1. Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1 Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato accolto l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione meramente apparente in ordine all’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento al fabbricato della ruralità in ragione della classificazione catastale in categoria A/8.
1.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 9, commi 3, 3-bis e 3-ter, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che il riconoscimento della ruralità fosse precluso dalla classificazione catastale del fabbricato in categoria A/8, senza tener conto della sua destinazione all’esercizio di un’attività agricola.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1 Come è noto l’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: «(...) deve contenere: (...) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (...)». Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5^, 22 maggio 2024, n. 14337).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall'art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5^, 22 maggio 2024, n. 14337).
2.2 Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia insufficiente ed incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata ed articolata illustrazione delle ragioni sottese al rigetto del gravame con riguardo alla insufficienza della destinazione strumentale del fabbricato all’attività di agriturismo per conseguire il riconoscimento della ruralità. Per cui, la motivazione del decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale.
3. Il secondo motivo è fondato.
3.1 In linea di principio, la rilevanza delle caratteristiche oggettive della ruralità è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte anche alla luce dello ius superveniens, con particolare riguardo all'emanazione di due norme interpretative (entrambe con efficacia retroattiva), vale a dire: A) il comma 3-bis dell'art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, come introdotto dall'art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, secondo cui: «Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante; b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l'allevamento; d) all'allevamento e al ricovero degli animali; e) all'agriturismo; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell'azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento; g) alle persone addette all'attività di alpeggio in zona di montagna; h) ad uso di ufficio dell'azienda agricola; i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; l) all'esercizio dell'attività agricola in maso chiuso»; B) il comma 1-bis dell'art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, secondo cui: «Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni».
Nel prendere in esame, in particolare, quest'ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall'art. 42-bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), le Sezioni Unite hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale, l'abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l'obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all'imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) è stato perseguito dal legislatore (ex art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14) mediante, non già l'esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì - e più in radice - attraverso l'espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di “fabbricato” (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565 – nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 20 marzo 2019, n. 7799; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21097; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, nn. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894). Per cui, riaffermando la «decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l'assoggettabilità ad ICI di un fabbricato», le Sezioni Unite hanno osservato che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, «sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l'esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini ICI» (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565). Affermazione, quest'ultima, certamente valida anche nell'interpretazione del comma 3-bis dell'art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 134 (Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10283).
La stessa conclusione deve essere riaffermata alla luce dell'ulteriore ius superveniens (d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124), che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l'attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente (Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21094).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ICI (ma altrettanto vale anche in tema di IMU), ai fini del trattamento esonerativo rileva l'oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (rispettivamente, A/6 o D/10), con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità, né può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui all'art. 7, comma 2-bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 115), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al d.m. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 30 giugno 2017, n. 16280; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2017, n. 26617; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 19 dicembre 2019, n. 33932; Cass., Sez. 6^-5, 13 ottobre 2020, n. 22124; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9971; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17038; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18266; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894). L’art. 7, comma 2-bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato al 30 settembre 2012) di presentare all'allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell'immobile, sulla base di un'autocertificazione attestante la presenza nell'immobile dei requisiti di ruralità di cui all'art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, e modificato dall'art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, «in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». In seguito, l'art. 13, comma 14-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo». Ancora, l’art. 1 del d.m. 26 luglio 2012 ha disposto che: «Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all'esercizio dell'attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell'iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all'art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133». L’art. 2, comma 5-ter, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, ha stabilito che: «Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell'articolo 7, comma 2-bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l'inserimento dell'annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». Si tratta, infatti di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell'esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc, che non avrebbe avuto ragion d'essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all'attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
Va, dunque, ribadito che il requisito della classificazione nelle categorie A/6 o D/10 è imprescindibile ai fini del conseguimento del beneficio fiscale.
