Giu E’ infondata la pretesa erariale di compensare un proprio credito, maturato anteriormente all’apertura del fallimento con un credito IRES spettante alla massa, maturato durante la gestione fallimentare.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 13 dicembre 2022 N. 36400
Massima
E’ infondata la pretesa erariale di compensare un proprio credito, maturato anteriormente all’apertura del fallimento con un credito IRES spettante alla massa, maturato durante la gestione fallimentare. In effetti l’eccezione di compensazione ai sensi dell’art. 56, l. fall. (oggi, in termini analoghi, art. 155, codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), presuppone di necessità l’anteriorità delle posizioni creditorie rispetto alla declaratoria di fallimento, stante la necessaria identità nella titolarità attiva e passiva delle contrapposte obbligazioni, rispettivamente a posizioni invertite, laddove compensando crediti erariali maturati anteriormente, con crediti derivanti dalla gestione fallimentare (e dunque posteriori all’apertura della procedura) tale requisito fa difetto, essendo debitore per i primi il fallito, mentre il creditore dei secondi è la massa. Inoltre, una diversa soluzione determinerebbe un indebito pregiudizio per i creditori concorsuali, in violazione del principio della par condicio creditorum (rispetto alla quale già la compensabilità di crediti e debiti anteriori costituisce un indubbio privilegio rispetto alla falcidia).

Casus Decisus
RILEVATO CHE: 1. La F. F. (poi incorporata dalla Banca I.S pa) acquistava dal Fallimento A. Group Spa un credito fiscale IRES derivante dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal curatore fallimentare in data 17/12/2008. La cessionaria proponeva quindi, in data 15/02/2010 istanza di rimborso all’Agenzia. A seguito del silenzio rifiuto di questa, la cessionaria del credito proponeva ricorso alla CTP, che lo accoglieva riconoscendo il relativo diritto. 2. L’Agenzia proponeva gravame, rilevando come la prima sentenza fosse stata emessa senza considerare che l’efficacia della cessione dei crediti fiscali è opponibile al fisco solo allorché non risultino a carico del cedente (in questo caso il fallimento) iscrizioni a ruolo notificate in data anteriore a quella della notifica dell’atto di cessione, il tutto come previsto dall’art. 1, comma 7, lett. c., d.m. 30 settembre 1997, n. 384. In subordine in ogni caso si eccepiva che non poteva essere oggetto di cessione il credito maturato successivamente al 31 dicembre 2006, in quanto non compreso nell’autorizzazione concessa dal g.d. La CTR confermava la sentenza di primo grado. 3. L’Agenzia propone quindi ricorso in cassazione, affidato a tre motivi. La contribuente si è costituita a mezzo di controricorso per resistere all’impugnativa. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa in data 2 marzo 2020. Questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 10 settembre 2020, ha disposto la rimessione a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 13 dicembre 2022 N. 36400 CIRILLO ETTORE

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 57, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. Con tale motivo la ricorrente rappresenta come la sentenza d’appello, nel ritenere la novità della questione inerente la sussistenza di crediti da opporsi in compensazione, in misura ben maggiore rispetto a quello ceduto, e già iscritti a ruolo anteriormente alla data di cessione, trascurava la particolarità della materia dei rimborsi fiscali, ed in particolare il fatto che allorché si impugni il silenzio-rifiuto, il contribuente è tenuto a dimostrare che non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto stesso; d’altro canto l’amministrazione in tal caso può difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione del rigetto. Da tanto consegue che eventuali “falle” del ricorso introduttivo potrebbero essere eccepite in appello dall’amministrazione, a prescindere dalle preclusioni discendenti dall’art. 57, d.lgs. n. 546/1992, in quanto tali eccezioni atterrebbero comunque all’originario thema decidendum. Tanto risulterebbe affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 03/04/2006, n. 7789). D’altronde l’amministrazione ha sempre la possibilità di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, poiché tali difese, argomentazioni e prospettazioni essendo dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione, non costituirebbero a loro volta eccezione in senso tecnico. Nella specie la CTR avrebbe dovuto valutare la contestazione in ordine alla sussistenza di un elemento legittimante il riconoscimento del diritto al rimborso, che dunque non costituiva eccezione in senso stretto, come ritenuto, ma semplice attività difensiva che non ampliava la sfera di cognizione del giudice. Ciò dal momento che appunto il citato d.m. n. 384/1997 circoscrive l’efficacia della cessione del credito fiscale all’insussistenza di ruoli a carico del cedente, come invece espressamente affermato dalla contribuente alle pagg. 5 e 6 del ricorso introduttivo.

2. Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, num. 7, lett. c, d.m. 30 settembre 1997, n. 384, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. La pronuncia di secondo grado avrebbe anche violato direttamente la disposizione regolamentare, nel momento in cui ha riconosciuto il diritto al rimborso pur risultando la sussistenza di somme iscritte a ruolo con data anteriore alla cessione per un importo ben superiore al credito ceduto.

3. Con il terzo motivo si denuncia motivazione apparente e violazione e falsa applicazione dell’art. 1, num. 7, lett. c, d.m. 30 settembre 1997, n. 384, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. Infatti la sentenza avrebbe apoditticamente ritenuto l’infondatezza del gravame nella parte in cui con lo stesso si contestava il quantum del credito, facendosi rilevare che l’autorizzazione del g.d. nulla avrebbe detto in ordine al quantum maturando dopo il 31 dicembre 2006, che dunque sarebbe rimasto estraneo alla cessione, posto anche che la data sopra indicata si poneva come chiusura delle operazioni liquidatorie.

4. La controricorrente ribadisce invece la novità della questione inerente alla sussistenza di crediti dell’Agenzia portati in ruoli anteriori alla data di cessione, mai proposta infatti prima dell’appello. In ogni caso la stessa ribadisce la questione, oggetto di pronuncia di assorbimento in secondo grado, secondo cui non erano oggetto di compensazione i crediti anteriori alla declaratoria di fallimento (quali quelli vantati dall’amministrazione) con quelli maturati durante la gestione fallimentare, come affermato da un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in applicazione dell’art. 56, l. fall. Da ciò trae la conclusione della stessa inammissibilità del secondo motivo, in quanto la decisione si sarebbe in tutto conformata alla giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’art. 360-bis., num. 1, cod. proc. civ. In ordine al terzo motivo di ricorso, osserva la controricorrente come in realtà non solo il contratto di cessione faceva esplicito riferimento al credito che sarebbe maturato fino alla data del riparto finale, ma il provvedimento del g.d. ad altro non poteva riferirsi, visto che il credito sarebbe venuto ad esistenza solo a mezzo della dichiarazione finale (dunque non l’importo originario di € 45.853,28, come preteso dall’amministrazione, ma quello di € 54.839,00).

5. Va affrontato anzitutto, in ordine di priorità logica, il secondo motivo, il quale è infondato. In effetti, in base al principio dell’esame prioritario della ragione più liquida, è sufficiente nella specie osservare come sia infondata la pretesa erariale di compensare un proprio credito, maturato anteriormente all’apertura del fallimento con un credito della massa, costituito dal credito IRES, maturato durante la gestione fallimentare. Circostanze tutte oggetto di specifica allegazione da parte della controricorrente tanto in grado d’appello quanto nel presente giudizio. In effetti l’eccezione di compensazione ai sensi dell’art. 56, l. fall. (oggi, in termini analoghi, art. 155, codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), presuppone di necessità l’anteriorità delle posizioni creditorie rispetto alla declaratoria di fallimento, stante infatti la necessaria identità dei soggetti, laddove compensando crediti collocati anteriormente e posteriormente l’apertura della procedura tale requisito fa difetto. Or nella specie il debitore per le iscrizioni a ruolo ante fallimento è il fallito, mentre il creditore dell’erario per le posizioni maturate durante la gestione fallimentare essendo invece la massa. Inoltre, una diversa soluzione determinerebbe un indebito pregiudizio per i creditori concorsuali, in violazione del principio della par condicio creditorum (rispetto alla quale già la compensabilità di crediti e debiti anteriori costituisce un indubbio privilegio rispetto alla falcidia). In tal senso, e proprio con riguardo all’ipotesi di crediti fiscali, si segnalano in conformità varie pronunce che basano l’esclusione della compensabilità proprio in ragione della diversità dei soggetti delle opposte ragioni di dare ed avere, in quanto il credito opposto dall'Erario ha come soggetto passivo l'imprenditore fallito mentre quello fatto valere dal fallimento con la dichiarazione finale è un credito della massa, e del pregiudizio per i creditori concorsuali, in violazione del principio di parità di trattamento (Cass. 20/03/2014, n. 6478. Nello stesso senso, più di recente, Cass. 15/06/2021, n. 16779; Cass. 02/07/2020, n. 13467).

