Va premesso che non risultano i presupposti per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, essendo la questione posta dal primo motivo, meritevole di enunciazione del principio di diritto, ricavabile agevolmente dalla giurisprudenza di questa Corte. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1209, 1216, 1220 e 1591 cod. civ., nonché omessa e contradditoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata è illogica perché il Tribunale aveva5 attribuito alla missiva del 15 ottobre 2009 esclusivamente la natura di anticipata comunicazione di recesso e perché il giudice di appello aveva confuso l’esercizio di recesso con l’immissione in possesso del locatore nella disponibilità dell’immobile.
Precisa che ai fini della serietà, tempestività e completezza dell’offerta, questa doveva essere completa e non parziale, comprendendo la totalità della somma dovuta ed escludendo così dubbi sulla concreta intenzione della parte di adempiere (Cass. n. 27255 del 2017), per cui la missiva in questione non poteva solo limitarsi alla restituzione della cauzione ma avrebbe dovuto contenere l’offerta di pagamento dei canoni fino alla scadenza del termine di recesso (anche manifestando la disponibilità alla compensazione con la cauzione), senza che fosse necessario domandare l’emanazione di decreto ingiuntivo. Osserva ancora che negli atti della controparte (memoria integrativa, opposizione a decreto ingiuntivo, atto di appello) ai fini degli effetti liberatori la parte ha dato rilievo non alla missiva del 15 ottobre 2009 ma a quella del 23 marzo 2010, dopo che era terminato il procedimento di accertamento tecnico preventivo.
Il motivo è infondato. Il motivo contiene due censure – come reso manifesto dall’esposizione in due parti -, l’una relativa alla sussumibilità della missiva del 15 ottobre 2009 nell’offerta non formale di cui all’art. 1220 cod. civ., l’altra relativa ad un vizio che – al di là dell’irrituale evocazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. ed applicando i criteri indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17931 del 2013 - può essere definito, qualificando la censura, come di extrapetizione, nel senso che la parte avrebbe opposto l’effetto di cui all’art. 1220 collegandolo non alla missiva del 15 ottobre 2009 ma a quella del 23 marzo 2010. La questione posta in particolare dalla prima censura è se ai fini dell’effetto liberatorio di cui all’art. 1220 cod. civ. dell’obbligazione del6 pagamento dell’indennità di occupazione prevista dall’art. 1591 cod. civ., l’offerta non formale di restituzione dell’immobile locato debba contenere anche l’offerta di pagamento dei canoni dovuti fino al momento dell’effettiva riconsegna (Cass. n. 10926 del 2018).
La risposta al quesito deve essere negativa, e la censura è pertanto infondata, perché va distinto l’effetto giuridico previsto dall’art. 1220, che riguarda il generale obbligo di versamento del corrispettivo oltre il maggior danno, che verrebbe meno con l’offerta di restituzione della cosa locata, dall’obbligazione di pagamento del corrispettivo cui il conduttore è comunque tenuto fino alla restituzione dell’immobile. Quest’ultima obbligazione non è incisa dall’offerta non formale, per cui è perfettamente indifferente che quest’ultima contenga, o non contenga, l’offerta di adempimento cui la parte è comunque tenuta per legge. Il principio della necessaria offerta della totalità della somma dovuta, con gli interessi e le spese liquide, richiamato dal ricorrente, attiene all’offerta di adempimento dell’obbligazione pecuniaria (e tale è l’oggetto di Cass. n. 27255 del 2017), mentre qui è in rilievo l’offerta di adempimento dell’obbligazione di restituzione dell’immobile, derivante dall’intervenuta cessazione del rapporto contrattuale, e non quella di adempimento della prestazione pecuniaria.
Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “non costituisce requisito di validità dell’offerta non formale di adempimento dell’obbligazione di restituzione della cosa locata l’offerta di adempiere anche l’obbligazione di pagamento del canone dovuto fino al momento di efficacia del recesso”.
La seconda censura non è scrutinabile, ed è pertanto inammissibile, perché, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. il ricorrente si è limitato a trascrivere taluni passi degli atti difensivi – ed in particolare quello depositato all’udienza del 317 gennaio 2011 - in cui si richiama la volontà espressa con la missiva del 22 marzo 2010, ma non quelli relativi alla missiva del 15 ottobre 2009, per cui non è possibile apprezzare se l’eccezione sollevata dalla parte, deducendo in giudizio la missiva del 15 ottobre 2009, fosse limitata al recesso del rapporto contrattuale o si dovesse ritenere estesa anche all’effetto di cui all’art. 1220. Affermare che la missiva del 22 marzo 2010 recasse una volontà restitutoria non è peraltro in contraddizione con il riconoscere che una tale volontà fosse già presente in quella del precedente ottobre, posto che è lo stesso giudizio di fatto del giudice del merito ad essere nel senso che nel marzo 2010 le conduttrici avevano «reiterato» la volontà già precedentemente espressa nell’ottobre 2009. Peraltro, la questione dell’offerta non formale di restituzione non si connota come oggetto di un’eccezione in senso stretto, ma può essere apprezzata come oggetto di un’eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo nel caso di specie non era determinato dall’individuazione che ne avesse fatto la parte, potendo appoggiarsi sull’oggettivo contenuto dell’atto prodotto, cioè la missiva del 15 ottobre 2009. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1209, 1216, 1220 e 1591 cod. civ., nonché omessa e contradditoria motivazione, nonché ancora violazione dell’art. 28 (ora 48) codice deontologico forense, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ..
