore delle amministrazioni pubbliche.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, a rifondere ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.400 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione