Giu Il regime legale dell’obbligazione tributaria ha carattere imperativo, e natura inderogabile, in quanto sottratto alle libere scelte delle parti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 21 agosto 2024 N. 23015
Massima
Il regime legale dell’obbligazione tributaria ha carattere imperativo, e natura inderogabile, in quanto sottratto alle libere scelte delle parti, così che «nei casi di imposizione alternativa il contribuente e ancora di più l'ufficio, hanno rispettivamente l'obbligo di corrispondere o di richiedere il tributo effettivamente dovuto e non quello per primo corrisposto o scelto dal contribuente in base a considerazioni soggettive» (v. già Cass., 9 aprile 1991, n. 3726 cui adde Cass., 18 settembre 2019, n. 23219; Cass., 21 febbraio 2019, n. 5225; Cass., 10 agosto 2010, n. 18524; Cass., 12 marzo 1996, n. 2021; Cass., 11 aprile 1996, n. 3427).

Casus Decisus
1. - Con sentenza n. 2485, depositata il 10 ottobre 2016, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ed ha disatteso quello spiegato in via incidentale dalla parte, odierna ricorrente, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che aveva accolto, per quanto di ragione, l’impugnazione di un avviso di liquidazione (n. 94603/11) col quale erano state sottoposte a tassazione di registro due disposizioni enunciate in un allegato alla relazione di stima (a sua volta) allegata all’atto presentato per la registrazione (il verbale di assemblea dei soci della E. S.r.l., del 16 dicembre 2010, recante delibera di aumento del capitale sociale liberato con conferimento di un ramo aziendale, da parte del socio C. D. S.r.l. e con conferimento di un credito finanziario dell’altro socio, la parte odierna ricorrente). 1.1 – A fondamento del decisum, il giudice del gravame ha rilevato che: - l’avviso di liquidazione si fondava sulla disposizione di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, recando la tassazione per enunciazione di disposizioni patrimoniali che emergevano da una lettera (di «ricognizione e regolamentazione finanziaria» del 13 dicembre 2007) con la quale C. D. S.r.l. e la società cooperativa agricola C. (unici soci della E. S.r.l.) avevano regolato i loro rapporti di debito/credito in relazione al conferimento di ramo aziendale operato dalla società cooperativa agricola C. in favore della C. D. S.r.l.; - alla stregua di detta regolamentazione, le parti avevano, pertanto, convenuto: a. – un mutuo fruttifero, dell’importo di € 14.839.205,96, concesso a C. D. S.r.l., con scadenza al 31 dicembre 2007; b. – un prestito infruttifero, dell’importo di € 7.898.293,53, che corrispondeva a «debiti verso fornitori» inerenti al ramo di azienda conferito, debiti che gravavano sulla conferitaria del ramo di azienda e la cui «provvista finanziaria necessaria all’estinzione del debito» era stata anticipata dalla società cooperativa agricola C.; - diversamente, pertanto, da quanto ritenuto dalla Commissione tributaria provinciale, sussisteva piena identità di parti dell’atto enunciante e di quello enunciato atteso che venivano in considerazione due parti necessarie (i soci) dell’atto presentato per la registrazione (il ridetto verbale di assemblea dei soci della E. S.r.l.); - le due disposizioni patrimoniali riprese a tassazione dovevano ritenersi enunciate nell’atto presentato per la registrazione in quanto costituivano «parte integrante della relazione di stima» (allegata al verbale di delibera assembleare) e il «necessario affioramento di un assetto negoziale pregresso che ha formato oggetto della relazione di stima»; né, del resto, avrebbe potuto procedersi a conferimenti in natura in difetto di una stima volta alla verifica di congruità dei relativi valori (art. 2343 cod. civ.); - non rilevava, ai fini della tassazione per enunciazione, che si trattasse di atto sottoposto a registrazione in caso d’uso in quanto, secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, l’enunciazione (che non costituisce un caso d’uso) consentiva ex se la corrispondente liquidazione dell’imposta di registro e prescindeva, pertanto, dall’uso dell’atto; - inconferente risultava, poi, il riferimento operato dalla contribuente ad un precedente giurisprudenziale di legittimità - che, difatti, aveva riguardo a versamenti eseguiti «in conto futuro aumento di capitale», - nella fattispecie non potendosi dubitare, così come emergeva dal verbale presentato per la registrazione, che il deliberato aumento di capitale era stato sottoscritto, e liberato, dai due soci con conferimenti da sottoporre a tassazione proporzionale di registro e con conseguente effettivo incremento del patrimonio sociale; - nemmeno poteva seguirsi la prospettazione svolta dalla contribuente con riferimento alla fattispecie dell’accollo in quanto – seppur la conferitaria di azienda doveva rispondere dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori (art. 2560 cod. civ.), e ciò non di meno, – la ripresa a tassazione prescindeva «dal descritto effetto naturale del contratto di cessione di azienda» e mirava «a colpire un fenomeno diverso da questo», e cioè una «ulteriore pattuizione intercorsa tra le due società, accessoria a quella principale» e che si sostanziava in ciò che «C. si impegnava a fornire a C. D. attraverso un prestito infruttifero, le somme necessarie ad estinguere quei debiti». 2. – C. – C.A. - Società Cooperativa Agricola, ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi, ed ha depositato memoria. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 21 agosto 2024 N. 23015 DE MASI ORONZO

1. – Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:

1.1 – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, comma 1, deducendo, in sintesi, che le operazioni sottoposte ad imposta di registro, per enunciazione, dovevano ritenersi, seppur esenti (d.P.R. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 1, n. 1), ad ogni modo rientranti nel campo di applicazione dell’IVA siccome corrispondendo a «finanziamenti soci» intercorsi tra essa esponente e la C. D. S.r.l.; si soggiunge che – per quanto l’articolazione in iure del motivo corrisponda a questione di diritto nuova – alla Corte deve ritenersi consentito di procedere alla corretta qualificazione dei fatti controversi laddove questi (comunque) già acquisiti al giudizio nei gradi di merito (ove si era contestata la sussistenza del presupposto d’imposta dedotto nell’avviso di liquidazione del quale si era richiesto l’annullamento);

1.2 – il secondo complesso motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1, e art. 9 della tariffa allegata, parte prima, all’art. 12 delle disp. prel. cod. civ., agli artt. 23 e 53 Cost., ed alla direttiva 2008/7/CEE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, art. 6, assumendo la ricorrente che: a) - gli atti sottoposti a tassazione di registro - in quanto disposizioni (in tesi) enunciate dall’atto presentato alla registrazione (una delibera di aumento del capitale sociale della E. S.r.l.) – comparivano, però, all’interno di un documento (una lettera di «ricognizione e regolamentazione finanziaria» del 13 dicembre 2007) che costituiva allegato di altro atto (una relazione di stima) a sua volta allegato dell’atto presentato per la registrazione; - difettavano, pertanto, i presupposti dell’imposizione per enunciazione in quanto: - l’atto enunciato – oggetto di una «”casuale” ed “involontaria” … relatio» - non trovava la sua ragion d’essere «in un “principio di prova”» - somministrato già dalle scritture contabili delle società, – non risultava funzionale (né in via causale collegato) al deliberato aumento del capitale sociale della E. S.r.l. – quali finanziamenti che non erano stati irrevocabilmente acquisiti al relativo patrimonio - né poteva trovare giustificazione in chiave antielusiva; b) – l’imposizione per enunciazione (ancora una volta) rimaneva preclusa dalla disciplina eurounitaria delle imposte indirette sulla raccolta di capitali (art. 6, cit.) in quanto – venendo, per l’appunto, in considerazione un aumento di capitale sociale (della E. S.r.l.) sottoscritto dai soci dietro conferimenti (in natura) di un ramo di azienda (da parte della C. D. S.r.l.) e di un credito (da parte di essa esponente) – la fattispecie finiva per ricadere in detta disciplina che, connotata da disposizioni precise ed incondizionate, risultava direttamente applicabile negli Stati membri della UE; c) - trattandosi di atti (in tesi enunciati, ma) formati per corrispondenza (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 1 della tariffa allegata, parte seconda) – e, così, sottoposti ad imposizione solo in caso d’uso (d.P.R. cit., art. 6) – la disposizione di cui all’art. 22, comma 1, d.P.R. cit., andava intesa nel senso che (solo) l’inverarsi (preventivo) del caso d’uso ne avrebbe potuto giustificare l’imposizione per enunciazione, altrimenti difettando lo stesso presupposto di applicabilità dell’art. 22, cit.; d) – il difetto di identità soggettiva – nell’atto enunciante ed in quelli enunciati – conseguiva (anche) dalla natura dell’atto presentato per la registrazione, venendo (così) in considerazione un verbale assembleare che – risolvendosi in un resoconto degli accadimenti