Giu trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la normativa nella parte in cui non prevede l’esenzione dal pagamento dell’IMU nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. TRIBUTARIA - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 13 aprile 2023 N. 9956
Massima
La Sezione Quinta civile ha disposto, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 23 della l. n. 87 del 1953, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3, comma 1, all’art. 42, comma 2, ed all’art. 53, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 (nella sua formulazione originaria, applicabile ratione temporis), nella parte in cui non prevede l’esenzione dal pagamento dell’IMU nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile, che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti.

Casus Decisus
la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l'appello incidentale di Casa di Cura V. s.r.L. (di seguito anche la Società) e respingeva l’appello principale di Roma Capitale avverso la pronuncia n. 6246/2018 della Commissione tributaria provinciale di Roma con cui era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso il silenzio rifiuto opposto dall’ente locale sull’istanza di rimborso del versamento IMU, annualità 2013, relativo a fabbricato di proprietà della suddetta società, occupato abusivamente da terzi; la Commissione tributaria regionale, in particolare, dichiarava l’insussistenza del presupposto impositivo, costituito nella specie dal possesso dell'immobile per il quale era stata versata l'IMU, sulla scorta delle seguenti affermazioni: era incontroverso che l'immobile di proprietà della Società fosse stato occupato a far data dal dicembre 2012; la Società aveva dimostrato che erano state attivate tutte le necessarie iniziative sulla proprietà per prevenire l'occupazione dell'immobile, successivamente alla sua dismissione da parte dell'Azienda Ospedaliera omissis, alla quale lo stesso era stato locato («dalla predisposizione della chiusura a mezzo blocchetti di cemento delle aperture ... alla attivazione di un servizio di sorveglianza privata ancorché non armata sin dal mese di Marzo 2012»); la contribuente aveva altresì provveduto a denunciare immediatamente all'Autorità preposta l'avvenuta occupazione e tuttavia, benché fosse stato disposto un sequestro preventivo dell'immobile da parte del GIP del Tribunale di Roma nell'agosto 2013, lo stesso non aveva avuto esecuzione; la società contribuente si trovava dunque ad essere proprietaria dell'immobile ma nella situazione di occupazione abusiva, di cui si è detto, doveva ritenersi averne perduto il possesso, sicché non sussisteva il presupposto per l'applicazione dell'imposta, di cui era stato chiesto il rimborso, atteso che la contribuente, neanche avvalendosi del ricorso all'Autorità di Pubblica Sicurezza e all’Autorità Giudiziaria, e nonostante l'ottenimento di un sequestro di un decreto di sequestro preventivo, era riuscita a ripristinare il «contatto materiale con il bene», dovendo pertanto escludersi che essa potesse essere considerata possessore dell'immobile; il possesso, invero, può ben essere conservato solo animo purché il possessore sia in grado di ripristinare ad libitum il contatto materiale con la cosa, sicché ove tale possibilità di fatto sia preclusa da altri, l’elemento intenzionale non era da solo sufficiente per la conservazione del possesso; a conclusione differenti non si poteva pervenire neppure valorizzando le difese di Roma Capitale, secondo cui la società continuava ad essere proprietaria dell'immobile sicché avrebbe potuto liberamente alienarlo; la società infatti avrebbe potuto trasferire la proprietà dell'immobile ma non il possesso, almeno fino a quando lo sgombero degli occupanti abusivi non fosse stato eseguito, ed al riguardo si richiamava anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. 9 ottobre 2018 n. 24918) secondo cui non rientra nel potere discrezionale della Pubblica Amministrazione stabilire se dare o meno attuazione da un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria, a maggior ragione quando lo stesso abbia ad oggetto la tutela di un diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla CEDU, con la conseguenza che l'inosservanza da parte dell'Autorità amministrativa del dovere di apprestare i mezzi per l'attuazione coattiva dei provvedimenti giudiziari integra una condotta colposa generatrice di responsabilità; avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale, Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato da memoria; la società contribuente resiste con controricorso ed ha da ultimo depositato nota di deposito di documentazione e memoria difensiva

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. TRIBUTARIA - ORDINANZA INTERLOCUTORIA 13 aprile 2023 N. 9956 F. Sorrentino

