"... Con il primo motivo di opposizione ha lamentato l'illegittimità della delibera impugnata giacché adottata in violazione del quorum deliberativo di cui all'art. 1136, II comma, c.c. Trattandosi di deliberazione a carattere straordinario, infatti, sarebbe occorsa una deliberazione adottata con un numero di voti che rappresentasse almeno la metà del valore dell'edificio, oltre che la maggioranza degli intervenuti. Nel calcolo del quorum deliberativo, invece, erano stati detratti i 275,32 millesimi della società opponente, ritenuta in conflitto di interessi, sicché la maggioranza era stata calcolata con riferimento ai rimanenti 724,68 millesimi degli altri condomini, ritenendola raggiunta con la presenza di 425,91 millesimi e 28 condomini su 49.
La società attrice ha censurato tale modo di procedere sia perché assente un conflitto di interessi proprio rispetto all'accertamento richiesto dal condominio, sia perché, ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo, occorre tener conto anche dei millesimi del condomino in conflitto di interessi il quale può, non già deve, astenersi dal prendere parte alla votazione.
Ha, inoltre, contestato, con il secondo motivo di impugnazione, il comportamento dell'amministratore di condominio, il quale aveva riscontrato negativamente l'istanza di mediazione obbligatoria senza previamente convocare un'assemblea condominiale la quale fosse resa edotta della pendenza del procedimento di mediazione ed adottasse le deliberazioni conseguenti.
Da ultimo ha lamentato una lesione
dei propri diritti per il comportamento assunto dal condominio, il
quale aveva individuato come proprio contraddittore nella procedura
di consulenza preventiva la sola società istante, ritenendola
responsabile di un danno per l'immobile condominiale, non già altri
condomini quali, ad esempio, i proprietari degli ultimi piani del
fabbricato, i quali per come emergeva dalla relazione dell'ing.
Petti, si erano resi responsabili di abusi e violazioni.
Ha concluso chiedendo che la delibera impugnata fosse dichiarata
nulla o annullata, con vittoria di spese di lite e con condanna ai
sensi dell'art. 96 c.p.c., con distrazione in favore dei difensori
costituiti ai sensi dell'art. 93 c.p.c.
Si è costituito il condominio opposto eccependo: la carenza di titolarità attiva della società istante, la quale non aveva provato la sua qualità di condomina e proprietaria di unità immobiliari in condominio; l'improcedibilità dell'impugnazione per mancata partecipazione alla procedura di mediazione obbligatoria, giacché la procedura si era conclusa senza partecipazione del condominio alla procedura sebbene l'amministratrice avesse violato il disposto dell'art. 71 quater disp. att. c.c. e, nel merito, la carenza di interesse concreto all'impugnazione da parte della società attrice, non essendo stato indicato in che modo la delibera adottata rischiava di danneggiare la posizione della società attrice la quale, per contro, nell'atto di citazione aveva assunto di avere interesse all'accertamento richiesto dal condominio. Ha eccepito, inoltre, la nullità della domanda e la sua infondatezza nel merito, giacché sarebbe stata facoltà dell'amministratore quella di attivare, nel caso concreto, la procedura di consulenza preventiva, giustificata anche da ragioni di urgenza, senza una previa delibera assembleare e poiché non occorrerebbero le maggioranze di cui all'art. 1136, II comma, c.c., non essendo la procedura di consulenza preventiva assimilabile ad una lite attiva ed essendo sufficiente la maggioranza di cui all'art. 1136, III comma, c.c.
Ha concluso chiedendo il rigetto
dell'opposizione con vittoria di spese di lite, da distrarsi in
favore del difensore costituito ex art. 93 c.p.c.
Rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della
delibera impugnata e concessi i termini di cui all'art. 183, VI
comma, c.p.c., dopo il deposito delle memorie la causa è stata
ritenuta matura per la decisione e, previo scambio di note
conclusionali, in data odierna è stata discussa ai sensi dell'art.
281 sexies c.p.c. e viene decisa dandosi lettura in pubblica
udienza della presente sentenza.
