Giu nell’ambito del rito c.d. Fornero, avverso una sentenza non definitiva adottata dal Tribunale in sede di opposizione, il reclamo può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 13 ottobre 2022 N. 30155
Massima
Vanno formulati, con riguardo al primo e al terzo motivo di ricorso, i seguenti principi di diritto: nell’ambito del rito c.d. Fornero, avverso una sentenza non definitiva adottata dal Tribunale in sede di opposizione, il reclamo può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 1, comma 58, ossia entro 30 giorni dalla data di comunicazione della sentenza non definitiva o dalla notifica se anteriore;

l’art. 72, comma 3, del CCNL Agidae va interpretato nel senso che il potere del datore di lavoro di applicare una sanzione disciplinare sorge allo spirare del termine (di dieci giorni) previsto a favore del lavoratore per fornire le giustificazioni, termine minimo, inderogabile oppure in un arco temporale più ampio (se così previsto dal singolo datore di lavoro nella lettera di contestazione disciplinare);

Casus Decisus
RILEVATO CHE 1. con sentenza n. 1747/2019 la Corte di appello di Roma, nell’ambito del procedimento previsto dall’art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012 (c.d. rito Fornero), ha dichiarato inammissibile, per tardività, il reclamo proposto avverso la sentenza non definitiva (n. 1944/2017) del Tribunale di Roma e ha confermato la sentenza definitiva (n. 6406/2018) del medesimo giudice di prime cure, respingendo la domanda di M. M. proposta per l’accertamento, nei confronti della Badia (omissis) nonché della Confederazione benedettina, della illegittimità del licenziamento intimato l’8.9.2014 per irregolare compilazione, in qualità di Economo dei due enti, dei reports mensili e del bilancio 2014; 2. la Corte distrettuale ha rilevato che la sentenza non definitiva, emessa dal Tribunale (in sede di opposizione ex art. 1, comma 51, del rito Fornero) l’1.3.2017 e tempestivamente comunicata ad entrambe le parti (il giorno successivo), era stata oggetto di riserva di gravame ben oltre i trenta giorni (decorrenti dalla comunicazione della sentenza); la questione della qualificazione delle mansioni assegnate al M. doveva, dunque, ritenersi coperta da giudicato, con l’accertamento definitivo della natura dirigenziale del rapporto di lavoro; la Corte territoriale, con riguardo al reclamo concernente la sentenza definitiva, ha confermato che parte datoriale non aveva consumato il potere di comminare il provvedimento sanzionatorio, posto che non era decorso il termine specifico previsto dal CCNL AGIDAE (ossia sei giorni, decorrenti dalla scadenza del termine di dieci giorni assegnato al dipendente per presentare giustificazioni); ha qualificato come sospensione cautelare l’interruzione del rapporto di lavoro avvenuta prima della formalizzazione della contestazione disciplinare; ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare, in quanto concernente violazione di non immediata riconoscibilità e accertamento; ed ha, poi, ritenuto legittimo, ossia sorretto da giustificatezza, il licenziamento del dirigente sia in quanto la documentazione acquisita confermava la non conformità dei report mensili ai dati risultanti dalla contabilità e “il bilancio al 30.6.2014 era inficiato da registrazioni contabili senza documentazione a supporto e prive di logica economico-finanziaria” (“con una rappresentazione significativamente alterata dei costi per consulenze e dei costi per materie prime, sprovvisto di documentazione contrattuale e di quella a supporto dell’evidenza del servizio reso – stante la carenza di controlli dell’addetto preposto alla gestione dei rapporti con i fornitori – e le voci “consulenze” e “materie prime” cucina presentavano un andamento anomalo, con decrementi ingiustificati e causati dalle scritture non supportate documentalmente e con un rilevante incremento in concomitanza con la chiusura del bilancio”) sia in quanto emergeva chiaramente dal contratto di lavoro stipulato tra le parti che l’Economo-Cellario monastico “dirige ed è responsabile” dei rapporti con i fornitori, così come dei servizi amministrativi, di contabilità, di elaborazione dati e servizio fiscale, predisponendo il budget e dovendo coordinare il lavoro del ragioniere contabile a lui subordinato”; la gravità di questa condotta era sufficiente, secondo la Corte territoriale, a sorreggere la legittimità del licenziamento senza necessità di esaminare gli ulteriori addebiti mossi al dirigente (pressioni sul ragioniere affinchè non mettesse a disposizione di padre omissis le fatture delle forniture, dissidi con l’Abate primate e altri monaci, con dipendenti e fornitori), pur dovendo ritenersi censurabile la pubblicazione del curriculum vitae su un sito web ove emergeva lo svolgimento di attività libero professionale in materia sanitaria nonostante il contratto di esclusiva che legava il M. alla Badia; 3. propone ricorso avverso tale sentenza M.M. affidandosi a sette motivi, illustrati da memoria, e la Badia (omissis) e il Pontificio (omissis) resistono con controricorso;

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 13 ottobre 2022 N. 30155 Tria Lucia

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 279, 340, 327 cod.proc.civ. nonché della legge n. 92 del 2012 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, la Corte distrettuale, errato nel prendere a riferimento – ai fini della valutazione della tempestiva impugnazione della sentenza non definitiva - il termine di trenta giorni previsto dall’art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, posto che, trattandosi di istituto processuale (le sentenze non definitive) non disciplinate dal rito Fornero (né dal rito del lavoro), andava applicate integralmente le regole dettate dal rito civile, che prevede il decorso del termine per la riserva di impugnazione, solamente dalla dati di notifica della sentenza, nel caso di specie adempimento mancante;

2. con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 112 e 116 cod.proc.civ. nonché “omessa valutazione di tutte le prove e i fatti decisivi ai fini dell’accertamento del mero carattere pseudodirigenziale delle mansioni del M.” (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.), avendo, il giudice dell’opposizione, trascurato che, dopo un primo periodo (gennaio 2011-agosto 2012), con la stipula del contratto a tempo indeterminato, il M. fu spogliato di tutti i poteri decisionali e di gestione, come è emerso dalle prove testimoniali e documentali acquisite;

3. con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970, 72 CCNL AGIDAE (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, la Corte distrettuale, interpretato in maniera illogica il contratto collettivo AGIDAE ove prevede il termine di 6 gg per il datore di lavoro per l’irrogazione della sanzione (art. 72, comma 5), termine che deve farsi decorrere non dalla scadenza dei termini previsti a favore del lavoratore per produrre giustificazioni (dieci giorni), bensì dal momento in cui il lavoratore, di fatto, presenta le sue giustificazioni; ciò in applicazione del principio di tempestività della “contestazione disciplinare” e con riguardo, nel caso di specie, sia alla sanzione disciplinare della sospensione del rapporto di lavoro sia a quella, successiva, del licenziamento;

4. con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 nonché omessa valutazione di fatti decisivi (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.), per la mancata contestualità/tempestività della contestazione disciplinare: tutti i fatti contestati (falso in bilancio, falsa predisposizione di report mensili, pressioni sul ragioniere, dissidi con l’Abate, con i dipendenti, con i monaci, con i fornitori, pubblicazione del curriculum su un sito web) sono indeterminati nella collocazione temporale, salvo il bilancio al 30.6.2014; la contestazione (del 18.8.2014) è tardiva perché effettuata dopo due mesi dal bilancio;

5. con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 116 cod.proc.civ., 2094, 2697 cod.civ. nonché omessa valutazione di fatti decisivi con riferimento all’asserito falso in bilancio, alle schede, report, allegati e documenti di trasmissione e alle prove testimoniali (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, basato l’esito della decisione su un atto di parte, la relazione Ernst & Young sulla redazione del bilancio, immediatamente contestato dal M., sfornito di prova e fondato su documenti autogenerati, incontrollati e privi di data certa; non è mai esistito un falso in bilancio (che si è ritenuto di provare addirittura con prova testimoniale) e tutti gli addebiti sono del tutto sforniti di prova; 

6. con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato nelle valutazioni della Corte distrettuale sul bilancio 30.6.2014 inconferenti con la contestazione disciplinare; la Corte territoriale ha statuito su molteplici “circostanze” estranee alle contestazioni disciplinari e ai motivi disciplinari che erano di altra natura: liquidazioni di spese per costi di consulenze per euro 344.703,83, a fronte di un consuntivo per euro 178.077,00, imputazione dei maggiori costi a spese per la cucina, asserita esistenza di “documentazione ulteriore” per euro 156.862,68 che proverebbe un’imputazione fittizia per tale somma, ecc.; quindi, il M. non è stato sanzionato per omesso controllo o verifica dei bilanci, ma perché accusato di aver eseguito in proprio indebite liquidazioni od avere portato in bilancio una serie di registrazioni fittizie (leggasi “report” al fine di comporre un pagamento di euro 156.862,68”

