1. Con il primo motivo di ricorso S. deduce violazione degli artt. 57 e 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 (ovvero n. 3), cod. proc. civ. per avere la CTR accolto l’appello proposto da ADM sulla base di nuove eccezioni rispetto al precedente grado di giudizio, consistite nella pretesa insufficienza del FAP ad incidere sulla classificazione dell’automezzo ai fini fiscali. Osserva, infatti, la società contribuente che in primo grado l’Ufficio avrebbe concentrato le proprie difese unicamente sul consumo di carburante, niente affatto ridotto dalla installazione del FAP.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione del decreto del ministero dei trasporti n. 39 del 25 gennaio 2008, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’applicazione di un FAP ad un automezzo non possa ridurre anche altri inquinanti e renderlo pertanto classificabile nella categoria Euro 3 o superiore.
1.2. Con il terzo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, costituito dal mancato esame della scheda tecnica del FAP installato sui veicoli, della perizia tecnica e delle indicazioni contenute nella carta di 4 di 11 circolazione, laddove gli automezzi interessati erano classificati Euro 3 o Euro 5.
1.3. Con il quarto motivo di ricorso sui deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto provata la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli della società contribuente, riduzione ammessa anche dalla difesa erariale.
1.4. Con il quinto motivo di ricorso si contesta violazione dell’art. 7, § 2 e 3, della direttiva n. 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, dell’art. 1, comma 645, della l. 25 dicembre 2015, n. 208 e dell’art. 24 ter del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico sulle accise - TUA), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere il legislatore italiano utilizzato, a fini tributari, una definizione coerente con la menzionata direttiva, da ritenersi immediatamente applicabile ed efficace.
2. Il primo motivo è infondato. 2.1. ADM ha negato il rimborso evidenziando – così come riportato in ricorso – che i FAP «consentono la riconducibilità alla categoria superiore solo quanto al parametro delle emissioni inquinanti e quindi al fine di ovviare ai divieti di circolazione dei veicoli saltuariamente stabiliti per le città con più elevata densità di polveri sottili, ma non soddisfacendo gli altri requisiti richiesti, non permettono la classificazione del mezzo di trasporto nella categoria diversa da quella originaria».
2.2. La superiore motivazione del diniego, impugnata da S. in primo grado, è stata solo precisata da ADM con l’atto di appello (con particolare riferimento agli ulteriori requisiti richiesti, cioè le emissioni gassose e la opacità del fumo); con la conseguenza che la difesa erariale non ha affatto allargato l’oggetto del giudizio in appello, essendo i fatti dedotti già indicati nel provvedimento di diniego, indipendentemente dalle ulteriori deduzioni giuridiche ammissibilmente formulate in primo grado (cfr. Cass. n. 17239 del 27/06/2019).
3. Il secondo e il quinto motivo possono essere esaminati unitariamente per ragioni di connessione e sono infondati.
3.1. Va preliminarmente riassunto il quadro normativo di riferimento.
3.1.1. L’art. 5 della direttiva n. 2003/96/CE stabilisce che gli Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, aliquote d'imposta differenziate a condizione che dette aliquote rispettino i livelli minimi di tassazione stabiliti nella presente direttiva e siano compatibili con il diritto comunitario, in una serie di casi, tra cui i trasporti pubblici locali di passeggeri. Inoltre, il successivo art. 6 consente agli Stati membri di concedere esenzioni o riduzioni, anche sotto forma di credito d’imposta, purché siano rispettati i livelli minimi di tassazione previsti dalla medesima direttiva. A tal fine, è possibile distinguere tra gasolio non commerciale e gasolio commerciale, intendendosi per il secondo quello utilizzato per il trasporto regolare o occasionale di passeggeri, effettuato con un autoveicolo delle categorie M2 o M3 (art. 7 della direttiva n. 2003/96/CEE).
3.1.2. A seguito della direttiva, il legislatore ha previsto un credito d’imposta, tra l’altro, anche in favore dei soggetti che svolgono attività di autotrasporto di persone (qual è incontestatamente l’odierna ricorrente), e concernente gli acquisti di gasolio per autotrazione (si vedano i provvedimenti legislativi di cui all’elenco n. 2, allegato alla l. 27 dicembre 2013, n. 147), finché, a far data dal 2016, l’art. 1, comma 645, della l. n. 208 del 2015 ha ritenuto di non riconoscere più detto credito d’imposta con riferimento ai veicoli catalogati nella categoria Euro 2 o inferiore. E una disposizione dal tenore sostanzialmente analogo è prevista in via generale, a far data dal 03/12/2016, all’art. 24 ter del TUA.
3.1.3. Infine, il decreto del Ministero dei trasporti n. 39 del 2008, contenente il «Regolamento recante disposizioni concernenti l'omologazione e l'installazione di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato emesso da motori ad accensione spontanea destinati alla propulsione di autoveicoli», stabilisce che l'installazione di uno di questi sistemi riconosciuto idoneo per un tipo di motore determina, «ai soli fini dell'inquinamento da massa di particolato», l'inquadramento del medesimo tipo di motore nella fascia di appartenenza richiesta nella domanda di omologazione (art. 5). Gli Uffici della motorizzazione civile, a richiesta dell'utenza, procedono alla visita sui singoli autoveicoli per verificare la conformità del sistema installato al tipo omologato (art. 6). «Successivamente all'effettuazione, con esito positivo, della visita di cui all'articolo 6», gli Uffici «aggiornano la carta di circolazione dell'autoveicolo mediante l'apposizione sulla stessa di una dicitura recante la seguente annotazione: “Autoveicolo dotato di sistema per la riduzione della massa di particolato, con marchio di omologazione (…) Ai soli fini dell'inquinamento da massa di particolato, è inquadrabile quale Euro......» (art. 7).
3.2. Così definito il quadro normativo, va subito evidenziato che la normativa interna di riferimento non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria n. 2003/96/CEE.
3.2.1. La menzionata direttiva, «che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità», offre la definizione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» con riguardo alle finalità di utilizzo («si intende per “gasolio commerciale utilizzato come propellente” il gasolio utilizzato ai fini seguenti»: art. 7, § 3) e stabilisce un livello minimo di tassazione in un quadro complessivo che riconosce esplicitamente «flessibilità» (considerando 9), ma non esclude la facoltà di prevedere esenzioni o riduzioni (considerando 8), e la facoltà per gli Stati membri di «introdurre o mantenere diversi tipi 7 di 11 di tassazione sui prodotti energetici e sull'elettricità» (considerando 10), lasciando a ciascun Stato membro «la scelta del regime fiscale da applicare in relazione all'attuazione del presente quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità» (considerando 11).
3.2.2. Secondo la stessa giurisprudenza unionale, la direttiva si propone di incoraggiare obiettivi di politica ambientale (così, Corte giust. 7 marzo 2018, in causa C-31/17, Cristal Union, punto 34 e giurisprudenza ivi citata) e, pertanto, non ha proceduto ad un’armonizzazione totale delle aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si è limitata a fissare livelli minimi di tassazione armonizzati e, come si desume dagli artt. 5, 14, 15, 16, 17 e 19, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di introdurre aliquote di imposta differenziate, esenzioni dall’imposizione o sgravi fiscali delle accise, lasciando un certo margine di discrezionalità agli Stati membri, purché nel rispetto del principio di parità di trattamento (cfr. Corte di giust. 30 gennaio 2020, in causa C513/18, Autoservizi Giordano).
3.3. Ne deriva la piena compatibilità unionale (e, quindi, la superfluità della questione pregiudiziale proposta dalla ricorrente in via subordinata) di una previsione che riconosca un credito agevolato per il pagamento delle accise sul gasolio per autotrazione a specifiche categorie di autotrasportatori, oggettivamente individuate tra gli autotrasportatori che svolgono attività di trasporto di merci o persone, in modo tale da non ledere il principio di parità di trattamento; in particolare, il credito d’imposta è riconosciuto limitatamente all’utilizzazione, per l’attività di trasporto, di veicoli con classificazione superiore a Euro 2.
3.4. Sotto altro profilo, il d.m. n. 39 del 2008 prevede espressamente che la categoria superiore eventualmente attribuita ai veicoli dotati di un dispositivo FAP omologato è valida unicamente ai fini dell’inquinamento da particolato e non già agli ulteriori fini previsti dalle disposizioni fiscali agevolative, sicché deve escludersi che un autotrasportatore possa usufruire del menzionato credito d’imposta con riferimento a veicoli classificati Euro 2, sebbene questi ultimi siano dotati di FAP, dovendo farsi riferimento agli specifici requisiti previsti dalle direttive comunitarie.
3.5. Invero, l’omologazione, come definita dall’art. 3 della direttiva n. 2006/46/CE è «la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti (…)»; e la classificazione relativa alle emissioni inquinanti dei veicoli a motore rientra nella procedura di omologazione, tanto è vero che gli Stati membri «non possono rifiutare l'omologazione CEE né l'omologazione di portata nazionale di un veicolo» se tale veicolo risponde alle prescrizioni in materia (si vedano l’art. 2 della direttiva n. 70/220/CEE del 20 marzo 1970 e l’art. 2 della direttiva n. 88/77/CEE del 3 dicembre 1987).
3.5.1. Le direttive che si sono succedute nel tempo, quanto alla classificazione a fini ambientali, mantengono questo collegamento con l’omologazione del veicolo e intervengono sulle prescrizioni e i requisiti richiesti al fine di adeguare la normativa al progresso scientifico e tecnologico: da un lato, sono mutate nel tempo metodologie e criteri di controllo, in considerazione delle innovazioni intervenute nel settore automobilistico e nelle tecnologie antinquinamento; dall’altro, le misurazioni da effettuare riguardano una ampia gamma di emissioni inquinanti.
3.5.2. Per esempio, la direttiva n. 1999/96/CE, indicata dal d.m. n. 39/2008 quale riferimento per la fascia “euro 3”, immediatamente superiore a quella di appartenenza dei veicoli in questione («appartengono a tale fascia i motori omologati ai sensi delle direttive da 1999/96/CE a 2001/27/CE, riga A», v. art. 2), oltre ad aver previsto «nuovi cicli di prova per l’omologazione», ha 9 di 11 stabilito che «Le emissioni da misurare prodotte dallo scarico del motore includono i componenti gassosi (monossido di carbonio, idrocarburi totali per i motori diesel nella sola prova ESC; idrocarburi diversi dal metano per i motori diesel e a gas nella sola prova ETC; metano per i motori a gas nella sola prova ETC e ossidi di azoto), il particolato (solo motori diesel) e il fumo (motori diesel nella sola prova ELR)» (allegato III, punto 1.3).
3.5.3. Le categorie “euro” implicano, quindi, verifiche e accertamenti che non si esauriscono nella misurazione dei livelli di emissione di particolato e sono strettamente legate allo stato tecnologico e scientifico del momento della loro introduzione; l’indicazione «veicoli di categoria euro 2 o inferiore», di cui all’art. 1, comma 645, della l. n. 208 cit., deve riferirsi, quindi, alla categoria attribuita a quel tipo di veicolo in sede di omologazione, rappresentativa della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando, ai fini della sua determinazione, l’installazione di sistemi di riduzione delle emissioni di particolato successivamente all’immatricolazione. 3.5.4. Rafforza questa conclusione, inoltre, il fatto che il predetto art. 1, comma 645, è finalizzato al conseguimento di risparmi da destinare agli interventi di cui ai commi 640, 647, 648, 650, 651, 654, 655 e 866, tra i quali vi è quello di favorire l’acquisto di mezzi di ultima generazione e il rinnovo del parco mezzi destinati al trasporto pubblico locale e regionale (comma 866). Emerge, dunque, la finalità di incentivare il rinnovo del parco automobilistico che verrebbe pregiudicata se si estendesse la sua applicazione anche a mezzi obsoleti ma modificati.
3.6. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «Il credito d’imposta previsto dall’art. 1, comma 645, della l. n. 208 del 2015 e, successivamente, dall’art. 24 ter del TUA in favore degli autotrasportatori ivi indicati, riguardante le accise sul gasolio per autotrazione, si applica unicamente con riferimento ai veicoli catalogati nelle categorie Euro specificamente indicate dalla legge, senza che abbia alcun rilievo, ai fini della determinazione della categoria di appartenenza del veicolo, la eventuale installazione sullo stesso di un filtro anti particolato omologato».
3.6. La sentenza impugnata si è pienamente conformata al superiore principio di diritto ed è, dunque, esente dalle censure mossele da S. con i motivi secondo e quinto, che vanno dunque rigettati.
4. L’applicazione del superiore principio di diritto rende superfluo l’esame dei motivi terzo e quarto che, pertanto, restano assorbiti.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
5.1. La ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
5.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che si liquidano in euro 7.600,00, oltre alle spese di prenotazione a debito. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma il 19 aprile 2023.