CONSIDERATO CHE
-con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 per avere la CTR accolto l'appello dell'Agenzia delle dogane con una motivazione apparente, ritenendo sussistenti le condizioni richieste dalla normativa unionale per l'inclusione nel valore doganale delle royalties senza esplicitare il ragionamento logico-giuridico sotteso alla decisione, senza, peraltro, argomentare in ordine ai profili di illegittimità dedotti (quali la duplicazione dell'Iva e la non debenza delle sanzioni e degli interessi) dedotti nei gradi di merito dalla contribuente;
- con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciare sulla eccezione sollevata dalla contribuente nei gradi di merito di difetto di legittimazione attiva dell'Ufficio per difetto di competenza territoriale;
- con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 101 Reg. UE 9 ottobre 2013 n. 952; -con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla violazione e falsa applicazione degli artt. 220 e 239 del codice doganale comunitario;
- con il quinto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine all'eccepita assenza dell'elemento soggettivo della sanzione e sulla dedotta inapplicabilità delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla portata e ambito applicativo della norma; - con il sesto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla eccepita illegittimità delle sanzioni per violazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 e del principio comunitario di proporzionalità;
- con il settimo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla eccepita violazione dell'art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997; - con l'ottavo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine alla eccepita illegittima duplicazione dell'Iva e conseguente non debenza delle sanzioni;
- con il nono motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 143, par. 1, lett.e), 157, secondo comma, 159 e 160 del Reg. (CEE) 2454 del 1993 (DAC) e degli artt. 1362 e 1363 c.c. nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c.;
- il primo motivo è fondato con assorbimento degli altri; - - «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016);
- «La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Cass., sez. un., n. 8053 del 2014; n. 28069 del 2018);
- pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e che presentano una "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire "di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato" (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un "ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo", logico e consequenziale, "a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi" (Cass. 22949 del 2018; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016; Cass. n. 19211 del 2019; Cass 2021 n. 36510); come precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. 25456 del 2018; n. 26766 del 2020);
-va premesso che la nozione coinvolta è quella del valore in dogana delle merci importate, che, di regola, è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l'esportazione a destinazione del territorio doganale dell'Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all'art. 32 di tale codice (Corte giust. 12 dicembre 2013, Christodoulou e a., causa C-116/12, punti 38, 44 e 50, nonché 21 gennaio 2016, Stretinskis, causa C-430/14, punto 15). Esso deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultimo, Corte giust. 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu). Anche i diritti di licenza, allora, sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico. Sicché, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa- come nella specie - il relativo importo, l'art. 32 del codice doganale comunitario (reg. n. 2913/92) stabilisce che al prezzo si addizionano «...c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da vai uta re...»;
- il regolamento n. 2454/93, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, specifica questa regola. In generale, esso stabilisce che «...quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell'articolo 29 del codice [doganale] si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento:
- si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e - costituisce una condizione di vendita delle merci in causa» (art. 157, paragrafo 2). Occorre dunque che ricorrano tre condizioni cumulative: - in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;
- in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare e, - in terzo luogo, che l'acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d'importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare «soltanto se:
-il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all'importazione,
-le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l'importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e
- l'acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore (art. 159).
Sempre in particolare, per il caso in cui l'acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il regolamento prescrive che «...le condizioni previste dall'articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all'acquirente di effettuare tale pagamento» (art. 160). La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell'art. 157, dunque, trova specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l'identificazione delle «condizioni di vendita delle merci in causa», che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti - dinanzi richiamati- dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate; -quanto alla configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce né l'art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale né l'art. 157, paragrafo 2, del regolamento n° 2454/93 precisano cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare. A riempire la lacuna soccorre l'interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di giustizia con la sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, GE Healthcare GmbH c. Hauptzollamt Diisseldorf; -nella detta sentenza, la Corte di giustizia, ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana) relativo all'incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l'identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, o no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una «condizione di vendita» delle merci da valutare qualora, nell'ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata- e l'acquirente, l'assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un'importanza tale per il venditore che, in difetto, quest'ultimo non sarebbe disposto a vendere; -occorre cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia (in causa C173/15, punto 68), «verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull'acquirente, tale da poter garantire che l'importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente»; -sul punto, l'allegato 23 delle DAC - Note interpretative in materia di valore in dogana all'articolo 143, paragrafo 1, lettera e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l'una controlla direttamente o indirettamente l'altra), stabilisce che «si considera che una persona ne controlli un'altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda» Al controllo è dunque inteso in un'accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall'altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell'effetto di "orientamento" del soggetto controllato. Quest'accezione ampia e necessariamente casistica, d'altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch'esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene; - utili indicatori possono essere tratti dall'esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull'applicazione dell'art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale (ormai parte dell'acquis communautaire, ossia del diritto materiale dell'Unione, con valore di soft law): queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, punto 45, «sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un'uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l'interpretazione di detto codice». Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: - il licenziante sceglie il produttore e lo impone all'acquirente;
- il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione);
- il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all'acquirente;
- il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti;
- il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l'importatore/l'acquirente rivende le merci;
- il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. - il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti;
- il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l'acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell'importatore;
- il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante;
- le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica);
- le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante;
- in materia, questa Corte (nn. 8473 del 2018; 25438 del 2018;25437 del 2018; 24996 del 2018) ha affermato il seguente principio di diritto: "In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell'art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza";
-nella specie, la motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate negli arresti giurisprudenziali sopra richiamati e dunque, concretizzando un chiaro esempio di "motivazione apparente" ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del "minimo costituzionale"; infatti, la CTR - dopo avere richiamato il principio di diritto enunciato in Cass. n. 8473/2018 (relativa ai medesimi soggetti e alle medesime questioni in termini di royalties, Iva e sanzioni) nonché Cass. n. 14546/2018 - si è limitata apoditticamente ad affermare che "le situazioni di fatto e contrattuali che coinvolgono le ditte interessate ai motivi di causa sono le medesime che hanno occupato la Cassazione con la sentenza ora esaminata pur se in tempi diversi; il Collegio ritiene pertanto di fare proprie le valutazioni di quest'ultima attualizzandole alla fattispecie"; con ciò senza esplicitare, anche in relazione ai motivi di illegittimità dell'impugnato provvedimento sanzionatorio dedotti nei gradi di merito dalla contribuente, (concernenti la duplicazione dell'Iva, la non debenza delle sanzioni), i termini di tale attualizzazione in base all'analisi dei contratti di licenza intercorsi tra la licenziataria P. Italia e la licenziante P. AG, dai quali potere desumere, con riferimento all'annualità contestata, il controllo produttivo della licenziante sul produttore estero (attraverso il controllo della scelta del terzo produttore, della lavorazione, della distribuzione e commercializzazione dei prodotti nonché della contabilità della licenziataria) e, dunque, quel "legame" tra venditore/fabbricante e licenziante necessario per potere configurare il pagamento delle royalties come condizione di vendita delle merci importate ai sensi degli artt. 160 e 157, par. 2, DAC e, dunque, per includere i diritti di licenza nel valore doganale imponibile;
-in conclusione, va accolto il primo motivo; assorbiti gli altri; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per un riesame della vicenda alla luce dei principi sopra enunciati;
P.Q.M.
la Corte: accoglie il primo motivo di ricorso; assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione; Così deciso in Roma il 18 ottobre 2022