assembleari (in una «mera documentazione dell’adunanza … registrazione degli eventi ivi verificatisi») – costituiva atto senza parti e, in quanto tale, sprovvisto di natura negoziale; e) – i finanziamenti soci, seppur (in tesi) enunciati, non potevano essere sottoposti a tassazione di registro in quanto non avevano determinato un aumento di ricchezza, considerato che erano «sempre stati bilanciati dal “debito” per la loro restituzione», non avevano formato oggetto di rinuncia da parte di essa esponente né erano stati utilizzati a copertura del deliberato aumento di capitale della E. S.r.l. al cui patrimonio, pertanto, non potevano ritenersi definitivamente acquisiti; f) – relativamente all’importo di € 7.898.293,53 – che l’Agenzia aveva qualificato quale prestito infruttifero correlato al conferimento di azienda operato da essa esponente a favore di C. D. S.r.l. – veniva in considerazione – a fronte dell’impegno assunto dalla conferitaria in ordine al pagamento delle passività aziendali (ai «debiti verso fornitori») «in forza di espresso “patto di accollo”» – un accollo meramente interno rispetto al quale la lettera «di ricognizione e regolamentazione finanziaria» del 13 dicembre 2007 assolveva ad una mera funzione ricognitiva (quale ricognizione di debito); così che l’atto andava sottoposto a tassazione in misura fissa in quanto espressione di debiti (assunti versi i fornitori e) ricadenti nel campo di applicazione dell’IVA ovvero, ed a ogni modo, in ragione della detta sua funzione (di mera ricognizione);

1.3 – col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 d.a. cod. proc. civ., del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 156 cod. proc. civ., e dell’art. 111, sesto comma, Cost.; - si assume, in sintesi, che la pronuncia del giudice del gravame aveva tenuto in non cale (perché non considerati) «i numerosi fatti storici secondari» alla cui stregua avrebbe dovuto rilevare l’insussistenza di un trasferimento di ricchezza imponibile; fatti, questi, che – come poteva desumersi dal verbale di assemblea della E. S.r.l., dalla stima alla stessa allegata oltrechè dalla ridetta lettera «di ricognizione e regolamentazione finanziaria» del 13 dicembre 2007 – davano conto, per un verso, di finanziamenti che erano «sempre stati bilanciati dal “debito” per la loro restituzione», non avevano formato oggetto di rinuncia da parte di essa esponente né erano stati utilizzati a copertura del deliberato aumento di capitale della E. S.r.l. al cui patrimonio, pertanto, non potevano ritenersi definitivamente acquisiti e, per il restante, dell’insussistenza di un prestito infruttifero per l’importo di € 7.898.293,53 che, diversamente, andava ascritto a rimborso di debiti accollati dalla conferitaria di azienda (ed estinti dalla conferente);

1.4 – col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente ripropone il contenuto concettuale del terzo motivo di ricorso (questa volta) sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento ai (medesimi) «fatti storici secondari» comprovanti gli stessi «fatti giuridici principali» trattati nel precedente motivo di ricorso;

1.5 – il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 11, comma 7, assumendo la ricorrente che la ridetta lettera di «ricognizione e regolamentazione finanziaria» del 13 dicembre 2007 – qualora ritenuta, così come rilevato dal giudice del gravame, parte integrante dell’atto presentato per la registrazione – non poteva considerarsi imponibile ai sensi della citata disposizione in quanto esclusa l’autonoma applicazione dell'imposta nel caso «di documenti che costituiscono parte integrante dell'atto».

2. – In ragione dell’ordine logico-giuridico delle questioni poste, va innanzitutto esaminato, e disatteso, il terzo motivo di ricorso.

2.1 – Difatti – e come reso evidente dai contenuti decisori della gravata sentenza, sopra ripercorsi, - il decisum non ha natura apparente né perplessa, e lo stesso motivo di ricorso finisce con l’identificare con «fatti storici secondari» le ricadute argomentative che (in tesi) deporrebbero per una diversa qualificazione della fattispecie impositiva. Come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv., con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

Si è quindi ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).

2.2 – Nella fattispecie, allora, la gravata sentenza si connota per una compiuta esposizione delle rationes decidendi e, come cennato, la stessa prospettazione di parte ricorrente si risolve in una diversa, e contrapposta, qualificazione di fattispecie che (all’evidenza) il giudice del gravame (volta a volta) ha esaminato disattendendola, seppur con improprio riferimento (suscettibile di correzione in questa sede di legittimità) alla qualificazione giuridica della fattispecie impositiva principale (la registrazione del verbale di assemblea societaria) che, per come assume la stessa ricorrente, non è contestazione tra le parti siccome i conferimenti dei soci, a liberazione dell’aumento del capitale sociale, sottoposti a tassazione in misura fissa.

3. – In ragione dei rilievi appena svolti, e della consequenzialità logica che li astringe, va quindi esaminato il quarto motivo di ricorso che anch’esso non può trovare accoglimento. Anche qui, difatti, vengono in considerazione quelle stesse deduzioni probatorie che involgono – piuttosto che fatti decisivi, quali fatti storici rilevanti rispetto alla fattispecie controversa, - le ricadute argomentative (e di qualificazione) in tesi tratte dai documenti prodotti rispetto ai quali (ancora una volta) rileva che il giudice del merito (esaminandoli) sia pervenuto a diverse conclusioni nella qualificazione della fattispecie impositiva volta a volta esaminata. Come statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l'omesso esame di elementi istruttori - e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori, - non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

4. – Nemmeno il secondo ed il quinto motivo di ricorso – che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, e che pur prospettano profili di inammissibilità, - possono trovare accoglimento.

4.1 – Occorre premettere, in relazione ad alcuni dei profili di censura del secondo motivo, che – come rilevato dal giudice del gravame, e così come emerge dallo stesso atto impositivo (in ricorso trascritto) – la liquidazione dell’imposta di registro - su disposizioni a contenuto patrimoniale oggetto di enunciazione (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 22, e art. 9 della Tariffa allegata, parte prima) – ha riguardato un mutuo fruttifero, dell’importo di € 14.839.205,96, concesso da C., società cooperativa agricola, a C. D. S.r.l. (con scadenza al 31 dicembre 2007 successivamente rinnovata) e, tra quelle stesse parti, un prestito infruttifero dell’importo di € 7.898.293,53. 

E, per come assume la stessa ricorrente, l’atto presentato per la registrazione (un verbale assembleare recante delibera di aumento del capitale sociale sottoscritto, e liberato, dai due soci) è stato sottoposto ad imposta fissa di registro ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 4 della tariffa allegata, parte prima. 4.1.1 - Ne consegue, allora, l’inconferenza del profilo di denuncia [v. sub 1.2, lett. b), che precede] che involge la disciplina eurounitaria delle imposte indirette sulla raccolta di capitali (direttiva 2008/7/CEE del Consiglio, del 12 febbraio 2008), in quanto la tassazione per enunciazione ha riguardato i rapporti finanziari intercorsi tra i soci della compagine societaria cui si riferiva l’atto presentato per la registrazione (recante aumento del capitale sociale), ed ha colpito disposizioni patrimoniali che, risolvendosi in prestiti di denaro, come si dirà integrano (anche) operazioni negoziali riconducibili (quanto al corrispettivo che ne costituisce la base imponibile) all’àmbito di applicazione dell’IVA e che, ai fini dell’imposta di registro, rilevano, per l’appunto, quali disposizioni contrattuali a contenuto patrimoniale cui si correla un indubbio trasferimento di ricchezza.