1.1. con il primo motivo Roma Capitale denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (artt. 832 e 1140 cod. civ., art. 9, comma 1, d.l.gs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 1, comma 639, legge 27 dicembre 2013, n. 147) e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente affermato l’insussistenza del presupposto impositivo per avere la contribuente perduto il possesso dell’immobile di sua proprietà, occupato abusivamente da terzi, dovendo al contrario qualificarsi gli occupanti, ad avviso dell’Ente locale, quali meri detentori dell’immobile, sostenendo, altresì, il Comune ricorrente, che la circostanza che «nonostante le richieste della società proprietaria la stessa non sia stata assistita dalla forza pubblica dello Stato per ripristinare la piena disponibilità della cosa, se da un lato fa sorgere precise responsabilità della Pubblica Amministrazione ..., dall’altra non può portare a ritenere che il proprietario non sia più possessore qualificato e meritevole di essere tutelato ai fini dell'effettiva reintegra, con ogni conseguenza in ordine all'assolvimento degli obblighi fiscali e tributari nascenti dalla sua posizione di proprietario—possessore»;

1.2. con il secondo motivo Roma Capitale denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione di norme di diritto (artt. 1 e 3 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 560 e 676 cod. proc. civ.) e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente applicato «norme in materia di proprietà e possesso» sebbene il costante e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia ICI/IMU, affermi che «l’indisponibilità dell’immobile ... non priva il proprietario possessore, titolare di un diritto reale sul bene, dell’onere di corrispondere la relativa imposta», ritenendo, quindi, l’Ente territoriale ricorrente che «anche nel caso di occupazione abusiva da parte di terzi il proprietario—possessore deve continuare a corrispondere l'imposta ... per tutto il periodo in cui si protrae l'occupazione illegittima, a nulla rilevando la mancanza di disponibilità del bene»; 

