1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 222 c.p.c., per avere la CTR omesso di interpellare la parte che aveva prodotto i documenti contestati con la proposta querela di falso, se intendeva avvalersene in giudizio atteso che l’Agenzia delle entrate, con le proprie controdeduzioni in appello, aveva sollevato, solo in via subordinata, la questione della tardività dei ricorsi manifestando la chiara volontà di discutere gli stessi nel merito nel solco della sentenza di primo grado.
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 221, 222 e 355 c.p.c. per avere la CTR ritenuto inammissibile la querela di falso e irrilevanti i documenti oggetto della proposta querela di falso; in particolare, ad avviso del ricorrente, il giudice di appello non si sarebbe espresso in motivazione in punto di rilevanza dei documenti denunciati di firma falsa (attestazioni di consegna delle raccomandate informative afferenti alle notifiche ex art. 140 c.p.c. degli atti impositivi, prodotte dall’Agenzia in allegato alle controdeduzioni in primo grado) pur riconoscendo la tempestività e gli adempimenti formali concernenti la proposizione della querela medesima, tanto più che la comparazione offerta dal contribuente – consistente in ventotto firme apposte in calce alle procure speciali autenticate dal difensore e non contestate nei gradi di merito - era idonea a comprovare “icto oculi” la falsità delle sottoscrizioni degli avvisi di ricevimento. In particolare, ad avviso del ricorrente, il giudice della causa principale nell’affermare, avuto riguardo alla deduzione probatoria delle procure poste in calce ai ricorsi, la non evidenza della asserita difformità, sarebbe andato oltre il suo compito di verificare la idoneità del mezzo di prova offerto all’accertamento del falso, essendo, peraltro, l’obbligo di indicazione degli elementi di prova della falsità assolvibile anche a mezzo di presunzioni. Con la formulazione del presente motivo, la parte ripropone poi la querela di falso chiedendo a questa Corte di autorizzare la presentazione dinanzi al Tribunale competente della querela di falso in ordine alle firme apposte sulle attestazioni di consegna in questione con conseguente sospensione del processo.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, 4, comma 3, della legge n. 890 del 1982, per avere la CTR ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità per tardività dei ricorsi introduttivi stante il perfezionamento della notifica degli avvisi di accertamento, con attribuzione di valore pieno alle sottoscrizioni degli attestati di consegna delle relative raccomandate informative nonostante la contestazione delle stesse con la proposta querela di falso.
4.1. Il secondo motivo – da trattarsi logicamente in via prioritaria- è infondato con correzione parziale della motivazione nei sensi di seguito indicati, non essendo, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c. soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto.
4.2. In proposito questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire, condivisibilmente, che "in tema di contenzioso tributario, il disposto dell'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale 'il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone', impone di sospendere il giudizio dinanzi alle commissioni tributarie fino al passaggio in giudicato o della decisione in ordine ad una querela di falso o quando deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone (salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio), trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure "incidenter tantum". (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la commissione tributaria, in presenza di una querela di falso che aveva messo in discussione la veridicità della "relata" di notifica degli avvisi di accertamento, ha ritenuto di poter prescindere dalla decisione in ordine alla querela per il solo fatto di non avere avuto ancora notizie circa la definizione del relativo giudizio)", Cass. sez. 6-5, 28.12.2012, n. 24107 (conf. Cass. sez. 5, 20.4.2007, n. 9389; nello stesso senso Cass., sez. 6-5, n. 25165 del 2022). tuttavia, in caso di presentazione di detta querela, anche nel processo tributario il relativo giudice non deve semplicemente prenderne atto e sospendere il giudizio ma è tenuto a verificare la pertinenza di tale iniziativa processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza ai fini della decisione” (cfr., da ult., Sez. 6-5, n. 28671 del 30/11/2017, Rv. 646429-01; v. Cass. sez. 5, n. 10766 del 2023). 