Giu in caso di erronea applicazione di IVA su cessioni di beni ai consumatori finali il contribuente non può chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 09 agosto 2023 N. 24222
Massima
«in caso di erronea applicazione di IVA su cessioni di beni ai consumatori finali, in relazione alle quali il fornitore abbia esercitato la rivalsa su questi ultimi, il contribuente non può chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata, in quanto ciò costituirebbe sovracompensazione per effetto dell’avvenuta traslazione del peso economico dell’imposta»

Casus Decisus
1. La società contribuente A.L. S.r.l., rappresentante fiscale in Italia di A.L. A.E., società esercente l’attività di servizio di trasporto marittimo (passeggeri e merci) tra Italia e Grecia, ha impugnato un diniego di rimborso IVA relativamente al periodo di imposta 2010, avente ad oggetto somministrazioni di alimenti e bevande a bordo nave nell’espletamento del servizio di linea di trasporto passeggeri dai porti di Ancona e Venezia verso i porti ellenici. Ha dedotto la società contribuente la non imponibilità ai fini IVA di tali somministrazioni delle prestazioni di somministrazione alimentari, come confermato dalla risposta a un interpello da parte dell’Ufficio (art. 8-bis, lett. d) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). 2. La CTP di Ancona ha rigettato il ricorso. 3. La CTR delle Marche, con sentenza in data 9 maggio 2018, ha rigettato l’appello della società contribuente. Ha rilevato il giudice di appello che l’IVA è stata addebitata dalla società contribuente ai consumatori finali, per cui il rimborso dell’imposta costituirebbe un indebito arricchimento per la società contribuente. 4. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 09 agosto 2023 N. 24222 Bruschetta Ernestino Luigi

1. Va preliminarmente rigettata l’istanza di riunione con il ricorso n. 35744/2018 R.G., trattandosi di diversi periodi di imposta. o 3 di 10 2. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., degli artt. 36 e 61 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 111 Cost. per carenza assoluta di motivazione, non recando – ad avviso della ricorrente - la sentenza impugnata una espressa indicazione del percorso logico seguito dal giudice ai fini della decisione.

3. Il primo motivo è infondato, essendo il vizio di difetto di motivazione del provvedimento giurisdizionale deducibile solo sotto il profilo della carenza assoluta di motivazione, o della motivazione apparente che non consenta di ricostruire l’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice alla soluzione della controversia (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Nella specie il giudice di appello ha negato il diritto al rimborso sul presupposto che, essendo l’imposta stata addebitata ai consumatori finali, l’eventuale restituzione dell’imposta alla contribuente avrebbe costituito indebito arricchimento («il rimborso richiesto attiene a somme che sono già state versate dai consumatori finali e non hanno inciso sulle casse della società […] il rimborso, perciò costituirebbe un indebito arricchimento per la società»). La soluzione sinteticamente data alla controversia appare, pertanto, logica e compiuta.

4. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto a termini degli artt. 18 e 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e della direttiva 2006/112/CE. Deduce parte ricorrente che l’avere denegato il rimborso di una imposta non dovuta, ancorché fosse stata esercitata la rivalsa, obbligatoria per il sistema IVA, contrasterebbe con il principio di neutralità fiscale dell’IVA, essendo l’istanza di rimborso di pertinenza dell’emittente, laddove il committente avrebbe nei confronti dell’emittente la sola azione civilistica di rimborso dell’imposta indebitamente versata in rivalsa. Deduce, o inoltre, il ricorrente che la corresponsione dell’IVA sui prodotti, in quanto comportante incremento del prezzo di vendita, potrebbe tradursi in contrazione delle vendite ai consumatori. Deduce, infine, il ricorrente come il trattenimento dell’imposta non dovuta da parte dell’Erario si tradurrebbe in indebito oggettivo a favore dell’Erario.

5. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione del principio di effettività dell’IVA, degli artt. 18 e 19 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 29 l. 29 dicembre 1990, n. 428, della Direttiva 2006/112/CE, violazione delle regole dell’onere della prova e dell’art. 2697 cod. civ. Osserva parte ricorrente che l’onere della prova della traslazione dell’imposta sul consumatore finale non grava sul contribuente ma sull’Ufficio, non potendo il rimborso di tributi essere subordinato alla prova che i detti tributi non siano stati trasferiti su altri soggetti e che il contribuente, di conseguenza, si sia indebitamente arricchito. Parte contribuente formula, al riguardo, istanza di rimessione ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia.

6. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente. La richiesta di rimborso attiene – come descritto dal ricorrente - a prestazioni di ristorazione e catering sulle tratte Ancona – Igoumenitsa/Patrasso e Venezia Igoumenitsa/Corfù/Patrasso, prestazioni effettuate nei confronti di consumatori finali (pag. 13 ricorso); per queste somministrazioni è stato accertato sia dal giudice di appello, sia dal giudice di primo grado (come risulta dall’estratto della sentenza di primo grado trascritto dal controricorrente), l’esercizio della rivalsa da parte della società contribuente sui consumatori finali. Queste operazioni, pur non essendo imponibili ex art. 8-bis, lett. d) d.P.R. n. 633/1972, sono state fatte rientrare erroneamente in campo IVA dal contribuente che ha, al contempo, esercitato la rivalsa sui cessionari consumatori finali. o

7. Secondo una non recente giurisprudenza di questa Corte, nell’ordinamento non sarebbe dato ravvisare una regola generale secondo cui la traslazione del carico di un tributo costituisca impedimento al rimborso dello stesso, sicché tale impedimento deve essere espressamente previsto dalle singole leggi d'imposta, come è nel caso dei diritti doganali all'importazione, ma non, invece, per l'IVA; ne conseguirebbe che ai fini dell’esercizio del diritto al rimborso da parte del soggetto passivo IVA non assume rilievo l'avvenuta rivalsa dell'imposta sul cessionario, disponendo quest'ultimo, in caso di pagamento di IVA non dovuta in rivalsa, di un'azione di ripetizione nei confronti del cedente (Cass., Sez. V, 10 gennaio 2001, n. 272; Cass., Cass., Sez. V, 16 marzo 2007, n. 6193). Essendo la rivalsa fonte di azione civilistica di ripetizione di indebito, la sussistenza della stessa non potrebbe paralizzare l’azione di rimborso azionata dal soggetto passivo di imposta.

8. Va ulteriormente ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la prova della traslazione dell’imposta dal contribuente al consumatore finale graverebbe sull’Ufficio quale fatto impeditivo del diritto al rimborso. Tuttavia, questa giurisprudenza si è formata in materia di rimborso di accise, dove la rivalsa sul consumatore non è obbligatoria, ma facoltativa (ex multis Cass., Sez. V, 6 febbraio 2020, n. 2810; Cass., Sez. V, 24 luglio 2019, n. 19975). Le accise sono, difatti, imposte monofase, in cui il tributo è assolto solo dal produttore (Cass., Sez. V, 21 novembre 2008, n. 27627) e colpisce una sola fase del processo produttivo; per queste imposte, la traslazione dell’imposta entra nella componente del corrispettivo civilistico richiesto al consumatore e il suo effettivo esercizio costituisce fatto impeditivo per il diritto al rimborso.