2.1. come leggesi nella sentenza impugnata e negli atti difensivi delle parti, con relativa, allegata, documentazione, la vicenda, che ha dato luogo alla richiesta di rimborso del versamento IMU per l’anno 2013, è la seguente: la Società è proprietaria di un fabbricato di circa 8.000 mq., situato a Roma, che, tra il 1971 e il 2011, era stato utilizzato come clinica in virtù di rapporti convenzionali che si erano succeduti con l’ospedale pubblico omissis; l’ultima convenzione con l’Ospedale si concluse il 16 novembre 2011, e l’edificio rimase quindi vuoto, ad eccezione di un appartamento abitato da una terza persona in base ad un contratto di comodato; il 6 dicembre 2012 un centinaio di persone entrarono con la forza nell’immobile della Società, appropriandosi dei locali; contestualmente la Società presentò numerose denunce alle Forze di Polizia ed all’Autorità Giudiziaria, segnalando la violazione del suo diritto di proprietà e chiedendo lo sgombero dei locali, proponendo infine, il 12 giugno 2013, istanza di sequestro preventivo dell’immobile; in data 9 agosto 2013 il GIP presso il Tribunale di Roma accolse la richiesta e dispose il sequestro preventivo dell’immobile rilevando che, dalle indagini eseguite a seguito della denuncia sporta dalla Società, risultava che il bene era occupato da circa 150 persone e che la gestione dell’occupazione, che sarebbe rientrata nell’azione del movimento «Lotta per la casa», era organizzata e diretta da un gruppo ristretto di individui che agivano a scopi di lucro, aggiungendo che dall’inchiesta risultava che gli occupanti avevano cominciato a modificare i locali subito dopo l’occupazione, installando tra l’altro cancellate volte a limitare l’accesso all’immobile; il GIP ritenne, di conseguenza, che nel caso di specie fosse ipotizzabile il reato di occupazione abusiva di immobile sanzionato dall’articolo 633 del codice penale e che la prosecuzione dell’occupazione comportasse un rischio di degrado dell’edificio e un pregiudizio rilevante per la parte lesa; per l’esecuzione del sequestro fu delegata la Divisione Investigazioni generali e Operazioni speciali (Digos), che a sua volta delegò poi l’incarico al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica (CPOSP) presso la Prefettura; il 18 settembre 2014 la Digos presentò al Procuratore della Repubblica una relazione sulla situazione dell’immobile della Società, indicando che, nel corso degli anni precedenti, nel dipartimento di Roma, avevano avuto luogo numerose occupazioni abusive di immobili, organizzate da diversi movimenti di difesa del diritto alla casa, che spesso avevano coinvolto centinaia di persone, e, tenuto conto di questa situazione, era fondamentale pianificare gli sfratti degli occupanti al fine di preservare l’ordine pubblico e garantire l’assistenza necessaria alle persone vulnerabili coinvolte, precisando, infine, per quanto riguardava in particolare l’immobile della Società, che la questione dello sgombero era stata affrontata nel settembre 2013, ma che si era deciso di rinunciare a questa soluzione, tenuto conto soprattutto della situazione economica del Comune di Roma, che non avrebbe consentito di trovare nuovi alloggi per gli occupanti dopo lo sfratto degli stessi; il Prefetto di Roma, con nota del 17 giugno 2015, ebbe a ribadire che per quanto riguardava le procedure di sgombero dell’immobile della Società era prima necessario ottenere dal Comune garanzie di soluzioni alternative di alloggio per le persone sgomberate e, secondo il Prefetto, in assenza di tali garanzie, era impossibile effettuare gli sfratti; in data 15 marzo 2016 la Giunta della Regione Lazio ebbe a confermare che l’immobile, censito al Catasto nella categoria D/4 (case di cura ed ospedali con fini di lucro), era «impropriamente adibito a finalità abitative»; stante la mancata esecuzione del provvedimento di sequestro la Società propose, in data 21.10.2013, ricorso innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; con la sentenza nr. 67944/13/2019 la Corte europea accolse le istanze della Società e condannò lo Stato italiano al risarcimento del danno in favore di quest’ultima, affermando, in particolare, che la mancata esecuzione del provvedimento di sequestro, emesso dal GIP, da parte delle autorità amministrative, era riconducibile alla previsione di cui al primo capoverso del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 – secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» – non traducendosi «in una misura di regolamentazione dell’uso dei beni» e «non deriva(ndo) direttamente dall’applicazione di una legge che rientra in una politica sociale ed economica in materia», e sancendo, inoltre, che l’esercizio reale ed effettivo del suddetto diritto alla protezione della proprietà, oltre a poter imporre allo Stato un divieto di astensione da qualsiasi ingerenza ai danni del privato, possa «esigere delle misure positive di tutela, in particolare laddove sussista un legame diretto tra le misure che un ricorrente potrebbe legittimamente attendersi dalle autorità e il godimento effettivo da parte di quest’ultimo dei suoi beni», rilevando che tale assunto, combinato con il principio della preminenza del diritto, giustifica la comminazione di una sanzione a danno dello Stato che non abbia dato esecuzione ovvero che abbia impedito l’esecuzione di una decisione giudiziaria; in data 12 maggio 2015 la Società, a fronte del versamento dell’importo relativo all’IMU per l’annualità 2013, aveva presentato all’ente comunale istanza di rimborso ex art. 1, comma 164, legge 27 dicembre 2006, n. 296; non avendo dato riscontro alla suddetta richiesta la Società aveva impugnato il silenzio rifiuto innanzi alla Commissione tributaria provinciale eccependo l’insussistenza del presupposto d’imposta in conseguenza della perdita del possesso (quale materiale disponibilità) dell’immobile, nonché dell’impossibilità di ripristinarlo a causa dell’occupazione abusiva e dell’inerzia delle Autorità preposte allo sgombero, chiedendo, in via subordinata, l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 13, comma 3, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (riduzione al 50% dell’imponibile per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati); la Commissione tributaria provinciale di Roma, con la sentenza indicata in premessa, accolse parzialmente il ricorso riconoscendo la richiesta di riduzione dell’imponibile, in relazione a fabbricato inagibile e di fatto non utilizzato, formulata in subordine dalla Società; proposto appello principale da Roma Capitale ed appello incidentale dalla Società, la Commissione tributaria regionale, come parimenti indicato in premessa, riformando la sentenza di primo grado, accolse le richieste formulate in via principale dalla Società, rigettando il gravame dell’Ente impositore;

3.1. poste tali premesse in fatto, preliminarmente va respinta l’eccezione di giudicato esterno, formulata dalla Società nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ., previo deposito di relativa documentazione;

3.2. il giudicato, al quale la Società fa riferimento, è costituito da due sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma e della Commissione tributaria regionale del Lazio (nn. 15190/2019 e 5346/2019) che, mediante interpretazione della nozione giuridica di «possesso» prevista quale presupposto dell’imposta, hanno escluso la tassazione, ai fini IMU, per le annualità 2015, 2016 e 2017, relativamente al medesimo immobile, a causa della sua occupazione abusiva;

3.3. l’eccepito giudicato non osta all’autonoma valutazione della fattispecie oggetto del presente giudizio;

3.4. invero, quello che costituirebbe l’elemento comune alle cause si risolve, in sostanza, in una questione che involge l’attività interpretativa delle norme di diritto, che nell’ordinamento processuale non può incontrare vincoli;