7. con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod.proc.civ. e dell’art. 1, comma 59, della legge n. 02 del 2012 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, effettuato un disattento ed errato esame della documentazione, prodotta dalla Badia in sede di reclamo, con particolare riguardo al profilo linkedin del M., non avendo, lo stesso, svolto altra attività lavorativa dopo l’assunzione presso la Badia;

8. il primo motivo di ricorso non è fondato;

8.1. Correttamente la Corte di merito ha richiamato, per individuare il dies a quo per l’impugnazione della sentenza non definitiva (o per la riserva di impugnazione), la previsione dettata dall’art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, che fa decorrere il termine di trenta giorni “dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore”;

8.2. questa Corte, invero, ha già affermato il principio - cui si intende dare continuità (Cass. n. 24258 del 2016 in materia di proposizione del reclamo incidentale; Cass. n. 17863 del 2016 in materia di formulazione dei motivi di impugnazione, in applicazione dell’art. 434 cod.proc.civ., confermata da Cass. n. 21718 del 2018; Cass. n. 15412 del 2020, con riguardo alle domande non accolte o rimaste assorbite, in applicazione dell’art. 346 cod.proc.civ.) - in virtù del quale l'impugnazione della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 1 co. 57 della legge n. 92 del 2012, è nella sostanza un appello, sicché per tutti i profili non regolati dalle disposizioni specifiche trova Corte di Cassazione - copia non ufficiale 6 applicazione la disciplina dell'appello del rito del lavoro, che realizza il ragionevole equilibrio tra celerità ed affidabilità;

8.3. è stato, altresì, affermato: che il termine breve di trenta giorni, previsto dall'art. 1, comma 58, della l. n. 92 del 2012, per la proposizione del reclamo alla corte di appello avverso la sentenza del Tribunale sulla impugnativa di licenziamento di cui all'art. 18 st. lav., decorre dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione della stessa se anteriore (Cass. n. 14098 del 2016 che ha precisato che il termine decorre dalla comunicazione della sentenza e non dalla lettura del dispositivo in udienza; Cass. n. 6059 del 2018, che sottolinea trattarsi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell'art. 133, comma 2, cod.proc.civ., nella parte in cui stabilisce che "la comunicazione non e` idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c"; nonché Cass. n. 19862 del 2018, che prosegue statuendo che non rileva la lettura del provvedimento in esito all'udienza ai sensi dell'art. 429 cod.proc.civ., attesa la specialità del rito rispetto alla disciplina ordinaria e la necessità di interpretare restrittivamente la norma in tema di decadenza dall'impugnazione, escludendosi pertanto la possibilità di individuare un momento di decorrenza della stessa diverso da quello indicato dalla legge); che il suddetto termine breve decorre dalla comunicazione di cancelleria della sentenza a mezzo PEC, che, come tale, non richiede l'apposizione della formula "Notificazione ai sensi del d.l. 179 del 2012", prevista dall'allegato 8 delle specifiche tecniche del PCT del 16.4.2014 per le sole notificazioni e non anche per la comunicazioni, senza che rilevi che per entrambi gli atti il biglietto di cancelleria contiene il testo integrale del provvedimento trasmesso (Cass. n. 28751 del 2019);

8.4. questa Corte, ha, invero, sottolineato (Cass. n. 14098 cit.) che la legge n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale la cui disciplina va osservata senza possibilità di essere derogata dai principi generali dell'ordinamento, salva la necessità di integrazione del rito in caso di lacuna del dettato normativo (cfr. con riguardo alla natura di rito speciale del procedimento introdotto dai commi 47 e ss. dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012 Cass. S.U.n. 19674/2014, principio affermato, da ultimo, anche da Cass. n. 230973/2015 che ha sottolineato l'obbligatorietà del procedimento speciale, visto che la specialità non è prevista nell'esclusivo interesse del lavoratore, nonché Cass. n. 23021 del 2014 che ha ritenuto di integrare il suddetto rito speciale con la disciplina dettata per l'appello nel rito del lavoro; con riguardo al giudizio rescissorio di rinvio e all’applicazione del termine breve di sessanta giorni, che decorre dalla comunicazione di cancelleria ai sensi dell'art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012, quale previsione speciale e derogatoria rispetto a quella generale di cui al novellato art. 133, comma 2, cod.proc.civ., cfr. Cass. n. 32263 del 2019);

8.5. nel rito c.d. "Fornero" vi sono specifiche disposizioni che prevedono il termine per proporre reclamo (“Il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore”, art. 1, comma 58, secondo periodo, legge n. 92 cit. nonché comma 61 “In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice di procedura civile”) e non vi è una regola che si ponga in contrasto con l’art. 340 cod.proc.civ. (che regola la possibilità di effettuare riserva facoltativa di appello contro le sentenze non definitive);

8.6. il ricorrente, pertanto, è stato correttamente dichiarato decaduto dalla facoltà di riservare il reclamo avverso la sentenza non definitiva emessa dal Tribunale in sede di opposizione ex art. 1, comma 57, della legge n. 92 del 2012, posto che al momento della richiesta di riserva (espressa in data 19.4.2017) era trascorso un termine superiore a trenta giorni, decorrenti dalla comunicazione della suddetta sentenza (comunicazione effettuata, pacificamente, alle parti in data 2.3.2017);

9. il secondo motivo di ricorso è inammissibile, non solo in quanto concerne la statuizione del giudice di primo grado, ma, in primis, in quanto vertente su questione passata in giudicato a seguito della decadenza dal reclamo della sentenza non definitiva (che aveva ad oggetto proprio la qualificazione delle mansioni svolte dal M.);

10. il terzo motivo è in parte inammissibile e per la parte residua infondato;

10.1. inammissibile con riguardo alla sospensione del rapporto di lavoro, in quanto difetta la necessaria riferibilità della censura alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale ha affermato che si è trattato di “sospensione cautelare, e non disciplinare, disposta nelle more dell’accertamento disciplinare”, aggiungendo che il lavoratore “avrebbe potuto al più potuto contestare la legittimità della sospensione cautelare in quanto non prevista nel contratto collettivo, avuto riguardo specificamente il capo di sentenza che ne riconosceva la praticabilità a prescindere da una specifica previsione contrattuale, ma non lo ha fatto, sicchè le censure devono essere respinte. La sospensione cautelare, pur se risultasse illegittima, non inficerebbe, in ogni caso, il provvedimento disciplinare successivamente adottato”; le censure, dunque, non colgono la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla natura disciplinare del provvedimento di sospensione e, sulla mancata applicazione del termine previsto dal contratto collettivo AGIDAE ma nulla deduce sulla interpretazione della Corte territoriale della natura della sospensione e sui rilievi concernenti la carenza di censure in ordine alla sentenza di primo grado (in ordine alla mancanza di disciplina negoziale su tale istituto) e l’irrilevanza, comunque, di tale profilo ai fini della illegittimità del successivo licenziamento;

10.2. con riguardo al termine previsto dal contratto AGIDAE per l’intimazione di una sanzione disciplinare, la clausola contrattuale vigente nel 2014 - che può essere direttamente interpretata da questa Corte, in considerazione della funzione nomofilattica attribuita dall'art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr. Cass. Sez. U. 23.9.2010 n. 20075) - recita (Art. 72, Commi 1-2 omissis):

“3. La contestazione degli addebiti sarà fatta mediante comunicazione scritta nella quale verrà indicato il termine entro cui il dipendente dovrà far pervenire le proprie giustificazioni. Tale termine non potrà, in nessun caso, essere inferiore a gg. 10 dalla data di ricezione della contestazione.

4. Il dipendente potrà farsi assistere dall'Organizzazione Sindacale a cui aderisce o conferisce il mandato.

5. Il provvedimento disciplinare dovrà essere comunicato con lettera raccomandata inviata entro 6 gg. dal termine assegnato al dipendente per presentare le sue giustificazioni. Tale comunicazione dovrà specificare i motivi del provvedimento. 6. Trascorso l'anzidetto periodo senza che sia stato adottato alcun provvedimento, le giustificazioni presentate dal dipendente s’intendono accolte. 7. I provvedimenti disciplinari, comminati senza osservanza delle disposizioni di cui ai precedenti commi, sono inefficaci. (commi 8, 9 omissis)”;