9. Differente, invece, l’applicazione della rivalsa nell’IVA, che, in quanto imposta plurifase, colpisce tutte le fasi del processo produttivo ed è in linea di principio (eccettuati casi specifici, come l’art. 60 e l’art. o 6 di 10 18, terzo comma, d.P.R. n. 633/1972) inderogabilmente obbligatoria (art. 18, primo comma, d.P.R. n. 633/1972), con nullità di ogni patto contrario (art. 18, quarto comma, d.P.R. n. 633/1972). La rivalsa nell’IVA è tendenzialmente estranea alla struttura giuridica del tributo, non concorre a determinare la capacità contributiva del contribuente e opera sul piano civilistico tra prestatore (emittente) e cessionario. L’eventuale mancato esercizio della rivalsa (comportamento anomalo per la struttura dell’imposta) non potrebbe, pertanto, costituire fatto impeditivo al sorgere dell’obbligazione tributaria. Anche nel caso in cui fosse mancato ab origine l’esercizio della rivalsa (in caso di pagamento della prestazione da parte del consumatore finale), ciò sarebbe indifferente per l’ordinamento, rimanendo l’emittente (prestatore) collettore dell’IVA per conto dell’Erario ex art. 193 Dir. 2006/112/CE, salva la riduzione della base imponibile in caso di mancato pagamento (CGUE, 9 febbraio 2023, Euler Hermes, C-482/21, punto 32).

10. L’esercizio effettivo della rivalsa sul consumatore finale gioca, al contrario, un ruolo decisivo ai fini dell’esclusione del diritto al rimborso in caso di operazione erroneamente fatta entrare in campo IVA. Questo effetto non deriva, in quanto tale, da un evento fisiologico per questa imposta, ma dall’effetto sovracompensativo che, in questo caso, si produrrebbe a beneficio del contribuente prestatore. Il prestatore ha, difatti, già traslato integralmente il costo economico dell’imposta, ancorché non dovuta, sul consumatore finale e, nella misura in cui non sia stato attinto da richieste di rimborso da parte dei consumatori finali, si troverebbe nella condizione di risultare in termini giuridici (per effetto dell’accoglimento della domanda di rimborso) sollevato da un onere che economicamente ha già allocato sui consumatori.

11. In termini analoghi il diritto dell’Unione afferma che, per quanto lo Stato membro debba rimborsare l’IVA indebitamente versata - dovendo il diritto alla ripetizione dell’indebito rimediare alle conseguenze o dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’Unione (CGUE 25 luglio 2018, La Messer France, C-103/17, punto 56) - il rimborso dell’imposta è strumentale alla neutralizzazione dell’onere economico che indebitamente è andato a gravare sull’operatore che lo ha effettivamente sopportato (CGUE, 20 ottobre 2011, Danfoss e Sauer-Danfoss, C-94/10, punto 23; CGUE, 16 maggio 2013, Alakor, C-191/12, punti 24 e 27). Ad esempio, si afferma che ove il costo dell’imposta sia stato solo parzialmente ripercosso sugli aventi causa, le autorità nazionali sono tenute a rimborsare il solo importo non ripercosso (CGUE, 10 aprile 2008, Marks & Spencer, C-309/06, punto 42).

12. Ne consegue che «una ripetizione siffatta può essere rifiutata qualora comporti un arricchimento senza causa degli aventi diritto» ove vi sia la prova che il soggetto passivo di imposta abbia riversato il peso economico dell’imposta «su altri soggetti» (CGUE, 6 settembre 2011, Lady & Kid e a., C-398/09, punto 18; CGUE, C-191/12, cit., punto 25). In questo caso, l’operatore che si troverebbe a ripetere dall’Erario un’imposta non dovuta riceverebbe «un doppio introito» o, come si legge nelle traduzioni in altre lingue dell’Unione, un doppio pagamento (Doppelzahlung, double paiement, διπλ? πληρωμ?), «qualificabile come arricchimento senza causa» (CGUE, 1° marzo 2018, SC PetrotelLukoil, C-76/17, punto 34; CGUE, C-94/10, cit., punto 22; CGUE, C398/09, cit., punto 19; CGUE, 14 gennaio 1997, Comateb, C-192/95, punto 22, sentenza capostipite).

13. Tale conclusione è imposta dalla stessa funzione del principio di neutralità fiscale, che costituisce la traduzione in materia di IVA del principio di parità di trattamento (CGUE, C-309/06, cit., punto 49; CGUE, 8 giugno 2006, L.u.P, C-106/05, punto 48), per cui un rimborso di un’imposta non dovuta, che il contribuente abbia già traslato su altri soggetti, costituirebbe alterazione della parità di trattamento del contribuente rispetto ad altri operatori, in quanto creerebbe un vantaggio o 8 di 10 competitivo a favore del contribuente che abbia già ottenuto il rimborso di un costo già allocato su terzi.