4.1.2 - I rilievi appena svolti danno, quindi, conto della infondatezza (anche) del profilo di denuncia [punto 1.2, lett. e), che precede] volto ad evidenziare l’insussistenza di una disposizione patrimoniale suscettibile di integrare un definitivo trasferimento di ricchezza. Nella fattispecie, difatti, con l’avviso di liquidazione si sono sottoposte a tassazione (per enunciazione) inequivoche disposizioni patrimoniali che, involgendo rapporti finanziari di prestito, non condividevano alcunché con il deliberato aumento di capitale sociale – sottoposto, come anticipato, a tassazione fissa in relazione ai conferimenti dei soci - e con l’acquisizione, più o meno definitiva, dei conferimenti volti a liberare il deliberato aumento di capitale. 

4.2 – Come anticipato, il giudice del gravame ha rilevato – con riferimento alle censure (ora) svolte col secondo motivo di ricorso [v. sub 1.2, lett. a) e d)] - che ricorrevano i presupposti, soggettivo e oggettivo, della tassazione per enunciazione (d.P.R. n. 131 del 1986, art. 22) in quanto venivano considerazione parti degli atti enunciati (i ridetti finanziamenti intercorsi tra C., società cooperativa agricola, e C. D. S.r.l.) che erano anche parti necessarie (in quanto soci) dell’atto presentato per la registrazione (il verbale di assemblea dei soci della E. S.r.l.); e perché dette disposizioni patrimoniali dovevano ritenersi enunciate nell’atto presentato per la registrazione in quanto costituivano «parte integrante della relazione di stima» (allegata al verbale di delibera assembleare) e il «necessario affioramento di un assetto negoziale pregresso che ha formato oggetto della relazione di stima».

4.2.1 - L’art. 22, comma 1, cit., per quel che qui rileva, dispone che «Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell'atto che contiene la enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l'atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all'art. 69.». E, come di recente condivisibilmente rimarcato dalla Corte, (proprio) «il tenore letterale della disposizione in esame consente di ritenere che, ai fini fiscali dell'enunciazione, non rilevi la parte in senso contrattuale, ma piuttosto il soggetto che ha partecipato ai due atti (enunciante ed enunciato: nella specie, finanziamento e deliberazione assembleare).» (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3841). Si è, così, rilevato che – se la ratio del requisito soggettivo posto dall’art. 22, cit. (identità delle parti dell’atto enunciato e intervenute nell'atto enunciante) va ricercata nel «fine di evitare che un soggetto si ritrovi sottoposto al prelievo fiscale in conseguenza di comportamenti a lui non imputabili» - nel caso del verbale assembleare di società, «sebbene non siano configurabili parti dal punto di vista contrattuale, risultano, comunque, coinvolti i soggetti che sono stati parti del precedente contratto, sicché il prelievo fiscale non può dirsi conseguente ad una condotta altrui.»; così che «l'autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile consente di interpretare il termine parti, di cui del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1, in senso a-tecnico e di ritenere, quindi, integrato il requisito dell'identità laddove nell'atto enunciante siano coinvolti o intervengano, anche con una veste diversa da quella di parte contrattuale, gli autori dell'atto enunciato.» (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3841, cit.). Le Sezioni Unite della Corte hanno, quindi, rimarcato che – tenuto conto della «chiara ratio antielusiva della disposizione legislativa» (art. 22, cit.) - in questo particolare contesto impositivo deve attribuirsi al termine «parte» un significato «lato e sostanziale … non "contrattualistico"», così sussistendo identità di parti in relazione ai soggetti «rispetto ai quali si realizzano gli effetti degli atti contenuti nell'atto di "emersione"» (così Cass. Sez. U., 24 maggio 2023, n. 14432). Né l’enunciazione cd. sovrabbondante (per la presenza, come si è rimarcato in dottrina, di parti del contratto enunciante in numero superiore a quelle dell’atto enunciato) esclude che, nella fattispecie, – nei termini in cui, come appena rilevato, l’identità di parti deve essere intesa rispetto al verbale di assemblea enunciante – le parti degli atti enunciati (i finanziamenti intercorsi tra i soci della E. S.r.l.) siano quelle stesse che (nella qualità di soci) sono «intervenute nell'atto che contiene la enunciazione».