4.3. In termini generali va ricordato altresì che nei casi di "irreperibilità cd. relativa" del destinatario, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l' art. 140 c. p. c., in virtù del combinato disposto dell' art. 26, ultimo comma, del d. P.R. n. 602 del 1973 e dell'art. 60, comma 1, lett. e), del d. P.R. n. 600 del 1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l'inoltro al destinatario e l'effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell' atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (Sez. 5, Ordinanza n. 33430 del 2018).Il compimento delle formalità previste dall'art. 140 cod. proc. civ. deve risultare dalla relazione di notificazione che, sotto questo aspetto, dando atto di operazioni compiute dallo stesso ufficiale giudiziario, fa fede sino a querela di falso-cfr.Cass.n.4844/1993; Cass. sentenza, sez. 2, n. 15293 del 2024). Tale principio va completato dall'affermazione che la efficacia probatoria privilegiata degli atti pubblici è circoscritta ai "fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti" e , pertanto, dovendosi avvalere il messo notificatore del servizio postale per l'inoltro della raccomandata informativa ex art. 140 c.p.c., nella relata di notifica redatta ai sensi dell'art. 148 c.p.c., il pubblico ufficiale, indicando di aver adempiuto a tutte le formalità prescritte dalla norma (deposito della copia dell'atto nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi, affissione dell'avviso dell'eseguito deposito alla porta dell'abitazione, ufficio o azienda del destinatario, notizia a quest'ultimo per raccomandata con avviso di ricevimento), potrà dare atto di aver consegnato all'Ufficio postale l’avviso informativo, contenente le indicazioni di cui all'art. 48 disp. att. c.p.c., da spedire per raccomandata AR, ma non sarà in grado -evidentemente- di attestare anche l'effettivo inoltro dell'avviso da parte dell'Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e dunque non assistite dal carattere fidefaciente della relata di notifica, con la conseguenza che la eventuale prova del mancato recapito potrà essere fornita dal destinatario senza necessità di impugnare la relata mediante querela di falso (Cass. n. 6-5, ord. n. 1699 del 2019;Cass. n. 2082/1999, secondo cui ad integrare l'ultimo adempimento ex art. 140 c.p.c. di "dare notizia" al destinatario delle operazioni compiute "non è sufficiente che la raccomandata sia consegnata all'ufficio postale di partenza, ma è necessario che la stessa sia spedita, con la conseguenza che la notificazione deve ritenersi nulla, qualora risulti che, dopo la consegna, il piego raccomandato non sia stato inoltrato dall'ufficio postale -v. Cass. n. 11118/2000). Occorre quindi per il perfezionamento della notifica, non solo l'inoltro al destinatario della raccomandata informativa del deposito dell'atto presso la casa comunale ma anche l'effettiva ricezione di essa (Cass. n. 25079 del 26/11/2014). La notifica si ha per perfezionata al ricevimento della lettera raccomandata informativa o, comunque, con il decorso del termine di dieci giorni dalla data di spedizione di tale raccomandata (Cass. n. 33525 del 2019).
4.4.Quanto alla raccomandata informativa, va ribadito che "nella notificazione a mezzo del servizio postale, l'attestazione sull'avviso di ricevimento con la quale l'agente postale dichiara di avere eseguito la notificazione ai sensi dell'art. 8 della I. n. 890 del 1982 fa fede fino a querela di falso, in quanto tale notificazione è un'attività compiuta, per delega, dall'ufficiale giudiziario, il quale, in forza dell'art. 1 della citata I. n. 890, è autorizzato ad avvalersi del servizio postale per l'attività notificatoria che è stato, caricato di eseguire. Ne consegue, da un lato, che l'avviso di ricevimento, a condizione che sia sottoscritto dall'agente postale, per le attività che risultano in esso compiute, gode di forza certificatoria fino a querela di falso e, dall'altro, che il destinatario di un avviso di ricevimento che affermi di non avere mai ricevuto l'atto e, in particolare, di non aver mai apposto la propria firma sullo stesso avviso, ha l'onere, se intende contestare l'avvenuta esecuzione della notificazione, di impugnare l'avviso di ricevimento a mezzo di querela di falso", Cass. sez, VI-II, 3.9.2019, n. 22058, non avendo mancato, già in precedenza, di statuire che "nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l'atto sia consegnato all'indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l'avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla 'firma del destinatario o di persona delegata', e non risulti che il piego sia stato consegnato dall'agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dall'art. 7, comma 2, della legge n. 890 del 1982, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell'avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all' art. 160 cod. proc. civ.", Cass. S.U., 27.4.2010, n. 9962; Cass. sez. 6-5, n. 25165 del 2022).
