1. - Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1344, 1283 c.c., 120 t.u.b. (d. Igs. n. 385/1993), 2 e 6 delib.
CICR 9 febbraio 2000. Lamenta la ricorrente che la Corte di appello abbia riconosciuto la legittimità della capitalizzazione degli interessi debitori ancorché il contratto non provvedesse, di fatto, alcuna valida clausola di reciprocità. E' spiegato, infatti, che la capitalizzazione degli interessi creditori non era stata prevista, avendo il contratto mancato di contemplare alcun incremento del tasso degli interessi attivi.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla banca controricorrente, il mezzo di censura non prospetta alcuna violazione dell'art. 112 c.p.c.:
esso denuncia, piuttosto, l'erronea applicazione delle disposizioni sopra richiamate, le quali hanno regolato la capitalizzazione in applicazione
del d.lgs. n. 242/1999.
Il motivo appare fondato.
La Corte di appello, nel pronunciarsi sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori nel periodo soggetto alla disciplina della delib. CICR 9 febbraio 2000, ha osservato che le affermazioni dell'appellante relative alla diversa capitalizzazione degli interessi attivi e passivi non risultavano essere sufficientemente specifiche, essendosi l'appellante, odierna ricorrente, «limitata ad allegare astrattamente delle discrepanze numeriche emergenti dal contratto, inidonee a provare in concreto l'effetto anatocistico».
Nel ricorso per cassazione è ricordato come nel proprio atto d'appello la società istante avesse evidenziato che la capitalizzazione era stata prevista contrattualmente solo con riferimento agli interessi passivi: in quell'atto era infatti precisato che il tasso creditore pattuito, pari allo 0,020% era equivalente al tasso effettivo creditore annuo,
convenuto nella stessa misura.
Ora, la disciplina delle clausole anatocistiche segue le decisioni di questa Corte che, a partire da Cass. 16 marzo 1999, n. 2374, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno affermato la nullità delle dette clausole, siccome non fondate su di un uso normativo, ritenendole quindi in contrasto con la norma cogente di cui all'art. 1283 c.c.: tesi, quest'ultima, andatasi consolidando e sulla quale si sono infine espresse, in senso adesivo, le Sezioni Unite (Cass.
Sez. U. 4 novembre 2004, n. 21095).
L'art. 120, comma 2, t.u.b., nel testo vigente ratione temporis, successivo alla modifica introdotta col d.lgs. n. 242/1999, ha disposto:
«Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa
periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori».
L'art. 1 delib. CICR del 9 febbraio 2000 recita: «Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono».
Il successivo art. 3, dopo aver prescritto, al primo comma, che nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi deve avvenire sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti, ha stabilito, al secondo comma, che «[nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori».
L'art. 6 della stessa delibera ha, infine, il seguente tenore: «I contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l'entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non
sono specificamente approvate per iscritto».
La delibera CICR, cui l'art. 120, comma 2, t.u.b. ha demandato la fissazione di fissare «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi» nelle operazioni bancarie, ha pertanto subordinato l'anatocismo nei rapporti di conto corrente non solo alla pattuizione della stessa periodicità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, ma anche, per il caso di capitalizzazione infrannuale, alla condizione, suggerita da una esigenza di trasparenza, della indicazione, nel contratto, del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione stessa
In tal senso, l'indicazione, in contratto, di un tasso annuo effettivo
dell'interesse creditore corrispondente a quello nominale (e cioè di un tasso annuo dell'interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato) rende per un verso priva di contenuto la clausola anatocistica riferita agli interessi attivi - giacché sconfessa, nei fatti, che detti interessi siano soggetti a capitalizzazione - e non soddisfa, per altro verso, quanto esige il cit. art. 6. A tale ultimo proposito occorre infatti considerare che la previsione di un tasso di interesse effettivo corrispondente a quello nominale equivale alla mancata indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione: anche ad ammettere che le parti abbiano realmente voluto quest'ultima (in una qualche misura numericamente apprezzabile), il contratto mancante della detta indicazione non soddisferebbe una delle condizioni cui è subordinata, secondo quanto si è detto, la pattuizione dell'anatocismo.
