Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 32 e 37 dpr n. 327, 66 NTA del Piano regolatore generale di Cuneo, 42 Cost., protocollo Aggiuntivo n. 1 alla Convenzione CEDU, per avere la Corte d’appello calcolato l’indennità d’espropriazione secondo il valore agricolo, applicando il piano regolatore intervenuto successivamente sia al decreto di vincolo dei terreni in questione, sia alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera autostradale attuativa del vincolo, in contrasto con il predetto art. 32, secondo il quale “nella determinazione del valore del bene si deve operare senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista”. La ricorrente si duole perché la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato il suddetto art. 66, nel senso che tale norma consentirebbe un’utilizzazione privata dei terreni che non la renderebbe di natura espropriativa. La ricorrente si duole perché la Corte territoriale ha applicato al valore del bene il vincolo espropriativo, vincolo – specificamente introdotto per la realizzazione della Autostrada Asti/Cuneo - che lo azzera, che non deve essere considerato ai fini della determinazione dell’indennità d’espropriazione.
La ricorrente deduce che nell’ampia relazione di c.t.u. datata 25.3.2015, espletata nella precedente fase di merito, l’ausiliario ha definito il vincolo esistente sull’area come vincolo di natura espropriativa; che dunque la valutazione doveva essere effettuata con riferimento alla possibilità edificatoria prevista dal Piano regolatore del 1986 per i terreni espropriati. La ricorrente deduce che, in sede di rinvio, il medesimo ausiliario, nuovamente officiato, ha redatto una brevissima relazione ed ha raggiunto immotivatamente delle conclusioni diametralmente opposte alle precedenti ed ha erroneamente fatto riferimento al Piano regolatore del 2008, così applicando il vincolo preordinato all’espropriazione. La ricorrente deduce, in conclusione, che la relazione di c.t.u. espletata in sede di rinvio “non può essere condivisa, poiché la medesima non tiene conto del fatto che fascia di ambientazione stradale, che impedisce l’edificabilità, deve essere considerata una destinazione di natura espropriativa, dalla quale, perciò si deve prescindere nella determinazione del valore del terreno” (così ricorso, pag. 31).
Il secondo motivo denuncia contraddittorietà della motivazione su fatto controverso e decisivo, costituito dalla rilevanza e dal contenuto del vincolo del Piano regolatore del 2008 relativo alla fascia di ambientazione stradale e ferroviaria.
Il primo motivo è inammissibile.
Con l’ordinanza rescindente, come detto, la Cassazione accoglieva il ricorso principale dell’Autostrada Asti – Cuneo ai sensi del n. 3 del co. 1 dell’art. 360 cpc, rilevando il vizio di violazione di legge (cfr. ordinanza n. 28164/2017; sentenza impugnata, pag. 16; altresì controricorso Autostrada, pag. 8), in quanto la Corte d’appello aveva fatto riferimento alla destinazione urbanistica (in ordine alla maggior parte della zona F6 e, per il residuo, alla zona S5) anteriore a quella vigente alla data d’emissione del decreto d’espropriazione, e ritenendo che la Corte d’appello non avesse tenuto conto della costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili andava effettuata in ragione del criterio dell’edificabilità legale di cui all’art. 5 bis, co. 3, l. n. 359/92, ancora vigente e recepito dagli artt. 32 e 37 dpr 327, in base al quale un’area doveva essere ritenuta edificabile solo quando la stessa risultasse in tal modo classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici. La Corte d’appello, con la sentenza rescissoria, ha altresì affermato che “quanto alla valutazione se si tratti di vincolo conformativo e/o espropriativo questa Corte ritiene che la Corte di cassazione si sia già pronunciata. (…) In definitiva la Corte di cassazione ha stimato errata la valutazione del giudice a quo circa la natura espropriativa del vincolo contenuto nello strumento urbanistico vigente al momento del decreto di esproprio, con ciò essendosi già espressa sulla questione controversa. Tanto è vero che ha annullato con rinvio affinché la Corte territoriale provvedesse solamente (par. 5 sentenza, pag. 7)” (così sentenza impugnata, pag. 16). Ebbene, sovviene l’elaborazione di questa Corte. Ovvero l’insegnamento secondo cui il "principio di diritto", al quale il giudice di rinvio deve attenersi a norma del primo comma dell'art. 384 cod. proc. civ., è costituito dalla nozione di ordine giuridico che la Corte suprema incorpora nella sua sentenza come presupposto della sua pronuncia, anche se non ve lo inserisca formalmente con una espressa enunciazione che serva da guida del tutto palese per il giudice di rinvio; questo, pertanto, è vincolato anche in ordine alle premesse logicogiuridiche della pronuncia della Corte di cassazione ed è tenuto a ricercare, attraverso l'esame della relativa motivazione, i principi giuridici che, sebbene non formalmente enunciati, portarono all'accoglimento del ricorso, non potendosi desumere dalla semplice mancanza dell'enunciazione formale predetta che il ricorso sia stato accolto solo per vizi di motivazione (Cass. n. 157/1985).
