Giu In tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - ORDINANZA 02 agosto 2024 N. 21816
Massima
In tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sen. n. 23745, 28/10/2020, Rv. 659448 – 01; conf. Cass. n. 18998/2021)

Casus Decisus
1. Il Tribunale di Roma di rigettò la domanda proposta da Ernesta Iole D., Renata e Alessandra C. contro Paola B., al fine di vedere accertare l’esistenza di una servitù di canna fumaria acquisita per destinazione del padre di famiglia, passante attraverso il sovrastante appartamento della convenuta. 2. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, accolta l’impugnazione delle attrici, in riforma della decisione di primo grado, riconobbe il diritto di servitù rivendicato, acquisito per destinazione del padre di famiglia e condannò l’appellata a cessare da ogni impedimento all’uso della canna fumaria, nonché al ripristino della stessa. Secondo la Corte d’Appello: - plurime emergenze istruttorie, che potevano trarsi dalla relazione di c.t.u., indirizzavano nel senso della sussistenza della canna fumaria sin dall’epoca della realizzazione dell’edificio da parte dell’unico, originario costruttore (segni di utilizzo nel passato, intervenuta successiva ostruzione del tratto intermedio in concomitanza con i lavori svolti dalla controparte, i quali avevano interessato anche la parte ove il manufatto risultava passare, documentazione dalla quale poteva trarsi la messa in opera del camino con la relativa canna fumaria, in occasione dei lavori di costruzione del fabbricato); - tardiva risultava l’eccezione con la quale l’appellata aveva contestato l’acquisizione documentale da parte del c.t.u.; - il c.t.u., a dispetto di quanto reputato dal Tribunale, non aveva affermato che il tracciato della canna fumaria non risultava dalle planimetrie progettuali, essendosi limitato a non approfondire il punto; - non era decisivo il riferimento all’anno di costruzione (1960) dell’edificio, mentre la parte appellante aveva indicato nel 1965 l’anno di messa in opera della condotta, poiché era ragionevole ritenere che l’edificazione si sarebbe collocata ai primi anni ’60 del secolo scorso; -tra i documenti allegati alla CTU, vi erano estratti conto riferibili alla cooperativa costruttrice riguardanti le spese per la costruzione del caminetto a riprova del fatto che la realizzazione del condotto fumario è coeva a quella del fabbricato; - non assumeva valore risolutivo la circostanza che per gli altri appartamenti non fosse stato previsto il camino; - non era ragionevolmente ipotizzabile che la messa in opera del manufatto, che attraversava gli appartamenti, fino a sbucare sul tetto, potesse essere avvenuta dopo la costruzione dell’edificio. 3 Paola B. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di otto motivi e le appellanti resistono con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - ORDINANZA 02 agosto 2024 N. 21816 ORILIA LORENZO

3.1. Con il primo e il secondo motivo, tra loro collegati, la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 112, 115, 132, 134, 163, 324, 329, co. 2, 342, 345, 348 bis, 348 ter cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. od. proc. civ., 1062 e segg. cod. civ. Si assume che il Tribunale aveva individuato l’oggetto della domanda <<nello stato dei luoghi esistente nel momento in cui i due fondi, per effetto dell’alienazione di uno o di entrambi, hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario>> e sul punto si era formato il giudicato interno.

Soggiunge la parte ricorrente che l'atto di appello [incentrato sulla violazione dell'art. 1602 cod. civ. sul presupposto che il Tribunale avesse disatteso le risultanze della c.t.u.], dunque, era inammisibile ed infondato anche per l'introduzione di un'inammisibile "mutatio libelli", poichè la domanda risultava riproposta sulla base di uno stato dei luoghi diverso a quanto accertato dal primo giudice.>>  .

Inoltre non era stata appellata l’affermazione del Tribunale, che aveva precisato che gli attori non avevano provato di avere acquistato l’appartamento dall’originario costruttore

La critica non supera lo scrutinio d’ammissibilità. Va sgombrato il campo dalla denuncia di violazione di una pluralità di norme processuali e sostanziali, delle quali non risulta essere stata adeguatamente spiegata la specifica rilevanza in relazione alla mossa critica.

Sul punto va richiamato il condiviso principio enunciato dalle Sezioni unite, secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sen. n. 23745, 28/10/2020, Rv. 659448 – 01; conf. Cass. n. 18998/2021).