In primo luogo va osservato, quanto alla dedotta invalidità della delibera di autorizzazione alla costituzione in giudizio del condominio convenuto, che il condominio si è ritualmente costituito in giudizio, non essendo necessaria a tal fine alcuna previa delibera autorizzativa dell'assemblea dei condomini, potendo l'amministratore conferire mandato al difensore del condominio nei giudizio di impugnazione di delibere assembleari (cfr Cass. civ., sent. n. 4183 del 16.02.2017 la quale ha affermato che: “in base al disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c., l'amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l'esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all'impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell'assemblea per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio
La domanda è procedibile essendo
stata preceduta dal procedimento di mediazione obbligatoria,
conclusosi con esito negativo, né potrebbe essere addebitata alla
società attrice una sanzione di improcedibilità ricollegata al
comportamento preprocessuale altrui, in particolare alla decisione
dell'amministratrice del condominio convenuto di non aderire alla
richiesta di mediazione senza previamente munirsi di delibera
assembleare ai sensi dell'art. 71 quater disp. att. c.c.
Infondata è, quindi, l'eccezione di nullità dell'atto di citazione.
“La declaratoria di nullità della citazione ai sensi
dell'art. 164, quarto comma, cod. proc. civ. postula una
valutazione da compiersi caso per caso, tenendo conto che la
ragione ispiratrice della norma risiede nell'esigenza di porre
immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate
e puntuali difese. Pertanto, nel valutare il grado di incertezza
della domanda, non può prescindersi dall'intero contesto dell'atto
introduttivo, dalla natura del relativo oggetto e dal comportamento
della controparte, dovendosi accertare se, nonostante l'obiettiva
incertezza, il convenuto sia in grado di comprendere agevolmente le
richieste dell'attore o se, invece, in difetto di maggiori
specificazioni, si trovi in difficoltà nel predisporre una precisa
linea difensiva” (cfr Cass. civ., sent. n. 27670 del 21.11.2008;
conforme Cass. civ., sent. n. 11751 del
15.05.2013).
Nel caso di specie il condominio convenuto ha lamentato che, leggendo l'atto di citazione, non si comprenderebbe la causa petendi, ovvero le ragioni giuridiche fondanti l'impugnazione ed il danno che avrebbe subito a seguito dell'approvazione della delibera assembleare.
La deduzione è infondata.
L'art. 164 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis al procedimento in oggetto, stabilisce che l'atto di citazione è nullo se è “assolutamente incerto” l'oggetto della domanda ovvero se “manca” l'esposizione dei fatti posti a fondamento della domanda. Nel caso di specie non è ravvisabile detta mancanza, posto che nell'atto di citazione vi era indicazione precisa dei motivi per cui la delibera impugnata doveva ritenersi nulla o annullabile, sinteticamente esposti nella motivazione che precede. Né, per rendere intellegibile la domanda, occorreva altresì la precisa indicazione del danno che la società attrice avrebbe subito in conseguenza della delibera impugnata.
Ne consegue che parte convenuta è stata posta in grado, così come ha in concreto fatto, di spiegare compiute difese.
Va, quindi, osservato che l'accertamento della “legitimatio ad causam” non può essere confuso con il difetto della effettiva titolarità attiva della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio.
Il controllo in ordine alla sussistenza della legittimazione attiva si risolve nell'accertare se, secondo la prospettazione dell'attore, questi assuma, o meno, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale.
In altri termini, la “legitimatio ad causam”, attiva (e passiva), consiste nella titolarità del potere di promuovere (o subire) un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte (cfr Cass. civ., sent. n. 7776 del 27.03.2017).
Non attiene, invece, alla legittimazione, bensì al merito della lite, la questione relativa alla reale titolarità attiva (o passiva) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che si risolve nell'accertamento di una situazione di fatto favorevole all'accoglimento o al rigetto della pretesa azionata.
La distinzione dei due piani, è ben evidenziata dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che “di difetto di legitimatio ad causam è lecito discorrere tutte le volte che (e solo se) si faccia valere, in sede giudiziaria, o un diritto rappresentato come altrui (un soggetto agisce in rivendica reclamando un bene che egli stesso asserisce di proprietà di un terzo), ovvero un diritto rappresentato come oggetto della propria sfera di azione e di tutela giurisdizionale al di fuori dal relativo modello legale tipico (un comodatario agisce in rivendica del bene del comodante prospettando come legittima tale azione). Al di fuori di tali ipotesi, la controversia in ordine alla reale titolarità del diritto sostanziale fatto valere in giudizio attiene al merito della causa” (cfr Cass. civ., sent. n. 13756 del 14.06.2006; in senso conforme Cass. civ., sent. n,. 2091 del 14.02.2012).
La differente qualificazione dell'azione ha concrete ricadute pratiche relative alla rilevabilità d'ufficio.
Il difetto di “legitimatio ad causam”, riguardando la regolarità del contraddittorio, è, infatti, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, mentre l'effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite.
Posta tale imprescindibile chiarificazione, va rilevato che la società istante ha agito in qualità di proprietaria di unità immobiliari site nel condominio, mentre la qualità di proprietaria di un immobile sito nello stabile condominiale è stata provata, oltre che con la menzione della omissis s.r.l. quale condomina (con indicazione della relativa caratura millesimale) nel verbale di assemblea condominiale nell'ambito del quale fu adottata la delibera impugnata, altresì con il deposito di copia dell'atto di compravendita per notaio omissis del 05.11.1998 rep. 41977, racc. 7353.
Per altra ragione, peraltro, deve ritenersi che nella fattispecie difetti la legittimazione della società ad impugnare la delibera oggetto di impugnazione.
Detta delibera, come detto, riguarda le iniziative procedurali da assumere in relazione ad un procedimento, a carattere non contenzioso ma con finalità deflattive di un possibile, futuro, procedimento a cognizione piena, nel quale l'odierna opponente riveste qualità di controparte processuale del condominio.
Per la precisione si discusse delle iniziative processuali da assumere, nominando un legale per proporre ricorso ex art. 696 bis c.p.c. ed il consulente tecnico di parte del condominio. La deliberazione, quindi, aveva ad oggetto una lite attiva del condominio nei confronti della condomina, sussistendo contrapposizione processuale circa l'esistenza di un dissesto statico del fabbricato condominiale imputabile alla società attrice, avendo quest'ultima negato di aver concorso a crearlo ed avendo, per contro, il condominio richiesto l'accertamento asserendo che il pregiudizio per la statica del fabbricato condominiale sarebbe stato causato dalla pmissis s.r.l.
Deve, pertanto, essere dichiarato il difetto di legittimazione la società opponente, la quale non ha interesse a sindacare sulla validità della deliberazione impugnata.
Va, infatti, rimarcato che alcuna concreta incidenza ha la delibera impugnata sulla sfera giuridica e patrimoniale della società opponente la quale, ponendosi in contrapposizione con il condominio - ovverosia separando la sua sfera di interessi da quella degli altri condòmini e non beneficiando dell'attività difensiva posta in essere nell'interesse del condominio - neppure subisce le ripercussioni, anche economiche, che derivano dalle scelte operate dal resto della compagine condominiale (cfr Cass. civ., sent. n. 1629 del 23.01.2018 la quale afferma “nel caso di controversia tra uno o più condomini e il condominio da cui consegua un conflitto giudiziario (o stragiudiziale), non trova applicazione per le parti controverse, in materia di spese, l'art. 1132 c.c., che pone a carico del condomino dissenziente l'onere di manifestare il proprio dissenso con atto notificato all'amministratore. Nella specie, difatti, il condominio si scinde in due parti, ognuna delle quali del tutto separata dall'altra, di modo che le spese sostenute dal condominio in ragione della controversia non possono essere addebitate anche ai condomini titolari dell'interesse contrapposto se non in ragione della soccombenza. Di tal che la relativa delibera assembleare che ripartisca le spese anche tra questi condomini è nulla per impossibilità dell'oggetto”).
Il condòmino il quale proponga o resista ad una domanda azionata nei confronti del condominio di cui fa parte o da quest'ultimo proposta, quindi, né partecipa alla spesa da sostenersi per il pagamento delle spettanze professionali dovute al difensore del condominio, né, conseguentemente, ha interesse a sindacare in ordine alla scelta del difensore, alla misura compenso da versare in suo favore ed alle strategie processuali da assumere.
Va, pertanto, data adesione alla giurisprudenza di merito secondo la quale il condomino in lite con il condominio non ha legittimazione a proporre opposizione ex art. 1137 c.c. avverso la delibera con la quale l'assemblea decida di resistere nel giudizio da lui intentato (cfr Corte Appello Roma, sent. n. 1425 del 30.04.1997).
Trattasi di opzione ermeneutica fatta propria anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità citata dal condominio opposto, la quale distingue la fattispecie in esame da quella del condomino in conflitto di interessi con il condominio.