Ovvero l’insegnamento secondo cui, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla "regola" giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità (Cass. n. 20981/2015). Ovvero l’insegnamento secondo cui l'interpretazione dei principi di diritto fissati nella sentenza di Cassazione con rinvio, specie ove non siano stati espressamente enunciati, ma debbano essere enucleati dall'intero corpo della decisione, non può avvenire mediante estensione dei criteri ermeneutici fissati dall'art. 12 delle preleggi, ma deve aver luogo attraverso i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. come è richiesto dalla stretta circolarità tra fatto e principio di diritto destinato a regolarlo, dalla limitazione dell'efficacia del suddetto principio alla singola controversia e dalla ridotta rilevanza del canone letterale di interpretazione nei frequenti casi in cui sia necessario procedere ad una interpretazione logico - sistematica della decisione, riferita all'intera motivazione; ne consegue che il ricorrente il quale lamenti in sede di legittimità una errata interpretazione della sentenza di Cassazione da parte del giudice di rinvio ha l'onere di specificare i canoni ermeneutici violati in riferimento alle parti della motivazione censurate, nonché di indicare le forme in cui si è manifestata la violazione denunziata, altrimenti risolvendosi la censura nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella fatta propria dal giudice di rinvio (Cass. n. 47/2004; Cass. n. 6462/2005).
Nella specie, la ricorrente si è limitata a riproporre le difese svolte nel precedente giudizio di merito, poi definito con la sentenza cassata da questa Corte con l’ordinanza n. 28164/2017. Tanto emerge oltre che dalla rubrica del motivo pur dal complesso delle doglianze addotte con il primo mezzo (“il contrasto evidente della sentenza della Corte d’Appello con la disciplina normativa ora richiamata (…)”: così ricorso, pag. 10; la Corte d’appello ha erroneamente interpretato l’art. 66 NTA del Piano regolatore generale di Cuneo: cfr. ricorso, pag. 12). Tanto emerge dalla “valorizzazione” della relazione di c.t.u. datata 25.3.2015, depositata nel corso del precedente giudizio di merito (cfr. ricorso, pagg. 17 ss.), e dalla “svalutazione” della relazione di c.t.u. redatta nel corso del giudizio di rinvio (cfr. ricorso, pagg. 24 ss.). Per altro verso, è inesatto il rilievo della ricorrente secondo cui questa Corte con la sentenza rescindente aveva soltanto assunto che “la Corte d’Appello di Torino aveva motivato la propria precedente pronunzia in modo illogico e contraddittorio” (così ricorso, pag. 15).
Invero, con l’ordinanza n. 28164/2017 questa Corte aveva ritenuto che “l’impugnata sentenza incorre nella violazione di legge che le è stata imputata” (cfr. par. 2). Per altro verso ancora, la ricorrente prospetta doglianza rilevante sul piano del giudizio di “fatto”, allorché adduce che “queste fasce sono proprio un’articolazione dell’opera pubblica della quale sono serventi” (così ricorso, pag. 30).
Nella specie, inoltre, la ricorrente lamenta del tutto genericamente, in maniera del tutto aspecifica, che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato l’ordinanza della Cassazione. Invero, adduce sic et simpliciter che la corte d’appello ha errato nel ritenere che questa Corte avesse imposto di tener conto del vincolo di cui al piano regolatore del 2008 come vincolo conformativo (cfr. ricorso, pag. 15). E si limita – la ricorrente – a prospettare tout court una diversa interpretazione del dictum rescindente (cfr. ricorso, pag. 24). Ben vero, la ricorrente non ha messo in evidenza gli errori d’interpretazione commessi dal giudice del rinvio, nell’uniformarsi ai principi di diritto sancito dalla Cassazione, limitandosi, si ribadisce, a riprodurre, a reiterare le argomentazioni addotte nella fase pregressa. Ben vero, l’interpretazione dell’ordinanza rescindente fatta dalla Corte territoriale è corretta ed ineccepibile (e alla luce di Cass. n. 6462/2005 e, si aggiunge, alla luce di Cass. n. 17564/2004).
Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Va osservato che il dedotto vizio di motivazione contraddittoria è riferito alla motivazione in sé della sentenza della Corte di Torino – v. ricorso pagg. 35/36 - non già propriamente all’interpretazione che la Corte di Torino ha dato dell’ordinanza rescindente.
Va soggiunto, comunque, che, al di là del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, insussistente nella specie, il vizio di contraddittoria motivazione più non si configura (Cass. n. 13928/2015). Né rileva un possibile vizio di insufficienza della motivazione (Cass. SU n. 8053/2014). Dunque, la censura veicolata dal secondo mezzo si correla indebitamente all’abrogata formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., inapplicabile ratione temporis. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, differenziando la posizione delle due parti controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Autostrada Asti-Cuneo s.p.a., delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 16.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge, nonché al pagamento in favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Anas s.p.a. (quale unica parte controricorrente) della somma di euro 12.000,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024