Sotto altro profilo, merita precisare che, in linea generale, la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).

In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 – 01).

Va, inoltre, ribadito che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell'applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l'eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf., Cass. nn. 15879/2018, 3709/2014).

Come si vede, il cuore del complesso censorio ipotizza impropriamente la sussistenza di statuizioni passate in giudicato. L’improprietà dell’asserto risalta evidente alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha affermato, con la decisione n. 30459/2018, che: zzcome già si è di recente scritto, “Sul punto del giudicato implicito (…) non pare superfluo, a questo punto, riprendere le precipue pregresse indicazioni rese da questa Corte, alle quali si intende dare continuità: il giudicato non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull'intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Sez. 6-3, , n. 12202, 16/5/2017, Rv. 644289; Sez. 2, n. 16583, 28/9/2012, Rv. 624791); [con la conseguenza] che non ogni affermazione, attraverso la quale il giudice secerne il materiale probatorio e costruisce l’edificio decisorio, assume la qualità del giudicato, salvo le ipotesi in cui, peraltro non frequentissime, la compiuta valutazione del fatto lo conduca ad una univoca sussunzione normativa, dalla quale derivi una conseguenza giuridica specifica; cioè, deve trattarsi di ipotesi compiutamente selezionate, dalle quali derivano effetti individuati e stabili, non suscettibili, se non opportunamente criticate, di restare influenzate dalla decisione impugnatoria” (Sez. 2, n. 13568/2018)>>.

Nel caso in esame l’impugnazione ha investito nel suo complesso la decisione di primo grado, con la conseguenza che non v’è modo di rilevare la sussistenza d’una autonoma statuizione minima divenuta irrevocabile. Il ricorso mostra una visione esasperata del concetto di giudicato, che di certo non si estende ad ogni affermazione della sentenza. Per le medesime ragioni non è dato individuare alcuna “mutatio libelli” perché la domanda è sempre stata la stessa: riduzione in pristino della canna fumaria sulla base di una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia.

3.2. Con il terzo motivo viene denunciata omissione di pronuncia, con violazione degli artt. 111 Cost. e 112 cod. proc. civ. La sentenza d’appello, a dire della ricorrente, non avrebbe puntualmente indicato il percorso della canna fumaria da ripristinare e, inoltre, l’intervento avrebbe richiesto le necessarie autorizzazioni amministrative.

La censura è inammissibile.

Anche in questo caso va rilevato l’impropria evocazione della norma costituzionale e pertanto si rinvia alle considerazioni già esposte. Non si riscontra alcuna omessa pronuncia, che non può che concernere le domande ed eccezioni non esaminate, ipotesi di certo qui non ricorrente. Le questioni, peraltro confusamente poste, concernenti profili esecutivi, trovano, se sussistenti, regolamento e soluzione nell’art. 613 cod. proc. civ. e potranno avere un loro rilievo solo in quella sede. 

4. Con il quarto motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione degli artt. 24, 111 Cost., 112, 115, 132, 134, 163, 324, 329, c. 2, 342, 345, 348 bis, 348 ter cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ. e 1062 cod. civ. Si assume, in correlazione col motivo che precede, che, a fronte di contestazioni circa l’esistenza della canna fumaria e d’incertezze, emerse anche dalla c.t.u., a riguardo dell’individuazione del tracciato, non era stata fatta interpretazione della domanda e la Corte di Roma aveva deciso <<domanda diversa, immutando i fatti costitutivi della pretesa, anche mediante omissioni>>.

La censura è infondata. Richiamate le osservazioni svolte in relazione ai motivi precedenti, per quel che qui rileva, deve osservarsi che, esclusa ogni immutazione della domanda (il tracciato non la qualifica o modifica, ma, assai diversamente, attiene all’accertamento fattuale, qui non sindacabile), il Giudice d’appello, conformemente alla domanda, ha ordinato la rimessione in pristino e la domanda aveva ad oggetto proprio la riduzione in pristino.

5. Con il quinto motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, del contraddittorio e del giusto processo, richiamandosi le medesime norme di cui al precedente motivo. Si assume l’erroneità della statuizione di tardività dell’eccezione con la quale l’esponente aveva eccepito l’impropria acquisizione da parte del c.t.u. di documenti non ritualmente prodotti in giudizio.