La banca controricorrente, nella propria memoria, ha opposto che non sussisterebbe alcuna disposizione normativa che sanzioni con la
nullità la clausola anatocistica che preveda una inesatta indicazione del tasso annuo effettivo (TAE). La deduzione non coglie però nel segno. Si ribadisce, al riguardo, quanto appena rilevato: le condizioni in presenza delle quali, a mente dell'art. 120, comma 2, t.u.b., può operarsi la capitalizzazione degli interessi passivi sono indicate dal CICR e la cit. delib. del 9 febbraio 2000, dopo aver stabilito che gli interessi possono produrre a loro volta interessi «secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono» (art. 1 cit.), ha precisato che la capitalizzazione infrannuale esige l'indicazione del «valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione» (art. 6 cit.). Una volta chiarito che l'indicazione di un tasso creditore (un tasso annuo effettivo) che non evidenzi l'incremento determinato dalla capitalizzazione non soddisfa quest'ultima condizione, è agevole comprendere che in una siffatta evenienza non risulta integrato uno dei presupposti cui l'art. 1 delib. CICR, in attuazione dell'art. 120, comma 2, t.u.b., subordina la pratica
dell'anatocismo. In tal senso, non appare concludente il parallelismo operato dalla stessa banca con altri elementi, quali l'ISC (indicatore sintetico di costo) o TAEG (tasso effettivo globale): l'ISC o TAEG è un dato che definisce il costo complessivo dell'operazione di finanziamento e che non rientra tra i tassi, prezzi ed altre condizioni, la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità ex art. 117 t.u.b. (per tutte Cass. 14 febbraio 2023, n. 4597 del 14/02/2023); il tasso annuo effettivo risultante dalla capitalizzazione degli interessi invece rappresenta, sia per gli interessi a debito del cliente che per quelli a credito, un elemento di cui è necessaria l'indicazione, pena la non attuabilità dell'anatocismo.
Va in conclusione fatta applicazione il principio (già enunciato da
Cass. 190 febbraio 2022, n. 4321) secondo cui la previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delib. CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell'interesse creditore, che è richiesta dall'art. 3 della delibera, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall'art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione.
2. - Col secondo mezzo si prospetta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 112 c.p.c.. La ricorrente si duole di ciò: la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sull'eccepita indeterminatezza e indeterminabilità della commissione di massimo scoperto «senza specificare se la percentuale della stessa dovesse applicarsi sulla punta di massimo scoperto trimestrale, sulla media dell'utilizzo, sulla parte di fido non utilizzata».
Il motivo merita accoglimento.
La Corte di appello ha ritenuto che le deduzioni svolte dalla
ricorrente quanto «agli interessi e agli ulteriori oneri economici» fossero state svolte in modo generico.
In realtà, nella citazione di appello la ricorrente aveva lamentato come la commissione fosse nulla per assoluta indeterminatezza, avendo riguardo alla percentuale dell'1,185%, ribadendo, poi, in comparsa conclusionale, che «non [risultavano] individuati tutti i necessari elementi al fine di informare compiutamente la correntista sulle modalità di calcolo della commissione di massimo scoperto, non essendo a tal fine sufficiente il mero dato numerico dell'1,185% indicato in contratto».
Ove pure sul punto non fosse stata formulata una vera e propria domanda, le richiamate deduzioni non potevano che essere interpretate come sollecitazione da parte della ricorrente al rilievo d'ufficio della nullità della clausola in discorso: ed è incontestabile che in tal caso il Giudice distrettuale avrebbe dovuto occuparsi della questione, dal momento che essa concerneva una nullità rilevabile d'ufficio sulla scorta della documentazione contrattuale prodotta. Andava dunque accertato se la disposizione contrattuale che programmava la commissione di
massimo scoperto soddisfacesse, in concreto, i requisiti di determinatezza e determinabilità di cui all'art. 1346 c.c., tenendo conto del principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui è nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola negoziale che prevede la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza contenere alcun riferimento al valore sul quale tale percentuale deve essere calcolata (Cass. 20 giugno 2022, n.
19825).
3. - Il terzo motivo censura la sentenza impugnata per la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 1, d.l. n. 394/2000, convertito in I. n. 24/2001, della I. n. 108/1996 e dell'art. 644 c.p., oltre che per la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.. Con riferimento alla denunciata usurarietà dell'operazione si lamenta che la
Corte di merito, dopo aver chiarito la necessità di utilizzare la cosiddetta «teoria del margine» (avendo specificamente riguardo alla pattuizione circa la commissione di massimo scoperto), abbia omesso di accertare se, in concreto, nel corso del rapporto, si sia fatto luogo a superamento del tasso soglia.
Il mezzo di censura, vertente sul rilievo che assume la commissione di massimo scoperto ai fini della rilevazione dell'usura, reta assorbito, stante l'accoglimento del secondo motivo (con cui è posta in discussione la validità - e quindi l'efficacia - della pattuizione che qui interessa).
4. - La sentenza è quindi cassata, con rinvio della causa alla
Corte di appello di Milano, che statuirà in diversa composizione, pronunciando anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.O.
La Corte
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, che statuirà in diversa composizione e che deciderà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione