CONSIDERATO CHE
4. con il primo motivo si censura, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. in relazione all'interpretazione dell'Accordo nazionale del 27.7.2010, dell'Accordo regionale del 6.10.2010 e del successivo verbale di incontro dell'1.11.2011, e si afferma che, a partire dall'anno 2011, l'organizzazione del settore trasporti e recapito aveva subito una radicale trasformazione sulla base di nuovi accordi sindacali che avevano espressamente mutato i precedenti accordi e che, pertanto, le pretese del dipendente «non potevano trovare più alcuna giustificazione», perché, in relazione al periodo per cui è causa, l'Accordo sindacale nazionale tra Poste Italiane S.p.A. e le 00.SS. di categoria in data 27.7.2010 e l'Accordo sindacale regionale del 6.10.2010 hanno interamente ridefinito, superando gli accordi del 1996 in materia, la precedente organizzazione della rete logistica e dei trasporti di Poste Italiane S.p.A., determinando modifiche radicali degli orari di lavoro, dei turni e delle attività lavorative svolte da tutti i dipendenti applicati ai settori interessati, tra i quali quello presso il quale presta servizio il lavoratore di cui si tratta, che svolge le mansioni di «autista ed addetto allo smistamento dei pacchi postali», come previsto nel vigente CCNL di categoria; in quest'ultimo è espressamente stabilito che «con il nuovo modello dei trasporti si intende superata la precedente organizzazione del settore», con ciò volendosi intendere che ogni richiamo a precedenti accordi sindacali risulta ormai inconferente ai fini del presente giudizio; pertanto, a parere della società ricorrente, in base ai nuovi accordi, sarebbe stata prevista la possibilità di impiegare gli operatori addetti ai trasporti, tra cui S., ad altre attività collaterali, al fine di evitare possibili eccedenze e perdite di produttività derivanti dalla riduzione delle attività collegate al calo dei volumi della corrispondenza, nonché dai nuovi turni e dal nuovo orario di lavoro settimanale;
5. con il secondo motivo si denunzia, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., perché «la motivazione resa dalla Corte di merito, oltre ad essere viziata da un totale travisamento dei fatti e delle allegazioni delle parti, presenta anche profili di illogicità, ove si consideri che nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, la controparte - in aperta violazione dell'art. 2697 c.c. - non ha fornito elementi idonei a dimostrare lo svolgimento delle attività di "agente unico" nel periodo di riferimento (1.1.2014- 30.6.2015); attività che egli genericamente asserisce di avere svolto per ogni turno di servizio quando, in realtà, detta attività non era stata più prevista dalle Parti sociali>>;
6. con il terzo motivo si deduce, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la «omessa motivazione circa la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta da Poste in ordine alla ridefinizione delle attività di Agente Unico>>;
7. con il quarto motivo si censura, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 c.c.; 36 Cost. e 1362 c.c., in relazione all'interpretazione dell'Accordo del 23.5.1995 nonché dell'Accordo del 12.9.1996, per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto natura «retributiva» all'indennità di cui si tratta;
8. il primo ed il quarto motivo - da trattare congiuntamente per ragioni di interferenza - non sono fondati. Al riguardo, va premesso che gli ormai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità (ai quali il Collegio intende dare (:ontinuità, non essendovi ragioni che inducano a discostarsene) hanno statuito che l'indennità di cui si tratta remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, «sicché ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante; è oggetto di un obbligo contrattuale e, dunque, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove - in ipotesi - siano mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di lavoro neppure invocato un'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta» (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 33715/2019; 33714/2019; 8458/2016; 20651/2014; 11330/2014; 4561/2013; 17830/2011). Inoltre, questa Corte ha «già osservato che la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro all'obbligo di retribuzione ex art. 36 Cost., comma 1, con riferimento all'importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo» (Cass., SS.UU., n.11325/2005).
9. il secondo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto palesemente diretto ad ottenere un nuovo esame del merito, con una nuova valutazione delle prove operata dai giudici di seconda istanza, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014). Peraltro, anche nel caso di specie, va confermato il principio di diritto espresso da Cass. n. 13395/2018, secondo cui «La violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo Vonus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni» (conf. Cass. nn. 4241/2018; 15107/2013); ipotesi, questa, che, nella fattispecie, non si configura;
10. il terzo motivo, che appare generico e censura - peraltro in riferimento ad un parametro inconferente (l'art. 360, primo comma, n. 4, del codice di rito, che attiene ad errores in procedendo) - «l'omessa motivazione circa la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta da Poste in ordine alla ridefinizione delle attività di Agente Unico», è inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza>> della motivazione); per l'altro verso, è stato introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata - come riferito in narrativa - il 12.5.2020, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., come sostituito dall'art. 54, comma 1, lettera b), del D.I. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza «così radicale da comportare» in linea con «quanto previsto dall'art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logicogiuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata, nella quale è stato messo in evidenza che, nella fattispecie, la società non ha addotto elementi concreti per dimostrare che vi siano state modifiche organizzative tali da giustificare il venir meno del diritto alla corresponsione di una indennità che, per il sopra indicato principio della irriducibilità della retribuzione, era destinata ad essere conservata;
11. per tutte le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va respinto;
12. le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo - e da distrarre, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., in favore del difensore di S. M., avv. B. M., dichiaratosi antistatario -, seguono la soccombenza;
13. avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, secondo quanto specificato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarre, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., in favore del difensore di M. S., avv. B. M., dichiaratosi antistario. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nell'adunanza camerale del 14 dicembre 2021