3.5. l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass. 15/07/2016, n. 14509, Cass. 21/10/2013, n. 23723);

3.6. ne consegue che l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia –salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno– non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679);

3.7. ritiene in conseguenza il Collegio che, nella specie, non possa ravvisarsi alcun vincolo di giudicato determinato dalle citate pronunce della Commissione tributaria provinciale di Roma e della Commissione tributaria regionale del Lazio;

3.8. non assume parimenti rilevanza, nel presente giudizio, l’entrata in vigore, nelle more, dell’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che, a decorrere dall’1 gennaio 2023, modificando l'articolo 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, concernente i casi di esenzione dall'imposta municipale propria, ha previsto quanto segue: «Sono esenti dall’imposta, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte: ... g bis) gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all'autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale»;

3.9. invero, tale disposizione non può considerarsi retroattiva, ai sensi dell'art. 11 delle Preleggi, in mancanza di indicazioni espresse in tal senso, né può qualificarsi come interpretativa, perché il contenuto precettivo di essa non si ricollega ad altra norma preesistente da chiarire o da precisare;

3.10. il carattere interpretativo autentico di una legge dipende, infatti, esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dall'enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra;

3.11. va, pertanto, escluso, non ricorrendo i predetti requisiti, che abbia natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, l'art. 1, comma 81, cit., che ha previsto, ma solo per il futuro, l’esonero dal pagamento dell’IMU con riguardo agli immobili occupati abusivamente, qualora sia stata presentata denuncia o iniziata azione in sede giurisdizionale penale;

3.12. ciò posto, il dato normativo di partenza, su cui si basa l’Ente impositore per il diniego dell’istanza di rimborso della Società, è costituito dai previgenti art. 13, comma 2, d.l. n. 201/2011 («l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504») ed art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2011 («soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinate, ivi compresi quelli strumentali alla cui produzione o scambio è diretta l'attività di impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi,... per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto»), entrambi applicabili ratione temporis;

3.13. premesso che, in funzione del richiamo espresso del d.l. n. 201/2011, ai fini IMU, in merito alla soggettività passiva, possono essere valorizzate le indicazioni della giurisprudenza relative alla normativa ICI, il Collegio rileva che, secondo il consolidato e uniforme orientamento della giurisprudenza di legittimità, la norma tributaria fa riferimento solo alla nozione di ius possidendi, cosicché l’elenco dei soggetti passivi indicati dalla norma tributaria costituisce un numerus clausus, in quanto collegato alla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale, con la sola eccezione data dalla previsione del conduttore nel leasing finanziario (cfr. Cass. n. 24972 del 19 agosto 2022; Cass. n. 7274 del 14 marzo 2019; Cass. n. 14119 del 7 giugno 2017; Cass. n. 6192 del 16 marzo 2007; Cass. n. 18476 del 19 settembre 2005);

3.14. è stato altresì ribadito che, in quanto volta alla predeterminazione legale di un elemento costitutivo della fattispecie impositiva, questa disposizione ha carattere tassativo, così da non poter essere fatta oggetto di interpretazione estensiva alcuna, con conseguente necessità, ai fini in esame, che il possesso dell'immobile sia pur sempre attribuibile al proprietario ovvero al titolare di un diritto reale sul bene (cfr. Cass. n. 7274/2019 cit.);

3.15. ne consegue, secondo questa Corte, che il legislatore ha ritenuto rilevante ai fini impositivi, non già` la detenzione materiale del bene bensì l'esistenza di un titolo legittimante il possesso o la detenzione dell'utilizzatore (cfr. ex plurimis Cass. n. 2616 del 27 gennaio 2023; Cass., 5 novembre 2021, n. 31969; Cass., 15 marzo 2019, n. 7444; Cass., 7 giugno 2017, n. 14119; Cass., 9 maggio 2013, n. 10987; Cass., 9 ottobre 2009, n. 21451; Cass., 14 gennaio 2005, n. 654);

3.16. su tali presupposti è stato così affermato che in tema di ICI, nel caso di comproprietà dell'immobile, l'imposta è dovuta dal comproprietario nei limiti della sua quota, senza che possa assumere alcun rilievo l'eventuale esercizio, da parte sua, di poteri gestori e di amministrazione dell'intero immobile, atteso che gli artt. 1, comma 2, e 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 riferiscono il possesso, quale presupposto del tributo, alla titolarità del diritto di proprietà del cespite, prescindendo completamente, nella configurazione dell'elemento oggettivo dello stesso presupposto, dalla fruttuosità, o non, del bene (cfr. Cass. 9 marzo 2017 n. 6064), o si è giustificata la ritenuta persistenza del possesso quale presupposto impositivo, allorché vi sia stata occupazione temporanea d'urgenza da parte della P.A., finché non sia intervenuto il decreto di esproprio (cfr. Cass. 17 ottobre 2017, n. 29195; Cass. 19 ottobre 2016 n. 21157; Cass. 27 settembre 2016, n. 19041);

3.17. in questa direzione si è parimenti ritenuto che in tema di ICI, nel caso di comproprietà dell'immobile, l'imposta è dovuta dal comproprietario nei limiti della sua quota, senza che possa assumere alcun rilievo l'eventuale esercizio, da parte sua, di poteri gestori e di amministrazione dell'intero immobile, atteso che gli artt. 1, comma 2, e 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 riferiscono il possesso, quale presupposto del tributo, alla titolarità del diritto di proprietà del cespite, prescindendo completamente, nella configurazione dell'elemento oggettivo dello stesso presupposto, dalla fruttuosità, o non, del bene (cfr. Cass. 9 marzo 2017, n. 6064); 3.18. parimenti, Cass. n. 21157/2016 ha ritenuto che in tema di ICI, la requisizione non priva il proprietario del possesso del bene, salvo che, a seguito della realizzazione dell'opera pubblica, intervenga l'irreversibile trasformazione del fondo, sicché lo stesso è soggetto passivo dell'imposta anche se l'immobile sia detenuto dal beneficiario della requisizione;

3.19. in senso conforme, secondo Cass. n. 19041/2016 in tema d'ICI, l'occupazione temporanea d'urgenza di un terreno da parte della P.A. non priva il proprietario del possesso del bene fino a quando non intervenga il decreto di esproprio (o comunque l'ablazione) del fondo, sicché egli resta soggetto passivo dell'imposta ancorché l'immobile sia detenuto dall'occupante;

3.20. tali principi, è stato evidenziato, trovano conferma in altro indirizzo giurisprudenziale formatosi a proposito dell'IMU, allorché questa Corte ha ritenuto che in tema di leasing, tenendo conto del disposto dell'art. 9 del d.lgs. n. 23 del 2011, soggetto passivo dell'IMU, nell'ipotesi di risoluzione del contratto, è il locatore, anche se non ha ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell'utilizzatore, in quanto ad assumere rilevanza ai fini impositivi non è la detenzione materiale del bene da parte di quest'ultimo, bensì l'esistenza di un vincolo contrattuale che ne legittima la detenzione qualificata (cfr. Cass. 9/10/2019 n. 25249);

3.21. sulla scorta di tali principi è stata quindi ritenuta irrilevante l'abusiva detenzione del bene da parte dell'utilizzatore che sia rimasto nel godimento del bene dopo la risoluzione del contratto, ancora una volta confermando la debenza del tributo IMU da parte del soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale;

3.22. con specifico riguardo all’occupazione abusiva questa Corte, nel ritenere sufficiente ad individuare il soggetto passivo dell'imposta la titolarità del diritto di proprietà, ha ritenuto, dunque, irrilevante che fosse in atto un contenzioso che aveva ad oggetto non la titolarità del diritto reale bensì un'occupazione abusiva del terreno da parte di terzi che su di esso rivendicavano un diritto di pascolo (cfr. Cass. n. 7800 del 2019);

3.23. con le pronunce n. 29658 del 22 ottobre 2021 e n. 29868 del 25 ottobre 2021, questa Corte, chiamata a risolvere la questione del pagamento dell'IMU in relazione a due immobili di cui le società proprietarie non avevano la disponibilità perché occupati abusivamente da terzi, ha specificamente riaffermato il principio secondo cui l’occupazione abusiva di un immobile da parte di terzi non incide sull'obbligo del proprietario di corrispondere l'imposta ICI, richiamando un precedente in tema di ICI, secondo cui, ai fini della debenza del tributo, il «concetto di possesso quale presupposto impositivo del tributo è riferito alla titolarità del diritto di proprietà o degli altri diritti reali di godimento (...) in coerenza con la natura patrimoniale dell’imposta che prescinde dalla redditività del bene sottoposto a tassazione ...(ndr. ed) ... ai fini della debenza di tale tributo, (...) rileva pertanto il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà»;