4.2.2 – In disparte, poi, che parte ricorrente ha censurato l’accertamento in fatto condotto dal giudice del gravame in termini meramente assertivi, ed in frontale contrasto con le conclusioni cui il giudice del merito è pervenuto, – per di più negando, in ricorso, ogni collegamento funzionale (e causale) dei finanziamenti sottoposti a tassazione (v. il ricorso, fol. 10, 17, 36, 38 ss., 64, 73, 77) col deliberato aumento di capitale, per poi, dedurre, nella memoria depositata (v. a fol. 2 e 13), che «la conferente C. ha apportato nella conferitaria E., in adempimento dell’appena deliberato aumento di capitale sociale di quest’ultima «mediante conferimenti in natura», una parte di quegli stessi diritti di credito da «prestiti finanziari» vantati da C. nei confronti di C. D.» - rileva, ad ogni modo, che – così come emerge dalle stesse trascrizioni operate in ricorso – le disposizioni patrimoniali in contestazione risultavano oggettivamente determinate, autosufficienti e produttive di effetti giuridici autonomi rispetto a quelli propri dell’atto enunciante (d.P.R. n. 131/1986, cit., art. 20); e costituivano – come rilevato dal giudice del gravame con accertamento in fatto che, come detto, nemmeno risulta specificamente contestato - parte integrante della perizia di stima redatta in relazione ai conferimenti in natura operati dai due soci nonché il «necessario affioramento di un assetto negoziale pregresso che ha formato oggetto della relazione di stima».

4.3 – Quanto, ora, al profilo di denuncia [v. sub 1.2, lett. c)] che involge la tipologia contrattuale degli atti enunciati (conclusi per corrispondenza; d.P.R. n. 131/1986, art. 1 della tariffa allegata, parte seconda, cit.), e la disciplina della relativa registrazione (d.P.R. cit., art. 6), la Corte ha in più occasioni rimarcato che l'art. 22, comma 1, cit., nel disporre che «se l'atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all'art. 69», ha inteso includere fra gli atti assoggettati ad imposta anche quelli soggetti a registrazione in caso d'uso in quanto - se la mera enunciazione degli atti soggetti a registrazione in caso d'uso, ai sensi del precedente art. 6, non configura, di per sé, un uso - deve ritenersi che tali atti siano assoggettati all'imposta a prescindere dall'uso dei medesimi di cui all'art. 6, e quindi sulla base della sola enunciazione. (v. Cass., 14 marzo 2007, n. 5946 cui adde, ex plurimis, Cass. Sez. U., 16 marzo 2023, n. 7682; Cass., 30 ottobre 2015, n. 22243).