Va dunque affermato il seguente principio di diritto E’ infondata la pretesa erariale di compensare un proprio credito, maturato anteriormente all’apertura del fallimento con un credito IRES spettante alla massa, maturato durante la gestione fallimentare. In effetti l’eccezione di compensazione ai sensi dell’art. 56, l. fall. (oggi, in termini analoghi, art. 155, codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), presuppone di necessità l’anteriorità delle posizioni creditorie rispetto alla declaratoria di fallimento, stante la necessaria identità nella titolarità attiva e passiva delle contrapposte obbligazioni, rispettivamente a posizioni invertite, laddove compensando crediti erariali maturati anteriormente, con crediti derivanti dalla gestione fallimentare (e dunque posteriori all’apertura della procedura) tale requisito fa difetto, essendo debitore per i primi il fallito, mentre il creditore dei secondi è la massa. Inoltre, una diversa soluzione determinerebbe un indebito pregiudizio per i creditori concorsuali, in violazione del principio della par condicio creditorum (rispetto alla quale già la compensabilità di crediti e debiti anteriori costituisce un indubbio privilegio rispetto alla falcidia).

Calando i suesposti principi nella presente fattispecie, deve osservarsi come il credito opposto in compensazione da parte dell’amministrazione risulta tutto inerente a posizioni maturate anteriormente alla declaratoria di fallimento, ed infatti lo stesso si riferisce all’anno d’imposta 1991 (pag. 9 del ricorso in cassazione), laddove il fallimento venne dichiarato in data 9 ottobre 1992; mentre il credito oggetto di cessione è pacificamente costituito dalle ritenute d’acconto subìte durante la gestione fallimentare sugli interessi attivi maturati sui libretti di deposito intestati alla procedura (sul punto pag. 10 del ricorso), ed oggetto della dichiarazione finale rispetto alla chiusura della stessa avvenuta nel 2008. Facendo così difetto lo stesso presupposto della compensabilità, il motivo dev’essere respinto.

6. Il secondo motivo è assorbito dalla rejezione del primo.

7. Con riguardo, infine, al terzo motivo di ricorso, con esso si lamenta anzitutto l’apparenza della motivazione della sentenza, che avrebbe apoditticamente ritenuto l’infondatezza del motivo di gravame, nel quale appunto si chiedeva di riformare la sentenza di primo grado, limitando il credito ceduto a quello rinveniente dalle ritenute sugli interessi attivi maturati fino al 31.12.2006, per un ammontare di € 45.853,28. Sul punto la motivazione non può considerarsi meramente apparente, cioè tale per cui - benché graficamente esistente – inidonea a rendere percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (da ultimo in tal senso Cass. 01/03/2022, n. 6758). In essa, infatti, si legge come nel contratto di cessione del credito vi sia un esplicito riferimento all’ammontare del credito alla data di chiusura delle operazioni di liquidazione, e si osserva come “del resto la normativa vigente vieta la cessione parziale di crediti nei confronti del fisco per ovvie ragioni di certezza del sottostante diritto”. Ivi si osserva ancora come il credito in oggetto non poteva che essere quello vantato dalla curatela come “regolarmente esposto nell’apposito quadro della dichiarazione dei redditi per il successivo esercizio 2008”. Ed infine si aggiunge che il contratto di cessione doveva considerarsi legittimo in quanto il relativo oggetto “risulta determinabile secondo rigorosi criteri oggettivi, considerato l’iter necessario all’approvazione della liquidazione finale del fallimento che prevede una costante vigilanza del giudice delegato”. Dunque il secondo giudice la chiaramente espresso il proprio pensiero in ordine alla ricomprensione del credito maturato fino alla chiusura del fallimento, allegando da un lato la maturazione dello stesso solo con la dichiarazione finale, dall’altro l’esplicito riferimento del contratto alla fine delle operazioni di liquidazione e infine la determinabilità del relativo oggetto. A fronte di ciò, e venendo così alla censura inerente – come ricavabile dallo sviluppo del motivo – alla violazione della normativa relativa al rimborso del credito fiscale - incontestata risulta l’autorizzazione del g.d., del resto prodotta in atti, mentre il riferimento al 31.12.2006 (data limite a cui secondo l’Agenzia sarebbe limitato l’effetto della cessione del credito) non è relativo al provvedimento autorizzativo, sibbene si tratta di una specificazione fatta dal curatore, con riferimento alla certificazione (di necessità riferita alla data del relativo rilascio) rilasciata in corso di procedura dalla banca Unicredit presso cui giacevano i conti, in sede di istanza di autorizzazione alla stipula del contratto di cessione (provvedimento richiesto ed ottenuto ovviamente ben prima della chiusura del fallimento).

8. Da quanto precede emerge la rejezione del ricorso, con aggravio di spese in capo all’Agenzia soccombente. 9. Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).

P. Q. M.

Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, in data 27 ottobre 2022