3.24. in senso conforme, questa Corte ha successivamente ribadito tali principi, ritenendo parimenti applicabile l’imposta (IMU) al soggetto proprietario di un terreno «abusivamente occupato e recintato da due società proprietarie di terreni confinanti, tanto che la contribuente ...(aveva)... dovuto agire con una azione di rivendicazione» (cfr. Cass. n. 1596 del 19 gennaio 2022);

4.1. il Collegio ritiene che l’illustrato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, a tal segno, allo stato, univoco e diffuso da poter essere assunto quale «diritto vivente», ponga una rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale, così come prospettata anche dalla Società nei suoi scritti difensivi;

4.2. la stabilità e reiterazione di tale interpretazione, l'inesistenza di contrasti giurisprudenziali, la sostanziale identità di contenuto delle decisioni corroborano, invero, la formazione di un «diritto vivente» nel quale debba essere sussunta l'esegesi citata;

4.3. in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il Giudice a quo ha, dunque, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di «diritto vivente» e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali, ciò, senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra interpretazione, più aderente ai parametri stessi, sussistendo tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente, il che non ricorre nel caso in esame (cfr. Corte Cost. sentenze n. 1 del 2021, n. 95 del 2020, n. 32 del 2020, n. 12 del 2020, n. 189 del 2019, n. 141 del 2019, n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 del 2017, n. 122 del 2017, n. 200 del 2016, n. 11 del 2015, n. 242 del 2014, n. 191 del 2013, n. 258 del 2012, n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004);

4.4. in punto non manifesta infondatezza, sussistono, dunque, consistenti dubbi di incompatibilità della norma — oggetto di interpretazione che rappresenta «diritto vivente» — con quanto prescritto dagli articoli 53 e 3 Cost.;

4.5. in primo luogo, il Collegio ritiene sussistano elementi di contrasto con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.;

4.6. nel delineare la portata dell’art. 53 Cost. la Corte Costituzionale ha, invero, individuato tre requisiti essenziali della capacità contributiva: l’effettività, la certezza e l’attualità (cfr. Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42; Corte Cost., 22 aprile 1980, n. 54; Corte Cost., n. 252/1992; Corte Cost., 29 gennaio 1996, n. 73; Corte Cost., 26 luglio 2000, n. 362);

4.7. in ordine al primo requisito, il nesso tra il fatto rivelatore di capacità contributiva e il tributo deve essere effettivo e non apparente o fittizio;

4.8. l’effettività esprime, infatti, la concreta idoneità del presupposto rispetto all’obbligazione d’imposta, la quale dovrà avere ad oggetto una manifestazione economica reale, che consenta la misurazione di un reddito esistente e non meramente presunto;

4.9. alla stregua dell’impostazione della Consulta (cfr. Corte Cost. Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 109, cit., 223; Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200, cit., 1254), il concorso alle spese pubbliche deve, quindi, salvaguardare il diritto del contribuente ad essere chiamato a concorrere alle spese pubbliche solo in quanto in possesso di effettiva capacità contributiva e idoneità effettiva al pagamento delle imposte, non potendo essere qualificata capacità contributiva un’idoneità economica che non si basi su fatti reali, ma abbia una base fittizia (cfr. Cass. Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42);

4.10. la capacità contributiva, inoltre, deve essere effettiva nel senso di certa ed attuale, e non meramente fittizia (cfr. Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200, cit., 1254; Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42.; Corte Cost., n. 252/1992; Corte Cost., 29 gennaio 1996, n. 73; Corte Cost., 26 luglio 2000, n. 362, cit.);

4.11. infine, in forza del parametro dell’attualità, il tributo deve essere correlato ad una capacità contributiva in atto, non ad una capacità contributiva passata o futura (cfr. Corte Cost., 22 aprile 1980, n. 54), ovvero la capacità contributiva deve sussistere nel momento in cui si verifica il prelievo;

4.12. in tale ottica la capacità contributiva risulta, pertanto, inscindibilmente connessa ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza tributaria, atteso che, in forza del connubio normativo tra gli artt. 53 e 3 Cost., a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale (cfr. Corte Cost., 6 luglio 1972, n. 120);

4.13. ne consegue la necessità che siano disciplinati in modo uguale i fatti economici che esprimono pari capacità contributiva, ma regolati in modo diversificato i fatti che esprimono capacità contributiva in modo differenziato;

4.14. il principio di uguaglianza tributaria presuppone, peraltro, necessariamente quello di capacità contributiva, che fornisce il criterio di giudizio per valutare se due situazioni siano eguali o diverse al fine del pari o diverso trattamento tributario;