10.3. la Corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado, ritenuto applicabile, in carenza di previsioni specifiche dettate dal CCNL dirigenti, il CCNL AGIDAE (profilo che non è oggetto di alcun motivo di impugnazione), ha sottolineato che il datore di lavoro non aveva consumato il potere di intimare il provvedimento sanzionatorio, non essendo decorsi sei giorni dalla scadenza del decimo giorno fissato dal contratto collettivo per le giustificazioni (in assenza di termine più ampio assegnato dal datore di lavoro);

10.4. ritiene il Collegio che la doglianza relativa al decorso del termine di sei giorni dalla data di ricezione delle giustificazioni del datore di lavoro non sia fondata, posto che la clausola contrattuale è chiara nell'imporre al datore di lavoro il rispetto del termine di sei giorni che devono computarsi dalla scadenza del periodo assegnato al lavoratore per fornire le giustificazioni, termine, quest’ultimo, che è fissato – dalle parti sociali - in un minimo, inderogabile (in quanto previsto a pena di inefficacia del provvedimento disciplinare), di dieci giorni oppure in un arco più ampio (se così previsto dal singolo datore di lavoro nella lettera di contestazione disciplinare); la clausola negoziale non prevede alcuna possibilità di decurtare il periodo (di dieci giorni) concesso al lavoratore per fornire le proprie giustificazioni, periodo da ritenersi posto a garanzia del diritto di difesa del lavoratore (che può, dunque, usufruire di detto arco temporale di dieci giorni, anche per fornire molteplici giustificazioni, anche integrative rispetto ad un primo approccio);

11. il quarto motivo è infondato, avendo, il giudice d'appello (confermando quanto già statuito dal Tribunale) preso in considerazione tutte le condotte concernenti il falso nel bilancio 2014, la redazione dei report, la rappresentazione alterata dei costi per consulenze e dei costi per materie prime, la lettera di contestazione disciplinare (del 18.8.2014) ed il licenziamento dell’8.9.2014; nella valutazione ha, quindi, richiamato i principi consolidati in tema di relatività del concetto di immediatezza, valorizzando i tempi necessari ad accertamenti complessi e realtà aziendali articolate ( Cass. n. 281/2016; Cass. n. 10069/2016); ogni ulteriore valutazione in merito resta esclusa dal giudizio di legittimità;

12. il quinto, il sesto ed il settimo motivo sono inammissibili, essendo malamente invocati i diversi paradigmi impugnatori;

12.1. questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., non può avere ad oggetto l'erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., fra le più recenti, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell'art. 360 cod.proc.civ., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell'art. 132 cod.proc.civ., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016); 12.2. secondo il consolidato orientamento di questa Corte, con riguardo al paradigma impugnatorio dell’art. 2094 cod.civ., è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se correttamente motivata, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass. n.9256 del 2009; Cass. n.9808 del 2011; Cass. n. 24402 del 2021).

12.3. la violazione dell'art. 2697 cod.civ. è censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3 cod.proc.civ., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante su chi ha intimato il provvedimento disciplinare, il datore di lavoro, come ha correttamente effettuato la Corte di appello;

12.4. come più volte precisato da questa Corte (Cass. n. 22799 del 2017; n. 7653 del 2012), il vizio di omessa pronuncia che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato di cui all'art. 112 cod.proc.civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l'attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all'attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto, oppure su uno specifico motivo di appello (cfr. Cass. n. 11844 del 2006; n. 27387 del 2005; n. 1170 del 2004); non è configurabile la violazione dell'art. 112 cod.proc.civ. ove si assuma – come nel caso di specie - che il giudice di merito non abbia considerato alcuni documenti oppure fatti secondari dedotti dalla parte, potendosi in tal caso ritenere integrato il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ., ove ne ricorrano i presupposti;

13. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;

14. vanno formulati, con riguardo al primo e al terzo motivo di ricorso, i seguenti principi di diritto: nell’ambito del rito c.d. Fornero, avverso una sentenza non definitiva adottata dal Tribunale in sede di opposizione, il reclamo può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 1, comma 58, ossia entro 30 giorni dalla data di comunicazione della sentenza non definitiva o dalla notifica se anteriore; l’art. 72, comma 3, del CCNL Agidae va interpretato nel senso che il potere del datore di lavoro di applicare una sanzione disciplinare sorge allo spirare del termine (di dieci giorni) previsto a favore del lavoratore per fornire le giustificazioni, termine minimo, inderogabile oppure in un arco temporale più ampio (se così previsto dal singolo datore di lavoro nella lettera di contestazione disciplinare);

15. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 5.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.