4.4 – Quanto sin qui rilevato in punto di enunciazione somministra, poi, le coordinate di riferimento dell’infondatezza del quinto motivo di ricorso in quanto – se, per enunciazione, si sottopongono ad imposta di registro disposizioni patrimoniali connotate da effetti giuridici propri, in quanto tali riconducibili alla tipizzazione degli atti indicati nella tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (e, così, anche alla disposizione di cui all’art. 9 della tariffa allegata, parte prima, che rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purchè aventi un contenuto patrimoniale; così Cass., 18 giugno 2021, n. 17486; Cass., 25 maggio 2018, n. 13141; Cass., 17 gennaio 2018, n. 975; Cass., 5 agosto 2016, n. 16490; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25478) – la disposizione di cui allo stesso d.P.R., cit., art. 11, comma 7, ha (diversamente) riguardo ai meri «documenti che costituiscono parte integrante dell'atto», documenti che, pertanto, concorrono a determinare quegli stessi effetti giuridici dell’atto che è stato presentato per la registrazione (secondo le regole di interpretazione poste dall’art. 20, cit.); così che tra allegazione (di documenti), ed enunciazione (di disposizioni), corre la (fondamentale) differenza che sussiste tra gli effetti giuridici propri dell’atto enunciato ed il difetto di autonomia del documento allegato. 4.5 – In ordine, da ultimo, all’operazione finanziaria che, per l’importo di € 7.898.293,53, veniva conclusa – in relazione al conferimento di un ramo di azienda – tra la conferente C., società cooperativa agricola, e la conferitaria C. D. S.r.l., il giudice del gravame ha rimarcato che, come anticipato, la prospettazione della contribuente (che aveva ad oggetto la fattispecie dell’accollo di debiti) non considerava che la fattispecie impositiva risultava fondata su di una «ulteriore pattuizione intercorsa tra le due società, accessoria a quella principale» e che si sostanziava in ciò che «C. si impegnava a fornire a C. D. attraverso un prestito infruttifero, le somme necessarie ad estinguere quei debiti». Il profilo di censura che, allora, viene articolato da parte ricorrente [v. sub 1.2, lett. f)] – in disparte la novità della questione interpretativa posta con riferimento alla natura meramente ricognitiva (quale atto di ricognizione di debito) dell’atto enunciato, questione che, difatti, non risulta trattata nella gravata sentenza – risulta inammissibile nella misura in cui – risolvendosi nella riproposizione di argomenti di qualificazione, e di interpretazione, dell’atto sottoposto a tassazione – non reca alcuna specifica censura avverso le conclusioni interpretative cui, come appena rimarcato, il giudice del gravame è pervenuto. Come in più occasioni statuito dalla Corte, difatti, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., così che il ricorso per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 9 settembre 2022, n. 26557; Cass., 9 aprile 2021, n. 9461; Cass., 25 novembre 2019, n. 30686; Cass., 16 gennaio 2019, n. 873; Cass., 15 novembre 2017, n. 27136).

18 5. – Come conclude il P.G., è però fondato, e va accolto per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso.

5.1 – Non è controverso tra le parti – e risulta expressis verbis affermato nello stesso avviso di liquidazione impugnato (che parte ricorrente ha trascritto) – che, tra le disposizioni oggetto di enunciazione, rientrava un mutuo fruttifero, dell’importo di € 14.839.205,96, concesso da C., società cooperativa agricola, a C. D. S.r.l. (con scadenza al 31 dicembre 2007 successivamente rinnovata). Ai sensi del combinato disposto di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 2, comma 3, lett. a), 3, comma 2, n. 3, e 10, n. 1, veniva, dunque, in rilievo un’operazione di finanziamento fruttifero rientrante nel campo di applicazione dell'IVA ancorché operazione esente. La Corte ha, al riguardo, rilevato che, alla luce del principio dell'alternatività con l'IVA, gli atti sottoposti, anche solo teoricamente, perché di fatto esentati, a quest'imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro, in quanto - poiché secondo gli artt. 5, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, e 1, lettera b), dell'allegata tariffa, parte seconda, sono sottoposte a registrazione in caso d'uso, e scontano l'imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative ad operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, fra cui le prestazioni di servizi, nelle quali la legge sull'IVA (art. 3, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633 del 1972) comprende i prestiti in denaro - questi, ancorché siano poi esentati dall'imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, quando possano considerarsi operazioni di finanziamento, essendo in astratto soggetti all'IVA, non sono soggetti all'imposta proporzionale di registro (Cass., 13 novembre 2019, n. 29385; Cass., 27 novembre 2015, n. 24268; Cass., 20 aprile 2007, n. 9403; Cass., 21 maggio 1990, n. 4577). 

19 5.2 - Conclusione, questa, che però non può estendersi alla (diversa) disposizione enunciata che, come si è detto, aveva ad oggetto un prestito infruttifero (dell’importo di € 7.898.293,53) e, dunque, un’operazione non connotata da onerosità [dalla presenza di un corrispettivo; per il rilievo che «una prestazione di servizi viene effettuata a titolo oneroso ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/112, soltanto allorché tra il prestatore e l'utente intercorre un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di reciproche prestazioni, e il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo di un servizio individualizzabile fornito all'utente. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto» v., ancora di recente, CGUE, 24 febbraio 2022, causa C-605/20, Suzlon Wind Energy Portugal e a., punti 62 ss.; CGUE, 16 settembre 2021, causa C-21/20, Balgarska Natsionalna televizia, punto 31].