Osserva la parte ricorrente che il difensore della parte intimata per la convalida dello sfratto per morosità ha prodotto le missive del 22 marzo 2010 e del 23 marzo 2010, miranti esclusivamente ad una risoluzione alternativa della controversia (e prive del contenuto di offerta di restituzione), in violazione del codice deontologico, trattandosi di corrispondenza riservata fra i legali, e8 dunque sulla base di una produzione inammissibile sotto il profilo processuale. Il motivo è inammissibile. La censura non attinge la ratio decidendi, la quale è da ravvisare nell’effetto liberatorio ai sensi dell’art. 1220 cod. civ. della missiva del 15 ottobre 2009, ed è pertanto priva di decisività. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 1591 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. Premette la parte ricorrente che nell’atto di riassunzione dalle appellanti erano stati chiesti la limitazione del debito per i canoni fino al 15 gennaio 2010 e, dando atto che i canoni erano stati già pagati fino al gennaio 2010, il rigetto dell’istanza di pagamento di ulteriori canoni, con la restituzione dell’importo versato di Euro 17.050,00 oltre interessi.
Osserva quindi che il decreto ingiuntivo, emesso per le quattro mensilità da novembre 2009 a febbraio 2010, costituisce giudicato che la decisione impugnata ha violato.
Il motivo è infondato. L'opposizione al decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall'opponente per contestarla (fra le tante da ultimo Cass. n. 14486 del 2019). Nella controversia insorta sul rapporto, resasi ormai autonoma per effetto dell’opposizione dai presupposti di legittimità del decreto ingiuntivo, è emerso il giudicato interno, secondo quanto accertato dal giudice del merito senza che alcuna impugnazione sia stata sul punto sollevata, circa sia la cessazione del rapporto alla data del 15 gennaio 2010 per il recesso delle conduttrici che il diritto del locatore al pagamento dei9 canoni fino al 15 gennaio 2010.
Il dispositivo, che limita il diritto di credito del locatore a tale giudicato, non è pertanto in violazione del precetto di cui all’art. 2909 cod. civ., senza che possa configurarsi un autonomo passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo in modo indipendente dalle vicende della controversia sul rapporto complessivo. All’esito dell’accertamento giurisdizionale, e nei limiti del giudicato interno formatosi, il credito del locatore trova il limite del 15 gennaio 2010 e non può essere esteso ad ulteriori canoni pretesi con l’originaria domanda di ingiunzione. Gli elementi ulteriori aggiunti nella memoria non spostano al conclusione qui raggiunta.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., nonché omessa e contradditoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il locatore è stato condannato alla rifusione delle spese dei gradi di appello e di cassazione nonostante che sia risultato vittorioso sulla domanda di risoluzione del contratto per l’esistenza dei vizi, proposta dalla parte conduttrice, costituente la questione fondamentale introdotta da quest’ultima. Aggiunge che in base al principio di causalità erano state le conduttrici ad avere dato causa alla controversia. Il motivo è fondato. Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (fra le tante da ultimo Cass. n. 27056 del 2021).
Il locatore è stato reputato soccombente ai fini del regolamento delle spese processuali sulla base non del criterio dell’esito complessivo della lite, ma del criterio,10 non previsto dalla disciplina processuale, della questione avente maggior rilievo nell’economia complessiva del giudizio. Se è pur vero che l’appello è stato parzialmente accolto, tale accoglimento non fa venir meno l’accoglimento (parziale) dell’originaria domanda di ingiunzione di pagamento dei canoni fino al 15 gennaio 2010, per cui entro tali limiti il locatore non può ritenersi soccombente. La decisione è pertanto difforme dal diritto avuto riguardo al criterio dell’esito complessivo della lite. Il dispositivo ha avuto ad oggetto solo i gradi di appello ed il giudizio di cassazione ed in tali limiti è stato oggetto di censura, per cui anche in tali limiti opera la cassazione della decisione. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..
Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha liquidato le spese utilizzando lo scaglione da 5.200 a 25.000, sulla base peraltro del valore dichiarato dalla controparte nell’atto di riassunzione, ma per il primo giudizio di appello ha erroneamente utilizzato lo scaglione superiore da 26.001 a 52.000. L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo. Non essendo necessari altri accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito disponendo la compensazione delle spese dei gradi di appello e dello già svolto giudizio di legittimità, risultando limitato a tali giudizi il dispositivo e tale essendo la portata di quanto è stato impugnato nel presente giudizio.
Sussiste il presupposto della compensazione considerando sia il limitatissimo accoglimento di una delle domande complessivamente proposte dal locatore, avuto riguardo anche a quella relativa alla statuizione riformata in appello, sia la reciproca soccombenza, avuto riguardo all’accoglimento solo parziale sia dell’appello che dell’originaria domanda di ingiunzione. Il limitato accoglimento del ricorso costituisce ragione di compensazione per metà delle spese del giudizio di cassazione le quali, liquidate per l’intero come in dispositivo, seguono per il resto la soccombenza, considerando quale valore della causa quello relativo al motivo di ricorso accolto e dunque il complessivo importo delle spese liquidate dalla sentenza impugnata.
P. Q. M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiarando assorbito il quinto e rigettando per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, dispone la compensazione delle spese processuali dei due gradi di appello e dello svolto giudizio di cassazione. Dispone la compensazione per metà delle spese processuali e, liquidando le spese per l’intero in Euro 3.418,00 per compensi, condanna le controricorrenti in solido al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese per compensi nella misura di Euro 1.709,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il giorno 26 gennaio 2023