4.15. nel declinare detti principi generali al caso di specie, ritiene il Collegio che per le annualità d’imposta, in cui permane l’occupazione abusiva per scelte degli organi amministrativi preposti allo sgombero degli immobili, il prelievo tributario si ponga in contrasto con i principi costituzionali, dianzi citati;

4.16. se è vero, infatti, che a mente di quanto statuito dall’art. 8 d.lgs. n. 23/2011 il presupposto dell’IMU è da individuarsi nel «possesso» di immobili (diversi dall’abitazione principale) come dianzi delineato, occorre al contempo evidenziare che il possesso legittimante il sorgere della soggettività passiva ai fini IMU, per essere effettivo, presuppone che la cosa rientri materialmente nella disponibilità individuale del possessore di talché quest’ultimo possa esercitare le prerogative discendenti dal diritto ricadente sul bene;

4.17. nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il contribuente sia sprovvisto sia della disponibilità materiale del bene, sia della possibilità di esercitare qualsivoglia diritto sulla cosa, sorge allora fondatamente il dubbio che l’originaria ricorrente non avrebbe dovuto essere considerata soggetto passivo ai fini IMU, stante l’assenza dei requisiti minimi acché potesse configurarsi una situazione possessoria e, conseguentemente, una capacità a contribuire individuale;

4.18. con riferimento agli immobili abusivamente occupati e di cui sia precluso lo sgombero per cause indipendenti dalla volontà del contribuente, si ritiene possa venire a mancare il presupposto dell’imposta, che si assume essere l’effettivo e concreto esercizio dei poteri di disposizione e godimento del bene, in quanto ritenuti manifestazioni di capacità contributiva;

4.19. ai fini del verificarsi o meno del presupposto IMU, nei casi come quello in esame, assume invero precipuo rilievo la circostanza, giuridicamente rilevante, dell’accertata perdita del possesso in correlazione con le dichiarazioni degli organi di Polizia che attestano l’impossibilità di sgomberare l’immobile e quindi, da parte dei proprietari, di entrare nel possesso della loro proprietà;

4.20. se gli organi istituzionali preposti (Prefetture, Polizia di Stato, ecc.) non possono difendere i diritti di proprietà, costituzionalmente sanciti, per motivi di ordine politico sociale, il proprietario, di riflesso, rimane senza tutela e quindi senza possesso e senza detenzione, né diretta né indiretta;

4.21. il possessore «spogliato» può rimanere (anche in caso di ius possidendi) sempre possessore solo se la tutela dei propri diritti possessori è attivabile, ma senza l’attivazione dei diritti possessori, il diritto di proprietà è svuotato proprio dello ius possidendi, il quale non è più esercitabile per volontà non del proprietario, e che, per contro, viene assunto a presupposto della tassazione;

4.22. in caso di occupazione abusiva dell’immobile, l’obbligo tributario, dunque, dovrebbe ritenersi conseguente alla natura civilistica della controversia con l’occupante o il concessionario inadempiente, ed alla conseguente possibilità di ricorrere ai rimedi civilistici previsti dall’ordinamento;

4.23. innanzi ad una condizione «patologica» come quella sottesa al caso in esame, laddove il contribuente si trovi nell’impossibilità non solo di servirsi e trarre beneficio dall’utilizzo diretto o indiretto del proprio ma anche di recuperare il possesso dell’immobile per scelta degli organi dello Stato preposti a sgomberare gli immobili (e non a causa di comportamento illegittimo o per inerzia del contribuente), dunque in presenza di un fatto oggettivo accertato da Autorità statali, e non soggettivo, cioè determinato dalla volontà del contribuente o da contingenze in sé prevedibilmente temporanee, risulterebbe, invece, in contrasto con i principi costituzionali imporre il pagamento dell’imposta anche per gli esercizi in cui permane l’occupazione abusiva in assenza di strumenti giuridici atti a tutelare la proprietà privata, difettando la capacità contributiva del singolo contribuente;

4.24. nel valutare la condizione, dianzi descritta, di oggettiva impossibilità del proprietario di dare concreta estrinsecazione al proprio diritto, e di oggettiva indisponibilità del bene scaturente dall’abusiva occupazione patita, è peraltro degno di rilievo che i soggetti passivi individuati dalla normativa IMU (e, prima, ICI) sono anche quelli che si avvantaggiano dei servizi pubblici (illuminazione, pubblica sicurezza, ecc.) resi disponibili dai Comuni, circostanza evidenziata dalla Corte Costituzionale, la quale ha avuto modo di osservare che «l’imposizione ICI non tende a colpire solo i proprietari ma, più in generale, i titolari delle situazioni previste dall’art. 3 (ndr. del d.lgs. n. 504/1992), in quanto idonee, nella loro varietà, ad individuare di norma coloro che, avendo il godimento del bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività gestionali dei Comuni, a beneficio dei quali il gettito viene, a regime, destinato, in sostituzione di altri tributi contestualmente soppressi» (cfr. Corte Cost. 2 aprile 1999, n. 1999, e 22 aprile 1997, n. 111);