5.3 – La Corte, in più occasioni, ha rimarcato che nell'esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti (iura novit curia), la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso e, così, accoglierla, per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, purchè la riqualificazione operata sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito, fermo restando, peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (v., con specifico riferimento alla fattispecie in trattazione, Cass., 27 novembre 2015, n. 24268; v. altresì, ex plurimis, Cass., 5 ottobre 2021, n. 26991; Cass., 13 ottobre 2020, n. 22037; Cass., 28 luglio 2017, n. 18775; Cass., 24 luglio 2014, n. 16867; Cass., 14 febbraio 2014, n. 3437; Cass., 22 marzo 2007, n. 6935; Cass., 29 settembre 2005, n. 19132).

La Corte ha, altresì, statuito che il divieto posto dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, - alla cui stregua, nel giudizio di appello, non possono proporsi «nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio» - riguarda le sole eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili; laddove per eccezioni in senso stretto debbono intendersi quelle attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva od estintiva della pretesa fiscale, non potendo al contrario essere considerate tali - e non comportando pertanto il divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dall’art. 57, cit., - la deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d'ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all'atto impugnato - con il ricorso introduttivo - ed alle quali rimane quindi circoscritta la indagine rimessa al giudice (così Cass., 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25756; v. altresì, ex plurimis, Cass., 10 maggio 2019, n. 12467; Cass., 21 marzo 2019, n. 8073; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27562; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., 22 settembre 2017, n. 22105). 5.3.1 - Quanto, poi, al principio di alternatività – che è finalizzato ad evitare interferenze tra i due tributi (che espongono presupposti in parte omogenei) e fenomeni di doppia imposizione (v. Corte Cost., 13 luglio 2017, n. 177; Corte Cost., 12 dicembre 2014, n. 279) – si è rilevato, secondo un consolidato principio di diritto, che il regime legale dell’obbligazione tributaria ha carattere imperativo, e natura inderogabile, in quanto sottratto alle libere scelte delle parti, così che «nei casi di imposizione alternativa il contribuente e ancora di più l'ufficio, hanno rispettivamente l'obbligo di corrispondere o di richiedere il tributo effettivamente dovuto e non quello per primo corrisposto o scelto dal contribuente in base a considerazioni soggettive» (v. già Cass., 9 aprile 1991, n. 3726 cui adde Cass., 18 settembre 2019, n. 23219; Cass., 21 febbraio 2019, n. 5225; Cass., 10 agosto 2010, n. 18524; Cass., 12 marzo 1996, n. 2021; Cass., 11 aprile 1996, n. 3427).

5.3.2 – Venendo, allora, in rilievo – secondo i fatti costitutivi di fattispecie già oggetto di accertamento – la qualificazione di quei fatti in relazione al règime giuridico dell’obbligazione tributaria gravante sul contribuente, l’identificazione di un’operazione economica rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, seppur esente, può essere operata in questa sede, non rispondendo detta attività all’àmbito coperto da un’eccezione in senso proprio del contribuente. 6. – L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata nei cennati limiti di accoglimento del primo motivo di ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario della contribuente nei limiti in cui è stato sottoposto a tassazione proporzionale di registro il mutuo fruttifero, dell’importo di € 14.839.205,96, concesso da C., società cooperativa agricola, a C. D. S.r.l. In ragione di parziale, e reciproca, soccombenza, le spese dell’intero giudizio vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo e rigetta i residui motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente annullando l’avviso di liquidazione impugnato con riferimento alla tassazione proporzionale di registro del mutuo fruttifero, dell’importo di € 14.839.205,96, concesso da C., società cooperativa agricola, a C. D. S.r.l.; compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 dicembre 2023.