3.2 Ciò premesso in punto di diritto, si deve rammentare che la contribuente ha contestualmente impugnato dinanzi al giudice tributario sia l’avviso di accertamento catastale che il diniego di rimborso dell’ICI e che la prima impugnazione ha carattere strettamente pregiudiziale rispetto alla seconda impugnazione (Cass., Sez. 5^, 9 luglio 2010, n. 16215; Cass., sez. 5^, 19 aprile 2017, n. 9894; Cass. Sez. 5^, 27 marzo 2019, nn. 8523 e 8524; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29901; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8359; Cass., Sez. 5^, 4 ottobre 2023, n. 28033), dipendendo la soggezione al tributo locale dalla classificazione catastale del fabbricato. Per cui, in relazione a tale profilo, va considerato che l’Agenzia delle Entrate ha negato l’annotazione della ruralità con la motivazione che tale beneficio non potesse essere riconosciuto ai «Fabbricati con i requisiti delle abitazioni a carattere agricolo (art. 9, c. 3, DL n. 557/1993, convertito con modificazioni, dalla Legge n. 133/1994)». Sul punto, la sentenza impugnata ha argomentato che: «Non è in discussione che nelle unità immobiliari di cui trattasi, si svolga o meno attività ricettiva con le caratteristiche dell’agriturismo, che con il classamento attribuito, non possono essere ritenute rurali. (...) tanto il sopra richiamato art. [recte: comma] 3 [dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133] quanto l’allegato B al DM 16784/2012, fanno espresso richiamo al possesso dei requisiti di ruralità, da(l) possesso di tali requisiti, sono escluse le unità immobiliari censite in A/1, A/8, A/9. Nella fattispecie, vista la esatta rispondenza fra il contenuto dell’allegato al DM richiamato, e la norma di riferimento, non si può certo parlare di mera norma amministrativa, come intenderebbe parte contribuente».
3.3 Tale conclusione non può essere condivisa.
Come è noto, l’art. 9, comma 3, lett. e), del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, ha previsto, tra le condizioni per il riconoscimento della ruralità agli effetti fiscali ai fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa, che «i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8 ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’articolo 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciute rurali». Ora, incontestato in punto di fatto che il fabbricato in questione è classificato in categoria A/8, viene in rilievo la diversa questione se dalla destinazione ad agriturismo possa o meno derivare il carattere di strumentalità all'attività agricola che giustifichi il riconoscimento della ruralità ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133. Affrontando la questione con riguardo al possesso delle caratteristiche di lusso di cui al d.m. 2 agosto 1969, n. 1072, questa Corte ha stabilito che, ai fini della classificazione catastale delle unità immobiliari, le costruzioni destinate alla ricezione ed all’ospitalità, nell'ambito dell'attività di agriturismo svolta da una azienda agricola, rivestono il carattere di strumentalità all'attività agricola che giustifica il riconoscimento della ruralità, ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, senza che ad esse possa trovare applicazione l'esclusione di cui alla lett. e) dell'art. 9, comma 3, dello stesso decreto, operante per le sole costruzioni rurali destinate ad abitazione (in termini: Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2022, n. 27198). Secondo il ragionamento del giudice di legittimità, l’art. 9, comma 3, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, nella formulazione originaria, faceva esclusivo riferimento ai «fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa», onde disciplinare in modo più rigoroso il «riconoscimento della ruralità» di essi agli effetti fiscali. Si trattava, infatti, «di scoraggiare il dilagante fenomeno di spacciare per rurali delle costruzioni che tali non erano» (in motivazione: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2005, n. 6884). La predetta norma, nella versione applicabile ratione temporis alla controversia, stabilisce che ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, per i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa si richiede la sussistenza di requisiti soggettivi e oggettivi, afferenti, rispettivamente, a caratteristiche proprie dei soggetti utilizzatori dei fabbricati (coltivatore diretto del fondo, imprenditore agricolo, affittuario, loro familiari conviventi, etc.) e a qualità tipologiche edilizie, di ubicazione, di destinazione d'uso e di utilizzazione. Nella fattispecie allora in esame assumeva, in particolare, rilevanza la lett. e) di tale comma, secondo cui i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 (“abitazione di tipo signorile”) ed A/8 (“abitazione in villa”), ovvero le caratteristiche di lusso previste dal d.m. 2 agosto 1969, n. 1072 (in materia di edilizia abitativa), non possono essere riconosciuti come rurali. Quanto, invece, ai fabbricati rurali non destinati ad abitazione, il legislatore ha delegato al governo (con l’art. 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) il compito di regolamentare la materia, disponendo «la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali (...), tenendo conto del fatto che la normativa deve essere applicata soltanto all'edilizia rurale abitativa (...) e che si deve provvedere all'istituzione di una categoria di immobili a destinazione speciale per il classamento dei fabbricati strumentali (...)». Tale disposizione imponeva, pertanto, al legislatore delegato di tenere distinte - per la classificazione in catasto e, indirettamente, a fini fiscali - le costruzioni rurali destinate ad abitazione da quelle strumentali all'attività agricola. In esecuzione della delega, l’art. 1, comma 5, del d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, ha stabilito che «Le costruzioni strumentali all'esercizio dell'attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale D/10 - fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite». L'art. 2, comma 1, dello stesso decreto ha, quindi, inserito nell’art. 9 del citato d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, il comma 3-bis, recante - per quanto ora interessa - la seguente disposizione: «Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante; b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento; d) all’allevamento e al ricovero degli animali; e) all'agriturismo in conformità a quanto previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell'azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento».