14. Ove, pertanto, vi sia prova che un tributo indebito sia stato traslato dal soggetto passivo sull’acquirente (CGUE, 15 settembre 2011, Accor, C-310/09, punto 74) e, quindi, risulti integralmente neutralizzato l’onere economico indebitamente gravante sul soggetto passivo, uno Stato membro può opporsi al rimborso dell’imposta argomentando che il rimborso comporterebbe a vantaggio del soggetto passivo un arricchimento senza causa (CGUE, C-191/12, cit., punto 28).

15. Deve, pertanto, ritenersi conforme al diritto dell’Unione il principio secondo cui, in caso di obbligatorio esercizio della rivalsa sul consumatore finale, il rimborso al prestatore dell’IVA indebitamente applicata si rivelerebbe ingiustificatamente sovracompensativa e, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, comporterebbe esso stesso una violazione della neutralità dell’imposta, alterando la posizione competitiva del contribuente.

16. Tale orientamento non comporta, peraltro, che il prestatore debba ritenersi indefettibilmente inciso dal costo dell’imposta non dovuta, ben potendo – nel caso in cui abbia restituito l’imposta versatagli in rivalsa – chiedere il rimborso sul presupposto della restituzione della stessa (art. 21, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 30- ter d.P.R. n. 633/1972), circostanza estranea al caso di specie.

17. Quanto, poi, alla questione secondo cui l’erronea applicazione dell’IVA sul prodotto finale si tradurrebbe in una maggiorazione del prezzo e in una potenziale riduzione delle vendite, in disparte l’inammissibilità della questione - la quale non risulta tracciata nella sentenza impugnata e quindi è questione nuova implicante un accertamento di fatto di cui non è stata data contezza dell’effettiva trattazione nei precedenti gradi di giudizio (Cass., Sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 32804) - deve ritenersi che essendo il rimborso dell’imposta fondato sulla violazione del principio di non discriminazione tra operatori economici in rapporto al loro diritto al rimborso dell’IVA indebitamente percepita, tale circostanza è indipendente dal fatto che i suddetti operatori abbiano o meno, in maniera certa, subito una perdita o uno svantaggio finanziario (CGUE, C-309/06, cit., punti 56, 57).

18. Va, infine, rilevato che l’omesso rimborso di una imposta erroneamente applicata non pone una questione di ingiustificato arricchimento in favore dell’Erario. Se, difatti, l’erronea applicazione dell’imposta a queste operazioni abbia fatto «nascere in campo IVA» delle operazioni che ne dovevano essere escluse ab origine (comportando l’insorgenza di un gettito fiscale indebito traslato sul consumatore finale), «non si pone una questione di ingiustificato arricchimento in favore dell'erario, posto che, in tali casi, il destinatario della fattura non ha azione nei confronti del fisco, dovendo, eventualmente, esercitare un'azione civile per la ripetizione di quanto indebitamente riscosso» (Cass., Sez. V, 17 novembre 2021, n. 34957).

19. Né sussistono i presupposti per la rimessione della questione alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, posto che – in disparte la circostanza che spetta all’ordinamento giuridico degli Stati membri stabilire i requisiti al ricorrere dei quali possono essere presentate le domande di rimborso, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività (CGUE, C-94/10, cit., punto 24) – la questione è stata già trattata dalla Corte di Giustizia.

20. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di erronea applicazione di IVA su cessioni di beni ai consumatori finali, in relazione alle quali il fornitore abbia esercitato la rivalsa su questi ultimi, il contribuente non può chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata, in quanto ciò costituirebbe sovracompensazione per effetto dell’avvenuta traslazione del peso economico dell’imposta».

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei  suddetti principi. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P. Q. M

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, in data 21 giugno 2023