Chiarisce la Suprema Corte, infatti, che “nell'ipotesi di controversia tra condominio e uno o più condomini, la compagine condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia rappresentato dall'amministratore, con la conseguenza che si considera nulla per impossibilità dell'oggetto la deliberazione dell'assemblea che, con riferimento ad un giudizio che veda, appunto, contrapposti il condominio ed un singolo condomino, ponga anche a carico di quest'ultimo, pro quota, l'obbligo di contribuire alle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore o del consulente tecnico di parte nominati in tale processo, trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino, e neppure, perciò, trovando applicazione in tale ipotesi l'art. 1132 c.c. (Cass. Sez. 2, 23/01/2018, n. 1629; Cass. Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801)” (cfr Cass. civ., ord. n. 3192 del 02.02.2023).
Sulla scorta di tale considerazione, quindi, il citato arresto giurisprudenziale ha chiarito che, in caso di liti fra condominio ed uno o più condòmini, il o i secondi non si trovano in una situazione di conflitto di interessi - fattispecie relativa al solo esercizio del potere deliberativo e vertente sul contrasto fra l'interesse proprio del condomino partecipante alla votazione e quello condominiale e collettivo, sicché anche il condomino in conflitto partecipa al quorum costitutivo e deliberativo assembleare salva la sola facoltà di astenersi dall'esercitare il diritto di voto (così come chiarito da Cass. civ., sent. n. 19131 del 28.09.2015) -, quanto, piuttosto, di assenza del diritto a partecipare alla discussione e decisione assembleare, nella quale dovranno sedere, come aventi diritto, ai sensi degli artt. 1136, VI comma, c.c. ed al 66 disp. att. c.c., solo gli altri condomini.
Conseguentemente il condomino in lite neppure partecipa dei quorum costitutivo e deliberativo delle delibere della rimanente parte della compagine condominiale, relative alla lite intrapresa o da intraprendere nei suoi confronti.
In conclusione il primo motivo di opposizione è infondato.
Per quanto concerne il secondo ed il terzo motivo di opposizione, giova osservare che il comportamento assunto dall'amministratore in sede di mediazione potrebbe, al più, comportare una sua responsabilità nell'adempimento del mandato professionale, non già determinare, a posteriori, l'invalidità delle deliberazioni già assunte dall'assemblea condominiale.
Per le ragioni già dette, inoltre, la società attrice non ha legittimazione a sindacare le scelte processuali della rimanente parte della compagine condominiale e potrà far valere le proprie ragioni nei procedimenti giudiziali azionati.
L'assemblea, del resto, costituisce organo sovrano della volontà dei condomini, sicché il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui essa dispone, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità avuto riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale.
Il vaglio di legittimità sulle decisioni assunte non è perciò finalizzato a controllare l'opportunità o convenienza della soluzione adottata nel corso dell'assemblea, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea (cfr Cass. civ., ord. n. 20135 del 17.08.2017).
In conclusione la domanda di parte attrice deve essere rigettata, stante il difetto di legittimazione ad impugnare la delibera oggetto di causa, con assorbimento dell'esame di tutte le ulteriori eccezioni e difese del condominio convenuto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in applicazione delle tariffe di cui al D.M. 55/14, aggiornate in forza del D.M. 147/22 liquidando gli onorari secondo i valori medi applicabili allo scaglione di valore indeterminabile per le attività di studio, introduttiva e decisionale e secondo quelli minimi per l'attività istruttoria, consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c., con distrazione in favore dell'Avv. omissis che ne ha fatto richiesta ai sensi dell'art. 93 c.p.c.
Ai sensi dell'art. 8, comma 4 bis, del d. lgs. 28/2010, infine, il condominio convenuto, il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, sesta sezione
civile, definitivamente pronunziando in ordine alla causa civile
iscritta al n. 20806/2020 R.G.A.C. pendente tra omisiss s.r.l., in
persona del legale rappresentante pro tempore, contro il omissis
sito in Napoli alla omissis, in persona dell'amministratore pro
tempore, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così
provvede: a) rigetta la domanda di parte attrice; b) condanna la
omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
al pagamento, in favore del omissi sito in Napoli alla
omissis n. 23, in persona del legale rappresentante pro
tempore, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in
omissis per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura
del 15%, C.P.A. ed I.V.A., se dovuta, nella misura di legge, con
distrazione in favore dell'avv. omissis ex art. 93 c.p.c.; c)
condanna il omissis sito in Napoli alla omissis n. 13, in persona
del legale rappresentante pro tempore, al versamento all'entrata
del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per il giudizio.
Napoli, omissis. ..." (cfr. TRIBUNALE DI NAPOLI,
Sentenza n. 2912/2023 del 17-03-2023)