Tali disposizioni, rilevanti a fini catastali e fiscali, non solo introducono, in modo chiaro e definitivo, una distinzione, anche di classamento catastale, fra costruzioni rurali, a seconda che siano destinate ad abitazione ovvero strumentali all'esercizio di determinate attività agricole, mediante attribuzione solo a queste ultime della categoria speciale D/10, ma soprattutto: «Contrapponendo le due ipotesi e confermando soltanto per la prima la necessità dell'asservimento dell'immobile ad un fondo e della riconducibilità di entrambi ad un unico soggetto (avente un certo tipo di reddito), il ha implicitamente ma inequivocabilmente chiarito che per gli altri fabbricati [strumentali, non destinati all'abitazione] rileva soltanto la loro destinazione ad una delle finalità sopra indicate» (in termini: Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2005, n. 6884; Cass., Sez. 5^, 1 agosto 2008, n. 20953; Cass., Sez. 5^, 3 agosto 2012, n. 14013), e che, quindi, allo scopo di riconoscere l'appartenenza di una costruzione strumentale alla categoria catastale D/10, ha rilievo soltanto la sua destinazione ad una delle finalità indicate dall’art. 9, comma 3-bis, del citato d.l. 30 dicembre 1993, n. 557.
3.4 Per identità di ratio, tale principio è estensibile anche alla fattispecie in cui il fabbricato destinato ad attività agrituristica sia classificato in categoria A/8. Invero, tale esegesi è coerente con la formulazione letterale della lett. e) di cui all’art. 9, comma 3, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, che, escludendo il riconoscimento della ruralità per «i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1», richiede, a tal fine, la coesistenza della destinazione «ad uso abitativo» e della classificazione nelle categorie A/1 o A/8. In tal modo, se ne può desumere che anche un fabbricato classificato in categoria A/1 o A/8 ben può conseguire il riconoscimento della ruralità in caso di destinazione strumentale ad una delle attività elencate dal comma 3-bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, derivando la preclusione dalla sola destinazione all’uso abitativo. Peraltro, a conferma di tale assunto, l’art. 3, comma 3, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (“Disciplina dell’agriturismo”), ha precisato che: «I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali» 3.5 Tale conclusione, a sostegno della posizione della contribuente, secondo cui la destinazione degli immobili ad attività di agriturismo sia sufficiente ad attribuire agli stessi il carattere di costruzione strumentale allo svolgimento dell'attività agricola, ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, trova riscontro nel suindicato quadro normativo. Va, infatti, evidenziato che l'elencazione esemplificativa ivi contenuta costituisce pur sempre una specificazione del requisito principale richiesto, che resta la strumentalità necessaria della costruzione rispetto allo svolgimento di un'attività agricola di cui all'art. 2135 cod. civ.. Detta norma, nel testo novellato dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 19 maggio 2001, n. 228, applicabile ratione temporis, prevede che «1. È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. 2. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. 3. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge».
La giurisprudenza formatasi su tale nuova formulazione ha evidenziato come il legislatore abbia inteso ampliare significativamente la nozione di imprenditore agricolo, allo scopo di rafforzare la posizione imprenditoriale dell'operatore soprattutto per le attività connesse, pur mantenendo fermo il nucleo essenziale dell'attività agricola, siccome incentrata sul «fattore terra», intesa come fattore produttivo, negando, invece la sussistenza dell'impresa agricola, allorché le attività connesse di cui all'art. 2135 cod. civ. assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e selvicoltura (Cass., Sez. 1^, 10 dicembre 2010, n. 24995; Cass., Sez. 1^, 8 agosto 2016, n. 16614; Cass., Sez. 6^-2, 10 novembre 2016, n. 22978; Cass., Sez. 1^, 16 gennaio 2018, n. 831). È stato, quindi, affermato da questa Corte che il novellato art. 2135 cod. civ., richiamando le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha ricompreso tra quelle complementari anche le attività che non presentano una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, ma unicamente un collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno (Cass., Sez. Lav., 7 marzo 2018, n. 5391).