4.25. al contempo, la norma in commento appare in conflitto, come si è detto, anche con il principio di eguaglianza recato dall’art. 3 Cost. che necessariamente implica un principio di ragionevolezza delle leggi in forza del quale è necessario che le distinzioni operate dal legislatore tributario, anche per settori economici, non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiustificate (cfr. Corte Cost. n. 201 del 2014), al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione;

4.26. a parere del Collegio, risulterebbe invero irragionevole che al proprietario di un immobile inagibile o inabitabile (eventualmente, a causa della sua inerzia) sia riconosciuta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.l. n.201/2011, una riduzione della base imponibile IMU, mentre, per il proprietario di un immobile, occupato abusivamente per causa non dipendente dalla sua volontà e privo di strumenti di tutela giuridica per recuperarne il possesso, sia prevista una tassazione integrale;

4.27. infine, la tassazione degli immobili occupati abusivamente, e non «sgomberabili», in capo ai soggetti passivi IMU pone dubbi di compatibilità costituzionale anche con l’art. 42, secondo comma, Cost. e, peraltro, con l’art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, i quali garantiscono e tutelano la proprietà privata;

4.28. come si è detto, infatti, un’occupazione abusiva comporta l’esercizio di azioni a tutela della proprietà o del possesso cui si accompagna l’intervento della Pubblica amministrazione volto allo «sgombero» dell’immobile, ma se l’intervento dell’Autorità non risulta essere risolutivo, con conseguente permanenza dello stato di illiceità, ed il diritto di proprietà non riceve tutela da parte dell’amministrazione pubblica, quest’ultima ritrarrebbe un vantaggio, rappresentato dalla riscossione di un tributo, in virtù di una situazione illecita da essa «tollerata» a detrimento del diritto di proprietà del contribuente;

4.29. ciò contrasta, tuttavia, con quanto affermato più volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), secondo la quale non è consentito alla Pubblica amministrazione trarre vantaggio da propri comportamenti illeciti e, più in generale, da una situazione di illegalità dalla stessa determinata (cfr., ad esempio, CEDU, 13 ottobre 2015, La Rosa e Alba c. Italia; id., 6 marzo 2007, Scordino c. Italia), ed il principio ha trovato ingresso anche in pronunce rese dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 30 aprile 2015, n. 71; 8 ottobre 2010, n. 293);

5. in definitiva, il Collegio ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 42 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2011 (nel testo applicabile ratione temporis), nella parte in cui non prevede l’esenzione d’imposta nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti;

6. la questione appare altresì rilevante ai fini della decisione della presente controversia, giacché l'eventuale declaratoria d'illegittimità costituzionale dell’indicata normativa inciderebbe sul diritto vivente (favorevole all’ente impositore) ormai radicatosi su di essa;

7. la decisione del ricorso richiede, invero, l’applicazione delle citate disposizioni normative, di qui la rilevanza del dubbio di illegittimità costituzionale in considerazione della sussistenza di un effettivo e concreto rapporto di strumentalità fra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione di legittimità costituzionale (cfr. Corte Cost. 21 dicembre 2021, n. 250);

8. ai sensi dell'art. 23 della l. n. 87/1953, alla dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, segue la sospensione del giudizio, e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale

P.Q.M.

La Corte, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3, primo comma, all'art. 42, secondo comma, ed all’art. 53, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (nella sua formulazione originaria, applicabile ratione temporis), nella parte in cui non prevede l’esenzione d’imposta nell’ipotesi di occupazione abusiva dell’immobile che non possa essere liberato pur in presenza di denuncia agli organi istituzionali preposti; dispone la sospensione del presente giudizio; dispone che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Procuratore Generale presso questa Corte, ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; dispone altresì che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; dispone che gli atti, comprensivamente dei documenti relativi alle notificazioni e comunicazioni disposte, vengano immediatamente trasmessi alla Corte Costituzionale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione tributaria, a seguito di riconvocazione, in data 4.4.2023