Il motivo in parte è infondato e per altra parte inammissibile. In materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non  applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio (S.U. n. 3086, 01/02/2022, Rv. 663786 – 03; conf., ex multis, Cass. nn. 25604/2022, 32935/2022, 21903/2023, 26144/2023).

La censura quindi non coglie nel segno perché la Corte d’Appello ha dato atto che trattasi di documenti allegati alla CTU, come gli estratti conto riferibili alla cooperativa costruttrice riguardanti le spese per la costruzione del caminetto a riprova del fatto che la realizzazione del condotto fumario è coeva a quella del fabbricato (v. pag. 5). In disparte va soggiunto che la Corte d’appello, ha rilevato non essere ragionevolmente ipotizzabile che la canna passante potesse essere stata collocata dopo l’edificazione e senza immutazione dei luoghi.

6 Con il sesto motivo si denuncia violazione degli artt. 115 e 191 e segg. cod. proc. civ., nonché 2727 cod. civ. Si sostiene che la sentenza abbia tratto presunzioni da presunzioni, seguendo le indicazioni probabilistiche del c.t.u., in ordine alla presenza della canna fumaria in corrispondenza del camino e avente sbocco nel comignolo.

La doglianza è infondata.

La sentenza, lungi dall’avere ragionato sulla base di presunzioni prive di apprezzabilità, ha tratto le debite conclusioni dagli “accertamenti inequivocabili” del consulente (cfr., in particolare la quarta e la quinta facciata della sentenza) e quindi sulla base di accertamenti in fatto. Anche in questo caso, come per gli altri motivi, sotto l’usbergo della denunciata violazione di legge, la ricorrente invoca un inammissibile riesame di merito.

7. Con il settimo motivo, denunziandosi ex art. 360 n. 5 cpc il vizio di omesso esame di fatti decisivi, ancora una volta si addebita alla sentenza indeterminatezza, poiché lascerebbe all’interprete il compito d’integrarne il contenuto, così omettendo di prendere in esame fatti decisivi e controversi. In particolare, dedotto che non era stato individuato il percorso della canna fumaria, non risultava accertato da chi fosse stata permessa l’installazione, che gli attori non avevano prodotto il loro atto d’acquisto e che non era stata verificata la liceità dello stato dei luoghi (sarebbe occorsa licenza edilizia).

Il motivo è inammissibile.

La lamentela si pone ben al di fuori dell’ipotesi di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. e, all’evidenza, invoca un riesame di merito, che ha questa Corte è precluso dalla legge.

Costituisce principio fermo che l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 07/04/2014, Rv. 629831 – 01; alla quale si è conformata la successiva giurisprudenza).

Peraltro, a volere prescindere da ogni altra considerazione, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, qui ipotizzabile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì, come già sopra s’è detto, di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023). Infine, val la pena soggiungere che la proprietà degli attori non è contestata; la verifica della legittimità edilizia qui non rileva; né rileva accertare da chi gli attori ebbero ad acquistare l’immobile, ma solo che la situazione di servitù fosse stata predisposta con la costruzione.

8. Con l’ottavo ed ultimo motivo viene denunciata nullità della sentenza per omessa motivazione con violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 112, 115, 132 e 134 cod. proc. civ., 118 disp. attuaz. cod. proc. civ., 1062, 2727 e segg. cod. civ., in quanto la decisione si afferma essere <<basata su praesumptiones de praesumpto>>. Si osserva, inoltre, che la Corte di merito aveva omesso di prendere in esame documenti, attraverso i quali si risaliva a una canna fumaria di due metri e al camino, che prevedeva una tal canna.

Ove di ciò si fosse tenuto conto, sarebbe emerso, a dire della ricorrente, che la canna fumaria del camino era quella della cucina. Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte a riguardo del precedente motivo: anche in questo caso, infatti, la ricorrente invoca inammissibilmente un’alternativa ricostruzione fattuale.

Nel resto basti richiamare gli argomenti sviluppati in relazione agli altri motivi. In conclusione il ricorso merita rigetto. Le spese debbono seguire la soccombenza e vanno liquidate, a carico della ricorrente e in favore delle controricorrenti, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 4 giugno 2024