Ebbene, tra le attività connesse, ai sensi dell’art. 2135, comma 3, cod. civ. rientrano in modo testuale quelle «di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge», cui va certamente ricondotta l'ipotesi in cui l'offerta di ospitalità ed alloggio avvenga in unità abitative utilizzate nell'ambito dell'attività di agriturismo esercitata da un’azienda agricola. Ad ulteriore conferma di ciò rileva che l’art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, tra le ipotesi esemplificative, ai fini del riconoscimento del carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'art. 2135 cod. civ., individua proprio l'ipotesi della loro destinazione ad agriturismo in conformità a quanto previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96. Ne consegue che anche un’abitazione classificata in categoria A/8, se destinata ad attività recettiva svolta nell'ambito di un agriturismo, presenta le caratteristiche oggettive richieste ai fini normativi ad un bene per essere ritenuto destinato ad attività strumentali a quella agricola.
Con l'ulteriore precisazione che gli immobili rurali perché strumentali all'esercizio di determinate attività agricole, ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, non rientrano nel campo di applicazione della lett. e) dell'art. 9, comma 3, dello stesso decreto, che disciplina solamente ed esclusivamente la diversa ipotesi del riconoscimento della ruralità, a specifiche e diverse condizioni oggettive e soggettive, alle costruzioni destinate ad abitazione, e quindi non strumentali, individuando solo e soltanto per esse la classificazione ostativa nelle categorie A/1 o A/8.
3.6 Ne discende che la sentenza impugnata ha contravvenuto a tali principi, affermando che la decisione di prime cure «non tiene conto del dettato stringente dell’art. 9 DL 557/93 comma 3 che alla lettera e) stabilisce in modo non equivocabile: “i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell'articolo 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali”. Non è in discussione che nelle unità immobiliari di cui trattasi, si svolga o meno attività recettiva con le caratteristiche dell’agriturismo: sono le caratteristiche dell’immobile, che con il classamento attribuito, non possono essere ritenute rurali.
Va anche considerato che il contribuente dovrebbe ben sapere che si tratta di abitazioni in categoria catastale A/8, visto che il classamento era stato richiesto – correttamente – dallo stesso contribuente con apposita DOCFA. (...) Si deve invece tener conto che tanto il sopra richiamato art. 3 quanto l’allegato B al DM 16784/2012, fanno espresso richiamo al possesso dei requisiti di ruralità, da[l] possesso di tali requisiti, sono escluse le unità immobiliari censite in A/1, A/8, A/9. Nella fattispecie, vista la esatta rispondenza fra il contenuto dell’allegato al DM richiamato, e la norma di riferimento, non si può certo parlare mera norma amministrativa, come intenderebbe parte contribuente. (...) Per ovvie ragioni, anche la tesi che è solo l’uso del bene a determinare il requisito della ruralità, non può essere accolta».
3.7 Va, pertanto, enunciato – nel solco del precedente arresto in materia di fabbricati avente caratteristiche di lusso ex d.m. 2 agosto 1969, n. 1072 (Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2023, n. 27198) - il seguente principio di diritto: «Ai fini della classificazione catastale delle unità immobiliari, le costruzioni destinate alla ricezione ed all’ospitalità, nell'ambito dell'attività di agriturismo svolta da un’azienda agricola, rivestono il carattere di strumentalità all'attività agricola che giustifica il riconoscimento della ruralità, ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, senza che ad esse possa trovare applicazione l'esclusione di cui alla lett. e) dell'art. 9, comma 3, dello stesso decreto, operante per le sole costruzioni rurali destinate ad abitazione, anche con riguardo alla classificazione catastale nelle categorie A/1 e A/8, che, pertanto, non è ostativa al riconoscimento della ruralità in caso di destinazione ad attività di agriturismo».
4. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del secondo motivo e l’infondatezza del primo motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Attenendosi al principio enunciato, il giudice del rinvio provvederà ad accertare se il fabbricato appartenente alla contribuente sia effettivamente destinato all’esercizio dell’attività di ricezione ed ospitalità nell’accezione consacrata dall’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 96, al fine dell’eventuale riconoscimento della ruralità in sede catastale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 30 maggio