4.5. Ciò posto, nella sentenza impugnata - in assenza di una documentata autonoma proposizione della querela di falso dinanzi al Tribunale ordinario, avendo il contribuente formulato soltanto istanza (disattesa) di autorizzazione alla presentazione della medesima dinanzi a quest’ultimo – la CTR correttamente si è pronunciata circa l’eccezione, riproposta dall’Ufficio in sede di gravame di inammissibilità, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546/92, per tardività dei tre ricorsi introduttivi, non essendo tenuta a sospendere il giudizio tributario né tantomeno- e in tal senso va corretta la motivazione - a compiere un'indagine preliminare diretta ad accertare l'esistenza o meno delle condizioni che giustificavano la proposizione della querela di falso (affermando che - premesso che l’unica deduzione probatoria risultava essere quella della “comparazione tra scritture autografe individuate, allo stato, nelle procure alle liti poste in calce ai ricorsi dalle quali sarebbero emerse macroscopiche divergenze tali da fare ritenere apocrifa la sottoscrizione apposta sui documenti contestati”- “attestazioni di consegna” delle raccomandate informative afferenti alle notifiche ex art. 140 c.p.c. degli atti impositivi - “non era evidente e immediatamente riscontrabile tale asserita difformità e anzi il tratto il tratto inclinato verso destra comune alle sigle in comparazione e i significativi arrotondamenti presenti in entrambe sembravano contraddire l’assunto” ….“ancora più rilevante era la circostanza che non avesse l’istante articolato alcun ulteriore mezzo di prova, offerto una più significativa quantità e qualità di scritture comparative, dichiarato la disponibilità al saggio grafico, argomentato, almeno in via presuntiva, su chi potesse avere apposto la sottoscrizione asseritamente apocrifa e per quali ragioni”). 4.6.Quanto alla domanda di querela di falso ripresentata dal ricorrente in questa sede, si rileva che, per questa Corte, in tema di contenzioso tributario, la querela di falso è (rilevante e) proponibile nel giudizio di cassazione soltanto nei casi in cui concerna documenti attinenti al relativo procedimento e non anche quanto riguardi quelli che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione impugnata, l'eventuale falsità dei quali, ove definitivamente accertata, potrà essere fatta eventualmente valere, nelle forme e nei limiti consentiti dall'ordinamento processuale generale e tributario, come motivo di revocazione della sentenza impugnata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 64 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 395 n. 2 cod. proc. civ. (Cass., 4 aprile 2018, n. 8377; Cass., 15 dicembre 2000, n. 15885; Cass., 14 giugno 1999, n. 5884). Invero, nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell'art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione. Pertanto, essa può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito (Cass., 29 gennaio 2019, n. 2343; Cass. sez. 5, n. 24846 del 2020; Cass. sez. 2, Ordinanza n. 5500 del 2023). Nel giudizio di cassazione, dunque, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito, la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l'impugnazione per revocazione ex art. 395, primo comma, n. 2, cod. proc. civ., costituisce, una volta accertata la falsità dell'atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di "invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito" (Cass., 23 ottobre 2014, n. 22517; v. anche nello stesso senso, Cass. sez. 1, n. 5058 del 2023).
5. L’infondatezza (con correzione parziale della motivazione della sentenza impugnata) rende inutile la trattazione dei motivi primo e terzo con assorbimento degli stessi.
6. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 1, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. per assenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla liquidazione delle spese processuali pur non avendone l’Agenzia delle entrate diritto essendo stata in giudizio- come si evinceva dall’intestazione dell’atto di gravame - avvalendosi di un proprio funzionario e non di un avvocato esterno.
6.1.Il motivo è infondato.
6.2. Il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell'art. 132 c.p. c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell'appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell'art. 384 c.p.c.( Sez. L - , Ordinanza n. 6145 del 01/03/2019).
6.3.Questa Corte ha chiarito che in tema di contenzioso tributario, all'Amministrazione finanziaria (nella specie, l'Agenzia delle Dogane) assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell'art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell'identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24675 del 23/11/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23055 del 17/09/2019; Cass. Sez. 5, Ordin. n. 27634 del 11/10/2021).
6.4.Come precisato da Cass. n. 20590 del 2021, quindi, il tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontato con vari interventi legislativi; il decreto-legge 8 agosto 1996 n. 437 coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996 n. 556 prevedeva all'art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: «Nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell'amministrazione, e a favore dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»; con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all'art. 1 comma 32, la disposizione veniva così precisata: «Nell'articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, al comma 2-bis le parole: «si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti» sono sostituite dalle seguenti: «si applica il decreto previsto dall'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto»; infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all'art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, attualmente in vigore, si prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza».
6.5. Pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato, e per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia, non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell'ordinanza di rimessione.
6.6.Considerato che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all'uopo delegato.
6.7. Sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l'altro, del tema della disparità di trattamento tra la normativa di cui all'art. 23 legge n. 689/81 (modifiche al sistema penale) e dell'art. 91 c.p.c., in ragione dell'inoperatività dell'onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela, ed in particolare, la Corte ha affermato che: a) l'istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sé compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee; in tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (art. 15 d.lgs n. 546/1992), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate.
6.8. Nella sentenza impugnata, la CTR - nel rigettare l’appello del contribuente, dichiarando inammissibili per tardività i ricorsi originari – ha condannato quest’ultimo, in ossequio al principio della soccombenza, al pagamento in favore dell’Agenzia delle spese del grado (liquidate in complessivi euro 8.500,00) oltre accessori nella percentuale di legge; motivazione che va integrata quanto alla liquidazione delle spese (in ordine alle quali non si prospetta, peraltro, una questione di illegittimità nel quantum) in favore dell’Amministrazione finanziaria, assistita in giudizio dai propri funzionari, facendo riferimento ai suddetti principi.
7. Con il quinto motivo il contribuente - in ragione dei principi della “ragione più liquida”, dell’ordine logico delle questioni e di ragionevole durata del processoripropone i motivi di appello nell’ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere la tempestività dei ricorsi originari.
7.1. L’infondatezza del secondo motivo (con correzione parziale della motivazione) comporta l’assorbimento del quinto motivo.
8.In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato. 9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell'art.13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 2 luglio 2024